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Autore: Lelusc    20/02/2016    1 recensioni
è proprio imprevedibile la vita, se ti addormenti puoi risvegliarti in un posto diverso, fare incontri fantastici, salvare qualcuno e arricchire la tua vita.
QUESTO RACCONTO è TRATTO DA UN MIO SOGNO CHE POI HO TRASFORMATO IN STORIA, SPERO MI FACCIATE SAPERE COSA NE PENSANTE, by Lelusc.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tratto da un sogno.

Oggi è il mio primo giorno di lavoro e sono così agitata, penso stingendo la borsetta, seduta sul sedile di un pullman diretto in città.

Segretaria, chissà se mi ricorderò come si svolge questo lavoro, in città avevo lavorato già in questo ruolo, ma ora per un avvocato di campagna credo sarò un pochino diverso,penso guardandomi le punte dei piedi.

Come sarà il mio datore di lavoro? Forse sarà un uomo anziano con barba e baffi impomatati che gli danno l'aria di un intellettuale, occhiali dalla montatura rotonda e un modo di parlare elegante e sofisticato. Chissà forse ti rilascia perle di saggezza e molte volte usa parole scientifiche nelle frasi e mentre parla involontariamente o perchè può, dice parole latine.

O magari è sulla trentina, è alto, bello, ha capelli ben pettinati all'indietro, la postura elegante e i modi gentili, ma sarà molto scostante e avrà una parlantina sciolta e pulita, mentre nei molti rimproveri che mi farà, sarà molto duro; sicuramente alla fine del lavoro mi lascerà con un bel mal di testa e qualcosa su cui pensare, o forse sarà un uomo un po' grasso, con una moglie brontolona ma simpatica, con tanta voglia di scherzare ma una grande serietà nel lavoro, che sarà amico e confidente di tutti più di quanto lo sia il prete del paese e abbia il vizio di bere un po' troppo dopo il lavoro, ma non eccessivamente da pesare il giorno seguente.

 Ahahah,leggo troppi libri e vedo troppi film. Chissà chi mi troverò davanti fra poche ore? Comunque sono sicura che qualsiasi tipo di persona conoscerò, mi andrà bene.

Fra mille pensieri e sicura che andrà tutto per il meglio, mi addormento.

Apro gli occhi e mi metto subito in posizione eretta, confusa, ed ecco che ricordo dove sono e cosa stavo facendo.

Il pullman è vuoto, ma continua a percorrere la sua strada. Devo essermi addormentata, penso guardando fuori dal finestrino.

Ma cosa? Mi alzo di scatto in piedi e corro dal conducente.

"Mi scusi, ma questo autobus non va in città?"

"No signorina, questo autobus porta in aperta campagna"

Mi guardo intorno agitata e solo ora mi rendo conto di non avere più con me la borsetta.

"signorina, si è persa?"

"Sì, sarei dovuta andare a città, per il mio primo giorno di lavoro"

"allora le consiglio di scendere alla prossima fermata e cercare un altro autobus. Mi dispiace ma qui sono davvero pochi, ma se non sbaglio c'è né uno veramente vicino che la riporterà indietro"

"davvero? La ringrazio"dico facendo un bel respiro e un timido sorriso.

Cos'è successo? È stato tutto così veloce! Come ho fatto ad essere così sciocca da addormentarmi in un pullman e farmi derubare,ma soprattutto come ho fatto a prendere l'autobus sbagliato se ce ne sono solo due che vanno nella direzione opposta l'uno dall'altro? Non potevo sbagliarmi. Ora come farò?

"Signorina, siamo arrivati, deve scendere. Percorra quel tratto di strada e sono sicuro che troverà un autobus, ma le raccomando di non lasciare la strada o si perderà.
Sicuramente l'autobus che troverà passerà ogni ora"

Ogni ora? Penso un po' insicura, ma quest'uomo mi ha dato un grande aiuto. "La ringrazio molto"dico e scendo dal pullman trovandomi in un attimo sola in mezzo alla campagna desolata.

Intorno a me non c'è nulla, solo vegetazione baciata dal sole, un cielo azzurrissimo privo di nuvole e la mia pelle riscaldata dal clima caldo, quasi come se stessimo nei primi giorni d'estate.

Comincio a camminare per la stradina che mi è stata indicata, ma intorno a me non c'è alcun rumore, solo i miei passi sul terreno e ogni tanto il cinguettio di qualche uccellino.

Non ho paura, anche se mi trovo da sola in un posto che non conosco, perché niente di quello che vedo è spaventoso o preoccupante; spero solo di riuscire a rintonare a casa prima di buio, altrimenti credo che le sensazione che sentirò saranno ben diverse da quelle che provo ora.

Ormai è da molto che cammino, ma non trovo nessuna fermata dell'autobus. Molte volte ho trovato lungo la strada vecchie case purtroppo non abitate, un vero peccato, se ci fosse stata almeno una persona avrei potuto chiedere indicazioni e sarei stata un po' più tranquilla, anche se mi trovo in un posto per niente ostile mi sono pur sempre persa e ogni tanto l'agitazione e la paura di risvegliano,nonostante cerco di tenerle a bada.

Avrei dovuto stare più attenta a dove andavo e non permettermi di addormentarmi, infondo mi sono trasferita in un casale solo tre settimane fa e anche se sono stata già due volte in città devo comunque fare attenzione e non prendere sotto gambe la strada.

Questo è quello che si ottiene non stando attenti e dando tutto per scontato.

Improvvisamente in lontananza vedo una persona e mi precipito da lei.

Mi fermo davanti alla donna con un cesto stracolmo di ortica appeso al braccio "Mi scusi signora, mi sono persa, saprebbe dirmi dove posso prendere il pullman per tornare in città?"

"Ah, credo sia ancora più avanti, continui la strada".

"Grazie, grazie molte"dico molto più tranquilla e riprendo a camminare lasciandomela alle spalle.

Un po' di tempo dove non c'è neanche l'ombra della fermata del pullman e davanti a me ho un bivio e tanto per rincarare la dose un mal di piedi davvero unico.

Mi siedo un attimo sull'erba per riposare. Spero solo di non venir licenziata il primo giorno di lavoro e che riesca a tornare a casa sana e salva prima di notte, penso togliendomi le scarpe con il tacchetto, non adatte ad una passeggiata figurarsi una scampagnata e notando del rossore sulle dita dei piedi.

Quelle diventeranno delle belle vesciche, penso rimettendomi in piedi e scegliendo la strada di destra per proseguire evitando la strada e camminando sull'erba.
Danti a me da un po'non c'è altro che la solita stradina,ma da una parte e limitata da un muro di vecchi massi arancioni corrosi dalla pioggia e dilatati ,ma dall'aria ben solida.

Improvvisamente sento un rumore e vedo a poca distanza da me un bambino di più o meno dieci, undici anni dalla pelle color cioccolato, scavalcare come niente il muretto.

Corro subito verso di lui, lancio le scarpe da una parte e facendomi forza con le braccia mi arrampico sul muretto che per me che sono più alta è piuttosto basso.
Al di la del muro mi trovo davanti una stradina in salita che il bambino percorre di corsa.

"Che strano?" Penso, ma se c'è una persona qui, ci deve essere anche una casa, rifletto. Indosso le scarpe con una fretta che non è da me e corro lungo la strada trovandomi davanti dei bambini, quasi ragazzi, vestiti di stracci sporchi, dagli sguardi spenti e alcuni freddi a cui passo tranquillamente in mezzo.

Ammetto che il solo vederli ridoti in quello stato, lasciati a se stessi e vedere i loro sguardi, mi vengono le lacrime agli occhi e mi sento davvero triste, tanto da poter piangere e sentire male al petto.

Alcuni mi guardano confusi e non dicono niente, mentre altri fanno come se non mi avessero visto, ma io fra loro noto un bambino davvero molto carino, gracile e magro, vestito di cenci come tutti gli altri e dai capelli biondi. Sembra un piccolo angelo.

Sorrido e continuo a correre. Arrivata alla fine della strada, mi si presenta davanti una grande costruzione.

 M'incammino verso l'entrata; magari c'è qualcuno a cui posso chiedere aiuto , infondo se ci sono così tanti bambini  ci sarà un adulto che vive con loro, un uomo o una donna. Ma tutto quello che vedo sono solo bambini.

Entro dentro quella che sembra un enorme villa mal tenuta, con muri crepati e polvere ovunque.

Dentro c'è molta terra e foglie provenienti dai muri che, ceduti hanno lasciato un foro da dove entra la luce del sole che crea  tante ombre a terra.

La stanza è vuota, non ci sono nemmeno i bambini, ma noto infondo alla stanza una porta bianca spalancata.

Mi affretto ad entrarci trovandomi davanti un corridoio illuminato da una sola finestrella in alto e alla mia sinistra tante porte una vicino all'altra.

Le porte sono vecchie e arrugginite, dipinte da vernice bianca che ormai si sta scrostando e ogni porta al centro a tre fessure orizzontali da cui posso vedere l'interno.

Un'inquietudine improvvisa e un po' di paura mi assalgono. Le stanze con completamente buie e piene di oggetti sparpagliati, sembra roba accatastata di diversa grandezza, come una discarica di mobili, di certo non un posto dove dei bambini possano vivere.

Controllo con interesse ogni stanza e sono tutte uguali.

Questi bambini vivono da soli qui, in queste condizioni? Com'è possibile? Nessuno si prende cura di loro?Sono così tanti e piccoli.

Esco dalla porta da cui sono entrata e mi guardo ancora intorno, esplorando la grande costruzione; non è possibile che non ci sia nessuno che badi a loro.
Alla fine entro in una sala e alcuni bambini posano lo sguardo su di me.

"Ma, non c'è qualcuno che si prende cura di voi?"Chiedo ricevendo da loro, solo silenzio.

Ormai sono talmente incredula e addolorata da non sperare nemmeno di ricevere una risposta da queste povere creature mal curate e mute.

"Papà è morto"mi dice un bambino, come se tutto questo debba darmi le risposte che voglio; beh, forse ad una domanda,ma alle mille altre che ho in mente, no.

 Perché nessuno li cura? Se prima l'uomo che stava con loro è morto, perché non hanno mandato un'altra persona ad aiutarli? Sono tanti e troppi, sono sporchi, vestiti male e non so nemmeno se hanno abbastanza cibo.

 Sono talmente tanti, che non mi bastano le dita delle mani e dei piedi e per contarli tutti e nemmeno se prendessi in prestito altre venti mani e venti piedi.
 Non possono rimanere così, ma io che posso fare? Mi sono anche persa, non posso fare nulla, penso e mi avvio verso l'uscita, di certo, se rimango qui e non ritorno in città non posso aiutarli.

Vago per la casa cercando l'uscita e vedo sempre altri bambini nuovi e diversi: femmine, maschi, piccoli, grandi, di età differente, ma tutti silenziosi e che fanno gli affari propri, quando trovo tre ragazze di forse di tredici, quattordici anni, appoggiate alla ringhiera di una scala a chiocciola che porta ad altri piani dei numerosi che ci sono in questa struttura.

"Scusate, dov'è l'uscita?"

Una bella ragazzina dai capelli lunghi, un bel visino, mi guarda e fa un sorrisetto divertito che mi fa sentire immediatamente stupita.

"È lì"dice indicandomi un grande buco nel muro da dove entra la luce. Avevo pensato di tornare al pian terreno per trovare l'uscita, ma se mi fossi persa? E se avessi
visto altri bambini in quello stato? Non potrei mai sopportare altri sentimenti di disagio e tristezza così profondi, sapendo poi di poter fare ben poco per loro, se non lasciarli a mia volta da soli.

"Grazie, non l'avevo vista"dico dirigendomi all'uscita.

Non appena sono fuori, devo abituarmi alla forte luce del sole.

Dentro è tutto in penombra, la sola luce è quella del sole che entra dentro come un ladro per poi ritirarsi la notte e lasciare i bambini al buio, da soli; chissà quanta paura hanno la notte, in questo silenzio soffocate, da soli e al freddo.

Mi viene un nodo alla gola al solo pensarci. Quando i miei occhi si sono finalmente abituati alla luce, mi trovo davanti una squadra di poliziotti armati pesantemente.
Sono tre file da cinque uomini ciascuna.

"Polizia. Squadra di repressione"penso.

"Io non centro nulla qui, non sono una di loro"spiego e non per codardia o paura, dico solo la verità, confusa su cosa stia accadendo.

"Allora vada signorina"dice il capo di questi e mi avvio verso le scale dietro di loro.

Scendo e percorro velocemente una strada, ma è diversa da quella che o fatto per venire. Percorro una stradina di ciottoli bianchi, piena di bambini e mi trovo davanti un muretto che per andare via devo per forza scavalcare e io sono la fine di una lunga coda di bambini spaventati che cercano di arrampicarsi e scappare scavalcando.

Squadra si repressione, vogliono ucciderli, ma perché? Che hanno fatto, sono solo bambini innocenti.

Forse vivendo in quel modo sono malati, una malattia infettiva, forse è per questo che sono costretti a fare una cosa tanto barbare e inumana,perché non posso credere che vogliano solo fare i prepotenti con i più deboli, con creature che non possono difendersi, non posso assolutamente crederci.

Improvvisamente sento un rumore e guardo alla mia sinistra. C'è un bambino che mi guarda. Questo bambino ha i capelli castano chiaro ed è in carne, direi l'opposto degli altri che quasi spariscono.

"Tu sai come andare via da qui? Dove posso prendere il pullman"Chiedo aggrappare alla parete, mentre aspetto che i bambini prima di me finiscano di salire. Improvvisamente uno di loro scivola e per poco un bambino non mi cade in testa, dettagli.

"Sì, certo"dice e una volta riuscita a salire, mi allontano con lui decisa a portarlo a casa con me e salvarlo da qualsiasi cosa quella squadra di polizia voglia fare a queste povere creature, nonostante io sia ancora perplessa per il fatto che nessun poliziotto sia venuto a fermare tutti questi ragazzini che tentano di scappare.

Grazie al quel bambino riesco a trovare la fermata del pullman e ritornare in città e deciso di andare in chiesa e parlare con le suore, di lui.

Non sono mai stata una vera e propria credente, come mia madre che era ossessionata dalla chiesa e la parola di Dio, ma sono sicura che loro potranno occuparsi di un bambino indifeso e scoprire perché la polizia invece di salvare quelle vite innocenti, le disintegra come se fossero solo un mucchio di formiche fastidiose.

La chiesa è diversa dal luogo dove è vissuto il piccolo, infatti quando entriamo lo noto guardarsi intorno con stupore, mentre poco prima, a sua volta la gente lo guardava preoccupata e con sguardo pieno di pena e compassione.

"Vorrei parlare con la madre superiora o qualcuno d'importante"dico incerta su chi dovrei cercare e in un attimo mi ritrovo scortare in una stanza da una suora.

Entro dentro con il bambino e mi trovo davanti una suora giovane e una più anziana. La prima è in piedi accanto all'altra che ha l'aria severa e molto più autorevole. È ovvio che sia lei quella importante.

"Voleva parlarmi?Prego"dice indicandomi la sedia di fronte alla scrivania dove è seduta.

"Sì vorrei raccontarle la storia di questo bambino"dico e comincio a raccontare tutto fin nei minimi particolari. Tutto quello che ho visto, sentito e le atrocità che
sicuramente dalla mia partenza sono accadute, cercando di trattenere le lacrime e restando calma.

"Vorrei che vi prendeste cura di lui e lo portiate nel vostro orfanotrofio"dico speranzosa ma temendo un "no" come risposta, ormai tutto è possibile in questo mondo a quanto pare, ma andò tutto per il meglio.

Portarono subito due bambini da far conoscere al piccolo che scoprimmo chiamarsi Serena nonostante fosse un maschio.

Lo guardai fare amicizia con i due bambini e dopo un abbraccio forte forte lo lasciai alle esperte e dolci mani di Dio, avvicinandomi molto di più a lui e lasciando gli altri bambini abbandonati alle cure della chiesa sempre stata ignara di tutto. Ma non finì così, non lasciai il bambino da solo, lo andai a trovare molto spesso e me ne presi cura.

Per me ormai quel bambino è come un figlio. 

 
  
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