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Autore: Jo_The Ripper    22/02/2016    3 recensioni
“Quindi adesso cosa facciamo?”
Sarah gli prese la mano e la strinse nella sua.
“Un ultimo ballo.”

Un piccolo tributo a David Bowie.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jareth, Sarah
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Into the Labyrinth'
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The Fall
 
Just watching the trees and the leaves as they fall
 [Basta guardare gli alberi e le foglie che cadono]1
 
 
Tutto era cominciato con la Stella Nera.
Un giorno, dal nulla, era apparsa stagliandosi nel cielo. Dapprima era un punto lontano, una testa di spillo nella foschia granulosa del mattino nel Labirinto, ma poi era cresciuta.
Di notte si nutriva di stelle, le assorbiva e privava della loro luce. Di giorno bagnava di ombre tetre le siepi.
Dalla finestra della sua sala del trono, il re dei goblin trascorreva le sue giornate a studiarla.
Nulla riusciva a distoglierlo dalla sua occupazione: né i continui schiamazzi ed il baccano del suo popolo, né le foglie che, sempre più veloci, cadevano dagli alberi, né quel nano giardiniere che gli mormorava allarmato: “Maestà, la foresta dei Fireys sta scomparendo”.
“Scomparendo…” soffiava lui senza nemmeno voltarsi a guardarlo.
Jareth sapeva che quel momento, prima o poi, sarebbe giunto.
La Stella Nera, l’Eclissi, la Caduta. Un ciclo destinato a concludersi.
 
I suffocate
I breathe in dirt
And nowhere shines
But desolate
And drab the hours all spent
On killing time again
All waiting for
The rain
 [Soffoco/ Respiro polvere/ E niente risplende/ Ma desolate/ E monotone le ore spese interamente/ Ad uccidere il tempo ancora/ Sempre aspettando/ La pioggia]2
 
Il re dei goblin aveva sempre apprezzato il valore del silenzio: riusciva a trovarlo anche quando attorno a lui non c’era altro che rumore. Ma ora che le pareti della sua dimora rimbombavano di echi lontani, la compagnia dei suoi soli pensieri lo soffocava. La sala del trono, l’intero castello, la Città di Goblin, il Labirinto e tutte le terre circostanti erano piene di ombre fugaci, evanescenti spettri del passato.
Un giorno aveva spalancato la porta della sala di Escher e aveva trovato le scale, quel groviglio ingarbugliato di sottosopra, frantumate al suolo. Crollate e  sgretolate in calcinacci bianchi, anch’esse ormai ridotte a rovine di una gloria antica.
Tese una mano e i granelli di polvere sospesi nell’aria si depositarono sul suo guanto.
Un’altra parte di lui se ne era andata.
 
*
 
Il portone del castello era aperto. La Città di Goblin dormiva, bloccata in un limbo statico, come quegli insetti che rimangono imprigionati nella resina ambrata di un pino. Da quando l’Eclissi era cominciata, Jareth aveva perso il controllo del tempo. Gli si era rivoltato contro, un ragazzino dispettoso che si divertiva a farsi beffe di lui, sottraendogli ore o restituendogli manciate di minuti. Ingannevole e generoso.
“Non trovi sia molto simile a te, Jareth?” la domanda, con una voce così pericolosamente simile alla sua, gli balenò nel cervello. La scacciò con un gesto della mano, catalogandola tra le cose non importanti. 
Arrivò al centro del Labirinto e si sedette dove convergevano tutti i sentieri, ad occhi chiusi. Quanto desiderava ascoltare lo scroscio rassicurante della pioggia. Il suo ticchettio, regolare come il battito di un cuore, il fragore del tuono, l’odore della terra bagnata.
L’unico suono che udì, però, fu soltanto il tonfo sordo e amplificato di una goccia d’acqua che cade in una pozza.
Il re dei goblin aprì gli occhi di scatto, un brivido freddo gli corse lungo la schiena. Per la prima volta provò paura.
 
A woman now standing where once
There was only a girl
 [Una donna ora in piedi dove una volta/ C’era solo una ragazza]3
 
Il paesaggio attorno ai cancelli del Labirinto era nebuloso, indefinito, ondeggiante come un miraggio nel deserto. Il nano, però, era ancora lì.
“Maestà.” Disse affettando un inchino.
Jareth abbassò lo sguardo su di lui e, forse per la prima volta, lo vide veramente. Non gli riservò un’occhiata carica di sprezzante alterigia, con quell’aura di regalità e arroganza che usava per giudicare le altre creature, ma di commiserazione.
Il nano era più vecchio, nonostante il suo viso fosse rimasto lo stesso di anni prima: una maschera di rughe e sopracciglia candide. Solo i grandi occhi azzurri ne tradivano l’afflizione del cuore.
“Maestà.” Continuò. “Mi permetti una richiesta, prima che tocchi anche a me?”
Jareth inarcò un sopracciglio e il nano – “Non il nano, ma Hoggle”, si corresse -  allungò la mano davanti a lui. Stava cominciando a dissolversi. Gli fece segno di continuare.
“Vorrei vederla.”
Il re dei goblin si aspettava quella richiesta, dopotutto Hoggle era il suo “amico”; eppure non poté impedire ad una stilla di egoismo di pungergli il cuore.  
Lei era come quei regali che si custodiscono gelosamente, un Segreto inviolabile e prezioso, che poteva solo materializzarsi fugacemente nella veglia, alle porte del sogno. Sciolse le dita che teneva intrecciate dietro la schiena e creò un cristallo. Lo porse al nano, che lo accettò con gratitudine.
“Maestà… non vuoi guardare?” avanzò con una nota di incertezza, senza staccare gli occhi dalla sfera perfetta. Troppa era la paura di incrociare lo sguardo del sovrano e scoprire che si trattava di uno scherzo crudele. Troppa era la paura che dicesse sì.
Jareth soppesò la domanda, ma scosse il capo.
“No.”
Hoggle emise un lieve sospiro di sollievo e compatimento.
“Fa male anche a te, vero Maestà?” avrebbe voluto chiedergli. Non lo fece.
Le domande taciute hanno sempre le risposte più amare.
Quando il nano alzò lo sguardo, Jareth era già andato via. Lui sentì un nodo stretto alla gola appena il cristallo gli rimandò l’immagine della Campionessa. La crisalide era diventata farfalla. Una lacrima gli solcò il volto rugoso. Il bracciale di plastica sembrò farsi più pesante sul suo polso.
 
I’m so glad you came
I’m so glad you remembered
To see how we’re ending
Our last dance together
 [Sono così onorato che tu sia venuta/ Sono così onorato che tu ti sia ricordata/ Di vedere come stiamo per concludere/ Il nostro ultimo ballo insieme]4
 
Quando sentì di essere rimasto completamente solo, Jareth percorse a passi lenti i corridoi del castello, fino ad arrivare al salone da ballo. All’interno l’atmosfera era stagnante e recava ancora i segni della disfatta: alcove dalle tende strappate, cera di candele ormai sciolte che aveva formato una pozza bianca sul pavimento, cocci di maschere che lo fissavano da orbite vuote.
Tutto era abbandonato, distrutto, oscuro.
Raccolse una sedia e si sedette con i gomiti sulle ginocchia.
Forse, prima della fine, gli era concesso pensare al suo Segreto.
Il corpo reagì ancor prima che finisse di formulare la richiesta, ed un cristallo apparve nella sua mano.
“Mostramela.”
La luce era fioca e tenue come i colori dei fiori in primavera, e lei era lì. Le immagini si susseguivano rapide, sprazzi di vita intrappolati nella sfera perfetta: lei seduta nel parco con i capelli mossi dal vento, il capo di un uomo posato sulle sue gambe; la sua mano stretta in quella paffuta di un bambino; le lacrime di rabbia, il dolore per la morte di suo padre; lo sguardo rivolto verso il cielo ed i sospiri di quando si lasciava andare ai sogni ad occhi aperti. Il bianco accecante della stanza d’ospedale, lei distesa su un letto e le gocce di medicinale che scendevano lente ed inesorabili fino ad arrivare nelle sue vene. Il  viso sofferente ma la serenità dell’animo di chi ha vissuto la vita che desiderava.
Tutto era racchiuso lì, in una costellazione di emozioni indelebili.
Jareth inspirò a lungo e socchiuse gli occhi. Quando li riaprì, lei era di fronte a lui. Se anche la cosa dovette sorprenderlo, il viso del re rimase impassibile, non tradendo nemmeno un’emozione. Si prese solo una manciata di secondi per osservarla. Era bella Sarah; con i capelli sciolti e gli occhi luminosi, l’espressione furba di chi ha scoperto qualcosa di importante ma finge noncuranza.
“Non sei invecchiato di un giorno.” Constatò elargendogli un debole sorriso.
Il re dei goblin si alzò e a passi misurati accorciò la loro distanza.
“Ti ho vista, in questi anni. Eri ai confini del Labirinto, indecisa se varcarne di nuovo la soglia. Hai sempre scelto di voltare le spalle a questo regno e andare via, scomparendo nella nebbia.”
Il sorriso di Sarah divenne più ampio. “Certo che mi hai vista. Tu vivi dentro di me.”
Un cipiglio di dissenso aggrottò la fronte di Jareth.
“Avresti potuto dire le parole giuste.”
Una smorfia di dolore lampeggiò negli occhi di Sarah.
“Tu e il tuo mondo appartenete a me. Mi apparterrete per sempre.”
Il re dei goblin la osservò intensamente, provando a mettere da parte quell’orgoglio ferito che gli rodeva dentro, scrutando in profondità l’animo della Campionessa. La rivelazione lo colpì come un fulmine a ciel sereno: capì che lui, per lei, era il Segreto. Ed ora Sarah era lì, nell’ultimo istante della sua vita, per accomiatarsi dalla Storia racchiusa nel suo libro preferito.
A congedarsi da lui.
Perché Jareth lo sapeva; sapeva tutto fin da quando era apparsa la Stella Nera: Sarah stava morendo. E lui sarebbe morto con lei.
“Quindi adesso cosa facciamo?”
Sarah gli prese la mano e la strinse nella sua.
“Un ultimo ballo.”
 
Never dream of you again
 [Non ti sognerò mai più]5
 
Sarah teneva la testa poggiata sul suo petto e lui le cingeva i fianchi con le mani. Il mondo era stato escluso, racchiusi com’erano in un silenzio confortante, con il lieve ansito dei loro respiri a tracciare un ritmo lento e languido.
Sarah sollevò il capo, scrutando con serietà gli occhi del re dei goblin, quell’affascinante nemesi dalla volontà forte come la sua.
“Dammi un bacio d’addio, prima che mi addormenti. Non ti sognerò più.” La sua voce era sottile ed incrinata. E lui non disattese le sue aspettative.
Appena posò le labbra su quelle di lei, il calore li avvolse entrambi.
La sentì sorridere contro la sua bocca mentre si stringeva di più a lui.
Quando silenziosamente si separarono Jareth, che teneva ancora le mani sulle spalle di Sarah, vide che cominciavano a svanire. Ne portò una sulla sua guancia e l’altra dietro al collo. La donna si spinse maggiormente contro il palmo e vi lasciò un bacio gentile.
“Tutto sta per andare in pezzi. Di nuovo.” Il  tono del re era amaro ed esausto. Sarah abbassò lo sguardo.
“Non ho mai desiderato la distruzione.”
Con il pollice Jareth le fece una lieve carezza, costringendola a guardarlo ancora. “Lo so.” E lei gli sorrise.
Gli occhi di ghiaccio del re dei goblin catturarono quel sorriso. Era tutto ciò che voleva.
Il salone iniziò a dissolversi, ma loro ripresero a ballare.
Danzarono come i fiori di ciliegio che, spinti dal vento, si posano sullo specchio d’acqua di una sorgente: stelle, al chiarore della notte senza luna.
Il mondo crollò, ma loro erano a casa.
 
I’m-a take you home (I’m a blackstar)
[Ti porterò a casa (sono una stella nera)]6
 
1:         Joy Division – The eternal
2:         The Cure – Prayers for rain
3 – 4:   The Cure – Last Dance
5:         The Cure - Untitled
6:         David Bowie – Blackstar
 
***
Ed eccomi qua, in frenetico periodo sessione invernale, che porto il mio vero tributo al Duca Bianco. Stavolta ho percorso una via diversa da quella che di solito si batte per le storie che riguardano Labyrinth: ho ipotizzato che fosse realmente accaduto tutto nella testa di Sarah, un sogno nato dalla sua fantasia, che raccoglie elementi che lei ha sparsi per casa. Ricordiamoci infatti che, all’inizio del film, compaiono tutti i personaggi sottoforma di pupazzi e i poster delle location appesi alla parete. E sì, ho immaginato che, prima di morire, abbia voluto rintanarsi nel suo sogno preferito, portando a termine le questioni in sospeso.
La Stella Nera infatti, altro non è che la sua malattia che avanza inesorabile.
Bene, dopo lo spiegone io mi rintano nella mia Batcaverna. I miei ringraziamenti vanno all’onnipresente Grace e a Viola, che hanno benedetto questo parto della mia zucca.
Fatemi gli auguri, domani comincio gli esami.
Ed anche un commentino, visto che ci siete!
Alla prossima!
  
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