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Autore: SailorDisney    20/02/2016    2 recensioni
Quando penso a lei è come se avessi tirato un brutto scherzo a me stesso. Come se parlassi apertamente del brutto carattere di un amico presente nella stessa stanza. Una sensazione di imbarazzo e libertà.
E Buzz. Ricordo Buzz, sempre. Un fantasma, il fantasma di un amico, l'ombra di un rammarico.>>
_Toy Story 2 dal punto di vista di Woody_
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jessie, Woody
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Quello che porto dentro



Ricordo bene quel giorno. O per essere precisi, ricordo ciò che voglio ricordare.
Frammenti necessari, istanti che non voglio perdere.
Stava andando tutto storto. Ma volevo far credere agli altri che si sarebbe risolto tutto. Che, si, ero finito sulla scaffale ma che insieme avremmo superato anche questo brutto momento.
Ricordo i commenti sarcastici di Mr. Potato, le paure più che motivate del fragile Rex, lo sguardo perso di Slinky, la tristezza negli occhi di... Bo. Sorrido e scuoto la testa.
Quando penso a lei è come se avessi tirato un brutto scherzo a me stesso. Come se parlassi apertamente del brutto carattere di un amico presente nella stessa stanza. Una sensazione di imbarazzo e libertà.

E Buzz. Ricordo Buzz, sempre. Un fantasma, il fantasma di un amico, l'ombra di un rammarico.

Ricordo la tensione, il povero Wheezy pronto per essere dato via al mercatino, la corsa frenetica per raggiungere il giardino. Ricordo l'odore dell'erba appena tagliata, il brusio del vicinato che commenta sottovoce la qualità degli oggetti in vendita, il criticare la banalità di un mercatino dell'usato.

Poi tutto fu in balìa di rapidi gesti.
Io sono solo un pezzo di plastica, decido cosa fare quando gli altri non decidono per me. Io vado quando gli altri non vanno. Mi muovo quando gli altri sono immobili. Sono una marionetta allo specchio ma non godo della meraviglia del riflesso. Sono vissuto nella consapevolezza dell'obbedienza ma è così che ho conosciuto da vicino l'amore. L'amicizia, quella vera.
Gli uomini si limitano a dare, ricevere, scambiare, regalare orologi, non dimenticare gli auguri di Natale. Io sono capace di qualcosa che loro nemmeno conoscono, per me esserci nel momento del bisogno di qualcuno è l'unico scopo della vita, la camminata nel deserto della mia giornata si conclude quando nell'oasi compare il viso del mio Andy sereno, sotto le coperte di sabbia calda del suo letto.
Poi eccomi fra le mani sudaticce di un uomo sconosciuto, la mia esistenza cambia in una frazione di secondo. Poco dopo, sono all'ultimo piano di un grattacielo. Vedo la finestra, una stanza con una squallida moquette, puzza di chiuso, tutto dietro un vetro appannato dal mio respiro.
Si, io respiro, quando lo voglio io.
Quando ne sento la necessità, quando ho bisogno di sentirmi parte del mondo, ricordarmi che ho un posto anche io, qui.

Ricordo sempre meglio quel pomeriggio. Il suono dei passi dell'uomo si allontana, scendo dal mobile in silenzio, mi guardo intorno. So di non essere solo, vivo con una famiglia di giocattoli da sempre, li conosco bene. Capisco che qualcuno vuole sorprendermi, mi inserisco in quella sceneggiata. Decido di farne parte. Di scoprire dove vuole portare, cosa sta cercando di dirmi, rendendomi conto che forse sarebbe stato meglio dirigere l'opera piuttosto che danzare al ritmo della sua struggente orchestra.

Qui iniziano i frammenti, indimenticabili.
Lei appare come un fascio di luce sulla finestra. Ricordo come la madre di Andy spalancava le finestre la domenica mattina, come entrava l'aria fresca, qualche foglia dell'alto albero in giardino, la musica classica dal piano di sotto, la luce del mattino. Era una sensazione splendida, forse il modo migliore di definire la vita.
LEI la definirei così. Dal primo momento, una finestra sul mattino, un riflesso di luce, le fronde più luminose dell'eucalipto, il vento che lo respirava, lei era quelle note della variazione più dolce di Bach, quella macchia di caffè scivolata dalla tazza della mamma di Andy sul pavimento.
Lei era tutto questo, un insieme di emozioni che mi ricordavano di essere vivo. Che facevo parte del mondo si, ma non solo per prendere parte alla vita di qualcun altro ma perché io sono io, sono qualcosa, sono qualcuno.

Lei cominciò a parlare senza fermarsi, il tono della voce era alto. Ma io non sentivo. I suoi occhi erano caduti a peso morto dentro i miei, stava cercando di dirmi qualcosa ma purtroppo non ero pronto. Si era fatta avanti in un momento in cui mi era difficile stabilire cosa stava succedendo. Insieme a lei, un cavallo di pezza.

Mi eri mancato anche tu Bullseye, solo che io ancora non lo sapevo.

Giravo su me stesso. Come se guardandomi intorno potessi trovare delle risposte alle mille domande che affollavano la mia piccola testa.
Ed in effetti, fu proprio guardandomi intorno che trovai quelle risposte.

Un passato sconosciuto affollava le pareti, la stanza, tutto parlava di me. Chi era quello? Cosa ci faceva con il mio corpo? Quello sono io! Lei continua a ripetere storie, Bullseye continua a girare intorno alla mia figura, lontana da me ma vicina a quello sceriffo che mi somiglia.
Chiudo gli occhi. Li riapro.
Quella sagoma di cartone è ancora lì, c'è il mio volto e il mio nome.
Lei ne approfitta, subdola. Sa precisamente cosa è meglio fare mentre io sono disarmato.
Sa già che ci vuole poco per portarmi via e io voglio essere trascinato in quella baraonda. Con lei. Con forza.

La televisione non ha colori, ma non servono, io riesco comunque a vederli. Il sonoro è sgradevole ma è come sentire la melodia più arcana, sconosciuta e coinvolgente. Come la ninna nanna dimenticata e ritrovata alla nascita del tuo primo figlio. Non che io me ne intenda, ma sono qui da molto più tempo di voi, non me ne vogliate.

Tornai indietro nel tempo. Senza Delorean né portali, bastò una vecchia videocassetta. Il cuore correva con gli zoccoli caldi di Bullseye, il cervello nascondeva gli errori di sceneggiatura, le mani tremavano come se la dinamite fosse pronta a esplodere. Ecco come lei riuscì nuovamente a farmi sentire vivo quel giorno.

Il cuore andava a ritmo con i colpi serrati della mia pistola di cartone ma io dovevo tornare indietro. Tornai alla realtà, quella che mi aspettava a qualche isolato di distanza.
Ma lei decise che non dovevo andare via. Non so, in cuor suo, se volesse impietosirmi o se davvero il fatto che io andassi via l'avesse portata a tanto. Mi raccontò di Emily, della sua Andy. Parlava di lei come io parlo del mio bambino. Con le stesse parole, lo stesso sguardo malinconico. Ma la sua Emily non c'era più, le aveva voltato le spalle una mattina di novembre. Andy avrebbe fatto lo stesso? Si sarebbe svegliato un giorno dimenticando tutto ciò che avevamo vissuto insieme? Lei guardava fuori dalla finestra, era disperatamente alla ricerca di qualcosa. Poi il suo sguardo si rivolse a me, ero io quel qualcosa adesso.


Bastò quel poco per convincermi che andare in Giappone fosse la scelta migliore. Ogni sua parola mi allontanava dalla stanza di Andy, ogni suo sguardo cancellava un ricordo della famiglia che avevo lasciato.
Ogni suo sorriso mi trascinava in un vortice lontano anni luce dal pianeta in cui ero sempre vissuto.

Pianeta. Spazio.
Ecco d'improvviso arrivare Buzz e tutti gli altri.  Quanto tempo era passato? Mesi? Secoli? Ero caduto in un buco nero dai contorni caldi del far west, un mondo così lontano da quello in cui ero sempre vissuto ma così vicino a quello che avevo scoperto essere sempre stato.
Il terrore mi assalì. Cercai di spiegare quello che provavo ma come avrebbero potuto capire? Si, Buzz, il mio migliore amico. Anche lui era stato catapultato tempo addietro in un universo lontano dal suo. Ma lo aiutai a comprendere, ad  integrarsi, a trovare il suo posto. Io invece il mio posto lo avevo già ed era lì che mi aspettava da chissà quanto tempo.
Vidi una minaccia incombere. Buzz voleva portarmi via a tutti i costi, portarmi via dal mio mondo, portarmi via da lei.

Non riuscivo ad agire con razionalità, lei aveva deciso di sconvolgere tutto, tutto ciò in cui credevo.
Ricordo quella come la prima volta in cui ferii Buzz, il suo sguardo deluso. Lui sapeva che c'era qualcos altro. Era l'unico a conoscermi per come avevo deciso di farmi conoscere. Solo lui sapeva cosa avrei fatto per Andy, di cosa mi sarei privato. E adesso d'improvviso ero lì, a dare le spalle a entrambi. Non riuscivo nemmeno a guardarlo negli occhi. Mi avrebbe scoperto. Mi avrebbe tirato fuori dalla mia nuova esistenza. Doveva andare via e subito o quello che c'era tra me e lui avrebbe distrutto quello che c'era tra me e me stesso.

Andarono via. I commenti degli amici erano quasi impercettibili eppure ferivano ugualmente.

Lei mi guardava, lo percepivo. Voleva arrivare a tutto questo? Stava saziandosi dei suoi desideri o stavo fraintendendo tutto?

Quello che successe poi non lo so spiegare. Fu un istante e mi resi conto che mentre ero in attesa di questa vita, ne avevo costruita un'altra. Che non potevo abbandonare o si sarebbe ripresentata nelle notti peggiori come uno spirito di un animale ferito, di un cavallo lasciato a morire nel freddo del deserto notturno.

Corsi, gridai. Chiamai il mio passato tra le sbarre gelate. Buzz non tardò. In cuor suo sapeva che l'amicizia che ci legava si sarebbe aggrappata con le unghie alle vesti, strappandole e lacerandole pur di non cadere esanime e essere abbandonata in un vicolo poco frequentato.

Ma sembrava tardi. Il volo era in partenza, le valigie si chiusero. Cercai la mano di lei nel buio e la trovai. Aveva bisogno di sapere che io c'ero, che non era più sola. Che non avrebbe più sofferto e che qualsiasi sfumatura di buio l’avremmo affrontata insieme. Le sue piccole dita strinsero forti le mie. Sentii chiamare il mio nome mentre la valigia veniva caricata sull'ascensore. Ho paura, disse. Strinsi forte la sua mano. Doveva farla sentire come lei aveva fatto sentire me. Non in balìa degli eventi ma forte e padrona.

Passarono i minuti. Buzz aprì la valigia, mi guardai intorno. Non avevo mai visto quel posto ma intuii che si trattava del deposito bagagli dell'aeroporto.

Combattei, non so dire per chi. Mi sentivo un eroe ma non so quale trofeo avrei portato a casa.
Ero così preso da quella nuova sensazione da non accorgermi che lei stava per essermi portata via.
Non c'era altro modo, tornai eroe. Ma sapevo stavolta per chi combattevo, a chi era destinata la mia vittoria.

Corri come il vento Bullseye.

Le valigie erano montagne insormontabili, l'aria fredda della sera un guerriero che cercava di contrastarmi mentre correvo sul mio destriero verso l'aereo.
Ma ce l'avevo fatta.

La valigia verde era di fronte a me.
E dentro ci avrei trovato il mio futuro ad aspettarmi.

Il tempo correva, mi spingeva come una folla di persone dietro la schiena. Passarono pochi secondi ma nella mia testa passarono anni.
C'era un piccolo Andy, i suoi occhi grandi mi fissavano curiosi. Dalle piccole mani potevo sentire il cuore battere sempre più forte.
Quello era il nostro primo incontro.
Ricordo il padre di Andy andare via. Ricordo essere stretto al corpicino di Andy in cerca di risposte, di conforto, di un amico, di un fratello.
Ricordo gli anni passare, gli amici andare e venire ma mai lo sguardo di Andy smettere di cercarmi. Facevo parte della sua vita ma non mi limitavo a questo. Ero indispensabile, lui ha sempre avuto bisogno di me ma mi scoprii ad essere io quello che aveva bisogno di lui.
Senza rendermene conto arrivai di fronte alla valigia verde. Era il momento. Ci potevo saltare dentro. Ero ancora in tempo per prenderle la mano e costruire la mia nuova vita in Giappone, lontano da tutto. Forse, lontano anche da me.

Sollevai la parte superiore della valigia. Lei era lì, così indifesa. Abbracciava se stessa cercando compagnia, conforto. La paura si avvertiva sensibilmente, lei... Era come me. Nemmeno quello era il suo mondo, era alla ricerca continua del suo posto e aveva creduto, seppur per un istante, che con me lo avesse trovato. La guardai senza riuscire a dire una parola, avrei voluto catapultarmi e farla affogare tra le mie braccia, farla perdere in un ritrovarsi affannoso. Ma non ci fu bisogno di far nulla. Lei si voltò verso di me, i suoi occhi si spalancarono come se l'attesa fosse stato sostituita dalla resa.
Non ebbi il tempo di prendere una decisione che fu lei a cercarmi, a cullarsi fra le mie braccia, a cercare quel contatto che cercava. A farmi capire che il destino aveva voluto così, portarci sullo stesso binario. E quel treno andava preso insieme, non c'era modo di farlo deragliare. Tutte le mie forze andarono in quell'abbraccio, quella dichiarazione di fedeltà assoluta, promessa di legame eterno.
La allontanai, la fissai.

Dovevo tornare da Andy, era così che doveva andare. Ma non potevo rinunciare a lei.

Devo tornare da Andy. Dissi. Ma tu verrai con me. Devo portare a termine ciò che ho iniziato. Questo comporterà un sacrificio enorme ma non posso fare altrimenti. Non ti lascerò qui, non posso. Ma lì mi aspetta una vita ben diversa.

Ti aspetta Bo.

Silenzio. L'avevo solo nominata in uno dei miei tanti racconti ma non pensavo che avrebbe potuto capire che...

Woody. C'è qualcosa tra me e te che nessuno potrà mai capire, forse nemmeno io e tu. È un legame, invisibile, silenzioso ma c'è. Non ho bisogno di spiegazioni, io ti capisco senza troppi giri di parole. E so anche che devi tornare da Andy, perché è ciò che farei io.
Verrò con te, non posso pensare di passare una vita diversa da quella che ci ha fatti ritrovare.
Mi adeguerò.
Per il tuo bene. Per la tua famiglia. Per il tuo... Futuro.
Torniamo a casa.

Non riuscivo a dire una parola. La fissavo provando in tutti i modi a trovare la cosa giusta da dire, ma lei riassunse tutto in un unico gesto.

Invidio l'uomo perché ha a disposizione un' immensa varietà di emozioni, la possibilità di provare sensazioni fino all'inverosimile. Eppure, spreca questo dono per crogiolarsi nel dolore, nell'ignoranza.

Credo di aver ricevuto quel dono solo una volta nella vita, in quei brevi istanti. Quando lei si avvicinò,  quando le sue labbra si appoggiarono sulle mie e si unirono in un abbraccio.
Ecco l'ultima volta che lei mi regalò la vita.


Tornammo a casa. Lo spettacolo iniziava, la sinfonia delle maschere aveva inizio. Lo dovevo fare per Andy, non potevo distruggere tutto.
Era così difficile.

Bo cercava di colmare quelle forti mancanze. Anche lei sapeva che c'era qualcosa di diverso in me. Forse fu per questo che alla prima occasione andò via.

Ma questo non cambiò le cose, gli anni passano. E passavano seguendo le leggi che io stesso avevo imposto. Anche se non avevo previsto che quelle stesse regole mi avrebbero giocato quello scherzo.
La vedevo così vicina a me, sorridere, arrabbiarsi. Così vicina, ma accanto a qualcun altro. Adesso era un altro a farla sorridere, arrabbiare, a esserci quando aveva bisogno. Ogni tanto lei mi sorrideva, quel sorriso di cui nessuno era a conoscenza, quello segreto. Silenzioso.
Me lo regalava quando la fissavo tra le braccia di lui o quando Andy cominciava ad allontanarsi dal nostro mondo. Quando Andy dormiva fuori dagli amici, quando parlava al telefono con la ragazza. Era lì che lei mi cercava con lo sguardo, senza mai dire nulla.

I giorni e le notti passarono inesorabili. Dovevo essere pronto per la discarica, sembrava non avessi nulla per cui continuare a lottare. Eppure, in quelle notti di novembre, quei dolorosi giorni di novembre e di pioggia tropicale, quando i lampioni smettono di funzionare, il buio regna sovrano, lei viene a cercarmi. Cerca la mia mano, solo la mia, la cerca nel buio, spasmodicamente, silenziosamente, si affanna, rantola, ma la trova. La trova sempre.  E per sempre la troverà.
Perché quel nostro silenzioso segreto si manifesta rumoroso e sofferente in quelle notti buie.
Resta celato ma la mia mano tiene la tua.

E così ti avrò per sempre, mia Jessie.
   
 
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