Love makes us sink.
Brooklyn, 25 maggio 1936
Essere nella fase più complicata dell’adolescenza e amare la
persona giusta ma nel momento sbagliato. Steve si rigirò tra le mani le chiavi
di casa con fare nervoso mentre attendeva sulla panchina del parco Bucky. Dopo
due mesi si era reso conto che quella che provava non era solo pura e semplice
amicizia, c’era qualcosa di più e per tanto, forse troppo, tempo lo aveva
nascosto, lo aveva negato. Tutto era iniziato quando James lo aveva portato a un’uscita
a quattro per andare alla fiera del futuro. Idea pessima dal momento che Steve
non sapeva parlare con una ragazza. Giunti alla festa si erano divertiti almeno
loro tre. La cosiddetta ragazza di Bucky volteggiava tra le braccia del moro
con un sorriso ebete stampato sulla faccia mentre la gonna a ruota di un rosso
sgargiante si alzava vertiginosamente lasciando immaginare la mente. La sua
amica invece era rimasta seduta sorseggiando del ponce e parlando
amichevolmente con un ragazzo dai capelli mori e gli occhi verdi. In sostanza
l’opposto di Steve, si era ritrovato con il volto affondato nella mano a
guardare da lontano la gioia di ben altre persone e così era passata la serata,
tra lattine di Coca Cola e canzoni americane.
“Ehi Steve!” Sobbalzò, ormai perso nei suoi pensieri, quando
Bucky si parò davanti a lui oscurando la luce del sole. “Piccoletto!” Gli
scompigliò i capelli biondi amichevolmente e poi gli fece un sorriso caloroso.
“Lo sai che odio quel termine.” Cercò di mostrarsi il più infastidito il
possibile ma era impossibile poiché la presenza di Buck non faceva che
mettergli il buon umore.
“Si, lo so. Ma questo non mi fermerà dal non farlo.” Tirò
fuori una sigaretta dalla tasca, la accese e cominciò a fumare con nonchalance
passando qualche volta le lunghe dita affusolate tra i capelli corvini.
“Allora… sei riuscito a uscire con quella della fiera?” Bucky
fece un sorriso tirato e poi portò di nuovo la bocca alla sigaretta. “No… alla
fine abbiamo litigato per una stupidata. Invece tu con la sua amica?” Già
Steve, com’è andata con lei? “Niente di che… non ci siamo nemmeno parlati.”
Bucky rise di cuore. “Sei sempre il solito… le ragazze devi saperle prenderle,
non puoi pretendere che loro ti parlino come se niente fosse, il mondo
femminile è e sarà sempre un mistero per noi poveri maschi.” Per un momento
Steve poté immaginare un futuro con lui, poi scosse la testa di colpo cercando
di scrollare quei pensieri errati, ma cosa gli era passato per la testa? “Tutto
okay?” E’ tutto a posto se escludiamo che sia follemente innamorato di te. “Si…
tutto okay.”
Fecero una breve passeggiata per le vie di Brooklyn,
scherzarono e risero di cuore, anche se la felicità sprizzante proveniva da
Bucky e non di certo da Steve.
“Questa sera dovrei uscire con Connie, quindi credo che dovrò
lasciarti entro le sette di sera.” Connie… nuovo nome, nuova ragazza, la rabbia
fece ribollire Steve che in risposta lanciò un sasso verso la riva dell’East
facendolo affondare nei flutti del fiume. “Okay…” La voce era impercettibile.
Tirò un lungo sospiro, dirgli la verità non sarebbe successo neanche se un
asino avesse volato. “Steve che c’è?” Lo disse in tono esasperato come se non
ne potesse più di vederlo in quella situazione di sofferenza. “Niente.” Bucky
lo prese per una spalla facendolo bloccare di colpo. “Tu ora mi dici cosa c’è
che non va.” Oh… Buck fosse facile dirlo, lo sapresti già. “Fin da bambini
abbiamo promesso che ci saremmo sempre detti la verità.” Quella di Steve
sarebbe stata una dichiarazione troppo vera e pericolosa. “Va tutto bene. Non
ti sto nascondendo niente.” Fece un sorriso per tranquillizzarlo ma quello che
ottenne fu solo uno sguardo di pura perplessità. Per far scaricare la tensione
presente nell’aria diede un pugno sul braccio a Buck e poi disse qualche
cavolata irrilevante.
“Domani credo che non riuscirò a venire, sai Connie è una
ragazza che pretende un sacco di attenzioni… forse potremo vederci questo fine
settimana.” Steve fece un sorriso tirato, dondolò la testa da una parte
all’altra. “No, Connie ha bisogno di te, non voglio che finisca come quella di
prima, ti meriti il meglio amico.” Bucky lo fissò negli occhi e per un attimo
credette di aver visto una minuscola lacrima, Steve non parlava ed era così
frustrante, era un muro su cui lui sbatteva puntualmente ogni volta che cercava
di chiedere.
“Vai ora, non farla aspettare.” Steve tratteneva la voce
rotta a fatica, Buck doveva andarsene, non poteva vederlo piangere, non sarebbe
resistito un secondo di più. “Steve…”Cercò di farlo aprire a sé. “Ho detto va!”
La voce ora era veramente rotta, non aspettò una protesta da parte del moro
perché gli chiuse la porta in faccia. Appena il volto di Bucky sparì si
accasciò sul pavimento, tenendosi la testa tra le mani e pianse, versò lacrime
piene di dolore, l’amore lo stava distruggendo e lui non era abbastanza forte
da fermarlo.
“Ti prego basta!” Urlò, pregò che il dolore che si irradiava
dal suo petto in tutto il corpo se ne andasse. Se quello era essere innamorati
avrebbe desiderato tanto togliersi dal petto il cuore e gettarlo via, soffrire
non era nella sua lista di cose da fare. E si diede del cretino per essersi
promesso che lo avrebbe detto, si odiava. Perché non poteva amare una gonna e
un paio di autoreggenti invece degli occhi di Buck e del suo sorriso
strafottente? Dimenticare sarebbe stata la cosa più giusta da fare, ma anche
quella più difficile.
“Ama e sarai amato…è così eh?” Prese dalla credenza del
salotto una bottiglia di bourbon, la stappò e cominciò a tracannare il liquido
ambrato, la gola infiammata a ogni sorso e la voglia di estinguere quel dolore
insopportabile. Bevve… forse troppo.
Si svegliò lentamente, gli occhi semiaperti e un terribile
mal di testa, osservò la stanza intorno a sé, c’erano alcune schegge di vetro
per terra e il pavimento era visibilmente bagnato, si guardò le mani e distorse
la bocca con orrore quando le trovò grondanti di sangue. Come era potuto
accadere? Cercò con gli occhi una possibile pezza ma non trovò niente, si trovò
costretto ad alzarsi. Barcollò per la stanza dirigendosi verso il cassetto dei
canovacci ma la vista era doppia e tutto intorno a lui girava, per cosa si era
svegliato precisamente?
“Steve apri cazzo!” La voce di Bucky gli arrivò ovattata alle
orecchie ma abbastanza da capire che fosse la sua. Si diresse verso la porta
cercando di evitare i resti della bottiglia. Aprì a fatica la porta, ogni
stretta alla maniglia gli provoca una lancinante fitta lungo tutta la mano.
“Steve butto giù la porta!” Quando finalmente la porta si aprì il biondo si
ritrovò davanti il corpo alto e imponente del moro. “Perché ci hai messo tanto?”
Steve gli allungò la mano mostrandogli il profondo taglio. “Oddio Steve!” Si
affrettò a prendere tra le mani quella piccola e fragile del biondo. “Come te
lo sei fatto?” Steve fece un piccolo sorriso. “Il bourbon è veramente buono.”
Bucky strabuzzò gli occhi. “Hai bevuto!” Anch’io Buck so divertirmi hai visto?
“Per favore non fare il moralista di turno.” Diede le spalle a Buck dirigendosi
verso il cesto di frutta e prese una mela, la addentò debolmente e poi si
sedette sul divano.
“Perché sei venuto?”
Bucky lo guardò confuso per quella domanda. “Volevo accertarmi che stessi bene
ma a quanto pare non è così.” Spostò lo sguardo sul taglio della mano e poi
ritornò sul volto di Steve. “Sto bene… ho solo bevuto un po’… come se tu non lo
facessi mai.” Steve lo squadrò in malo modo e poi risentì quella voglia
impellente di piangere. “Ti prego Buck vattene… ho bisogno di stare da solo.” “Non
me ne vado da qui, non prima che tu mi dica cosa hai fatto? È da ieri che ti
comporti in modo strano.” Strano? Io sceglierei il termine ‘sbagliato’. “Te
l’ho già detto sto bene.” “No! Ieri
stavi piangendo, diavolo Steve ti ho visto con i miei occhi!” Smuovere Bucky
dalle sue idee era sempre stata una cosa complicata, era testardo come un mulo
e di certo non avrebbe cambiato pensiero in quel momento. “E’ un momento
difficile per me, non c’è da dire altro.” Bucky lo guardò con tristezza,
tentava di aiutarlo, lo voleva con tutto il suo cuore ma Steve era come una cassaforte
di acciaio. “Ti prego fatti aiutare.” La preghiera del moro fece per un
millesimo di secondo desistere Steve dalla sua posizione di chiusura ma poi la
razionalità ritornò improvvisamente e così anche la riservatezza. “No… nessuno
mi può aiutare. Non in questo almeno.” Bucky si alzò di scatto dalla sedia
della cucina, il volto furioso e pronto all’attacco. “Che cosa c’è che non va?!
Non posso vederti in questa condizione! Mi fa male… qui.” Portò la mano
all’altezza del petto e strinse il tessuto della camicia di cotone. “Ti prego
non rendere la cosa più complicata.” “Sei tu che la porti a diventare così!
Steve io sono tuo amico… io ci sarò sempre per te, non credere che non lo sia.”
Steve mandò giù a vuoto, gli occhi bruciavano tremendamente e non avrebbe
voluto piangere davanti a Buck come un bambino di sei anni. “Questa volta è
diverso Buck, non posso fidarmi di nessuno.” Buck strinse la mandibola e poi
diede un calcio vigoroso alla sedia. “Io davvero…” “Basta!” Steve urlò con
rabbia e dolore mescolati. “Perché non capisci che non hai diritto di sapere la
verità?! È così difficile fartelo entrare in testa?!” Gli occhi si gonfiarono
di lacrime e poi Steve diede le spalle a Buck, abbassò la testa verso il
pavimento e vide scendere alcune lacrime che poi si frantumarono sul parquet
scuro. “Steve…” Buck si avvicinò a lui, gli avvolse le spalle con entrambe le
mani cercando di consolarlo ma Steve si ritorse come scottato da quel contatto,
lo guardò come un animale braccato, segnato al suo destino. “N-non mi toccare.”
Una lacrima gli scivolò lungo la guancia e andò a nascondersi dentro il
colletto della maglietta. “Stevie… non fare così.” Lo prese tra le sue braccia
e lo cullò dolcemente, lo strinse forte a sé non gli sarebbe importato se
avesse cercato di protestare. “Dimmelo ti prego. Non posso guardarti soffrire
senza fare niente.” Steve tirò su col
naso e si asciugò col dorso della mano le ultime lacrime. “Io… non credo che…”
Bucky lo guardò amorevolmente. “Non me ne vado.”
Attimi di silenzio, era veramente necessario dirglielo? James
era da sempre suo migliore amico, compagno di avventure indimenticabili e
l’angolo dei muri della sua vita. Steve sapeva per certo che non avrebbe voluto
distruggere il loro rapporto di amicizia, si sarebbe odiato. “S-sono… s-sono
innamorato di te.” James si pietrificò davanti a lui, non muoveva un arto,
Steve si morse la lingua due secondi dopo averlo detto. “No Steve… non p-puoi…
è-è…” Per la prima volta vide Bucky disorientato, incapace di fare altro se non
impallidire davanti a quella cosa, erano bastati dieci secondi per distruggere
un’amicizia di quindici anni. Lo vide fuggire via. Quando uscì dall’appartamento,
la porta sbatté fragorosamente e Steve riuscì solo a sentire i passi sempre più
distanti dell’amico. Ora sarebbe dovuto sopravvivere.
Brooklyn, 1 giugno 1936
Erano passati diversi giorni dall’ultima volta che Steve
aveva visto Bucky. Ora era seduto in cucina, mangiava un piatto di riso
scondito bagnato dalle sue lacrime salate. Gli occhi erano fissi sul piatto, non
osava alzarli verso l’alto nella paura di incrociare con lo sguardo la loro
foto attaccata al muro. Quando finì il piatto, si preparò per andare a fare un
giro, non aveva voglia di marcire in casa affogando in lacrime ormai
inesistenti e in gran parte abbandonate sul cuscino di camera sua. Infilò il
giaccone e giunto davanti specchio notò lo sguardo sconvolto, provato da
emozioni di cui non era a conoscenza. Prese la sciarpa avvolgendola intorno al
collo e poi uscì, aveva bisogno di aria pulita e di bourbon, non poteva vedere
altra via di fuga se non quella di bere. Passò accanto al parchetto, dove
solitamente trascorreva le sue giornate con Bucky, il dolore di quel ricordo lo
colpì nel profondo e dovette strusciarsi più volte il dorso della mano sugli occhi
per accertarsi che non stesse piangendo.
Il negozio di alcolici di Brooklyn era un luogo polveroso,
gestito da un uomo sciupato dagli anni e dai denti ingialliti per le troppo
sigarette accese. Le bottiglie erano riposte sulle mensole, ancora nel loro
involucro e intatte. Steve notò il bourbon, ne prese una bottiglia e poi
appoggiò questa sul bancone. L’uomo sbucò da dietro una tenda, un sigaro cubano
penzolava dalla sua bocca e lo sguardo impassibile. “Questa per favore.” Steve
pagò in fretta preoccupato che il proprietario potesse tirare fuori una
rivoltella da un momento all’altro e sparargli. Uscì fuori dal negozio e tornò
sui suoi passi, avrebbe portato il bourbon a casa e poi sarebbe andato al
mercato per comprare il cibo per la settimana.
La strada del mercato era stata sempre affollata. Gente di
ogni genere che tastava, confrontava i prezzi di ogni bancarella o peggio che
si urlava in faccia minacciando di chiamare le forze dell’ordine. Steve camminò
veloce tra le persone, evitando di non essere schiacciato dalla folla barbara.
“Rogers!” Si voltò di scatto e notò Brock Rumlow che
camminava a passo svelto verso di lui. Deviò subito per una stradina, non era
in vena di affrontarlo, era troppo debole. “Dove pensi di andare?!” Si sentì
preso per la spalla e sbattuto contro il muro di un palazzo. “Senti… mi hanno
detto che hai mancato di rispetto a Jake… sai queste sono semplici voci di
quartiere ma poi il mio fratellino è tornato a casa con un occhio nero e questo
mi ha fatto pensare che il tuo amichetto l’abbia potuto picchiare.” Steve lo
interruppe. “Se lo stai cercando non so dove sia.” Rumlow rise, una risata di
disprezzo. “Vedi, il problema non è il tuo amico, sei tu che mi risulti un
sassolino nella scarpa, ti salvi sempre il culo. Oggi la purga la prenderai
però.” Steve schivò per un pelo il pugno di Rumlow che andò a infrangersi sui
mattoni duri. “Cazzo!” Scappò, correndo il più veloce possibile, le gambe erano
intorpidite per la paura e il fiato iniziava a essere corto. Continuò nella sua
corsa senza arrendersi, sentì i passi pesanti e ritmati di Rumlow sempre più
vicini e per un attimo pensò che non ce l’avrebbe fatta.
Tornò sulla via di casa con un occhio nero, il labbro
sanguinante e il volto tumefatto, senza dimenticare il lancinante dolore che
proveniva dalle costole. La Brooklyn della notte era totalmente diversa da
quella diurna, gli anziani del mercato erano sostituiti da giovani frizzanti e
pronti a divertirsi. Il suo viso venne più volte squadrato male dai sui
coetanei che appena passatolo cominciavano a parlare di lui. “Steve!” Una voce
femminile lo chiamò e quando alzò viso vide la ex ragazza di Bucky. “Dio che ti
è successo?” Nella sua compagnia notò il berretto scintillante di James,
abbassò lo sguardo alla svelta, non era pronto a rivederlo senza piangere.
“Niente…”
“Non stai di certo bene! Fatti aiutare.” Steve le rivolse
un’occhiataccia e poi si scansò da una parte continuando la sua passeggiata.
“Sta veramente male.” Sentì la sua osservazione mentre si allontanava sempre di
più.
Tornato a casa, si abbandonò a una camomilla e a una canzone
di Darin. Sotto le coperte steso sul divano, cercava di rilassarsi il più
possibile, le ferite dolevano ancora ma almeno era riuscito a rimarginarle con
disinfettante e cerotti. Sapeva per certo che non sarebbe stata più la stessa
cosa con Buck a fianco, ma poteva resistere, lo aveva sempre fatto nei momenti
di difficoltà e questa volta non sarebbe stato differente. Anche se la verità
era che gli mancava da morire, i suoi sorrisi e i suoi occhi, c’era un tempo in
cui poteva osservarlo provando solo semplice amicizia ma da un momento
all’altro quelle due pozze blu lo avevano mandato in confusione, le gambe
diventavano deboli e il cuore sembrava sul punto di esplodere.
Bucky, d’altro canto, non sapeva cosa pensare di tutta quella
storia, era terribilmente terrorizzato dalla dichiarazione di Steve, non si
sarebbe aspettato di certo una cosa del genere eppure il dolore che provava era
ben altro che la paura, si sentiva tremendamente in colpa, come aveva potuto
assicurargli che non sarebbe scappato quando aveva fatto l’esatto contrario?
Aveva promesso che ci sarebbe sempre stato per lui, che non l’avrebbe mai
lasciato. Era un mostro, aveva rotto il piccolo cuore della persona più cara a
sé. Lo amava, con tutto il cuore, innamorarsi di Steve era stato facile, ma la
verità era così grande che gli aveva incusso timore ed era fuggito come un
animale. Forse aveva pensato di salvarlo facendogli capire che fosse sbagliato
quello che egli stesso provava, ma avrebbe desiderato tanto poggiare le sue
labbra su quelle di Steve, avrebbe desiderato tanto farlo.
“Ehi Buck a che stai pensando?” La voce di Connie gli giunse
alle orecchie improvvisamente facendolo ritornare alla realtà. La ragazza lo
guardava con i suoi grandi occhi azzurri e gli sorrideva. “A niente Connie,
sono solo stanco, che ne dici se ti riaccompagno a casa?” La giovane bionda lo
guardò in malo modo. “Fa come vuoi.” Camminò avanti impettita senza degnarlo di
uno sguardo per tutto il tempo.
Steve sbarrò gli occhi di colpo, svegliato da un bussare
prepotente alla porta. La radio era ancora accesa e notò che aveva ancora
indosso gli indumenti quotidiani. Strisciò fino alla porta, era esausto e
ancora dolorante. Quando aprì la porta, si bloccò di colpo, ogni membra ferma
nella sua posizione. “Ehi Steve…” Bucky lo guardava negli occhi, un piccolo
sorriso triste passò sul suo volto. Silenzio. “Io… io volevo solo… beh sai…”
Steve lo interruppe, era già scocciato di quella situazione. “Non c’è bisogno
che tu ti scusi.” La voce era fredda anche se nel profondo terribilmente
ferita. “Mi dispiace di essere scappato…” Steve lo guardò con astio, pensava di
ridursi a piangere invece stava reagendo in maniera del tutto opposta. “Bene…
hai altro da dire?” Come poteva trattarlo in quel modo? Era Bucky dannazione! “Steve
ti prego, non voglio che la nostra amicizia sia gettata via per questo.” Il
biondo serrò la mascella, era terribilmente arrabbiato e al tempo stesso voleva
abbracciare Buck. “Buck…” Pronunciare il suo nome si prospettò un’impresa
ardua. “Non complicare le cose… io…” La maschera era calata, troppo presto
forse, Steve voleva combattere ma a ogni parola, Buck lo annientava. “Stevie…”
Fu quel nome a farlo desistere completamente, cominciò a piangere
silenziosamente cercando di non farglielo notare. James allungò la mano verso
il suo volto, gli accarezzò una guancia dolcemente. “Perché lo fai?” Steve lo
chiese con una voce rotta dal pianto. “Perché sono innamorato di te Stevie, ero
solo spaventato.” Il minore scosse la testa, era una menzogna. “Non dirlo. Non raccontare
bugie.” Bucky si avvicinò a lui, lo avvolse tra le sue braccia e lo strinse a
sé. “Non sto mentendo Steve.” Steve allungò le mani verso il suo corpo e tirò i
lembi del cappotto. Gli era mancato.
“Mi sei mancato Buck.” Tirò su col naso e si asciugò le
ultime lacrime. “Anche tu Stevie.” Quando l’abbraccio terminò, continuarono a
stare vicini. Bucky fissava intensamente le labbra di Steve mentre inumidiva le
proprie. Si avvicinò lentamente e quando le labbra si sfiorarono nessuno dei
due si ritrasse da quel contatto, le lingue si scontrarono ripetute volte smaniose
di sentirsi sempre di più. Continuarono così per interminabili secondi e quando
l’ossigeno terminò del tutto, dovettero staccarsi, il fiato corto e le labbra
gonfie.
Si guardarono, si analizzarono e poi Bucky sorrise per poi
ritrovarsi a ridere come un cretino. Steve lo osservava, tra il confuso e il
divertito. “Ti ho davvero baciato?” La domanda del moro risultò parecchio
strana alle orecchie del biondo. “Credo di si…” Bucky si allontanò due secondi
fece un breve giro circolare intorno alla stanza e poi si fiondò di nuovo su
Steve assaporando il suo dolce sapore. Il minore fu colto alla sprovvista da
quel contatto ma si sciolse due secondi dopo godendo delle attenzione di James.
“Che hai fatto?” Steve abbassò il capo. “Rumlow, ma non ti
preoccupare, è tutto okay.” Bucky si morse un labbro e accarezzò la pelle
emaciata di Steve. “Avvertimi quando accadono certe cose.” Le parole di James
erano cariche di preoccupazione e al tempo stesso di dolcezza, ancora non ci
credeva che tutto questo fosse accaduto. “Tu… non fare il ragazzo premuroso.” Steve
lo riprese bonariamente ma poi arrossì per quel termine. “L’ho sempre fatto e
non smetterò, piccoletto.” Il biondo lo guardò con aria infastidita ma poi
cominciò a ridere, era troppo bello quello che stava accadendo.
Sarebbero passati giorni, mesi e anni ma Bucky sarebbe stato
sempre il suo mondo, anche quando la guerra se lo sarebbero portato via per
mesi interminabili. Steve lo amava, era un sentimento troppo grande perché potesse
esprimersi a semplici parole, nemmeno i gesti sarebbero potuti bastare per
dimostrarlo.
“Piccoletto è piuttosto insopportabile come nomignolo.”
“Preferisci Stevie?”
“Di certo è meglio dell’altro.”
“Mmm…. Okay Stevie…
allora vieni qua e fatti coccolare un po’.”.