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Autore: giambo    20/02/2016    3 recensioni
Gli Idaina, il popolo dei guerrieri. Coloro capaci di usare le potenze attorno a loro per diventare invincibili.
Questa è la loro storia, del loro guerriero più potente. Il racconto di come il loro sangue sia caduto sulle spalle di un solo combattente, colui che diventerà l'umano più potente di tutti.
Questa è la storia di Crilin, e di come tutto ebbe inizio.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Crilin, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il Monaco



 

 

Cinque stelle brilleranno fulgide nel cielo, reso rosso dal sangue dei guerrieri. Cinque stelle di cui una brillerà forte come l'oro più lucente, oscurando le altre. Ma di queste quattro una si distinguerà, pura e limpida come la sorgiva più nascosta, portando gloria e rispetto ai combattenti caduti.


 

Cinque stelle...ognugna di esse innalzate da un sacrificio...


 

Sai cosa significa, vero?...Kauros...


 

Vide ombre scure imperversare tra la sua gente. Demoni malvagi assetati di sangue che seguivano donne, vecchi e bambini con ghigni disumani sul volto. Uccidendoli tutti, per il puro gusto di farlo. Sentì le urla del suo popolo, ed un'ira immensa cominciò a scorrergli nelle vene. Provò a muoversi ma scoprì con orrore che il suo corpo era bloccato, costretto ad osservare la sua gente, i suoi amici, le persone a lui più care fatte fuori, una dopo l'altra. Avrebbe voluto digrignare i denti, urlare dalla rabbia fino a farsi sanguinare la gola, ma non poteva.

E poi vide lei.

Tatsute. Così piccola, così minuta, così dolce...così bella.

Correva, correva disperata, i lunghi capelli nera che si agitavano, mentre un'ombra scura le si avvicinava con violenza, alla ricerca della sua vita.

Kauros voleva fermarlo, ma non poteva, non riusciva a muoversi.

Ma questa volta, la sua volontà fu più forte.

Urlò.


 


 

“Maledizione!...aiutatemi, che stavolta sta esagerando!”

“Porta dell'acqua Goro, mentre noi lo teniamo fermo. Avanti muoviti!”

“Sì, subito!”

Udiva delle voci, ma erano come sfuocate, lontane. Degli echi fastidiosi che disturbavano l'immagine fissa di Tatsute che aveva nella mente. Sentiva che lo bloccavano, e provò a liberarsi, ringhiando nell'osservare che stava fallendo nel suo intento. Alla fine, quando percepì migliaia di aghi ghiacciati che gli pungevano la pelle, si alzò con un ruggito, sfoderando il proprio pugnale, e puntandolo alla gola del giovane uomo alla sua destra.

Nella radura scese il silenzio per alcuni secondi. Kauros si sentiva il cuore in gola, mentre fissava le chiare iride dell'uomo che stava minacciando. Alla fine, quando le immagini dei suoi demoni, cominciarono a sbiadire, egli riconobbe quegli occhi, ed abbassò la propria arma, mentre il giovane si massaggiò la gola con una smorfia al volto.

“Dovresti smetterla di comportati come un folle, Kauros.” lo rimproverò. “Stavamo solo cercando di aiutarti.”

“Lo so, Tereko.” borbottò l'altro, rinfoderando l'arma. Solo dopo alzò gli occhi, osservando la radura dove si erano accampati la sera prima. Non dovevano essere passate molte ore da quando si era coricato. La luna era ancora alta nel cielo, ed il canto della foresta era colmo di versi e stridii degli animali notturni. Le braci morenti del fuoco furono ravvivate da Tereko, mentre Goro e l'altro uomo del gruppo, Kurogi, si sedevano attorno ad esso, nel tentativo di proteggersi dalla gelida aria invernale. Kauros, al contrario, non sentiva minimamente freddo, essendosi svegliato con il corpo ricoperto di sudore, ma dopo alcuni minuti, anche lui si avvicinò al bivacco, sedendosi vicino a Tereko.

“Sempre lo stesso sogno?” dichiarò quest'ultimo, spostandosi una ciocca di capelli dalla fronte. Tereko era un uomo alto e magro, sulla trentina, come Kauros, e con un volto incredibilmente affascinante, due occhi di un azzurro chiaro, e due labbra sottili, tra le quali amava stringere un pezzo di tabacco. Indossava degli abiti pesanti, ma non ingombranti, e tra le vesti spuntava il chiaro fodero di pelle del suo arco, mentre appeso alla cintura pendeva il rigido fodero di un pugnale dall'impugnatura d'osso di cervo. Kauros invece era leggermente più basso, ma molto più muscoloso, con le spalle larghe. Aveva una corta chioma di capelli neri, perennemente in disordine, che gli incorniciava un volto severo e guardingo, rovinato da una chiara cicatrice biancastra all'angolo sinistro della bocca. Gli occhi erano grigi, ed era privo di naso. A differenza dell'amico, indossava un vestito di pelle nera, attillato, che gli ricopriva tutto il corpo, ad eccezione delle dita. Ai piedi calzava stivali dalla suola alta, mentre a protezione degli occhi teneva un paio di occhiali da sole, che amava indossare anche di notte.

Dopo aver udito la sua domanda, Kauros si limitò a fulminarlo con un'occhiataccia, capace di spaventare a morte qualsiasi creatura presente in quelle terre. Pur considerandoli amici, non amava raccontare quegli episodi di fronte a Goro e Kurogi.

“No, non era nulla.” borbottò sfregandosi le mani, e godendosi il calore delle fiamme. “Ero solo nervoso per la giornata inconcludente, tutto qui.” Tereko si limitò ad annuire, conscio però di aver appena udito l'amico mentire.

“Posso capirti, anche io sono rimasto frustrato dalla caccia.” osservò Goro, il più giovane del gruppo, nel suo volto si poteva ancora intravedere qualche tratto del ragazzo che era stato. Aveva due occhi di un marrone scuro, ma limpidi come quelli di un animale, corti capelli neri, ed un fisico non ancora del tutto sviluppato. Tra le mani teneva il fodero di una katana, mentre al suo fianco era appoggiata una sinuosa canna da pesca. “Se non troviamo qualcosa al più presto, il villaggio soffrirà l'inverno quest'anno.”

“Ci siamo mossi troppo tardi.” borbottò di malumore Kauros, ancora cupo per l'incubo di prima. “La maggior parte degli animali è già in viaggio per migrare, e quelli rimasti sono astuti e prudenti. Quest'anno dovremo sputare sangue per trovare qualcosa.”

“Non è da te essere così pessimista.” osservò Tereko, un sorriso sornione tra le labbra. “Cos'è, stai invecchiando? Una volta non avresti mai pronunciato queste parole.”

Per tutta risposta, Kauros fece per prendere la propria borraccia. Tuttavia, quando ne svitò il tappo, con un movimento rapidissimo delle dita, lo scagliò contro il proprio amico, stordendolo parzialmente, e scatenando le risate di Goro e Kurogi.

“Quando sarai capace di schivare colpi come quello potrai prendermi per il culo.” rispose il moro, sorseggiando l'acqua.

“Sei sempre il solito...” replicò Tereko, massaggiandosi la fronte. “Non accetti mai gli scherzi.”

“Lo farò quando diventerai più forte di me.” replicò seccamente l'amico. “Ora basta, andiamo a dormire, domani ci aspetta una lunga giornata.”

Uno ad uno, gli uomini andarono a dormire, avvolgendosi nelle spesse coperte di lana, nel tentativo di allontanare il gelido vento notturno dalle loro membra. L'unico che rimase sveglio, immobile affianco al fuoco, fu Kauros, perdendosi negli infuocati meandri delle fiamme.

Tatsute...

Si alzò di scatto, incapace di rimanere fermo un secondo di più. Fece per inoltrarsi tra la fitta vegetazione che circondava la radura quando un rumore dietro di lui lo bloccò.

“Kauros...” era Tereko a parlare. “Hai scoperto cosa significa quel sogno?”

L'amico rimase immobile, a rimembrare l'atroce spettacolo che ogni notte si presentava di fronte ai suoi occhi.

“Prima di partire sei andato dal vecchio Shigiaro.” proseguì l'arciere, osservandolo con sguardo preoccupato. “Che cosa ti ha detto?” i suoi occhi si adombrarono nell'osservare Kauros irrigidirsi.

“Mi ha predetto...la nostra fine.” rispose infine il moro.

Tereko si irrigidì leggermente, come una bestia pronta a scattare.

“Ma non ha importanza...morirò io, ma gli altri si salveranno.”

“Cosa stai dicendo? Si può sapere che razza di idiozie stai dicendo?”

“Tereko...se io dovessi morire...”

“Non dirlo neanche per scherzo!”

“Occupati di Tatsute.” proseguì il moro, ignorandolo. Poi, senza aspettare risposta, si inoltrò nel bosco.

Tereko rimase immobile, assorto nei suoi pensieri. La sua fronte si corrugò, mentre cercava di accettare il fatto che un'ombra scura si era depositata sopra la loro gente, scandendo lentamente il loro tempo.

Le letture di Shigiaro si sono sempre avverate...ma allora, cosa voleva dire quell'imbecille? Che vuole sfidare gli dei, ed il destino stesso?

La notte invecchiò lentamente, mentre l'arciere rimaneva immobile, mantenendo vivo il fuoco, e facendo la guardia per i suoi due compagni addormentati. La luna argentea si coricò lentamente oltre la linea dell'orizzonte, le stelle invecchiarono, mentre il mondo intero cadeva preda di quelle ore morte che dividono la notte dal giorno.

Alla fine, quando mancava un'ora al sorgere del sole, Tereko udì il proprio compagno tornare dalla caccia.

Sorrise, nonostante i sogni dicessero l'incontrario, gli era difficile credere che il drago, orgoglio della loro gente, potesse cadere.

Se dovrai morire...non sarai da solo, amico mio.

 

 

Il suo cammino tra la vegetazione scura era rapido e regolare. La maggior parte degli uomini non sarebbe riuscito a vedere nulla in quell'oscurità, ma per lui, abituato a muoversi tra le tenebre fin da bambino, era ormai un'abitudine naturale, come respirare. Pur essendo profondamente concentrato nei suoi spostamenti, il moro non smise mai di pensare al suo destino, a quello di Tatsute e del bambino che stava per nascere.

E' arrivato nel momento sbagliato...

Kauros non era mai stato allettato dall'idea di avere dei figli. Sapeva che, avendo sposato la figlia del capo, doveva avere una discendenza, possibilmente forte e carismatica, ma non era mai stato la sua preoccupazione principale. Se aveva sposato Tatsute, non era certo stato per la sua posizione o per il prestigio che gli avrebbe portato in dote, ma solamente perché l'amava. Essere un capo per lui non era essenziale, e se non ne avesse voluto sapere, quando sarebbe toccato a lui, gli anziani avrebbero scelto un altro membro della sua gente, altrettanto forte e valoroso. La sua unica preoccupazione era Tatsute e nient'altro. Se la gravidanza non fosse stata così avanzata, avrebbe provato a fuggire con lei, allontanandola dalla maledizione che gravava sulla loro gente, ma nelle sue condizione, c'era il rischio che perdesse la vita. Che il bambino nel suo grembo sopravvivesse o meno gli era del tutto indifferente, e sempre più spesso si era ritrovato a pensare a cosa avrebbe fatto se la donna che amava fosse morta di parto. Si sarebbe trovato con un figlio non voluto, che aveva causato la morte della persona più importante per lui.

Tatsute morta. Un pensiero insopportabile. Non poteva fare altro che pregare gli dei che la risparmiassero, promettendogli in cambio qualsiasi cosa fosse in suo potere.

Un improvviso rumore lo bloccò. Rimase immobile, nascosto nell'ombra, ad aspettare che colui che aveva compiuto tale suono si rivelasse. Trascorsero parecchi minuti prima che la causa del suo turbamento si mostrasse per quello che era in realtà.

Questo non è il suono di una preda...

Kauros socchiuse gli occhi, profondamente eccitato all'idea di confrontarsi con il signore oscuro della foresta.

Due occhi gialli, del colore dell'ambra, lo fissavano in modo imperturbabile. Il corpo possente, coperto da un'argentea pelliccia, era però pronto a scattare, mostrandosi in tutta la sua pericolosità.

Sono entrato nel suo territorio...

Era raro che una lince delle nevi si mostrasse agli esseri umani, essendo felini estremamente cauti e silenziosi. Tuttavia, erano animali molto territoriali, e non tolleravano la presenza di altri cacciatori di notte sul loro stesso terreno di caccia. Per la lince, la presenza dell'uomo era un affronto inaccettabile, un'onta lavabile solo con il sangue.

Essia...

Unì le mani davanti al petto, mentre con la gamba faceva un mezzo giro, mettendosi in posizione di guardia. Chiuse gli occhi, tenendo il proprio avversario sotto controllo con il proprio occhio interiore, ma diffondendo la propria coscienza in tutta la zona circostante, fondendosi con gli elementi essenziali.

Aria...acqua...fuoco...terra...luce...vuoto...

Li percepiva scorrere, con la dolcezza impetuosa di un ruscello primaverile, tra le proprie mani, fondendoli con la propria aura, chiedendo loro di donargli la forza necessaria.

Spiriti della Natura...Signori della Terra...aiutatemi...prestatemi la forza per proteggere le persone che amo.

Una volta che sentì la forza del proprio spirito e degli elementi dentro di sé, li concentrò sulle mani, dando vita ad artigli d'acciaio.

Era pronto.

Aprì gli occhi di scatto, perdendosi nel candore della pelliccia del suo avversario. Era un esemplare magnifico, nel pieno delle sue forze.

Sarà un peccato...

L'animale soffiò, mentre si irrigidiva, pronto a scattare.

Per alcuni secondi, l'unico rumore nella piccola radura fu il respiro dei due. Poi, all'improvviso, con uno scatto, la lince si lanciò contro di lui. Gli artigli brillarono come perle al chiaro di luna, mentre Kauros portò i propri, di artigli, davanti al petto.

Il rumore che si sentì successivamente fu quello di una bestia straziata dal dolore.

 

 

La mattina dopo, Kurogi e Goro si alzarono presto, trovando nella radura soltanto Tereko, che stava facendo bollire una zuppa d'avena per scaldare loro lo stomaco.

“Dov'è Kauros?” chiese il più giovane del gruppo.

“A caccia.” fu la secca replica dell'arciere, porgendogli la sua porzione di cibo. “Mangia finché è calda, ti aiuterà a scacciare il freddo.”

“Non avresti dovuto lasciarlo andare da solo.” borbottò Goro, sorseggiando la propria colazione. Nonostante il sapore fosse abbastanza insipido, quanto meno gli permetteva di combattere il freddo pungente del mattino.

“Sai anche tu che non è saggio seguirlo quando è in procinto di usare la sua tecnica.” spiegò il biondo, dando a Kurogi la sua ciotola fumante.

“Vuoi dire che ha usato la tecnica del drago?” chiese il moro, emettendo un flebile fischio una volta che l'altro annuì. “Kauros è sempre il migliore.”

“Sì, l'orgoglio della nostra gente.” dichiarò Tereko, fissando il cielo colorarsi lentamente d'azzurro. “Mangiate in fretta. Non appena Kauros sarà qui, partiremo.”

Non fecero in tempo a finire che quest'ultimo riapparve, illeso, e con ben quattro linci sulle spalle. Una volta depositato il bottino, il guerriero si stiracchiò i muscoli delle spalle, andando a sedersi affianco ai suoi compagni.

“Allora? Cosa sono quelle facce? Mi auguro che non vi siate mangiati tutto, bastardi!” esclamò. Cacciare l'aveva messo di buon umore, gli aveva permesso di sgombrare la mente.

Tereko scoppiò a ridere.

“Sei veramente il migliore, Kauros!”

 

 

Da lì in avanti, la caccia fu ottima. La fortuna fu dalla loro, e riuscirono addirittura a mettersi sulla strada del ritorno con alcuni giorni in anticipo su quanto programmato. Avevano le spalle cariche di zanne e pellicce, ma era un peso leggero, dato che avrebbe significato la sopravvivenza della loro gente.

“Stai attento con quel carico, Kurogi! Non vorrai fargli fare un bagno!” esclamò Tereko, mentre scendevano lungo un ripido sentiero, di fianco ad un'imponente cascata.

Kurogi si limitò a grugnire. Era il più possente e muscoloso del gruppo. Era alto, con le spalle larghe, ed il petto che sembrava scoppiare sotto i pesanti vestiti. Aveva lunghi capelli neri, che teneva raccolti in una treccia, occhi scuri e penetranti, un naso ricurvo, ed una mascella sporgente. Aveva metà del volto ricoperto da uno strano tatuaggio, ottenuto miscelando strane polveri dagli anziani, che poi iniettavano sotto la pelle. Anche le braccia ed il petto erano ricoperte di quegli strani simboli, che stavano a testimoniare i numerosi scontri vinti dal cacciatore. Di solito sulla schiena, in quel momento carica di pellicce, teneva una grossa lama ricurva, dall'impugnatura di legno, che ora stava usando per saggiare il terreno davanti a lui, onde evitare appigli scivolosi od infidi.

Kauros superò l'arciere, andando ad osservare il cielo azzurro sopra le volte degli alberi. Nelle ultime notti non aveva più sognato, e la cosa lo rinfrancava. Forse la sequenza di immagini, che per settimane l'avevano tormentato, non era un premonizione, ma lo stress accumulato a causa della gravidanza di Tatsute.

“Più sognato?” gli domandò il biondo, approfittando del fatto che Goro e Kurogi fossero andati avanti. “Negli ultimi giorni ti vedo più tranquillo...”

“Sto bene.” replicò seccamente l'altro. Non aveva voglia in quel momento di parlare. “Andiamo, la strada è ancora lunga.”

“Kauros...” la voce dell'amico, anche se nascosta, trapelava un'intensa preoccupazione. “Pensi veramente che Shigiaro abbia visto la verità? La nostra gente è destina a sparire?”

Il moro si girò, osservando Tereko, suo compagno di infanzia, e di tante battaglie. Gli si avvicinò, afferrandogli la spalla destra con forza.

“Fino a quando avrò sangue nelle vene, non permetterò che questo accada. Lo giurò sugli dei!” dichiarò seccamente, suggellando così' il proprio destino.

Poi, si girò, raggiungendo gli altri, seguito dall'arciere, il quale si sentì nel petto balenare una speranza: fino a quando Kauros fosse rimasto in vita, niente e nessuno avrebbe potuto fare loro del male.

 

 

Al tramonto del giorno dopo, quando ormai le prime ombre della sera cominciavano a scurire gli alberi, i cacciatori videro le prime spirali di fumo, a testimoniare la presenza del loro villaggio. Sorrisi splendettero sui loro stanchi volti, mentre Kauros li guidava verso strade che ormai conoscevano molto bene.

Kauros, Goro, Kurogi e Tereko erano i migliori cacciatori e guerrieri degli Idaina Sentoki, ultimi discendenti di una delle razze più antiche del pianeta. Erano un popolo nomade, che sceglieva di volta in volta dove stabilirsi per un certo periodo di tempo. Vivevano di un'agricoltura rudimentale, di caccia e di pesca. La loro gente era famosa per i loro guerrieri, considerati custodi di tecniche di combattimento antiche e potenti, e per i loro sciamani, uomini che si diceva potessero veramente entrare in contatto con gli dei. Popolo un tempo potente e diffuso, gli idaina soffrirono terribilmente il progresso che investì il resto dell'umanità. Si ancorarono con ostinazione quasi folle alle loro tradizioni, rimanendo fedeli ad un mondo ormai passato. Ai tempi di Kauros, erano ormai l'ombra di loro stessi, e la sua tribù era l'ultima traccia degli idaina sulla faccia della terra. Questi ultimi erano riusciti a sopravvivere rifugiandosi nelle fredde e selvagge montagne dell'est, riducendo al minimo i contatti con gli altri. Le pellicce prese dai cacciatori sarebbero servite per gli scambi con i pochi centri abitati della regione, che avrebbero dato in cambio loro tutto ciò che fosse necessario per sopravvivere al lungo inverno.

Una volta superata la foresta, i quattro videro la palizzata che recintava il perimetro del villaggio. Abbandonare il nomadismo era stata una decisione sofferta, ma vedendo gli spazi ristretti che ormai erano loro concessi, era stata l'unica scelta possibile per sopravvivere. Dietro quest'ultima, essi intravidero i rozzi tetti di paglia delle capanne, ed il fumo che fuoriusciva dai buchi del tetto.

Tuttavia, una volta davanti al recinto, videro uno spettacolo a cui non erano preparati: Koruki, il padre di Tatsute, ultimo capo degli idaina, fissava con evidente disgusto l'uomo davanti a sé. Quest'ultimo era alto, magro, con corti capelli biondi e freddi occhi azzurri. Aveva un volto dalle sembianze eleganti e raffinate. Indossava una divisa militare, con stivali annessi, ed alla vita portava un cinturone. Un sorrisetto soddisfatto gli incurvava le labbra, mentre una delle sue mani era posata sopra la fondina appesa al cinturone. Affianco a Koruki, c'era Shigiaro, l'anziano sciamano del villaggio, che fissava con espressione impassibile il soldato che gesticolava.

“Cosa sta succedendo?” chiese Goro, fissando perplesso i dieci uomini che, armati fino ai denti di armi da fuoco, attendevano alle spalle del militare biondo.

“Estranei...” sibilò Tereko. “Non si sono ancora stancati di venire a profanare le nostre terre? Non bastano i monaci dall'altra parte della montagna, con il loro credo impuro?”

Kauros non disse nulla, piantando i propri occhi grigi su quegli strani uomini. La cosa che attirò di più la sua attenzione fu un piccolo ricamo che portavano all'altezza del cuore: un fiocco rosso, con cucite sopra due segni a lui sconosciuti.

“Per l'ultima volta, dovete smetterla di bloccare i nostri tentativi di estrazione. Non siamo disposti a tollerare a lungo queste intromissioni.” stava esclamando il biondo.

“Questa terra è nostra.” replicò seccamente Koruki. Era un uomo calvo ed alto, dal fisico imponente, con occhi chiari ed un naso diritto. L'unico oggetto che testimoniava la sua supremazia come capo era un artiglio di orso, che portava al collo. “E' nostro sacro dovere proteggerla dagli estranei come voi.”

Per tutta risposta, il militare scoppiò a ridere.

“Vecchio selvaggio...forse non ti è chiara la situazione. Noi siamo il Red Ribbon, l'organizzazione militare più potente del pianeta. Non temiamo nessuna nazione al mondo, figurati se ce la facciamo sotto per le minacce di un sporco selvaggio come te!”

Di fronte a quella minaccia, la folla dietro al capo cominciò a rumoreggiare, ma bastò un'occhiata di Karuko a farla zittire.

“Non accetterò la vostra provocazione.” dichiarò seccamente. “Andatevene e basta! O subirete la collera degli dei.”

“Se pensi che io, il tenente Blue, creda alle tue farneticazioni sei solo un povero imbecille.” sghignazzò il soldato. “Mi sono stancato di ascoltarti.” con una mossa fulminea, Blue fece per estrarre la pistola, ma una mano lo bloccò.

“Cos...” il biondo si voltò, fissando i freddi occhi di Kauros con un brivido.

“E tu chi diavolo sei?” esclamò, mentre cercava, inutilmente, di liberarsi dalla presa di quest'ultimo.

“Il mio nome non ti deve interessare.” borbottò il moro, aumentando la presa sull'altro. “Vattene!”

“Se pensi di intimorirmi, hai sbagliato persona, sporco selvag...” prima che Blue potesse terminare la frase, con un urlo selvaggio, Kauros sollevò il militare, e lo scaraventò dietro di sé. Immediatamente, i soldati del Red Ribbon fecero per alzare le armi, ma un ordine secco di Blue li bloccò.

“Giù le armi!” il tenente si alzò, asciugandosi il sangue che gli colava dal naso, un sorriso folle sulle labbra. “Sei coraggioso selvaggio. Sai, non credevo di trovare un guerriero tanto potente tra questi boschi sperduti.”

Il sorriso sul suo volto divenne più marcato.

“L'oro che cerchiamo però, vale molto di più delle vostre insulse vite. Sarà un piacere rivederci.” subito dopo, con un altro ordine, l'uomo si allontanò dalla radura, subito seguito dai suoi uomini.

Karuko affiancò il genero, fissando con espressione preoccupata la foresta davanti a loro.

“Torneranno.” non era una domanda la sua.

“Lo so.” il moro alzò lo sguardo, osservando le prime stelle brillare in cielo. “E lo faranno con tuoni e fiamme.”

“Credi di poterli battere?”

Kauros abbassò lo sguardo. Vide davanti a sé il sorriso di Tatsute, ed il suo cuore accettò ciò che gli dei gli avevano già detto da tempo.

“Sì.” era una menzogna. Ma un guerriero non poteva mentire, e rinnegare ciò che era. Avrebbe affrontato il Red Ribbon, e sarebbe morto.

Ma non Tatsute.

 

 

“Tatsute ha partorito.”

Le parole del vecchio Shigiaro ebbero l'effetto di una coltellata al cuore.

“Quando?” esclamò con voce roca.

“Una settimana dopo la tua partenza.” spiegò lo sciamano. Era di altezza bassa, magro, e con la pelle resa scura dai numerosi tatuaggi che gli ricoprivano il corpo. I suoi capelli bianchi erano raccolti in una coda bianca. Aveva il naso lungo ed adunco, occhi chiari, ed un volto grinzoso ma che ispirava forza. Indossava abiti comuni, senza alcun segno distintivo della sua carica, ad eccezione di un bastone di legno scuro, con la punta in ferro, intagliato di segni tribali. “Lei ed il bambino stanno bene.”

Il sollievo fu così grande che a momenti Kauros cadde in ginocchio. Ringraziò mentalmente tutti gli dei, mentre il sollievo nel sapere che la sua Tatsute era viva gli dava la sensazione di galleggiare nell'aria. La sua espressione, tuttavia, non mutò, preferendo mantenere simili sensazioni per sé. Shigiaro però, era troppo furbo per non capirlo.

“Non sembri felice per la nascita di tuo figlio.” osservò, mentre lo accompagnava verso la sua capanna.

Figlio? Il guerriero aveva del tutto rimosso quel particolare, cioè che oltre alla madre, anche il bambino stava bene, e che era un maschio.

“Le donne possono morire di parto.” fu la sua giustificazione. L'anziano lo fissò a lungo con i suoi chiari occhi.

“Tatsute ha già scelto il nome.” dichiarò.

“Quale sarebbe?” chiese svogliatamente il moro.

“Crilin.”

Kauros annuì, la mente immersa in altri pensieri. Quel figlio non era voluto, ma ora che c'era, e che la madre stava bene, forse avrebbe potuto cominciare ad amarlo ed a crescerlo, come era suo dovere dopotutto. Tuttavia, il Red Ribbon era una preoccupazione ben più pressante dentro la sua testa. Non c'era tempo per i mocciosi.

“Kauros.” l'anziano del villaggio lo bloccò, prima che entrasse in casa sua. “Hai più fatto quel sogno?”

Il cacciatore tergiversò per un secondo di troppo.

“No.” ma la sua breve esitazione insospettirono l'altro.

“Kauros...quel sogno era una premonizione. E l'arrivo di quegli estrani sono un altro segno.” le mani dell'uomo si contrassero. “Se una tempesta si sta per abbattere su di noi, dobbiamo essere pronti a superarla.”

“Non c'è nessuna premonizione. Quello era solo un sogno, come tanti altri.” replicò seccamente il moro. “Ora, se non ti dispiace, voglio vedere mia moglie.”

E senza aggiungere altro entrò in casa, sbattendo la porta allo sciamano.

Gli dispiaceva mentire a Shigiaro, che l'aveva visto crescere e diventare il guerriero che era, ma non aveva alternative. Quello scontro con il Red Ribbon era suo, suo soltanto. Non poteva permettere che toccasse i suoi consanguinei, oltre alla sua adorata Tatsute. Lui sarebbe morto, ormai questo l'aveva capito, ma avrebbe fatto in modo che il suo destino non toccasse anche gli idaina.

“Kauros!” una volta entrato, percependo odore di legna bruciata e di carne essiccata, il moro fu investito da un turbine di capelli neri, che lo avvolsero in un abbraccio. Il cacciatore intenerì la sua espressione, ricambiando il gesto della sua donna.

“Sono tornato.”

Tatsute lo guardò in volto. Era una donna piccola, minuta, dalla pelle chiara e i capelli, lunghi fino alle scapole, di un nero scurissimo, ancora più del marito. Anche i suoi occhi erano di un nero bruciante, che testimoniavano un carattere d'acciaio. Le sue forme erano avvenenti, anche se coperte da abiti poveri. Aveva il naso piccolo e canuto, le labbra sottili, e il volto dai tratti piacevoli, seppure un po' sciupato. Attorno al collo portava un ciondolo, un artiglio di orso, un regalo di lui, vecchio ormai di qualche anno.

“Sei arrivato tardi.” lo sgridò lei, a voce bassa. “Il bambino è già nato.”

“Lo so.” lui la strinse più forte a sé, assaporando l'odore di fiori della sua chioma. “Ma l'importante è che stiate tutti e due bene.”

“Era logico che finisse così.” replicò lei, appoggiando la testa al suo petto. “Sono un'idaina. Non posso certo morire per una cosuccia come un parto.”

Lui sorrise. Desiderò con tutto sé stesso che quel momento non finisse mai, ma dopo mezzo minuto, lei si liberò dolcemente dal suo abbraccio, portandolo nell'altra stanza della casa, dove ad attenderlo c'era una piccola culla di legno.

Nonostante sapesse che quello era un momento importante della sua vita, Kauros provò poco più di un barlume di affetto per quel fagottino che dormiva tra le coperte di lana. Era piccolo, più piccolo di quanto si aspettasse. Vide, con leggero stupore, che aveva ereditato i suoi tratti del volto. Sembrava la sua copia esatta, a parte forse per la cicatrice che portava sul viso.

“Gli occhi sono neri.” gli spiegò Tatsute, dandogli un bacio sulla spalla. “E' bellissimo, non trovi? Il nostro Crilin...”

Lentamente, l'idaina avvicinò una mano, sfiorando con un dito la testolina pelata, ricoperta di qualche ciuffo nero. Percepì un grande calore venire da quel corpicino, unito ad un ki molto elevato per un neonato.

“E' sano e robusto.” dichiarò la donna, con evidente orgoglio per il proprio figlio. “Ha preso tutto dal padre.”

Kauros si girò a fissarla. I suoi occhi grigi erano freddi come sempre, ma dietro quella patina glaciale, Tatsute comprese che il suo uomo era fiero di quel bambino.

“Diverrà un combattente.” disse infine lui. “Il suo sangue è caldo come il fuoco.”

Mentre tornava nella stanza di prima, per potersi rinfrescare il volto con la bacinella d'acqua, lei sospirò.

“Preferirei che diventasse solo un cacciatore.” disse, guardando il figlio con sguardo preoccupato. “Ma so che non è possibile.”

“Abbiamo bisogno di guerrieri.” disse lui, togliendosi gli abiti di pelle. Il suo fisico era robusto e muscoloso, seppure sfregiato da numerose cicatrici. “Senza di loro, ci estingueremmo presto.”

“Lo so.” disse lei, ma il suo sguardo ora era spento, come se percepisse il fiato della morte sulla loro tribù. “Spero solo che possa vivere e crescere sano e forte.”

Kauros non rispose. Il suo cuore divenne freddo quando comprese, improvvisamente, che non avrebbe mai potuto vedere suo figlio diventare un uomo.

 

 

Quella notte, e per i tre giorni e le tre notti successive, nevicò. Il vento portò cumuli di neve sul villaggio, mentre gli abitanti si limitarono a stare chiusi in casa, uscendo solo per prendere legna e dare da mangiare ai pochi animali che possedevano.

Poi, il quarto giorno, il sole tornò a splendere sulla vallata, portando luce in un mondo immacolato. I bambini giocavano tra la neve, mentre gli adulti la spalavano per aprire una pista verso la foresta. Del Red Ribbon non si ebbe nessuna notizia, sembrava aver abbandonato quelle terre. Ma Kauros sapeva che quella pace non era destinata a durare a lungo.

Infatti, una settimana dopo il suo ritorno, il fato si compì.


 


 

Cinque stelle brilleranno fulgide nel cielo, reso rosso dal sangue dei guerrieri. Cinque stelle di cui una brillerà forte come l'oro più scintillante, oscurando le altre. Ma delle restanti quattro una si distinguerà, pura e limpida come la sorgiva più nascosta, portando gloria e rispetto ai combattenti caduti.


 

Cinque stelle...ognuna di esse innalzate da un sacrificio...


 

Una stella brillerà di oro, ma un'altra si distinguerà per la sua purezza...


 

Una purezza nata dal sangue dei guerrieri...


 


 

Urla, strilli di dolore, risate sguaiate, esplosioni.

Kauros si alzò di scatto, uscendo dal limbo in cui il solito sogno l'aveva fatto cadere. Doveva essere notte inoltrata, ma la luce rossastra che filtrava dalla porta, e l'odore di bruciato che gli pizzicava la gola, non gli diedero alcun dubbio su cosa stava accadendo.

Hanno colpito a tradimento...bastardi!

Sapeva cosa doveva fare. Si alzò di scatto, infilandosi gli stivali, mentre Tatsute corse a recuperare il bambino che, a causa dei rumori della lotta, si era svegliato di colpo, prendendo a piangere.

“Tatsute!” dichiarò il guerriero, mentre si apprestava ad uscire. “Prendi il bambino e vattene subito da qui!”

Lei lo guardò stranita.

“Cosa stai dicendo, Kauros?”

“Sto dicendo che devi andartene, immediatamente!” replicò seccamente il moro, avvicinandosi a lei. “Prendi nostro figlio e scappa. Ora!”

“E dove dovrei andare?” replicò lei, il volto sfigurato dalla paura e dalla rabbia. “Il mio posto è qui con te.”

“Il tuo posto è con nostro figlio!” disse lui, afferrandogli una mano. “Portalo lontano da qui.”

“Perché? Tu sei forte...mio padre è forte. Riuscirete a respingere quei vermi.”

Kauros non rispose. Tutto quello che fece, fu di prendere la collana di lei, e di consegnarla a suo figlio che, nel frattempo, si era calmato. Lacrime calde cominciarono ad uscire dagli occhi della donna: stava cominciando a capire cosa sarebbe avvenuto di lì a breve.

“No...” singhiozzò. “Non ora...non adesso che c'è Crilin.”

“Tatsute.” la voce di lui era calma e tranquilla. “Vai dall'altra parte della montagna. Lì c'è un monastero. Troverai riparo da ogni pericolo. Portaci nostro figlio, ed attendi lì il mio arrivo.”

Tatsute sapeva che era una bugia. Strinse la mano di lui, godendosi quel contatto per gli ultimi secondi che il fato aveva concesso loro di vivere insieme.

“Ci vediamo presto.” disse infine la mora, scacciando le lacrime.

Lui gli sorrise.

“Sì.” rispose. Poi andò ad aprire la porta. Immediatamente, un fumo scuro entrò nella loro casa. “Ora porta nostro figlio in salvo.”

Senza più guardarlo in faccia, sapendo che sennò non sarebbe più riuscita a trovare il coraggio di andare, Tatsute corse fuori, nascondendosi nel fumo dell'incendio.

Va...amore mio.

Gli occhi di lui divennero feroci. Comprese subito che non ci sarebbe stata nessuna pietà da parte degli dei, neanche per Tatsute.

Ci vediamo presto...nel mondo degli dei.

Poi corse fuori, abbandonando dietro di sé la sua vita, insieme alla donna che amava.

 

 

Il fumo scuro e puzzolente gli impediva di muoversi con rapidità, a causa della difficoltà a respirare. Coprendosi la bocca con un braccio, Kauros prese a muoversi a tentoti, cercando di raggiungere la palizzata che circondava l'abitato. Era convinto di trovare Tereko e gli altri vicino al muro, dove lo spazio per muoversi era maggiore.

Arrivato però alla palizzata, o meglio, ciò che ne restava, comprese che ormai non c'era nessuna resistenza in corso, e che le urla che udiva erano quelle di un massacro in piena regola. La terra davanti a lui, resa ormai secca a causa dell'incendio, era ricoperta di corpi, i quali erano, per la maggior parte, appartenenti al suo popolo.

I denti gli scricchiolarono, mentre la rabbia e l'odio presero possesso del suo cuore. Strinse i pugni con forza, mentre cambiava direzione e si dirigeva verso l'origine delle urla, deciso a fermare quell'empio massacro una volta per tutte. A causa del fumo però, la sua vista era fortemente ridotta. Inciampò su un corpo, cadendo pesantemente a terra. Quando si rialzò, vide con orrore il corpo senza vita di Karuko, il padre di Tatsute.

Karuko...

La rabbia prese possesso di lui con forza sempre maggiore. Si rialzò di scatto, cominciando a correre in modo scoordinato. Inciampò più volte, ogni volta vedendo un volto a lui familiare, ormai spento per sempre, ogni volta con il cuore sempre più ricolmo di odio.

Perché gli dei ci infliggono tutto questo? Qual è il motivo di tanta crudeltà, di tanto dolore nei nostri confronti? PERCHE'?

Non lo sapeva. Ma avrebbe dato qualsiasi cosa per saperlo.

Le urla si avvicinavano. Percepì anche i rumori di uno scontro. Il suo cuore esultò. Dunque c'era ancora qualcuno che lottava per l'onore degli idaina. C'era ancora speranza.

Poi però, udì un sibilo dietro di lui. Fece per girarsi, ma un'esplosione terribile gli assordò le orecchie, mandando in fuori uso la sua mente. Percepì un dolore tremendo alla schiena, così forte che gli fece perdere l'equilibrio. Cadde a terra pesantemente, battendo la nuca su un'asse di legno consumata da fuoco. Le ultime cose che percepì furono le grida roche di un vecchio. Comprese che anche Shigiaro aveva incontrato il suo destino.

No...

Poi, tutto divenne buio.

 

 

Silenzio.

Ciò che percepì era un silenzio totale, rotto solo dal rumore del vento.

Capì subito cosa era accaduto. Del resto, come poteva dimenticare le urla di dolore della sua gente, trucidati a causa dell'avidità degli uomini?

Strinse i denti, rialzandosi lentamente. Si sentiva a pezzi, e percepiva la schiena bruciata e sanguinante. Tossì un grumo di sangue, mentre riempiva a fatica i polmoni di aria.

Quando infine si alzò, non riuscì a pensare a nulla, mentre gocce di sudore freddo scendevano lentamente dalla sua fronte, mescolandosi con il suo sangue.

E' questa la fine del nostro popolo?

Un immenso cimitero di cadaveri e tizzoni ardenti si stendeva davanti a lui. Il sole rosso del tramonto dava al luogo un'aria ancora più spettrale, mentre il legno carbonizzato e la terra annerita erano umidi di sangue, quello degli idaina.

Si rialzò a fatica, trattenendo un grido di dolore quando percepì i muscoli della schiena distendersi. Ci mise alcuni istanti a riprendersi, mentre cominciava a vagare senza meta in mezzo a quell'orrore, il cuore ormai in pezzi e sanguinante.

Non è possibile...

Tra i cadaveri scorse quello di Kurogi, in mezzo a quattro soldati del Red Ribbon. Il gigantesco cacciatore aveva venduto cara la pelle prima di morire. Poco distante, Kauros poté vedere anche il volto sporco di sangue e fuliggine di Goro, morto nel tentativo di proteggere la propria giovane compagna, incinta da poco.

Strinse le mani fino a perdere sensibilità. Avrebbe preferito mille volte morire sotto quell'esplosione, senza dover per forza assistere a quello spettacolo. Il fato l'aveva risparmiato, ma perché? Perché lo costringeva ad assistere alla fine del suo popolo, il più possente e sacro di tutti?

Tatsute...il pensiero di sua moglie e di suo figlio lo scossero. Comprese subito cosa doveva fare, sperando con tutto sé stesso che almeno lei si fosse salvata. Pregò gli dei che fossero entrambi vivi, mentre muoveva i suoi passi verso la foresta, alla ricerca della donna che amava.

Tatsute...

Un colpo di tosse lo distolse dal suo obbiettivo. Girò lo sguardo, vedendo spuntare fuori da alcuni corpi del Red Ribbon una mano insanguinata. Subito il guerriero corse ad aiutare colui che era là sotto, scoprendo, con sollievo, che costui non era altri che il suo vecchio amico Tereko.

“Tereko!” dichiarò Kauros, aiutandolo a sollevare la testa. Comprese subito che per l'amico non c'era alcuna speranza di salvezza: l'arciere aveva tre profondi tagli sull'addome, ed un foro, grande quanto un pugno, che gli trapassava la spalla destra. Era incredibile che fosse riuscito a sopravvivere tutte quelle ore in quelle condizioni.

“Tereko! Stai bene?” chiese il moro, ben sapendo la risposta.

Il biondo distese, a fatica, le labbra, tremando dal dolore e dalla fatica.

“Kauros...” ansimò. “C-cosa ci fai ancora qui? Cre-credevo che fossi andato via con...Tatsute...”

“Non dire assurdità, non potrei mai abbandonarvi.” replicò l'altro. “Dai, ora ti porto dai monaci. Forse loro ti potranno guarire.”

“L-lascia stare!” esclamò Tereko, bloccandolo. “Ormai per me...è finita. Ma tu puoi fare...fare ancora molto...”

“Devi vendicarci tutti quanti...” proseguì l'arciere. “Ci hanno massacrato tutti. Non...non hanno avuto pietà di...di nessuno. Eppure lo sapevano...quei...bastardi sapevano che i bambini, i vecchi...e le donne non potevano arrecare loro alcun danno...eppure...li hanno uccisi tutti.”

“Chi è stato? Il Red Ribbon?”

“Sì...sono stati loro.” l'arciere vomitò del sangue scuro, mentre il suo corpo veniva sconquassato da violenti colpi di tosse. Dopo alcuni secondi, riuscì ad avere il fiato per proseguire. “Hanno sterminato...il nostro popolo...per dell'oro. Del misero, schifoso, maledetto oro!” lacrime cominciarono ad uscire dagli occhi del guerriero morente, mentre le braccia che lo sorreggevano tremavano per la rabbia.

“Devi andare dai monaci...radunali tutti...fagliela pagare a quei...farabutti! Non devi lasciarne neanche uno in vita...essi non hanno un cuore, non meritano pietà!”

Un sorriso si fece strada tra le sue lacrime.

“T-ti...prego...K-Kauros...tu sei...l'ultimo...idaina rimasto...fa che la nostra morte non sia stata...” le parole gli morirono in gola, ormai otturata dal troppo sangue. Con un ultimo brivido, Tereko si divincolò debolmente, prima di abbandonare quel mondo per sempre.

Kauros non disse nulla, il volto impassibile. Con delicatezza appoggiò il corpo dell'amico per terra, mentre osservava le lacrime bagnare gli occhi ormai spenti del suo compagno di vita.

Si rialzò, ripensando a tutto quello che aveva visto, le morti ingiuste inferte dal Red Ribbon, le lacrime di rabbia e di impotenza di Tereko.

Non dimenticò nulla.

Udì dei rumori dietro di sé. Quando si voltò, vide una decina di militari del Red Ribbon fissarlo ridacchiando.

“Guarda guarda...uno è sopravvissuto.” dichiarò uno di loro, un sorriso spietato sul volto.

Kauros non disse nulla, non mutò la propria espressione. Ricordò le ultime parole dell'amico Tereko, di andare dai monaci. Pensò a Tatsute, il cui destino gli era incerto. Pensò a suo figlio, che non meritava di morire, non avendo alcuna colpa.

Non doveva affrontarli, non in quelle condizioni almeno, ma la rabbia e l'odio che gli ruggivano nel petto erano più forti di tutto.

Strinse le mani.

Poi, con un urlo inarticolato, pari a quello di una bestia selvaggia, scattò all'attacco.

 

 

Per quanto veloce, il suo attacco non trovò impreparati i suoi avversari. Riuscirono ad evitarlo con facilità, dividendosi e circondandolo subito dopo.

“Fuoco!”

Numerosi colpi esplosivi uscirono dalle loro armi, creando un'esplosione di grandi dimensioni. Il fumo li circondò, impedendo di vedersi tra di loro.

“Bene, eccolo sistemato!” esclamò uno dei soldati. Tuttavia, subito dopo, si ritrovò davanti Kauros, le mani alzate ed unite a pugno, pronte ad essere usate.

“Ma cos...” prima che potesse fare qualcosa, l'idaina calò il colpo con forza, rompendogli il cranio, uccidendolo all'istante.

“Ho sentito un rumore! È ancora vivo!”

I militari spararono qualche colpo a caso, ma la rapidità dei movimenti di Kauros era impressionante. Con delle abili torsioni, ruppe il collo a quattro nemici in maniera silenziosa. Fu con orrore, che i soldati scoprirono di essere stati decimati a loro insaputa, una volta che il fumo si dissolse.

Il moro sorrise. Ma la sua vendetta era appena cominciata.

“Come diavolo ci è riuscito?” esclamò uno dei suoi avversari.

“Non lo so, ma ora la pagherà! Fuoco!”

Il Red Ribbon riprese a fare fuoco, il tutto mentre Kauros stava radunando il proprio ki, per usare la sua tecnica più potente.

Aria...acqua...fuoco...terra...luce...vuoto...

Mise le mani nella forma di un artiglio. Radunò il proprio ki in queste ultime, gonfiando i muscoli, e digrignando i denti.

“Kurodoragon!” urlò. Subito dopo, un aura incolore lo avvolse, sollevando nugoli di polvere tutto attorno.

“Fuoco! Fuoco! Uccidetelo maledizione!”

Quando arrivarono i primi colpi, Kauros si limitò a mettere una mano davanti a sé, come se volesse pararli. Quando il fumo dell'esplosione si dissolse, gli avversari videro che aveva frantumato i loro proiettili esplosivi usando soltanto tre dita.

“N-non è possibile!” ansimò uno di loro.

Il guerriero sorrise, ma subito dopo quest'ultimo divenne una smorfia di rabbia.

Dalla stessa mano partì un raggio luminoso, dal potere incredibile, che investì in pieno di soldati del Red Ribbon. Questi ultimi ebbero appena il tempo di lanciare un urlo di dolore, prima di venire inceneriti per sempre. Quando il fumo del ki si dissolse, di loro non rimaneva che cenere ardente.

“Bravo, veramente in gamba.”

Il moro digrignò i denti. Girandosi, vide di fronte a lui, rilassato e sorridente, il Tenente Blue.

Maledetto...

“Sai, devo farti i complimenti.” dichiarò Blue, il sorrisetto di sfotto sempre presente sulle labbra. “Non credevo che un selvaggio potesse essere così potente. Probabilmente, sei più forte addirittura di me.”

Kauros non disse nulla, limitandosi a prepararsi ad un nuovo attacco, con l'intento di incenerire Blue.

“Sfortunatamente per te, io possiedo tecniche molto superiori alle tue.”

“Adesso basta!” sibilò l'idaina. “Non ho intenzione di ascoltarti un secondo di più!”

Partì all'attacco, con l'intento di usare la tecnica di prima. Tuttavia, proprio in quell'istante, gli occhi del militare divennero misteriosamente brillanti.

Subito dopo, con suo sommo stupore, Kauros si ritrovò immobilizzato, contro la sua volontà.

Ma cosa...

Il biondo scoppiò a ridere, avvicinandosi lentamente al guerriero.

“Mi avevi sottovalutato, mio caro. Pensavi veramente che mi sarei messo a fare a pugni con te?” i denti di Blue si snudarono in un sorriso inquietante. “Le mie capacità psichiche bastano ed avanzano per farti secco. Un selvaggio come te non merita neanche che mi sporchi le mani.”

I denti di Kauros scricchiolarono, mentre tentava in ogni modo di rompere quella morsa che lo imprigionava.

“E' tutto inutile, fidati. Non c'è modo di liberarsi, a meno che non sia io a volerlo. Ovviamente, spero che capirai se non lo faccio...”

“Sei...uno sporco codardo!” ansimò l'idaina.

“No, io sono intelligente, è diverso. Preferisco usare il cervello, piuttosto dei muscoli, per risolvere i miei problemi. E' stato per questo che ho attaccato i tuoi amichetti di notte, uccidendoli tutti per evitare in futuro noiosi problemi. E così farò anche con te.”

Subito dopo, Blue si allontanò lateralmente dal guerriero, di circa cinquecento metri.

“Potete aprire il fuoco.” ordinò su un piccolo microfono che portava attaccato alla giacca militare.

“Intendevano ripulire l'area dai resti dei tuoi amici con un potente cannone laser.” spiegò da distante il biondo. “Spero che mi perdonerai se ti lasciò, casualmente, proprio in mezzo alla gittata di quest'ultimo. Rallegrati, all'altro mondo potrai rivedere i tuoi amici.”

Cosa? Sudore freddo scese dalla schiena martoriata del moro, mentre vide, di fronte a sé, una luce brillare. Quando quest'ultima si avvicinò sempre di più, portando con sé un'ondata di calore terrificante, comprese che sarebbe morto carbonizzato.

Tatsute, Crilin, amici miei...perdonatemi...non sono riuscito a vendicarvi.

Prima che il raggio lo centrasse, Kauros lanciò un urlo inarticolato di dolore, percependo il proprio corpo disfarsi. Proprio in quell'istante, la sua mente fu invasa da un'immagine nitidissima, come se stesse sognando di nuovo.


 

Vide suo figlio, i suoi capelli neri identici a quelli di lui, suo padre. Era sano, adulto, forte. Indossava una strana tunica arancione, al suo fianco aveva un uomo alto, dai capelli scuri, e dagli occhi limpidi come quelli di un bambino, anche lui vestito con gli stessi abiti. Entrambi sorridevano, sereni, consapevoli delle proprie capacità.


 

Crilin...figlio mio...vendicaci tu.

Kauros sorrise, mentre il vento causato dal colpo micidiale gli portò via gli occhiali. Sì, ne era certo. Suo figlio un giorno avrebbe affrontato anche lui il Red Ribbon, e con l'aiuto di quell'altro possente guerriero, avrebbero vinto.

Continuò a sorridere, anche quando il suo corpo prese a bruciare. Sorrise. Sorrise fino a quando di lui, del suo popolo, e della gente che amava, non rimase che un ricordo. Presto destinato ad ingrigirsi anch'esso.

Blue scoppiò a ridere, osservando la terrà nera ed arida, pronta per essere scavata e sfruttata per gli scopi del potente ed inarrestabile Red Ribbon.

Nessuno ci potrà mai fermare...nessuno!


 


 

Correva. Correva nonostante avesse i polmoni in fiamme, e sentisse le gambe bruciare per la fatica.

“Non deve fuggire! Avanti! Cercatela! Pattugliate la zona!”

Tatsute strinse al petto suo figlio, mentre arrancava nella neve, il vento gelido della notte che gli soffiava in volto. Ormai si era smarrita da un bel pezzo, nel tentativo di seminare le pattuglie del Red Ribbon. Queste ultime l'avevano trovata mentre cercava di raggiungere il monastero attraverso la foresta, e da allora non avevano fatto altro che braccarla, spingendola verso il folto del bosco, lontano da possibili aiuti e soccorsi.

Kauros, dove sei? Pensò, mentre cercava disperatamente di recuperare fiato. Ho bisogno di te!

Sapeva che non l'avrebbe più rivisto, e lo comprendeva. Lui doveva difendere fino alla morte il loro popolo, era il suo dovere. Eppure, nonostante tutto, sperava di riuscirlo a rivedere un giorno.

“Le tracce sono fresche! Avanti, muovetevi!”

Fu presa dal panico. Aumentò il passo, dibattendosi tra la neve che le arrivava alle ginocchia, sprecando inutilmente molte energie. Ben presto fu sfinita, incapace di muoversi ancora. Lacrime di rabbia presero a scorrerle sul volto. Doveva salvare suo figlio, ma aveva miseramente fallito.

Sentì uno sparo, unito subito dopo ad una stilettata di dolore lancinante. Lanciò un grido, mentre cadeva a terra, stringendo con forza spasmodica Crilin al petto, nella speranza che almeno lui venisse risparmiato.

“L'ho trovata! Fuoco!”

Per tre volte sentì uno sparo riecheggiare nel silenzio della foresta, e per tre volte percepì il proprio corpo urlare di dolore. Tuttavia, il bambino stava bene, e la cosa le permetteva di sopportare ogni dolore possibile ed immaginabile.

Devo salvare il bambino...devo salvare il bambino...devo salvare il bambino.

Percepì i passi pesanti dei suoi inseguitori avvicinarsi, e pregò che nessuno di loro scorgesse quel fagotto che teneva tra le braccia. La sua era una speranza futile, vero, ma ciò non le impedì di pregare gli dei.

Vi prego. Qualsiasi cosa, ma lui no...risparmiatelo. Prendete me, ma non lui...vi scongiuro!

Udì delle urla di dolore. Ossa spezzate, colpi di pistola, imprecazioni. Tutto questo durò circa un minuto, poi udì dei passi tra la neve. Ma erano diversi da quelli di prima: più leggeri, meno violenti. Come se qualcuno stesse danzando, piuttosto che camminando, nel folto della foresta.

Aprì a fatica gli occhi, mentre sentiva le proprie forze scivolare via, insieme al suo sangue. Vide, nel buio della foresta, i lembi di una tunica gialla, da monaco e comprese che le sue preghiere erano state esaudite.

Sorrise. Poi, lentamente, spinse verso quei piedi, che camminavano in cima al cumulo di neve, suo figlio, facendo forza con tutte le energie che le erano rimaste in corpo.

Devo farcela...

“C-Crilin...” balbettò, cercando di vedere il volto del suo salvatore. “Crilin...”

Non riuscì a vederlo, ma ciò non aveva alcuna importanza.

Vide due mani afferrare suo figlio, sollevarlo, e portarlo via.

Sorrise. Aveva compiuto la sua missione, aveva salvato il suo bambino.

Va...figlio mio, e che gli dei...ti possano sempre proteggere.

Poi, morì. Ricongiungendosi con il proprio popolo, e con l'uomo che amava.

Per sempre.


 

E fu così, tra quelle montagne innevate, e le foreste senza nome, che ebbe inizio il cammino del più potente terrestre mai vissuto.


 


 

Fine


 

Note dell'autore:


 

Questa storia è molto vecchia, ma sentivo veramente il bisogno di pubblicarla, dopo averla rivista. La mia idea iniziale era quella di una long, che narrasse gli avvenimenti di Kauros, Tatsute, e dei primi anni di vita di Crilin, prima cioè che decidesse di entrare in un monastero. Tuttavia, il mio poco tempo libero mi ha costretto ad una sola long, sperando di poter tornare sull'argomento in futuro.

Non ho molto altro da dirvi, se non che spero che questa storia vi sia piaciuta, e che qualsiasi commento, positivo o negativo, in proposito sarà ben accetto.

Un saluto!


 

P.S: Il livello di combattimento di Kauros è di circa 200 punti. Considerando che all'epoca, l'uomo riconosciuto come il più forte al mondo, Muten, aveva 139 punti, si può dire che fosse il padre di Crilin l'umano più potente del pianeta. Il tenente Blue era nettamente più debole, circa 100 punti, ma vince grazie ai propri poteri telepatici, visti più volte nel manga contro Goku.

Ed ora ho proprio finito.

 

  
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