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Autore: phantophobia    22/02/2016    1 recensioni
Ma ’l sonno, che de’ miseri mortali È co ’l suo dolce oblio posa e quiete, Sopì co’ sensi i suoi dolori (T. Tasso)
Questa storia parla di una ragazza, Rain, ha 16 anni, vive in un paesino dal nome ambiguo ed è totalmente unica nel suo genere, senza contare che è un pò sfigata. Io mi rivedo molto in lei, quindi leggendo magari imparerete a capire com'è l'autrice che sta dietro a tutte quelle parole. (Abbiamo in comune il fatto che non ci ricordiamo un cavolo!). si, perchè Rain ha problemi di memoria...
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un rumore nel buio, un boato che taglia il silenzio. In piena notte, una notte tempestosa e violenta. In una notte come questa, può accadere di tutto.
Vivido e freddo, come la lama di un coltello, il ricordo si faceva strada tra i suoi pensieri come i fulmini quella notte accendevano il paesaggio. Istantanee di luce stampate ad intervalli di minuti, o forse secondi. Erano anni che a Richswords non pioveva così. L’ultima volta era stato negli anni 90, e nonostante i tempi fossero trascorsi, la memoria restava viva e sfregiata da quei terribili avvenimenti: una tempesta aveva distrutto una parte di città, portando con sé la vita di cinquanta innocenti.
Ma la memoria non era la sola cosa rimasta viva tra i popolani. Vivo rimaneva anche il sospetto che qualcosa di soprannaturale potesse aver causato tutta quella devastazione. E ora, la storia stava per ripetersi.
 
22 luglio 2006 (4 giorni prima della tempesta)
Rain Applegold, una tranquilla ragazza di Richsword, si preparava per il primo giorno alla scuola estiva.
“Spero di non aver dimenticato nulla, fare doppiamente la figura della sfigata per due anni di fila sarebbe degradante, solo perché la mia memoria è difettosa e dimentico qualunque cosa”. Raccolse in fretta la sua copia ormai consumata di Cent’anni di solitudine, il libro che sua madre amava e l’unico ricordo che conservava di lei ed uscì correndo, sbattendo la porta alle sue spalle, salutando il silenzio che aveva richiuso in casa.
“Per quale motivo saluti quando è chiaro che non c’è nessuno in casa? Lo sanno tutti che vivi da sola”, si affrettò a ricordarle Katie, la sua migliore amica, ed unica, dai tempi delle elementari.
Katie era la sola a conoscere il segreto di Rain, a sapere che quel giorno, di tanti anni prima, una bufera aveva ucciso la sua famiglia e aveva segnato il suo destino: qualunque cosa le sarebbe accaduta nella vita ed avesse rappresentato un evento importante per lei, sarebbe irrimediabilmente caduto nell’oblio. Un regalo del destino, per interrompere le sue sofferenze, o magari per prolungarle, una maledizione del destino, una dimenticanza perpetua, dei buchi neri enormi che risucchiavano la sua vita e le donavano inconsistenza. Una vita di frammenti, ma comunque una vita, e Rain amava la sua esistenza, le era grata per averle comunque lasciato la possibilità di terminare quello che i suoi genitori avevano lasciato in sospeso. E ora il suo compito era scoprire chi erano, cosa facevano e come renderli fieri. Continuando a studiare e a vivere una vita “normale”.
“Sta tranquilla Kat, non sto avendo uno dei miei momenti, mi piace semplicemente immaginare che ci sia qualcuno che mi saluta quando me ne vado e che mi aspetta quando rientro. Mi fa sentire, come dire, meno sola”.
“Tu non sei sola Rain, hai me! Saremo amiche per sempre, fino a quando io non mi troverò un ragazzo e tu, con quegli occhi verdi e blu, non me lo porterai via. Sappi che non ti perdonerò mai se provi a fare una cosa del genere! So che sei molto più bella di me e di metà delle ragazze di Richswords, ma non azzardarti a farmi uno sgarbo simile”.
Katie sapeva essere molto chiara a volte. Diretta come una freccia puntata alla tempia, scaltra e intelligente: un’amica rara e preziosa.
“Si, come no, ai ragazzi di questo buco di città interessano molto gli occhi delle ragazze. Soprattutto Mike Rollands, l’ho giusto visto molto interessato ai tuoi due “occhioni”, ieri mentre chiacchieravate”. Era chiaro che Mike aveva una cotta per Katie, era palese tanto quanto il suo amore per le tette.
Ci salutammo all’ingresso della Richsword Institute, e le nostre strade per la mattinata si divisero. Avevo provato a fare richiesta perché mi mettessero nella stessa classe di Katie, ma, per favorire “l’integrazione amichevole tra studenti disadattati” (e così eccomi lì, etichettata e tutto: DISADATTATA), dovevo cercare di crearmi quelle nuove amicizie che per  16 anni non ero riuscita ad instaurare. Un gioco da ragazzi.
Entrai in classe tra le ultime, cosa che mi procurò non pochi sguardi sprezzanti, disgustati e qualche risatina. Mi sedetti su un banco libero nelle ultime file, mi infilai le cuffie alle orecchie e comincia a leggere il libro di mamma, il suo preferito, con tanto di note personali su ogni pagina: Cent’anni di solitudine. “Un titolo davvero interessante per un romanzo”.
Mi piaceva parecchio isolarmi per conto mio, fingere di essere invisibile e dimenticare gli sguardi e le offese. Già, dimenticare. Come se avessi potuto scegliere cosa dimenticare e cosa ricordare. Ogni volta che ero stata offesa o ridicolizzata era presente nella mia mente come se fosse accaduto qualche minuto prima; ma se provavo a ricordare gli occhi di mia madre o la voce di mio padre, la mia memoria si bloccava, alzava una grossa barriera e mi impediva di oltrepassarla. “Com'è tutta la vita e il suo travaglio in questo seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.”
Gli somigliavo? Mi amavano? Come sarebbe stata la mia vita se quella tempesta avesse deciso di colpire un’altra cittadina? Domande infinite, ripetute ossessivamente come se, nell’insistenza, l’ignoto mi avrebbe dato risposta. Domande fondamentali, senza le cui risposte la mia vita si costruiva priva di fondamenta. Quanto è difficile disegnare la tua strada se, ogni volta che ti volti indietro ti rendi conto che qualcuno ha cancellato i passi che hai fatto? È camminare al buio, barcollare, esitare, cercando di non cadere, pur sapendo che cadrai negli stessi punti in cui già sei caduta e non potrai far altro che cadere, perché non ricordi dov’è la trappola.
“Posso sedermi?” una voce mi svegliò dal mio farneticare e degli occhi verdi mi riportarono alla realtà. E poi come un fulmine a ciel sereno eccolo lì, più inaspettato e doloroso di un calcio nello stomaco: un ricordo.
 
 
 
Primo capitolo di questa serie mystery e non so ancora se sarà horror oppure no..
Spero possa piacervi, io insisto, prima o poi troverò qualcuno che ama le mie storie. Nel frattempo io continuo a scrivere per voi e per me, lasciando libera la fantasia e gli errori grammaticaliXD
(com'è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
È un passo preso dalla poesia di Montale, “Meriggiare pallido e assorto”)
“Cent’anni di solitudine” è un libro scritto da Gabriel Garcia Marquez (consiglio, a chi non lo avesse già fatto, di leggerlo, perché è davvero una storia bellissima e originale).
Concludo qui la mini recensione/spiegazione di questo capitolo.
Passo e chiudo
 
Phanto
   
 
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