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Autore: marta_bilinski24    03/03/2016    2 recensioni
Tratto dal primo capitolo: “Derek non sapeva come fosse potuto accadere. […] si ritrovava prigioniero del suo stesso corpo, senza la più pallida idea di come recuperare le sue normali funzioni umane. […] Derek era diventato un lupo completo e non sapeva più come tornare un uomo.”
Se non vi bastasse un wolf!Derek aggiungeteci un dogsitter!Stiles e state a vedere cosa succederà!
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cora Hale, Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note iniziali: Ciao a tutti! Non ho molto da aggiungere a questo capitolo, volevo solo dirvi che è il penultimo, ovvero il prossimo, il decimo, sarà quello finale!

Spero che come sempre vi piaccia, buona lettura! Al prossimo (e ultimo) aggiornamento!

 

 

 

 

CAPITOLO 9: Quel che sarà di noi

 

Derek si era svegliato con un’insistente emicrania che gli opprimeva le tempie; non poteva aspettarsi nulla di diverso dopo la giornata che aveva trascorso. Come prima cosa, alzandosi dal divano dove aveva dormito, prese il cellulare di Cora, che ancora riposava nella sua camera. Si sentiva indolenzito e i suoi muscoli erano perennemente in tensione, non riusciva a rilassarsi, non poteva farlo. Sbloccò il telefono della sorella con cuore in gola; desiderava così tanto trovare una chiamata o almeno un messaggio di Stiles. Voleva solo sapere come stava, voleva solo sapere se aveva pensato a ciò che era successo, voleva sapere se aveva pensato a lui. C’erano due chiamate e tre messaggi: Derek rimase a lungo a fissare lo schermo delle notifiche, cercando di togliersi di dosso quella sensazione di attesa, quel desiderio, quell’illusione che ci fosse una traccia di Stiles. Anche un messaggio in cui si licenziava, sarebbe già stato un contatto. Il fatto era che Derek non doveva illudersi, non voleva sperare e trovarsi deluso, voleva essere distaccato. Ma non poteva farcela, non poteva chiedere una cosa del genere a se stesso.

 

Decise che avrebbe prima aperto la lista delle chiamate: una era della migliore amica di Cora e l’altra di un numero sconosciuto. Derek incassò il primo colpo, cercando di esalare un respiro che gli bruciò i polmoni. Proseguì aprendo la cartella dei messaggi, le chat aperte erano due: una di un compagno di scuola di Cora (Derek aveva notato che si stavano stuzzicando da un bel po’) e una di un numero sconosciuto, lo stesso che l’aveva chiamata. Il messaggio cominciava con “Allora cos’è successo con Der…” ma non aveva potuto aprirlo per leggerne l’intero contenuto perché la sorella l’avrebbe scoperto subito. Era quasi certo, però, che quel Der stesse per Derek; sarebbe arrivato al fondo della questione. Tuttavia decise che avrebbe affrontato quel discorso con Cora più tardi, voleva capire se stava succedendo qualcosa di cui lui non era a conoscenza. Mentre era rimasto imprigionato nel suo corpo, Cora aveva portato avanti le ricerche ma non aveva riferito pressoché nulla a Derek; ora che era tornato umano voleva capire cos’era successo. In quel momento però la sua mente era occupata da altri pensieri: non c’era traccia di Stiles nel telefono di Cora, non si era fatto sentire, Derek non avrebbe nemmeno saputo dove cercarlo. Ma cercarlo era fuori discussione, se non si era fatto vivo voleva dire che non voleva essere rintracciato e per quanto fosse straziante l’attesa (Derek non sapeva nemmeno se sarebbe stata un’attesa o una condizione definitiva) lui doveva rispettare la scelta di Stiles. Crollò sul divano, appoggiando con la mano tremante il cellulare di Cora sul divano.

 

Derek sapeva che non doveva farlo, sapeva che era sbagliato e scorretto eppure non aveva potuto trattenersi dal farlo. Dopotutto la decisione che aveva preso era drastica e almeno voleva lasciare un ricordo, per quanto potesse essere freddo. Aveva sentito Cora rigirarsi nel letto un paio di volte, segno che ormai stava per alzarsi; non aveva molto tempo se voleva farlo. Prese di nuovo il telefono della ragazza, lo riappoggiò sul divano e lo riprese in mano. O adesso o mai più, si disse mentalmente, mordendosi il labbro inferiore e decidendosi finalmente a sbloccare la tastiera. Scorse rapidamente la rubrica della sorella, sentendosi terribilmente in colpa; questo però non lo fece desistere. Magari non l’avrebbe usato, ma almeno sapeva di averlo. Si fermò sulla lettera “S” e trovò a colpo sicuro la scheda del contatto di Stiles. Si bloccò davanti alla foto che Cora aveva associato al ragazzo: erano lui e Stiles, sotto il loro pino. Stiles sorrideva spensierato guardando la fotocamera interna che aveva utilizzato per catturare quello scatto; il ragazzo faceva l’occhiolino, indicando divertito Derek che dormiva sul suo stomaco. Derek non sapeva nemmeno che Stiles avesse scattato quella foto, chissà di quante altre non era a conoscenza. Una fitta al cuore gli trapassò il petto, ricordandogli quello che stava per fare. Frettolosamente trascrisse il numero di telefono sul suo cellulare, decidendo per il momento di salvarlo come “S.”. Quando Cora arrivò in cucina Derek stava alzandosi dal divano, strofinandosi gli occhi che gli pizzicavano, tenendosi la testa e sentendosi dannatamente sporco e colpevole. 

 

Cora annusò l’aria appena entrata in salotto, a pieni polmoni, per capire com’era la situazione quella mattina. Rilevò che l’umore di Derek non era poi così cambiato, la tristezza pervadeva ancora quella stanza, impregnandola allo stesso tempo anche di malinconia e senso di colpa. Un classico di Derek. Doveva assolutamente parlare con lui, provare a fargli vedere la situazione da un altro punto di vista. Quando vide che il suo cellulare era sul divano e non sul mobile del soggiorno dove lo aveva lasciato la sera prima, Cora si bloccò e fissò il suo sguardo prima sul telefono e poi su Derek. «Cosa ti serviva che non potevi chiedere a me?» sputò, diretta e un po’ irritata. Derek la guardò tentando di assumere uno sguardo perso e innocente, fallendo miseramente; Cora sembrava parecchio seria e ciò mise Derek sulla difensiva, ma decise di non aprire ancora bocca, non aveva scuse. «Sai che non ho segreti con te, ma questo non vuol dire che io non abbia una privacy. Per piacere, Derek, vuoi dirmi cos’hai cercato?» insistette la ragazza. «O cos’hai trovato, vista la tua faccia…» esalò abbassando la voce, cominciando a pensare alla questione dell’Alpha. Passarono ancora alcuni momenti di silenzio, in cui gli occhi di Derek non lasciarono lo sguardo di Cora, alla ricerca del punto da cui iniziare. Alla fine decise di partire prima dalle spiegazioni che la sorella gli doveva (o quantomeno che lui voleva) a proposito di quel numero sconosciuto che la chiamava e le lasciava messaggi. «Chi hai contattato quando sono diventato lupo?» Derek aveva pensato che essere diretti sarebbe stata la cosa migliore da fare.

 

 «Sediamoci» lo invitò Cora indicando il divano. Derek prese posto accanto a lei, un po’ più distaccato rispetto al solito, tenendo ancore le spalle in tensione. «All’inizio ho pensato di poter fare da sola. Ho consultato tutti i libri di mamma, ho fatto ricerche su internet, ho cercato informazioni ovunque. Ma conosci internet, è tutto troppo poco sicuro, le informazioni possono essere facilmente distorte, ingigantite, modificate a seconda dell’uso che se ne vuole fare. A quel punto le notizie sul caso erano poche e le certezze quasi nulle.» Cora fece una pausa, indecisa sul modo in cui proseguire, sapeva che il fratello era contrario alla linea d’azione che aveva perseguito lei. Ma lei che poteva fare?? Era stata lasciata sola in una questione così cruciale, aveva dovuto scegliere da sola! E qualcuno ogni tanto si poteva anche ricordare che lei aveva solo diciott’anni?! Cora inspirò profondamente e, abbassando gli occhi e la voce, disse «Ho preso la rubrica di mamma e ho chiamato un Alpha, quello più accreditato dopo…» la ragazza deglutì rumorosamente, per evitare di dover completare la frase. «…gli ho chiesto un incontro, ecco perché sono stata via questo weekend, per capire se nel suo branco o nella sua esperienza aveva mai avuto a che fare con questo genere di avvenimenti» concluse tutto d’un fiato Cora, come a togliersi il peso di quella confessione. Solo allora alzò lo sguardo sul fratello, per saggiare la sua reazione alla notizia. Derek teneva ancora le spalle contratte e aveva sbiancato le nocche per la forza con cui stringeva i pugni, posati sopra le ginocchia. Teneva gli occhi puntati verso l’ingresso, nel vuoto, e si vedeva facilmente che stava cercando di rallentare il respiro sbuffando deciso dalle narici. Ma non apriva bocca. Quel silenzio stava uccidendo Cora.

 

«Sai che io non l’avrei mai fatto, vero??» disse infine Derek, con un tono un po’ di alto di quello che avrebbe voluto usare in realtà. «Ma posso capire, eri sola, in un momento in cui chiunque sarebbe andato fuori di testa. Tu invece hai preso la situazione in mano, hai affrontato il problema di petto, hai cercato le soluzioni e ti sei fatta in quattro. E hai fatto tutto questo per me. Non mi importa il fatto che io avrei agito diversamente, probabilmente con la mia testardaggine non saremmo arrivati da nessuna parte. L’importante è che tu l’hai fatto per me e io non posso che ringraziarti ed essere fiero di te» concluse Derek, con la voce leggermente incrinata. «Mamma sarebbe stata fiera di te» aggiunse infine in un soffio. Cora lo abbracciò con tutta la forza che aveva, stringendo con una mano il bordo della maglia di Derek dietro il collo, mentre nascondeva gli occhi nell’incavo del suo collo, per non fargli vedere le lacrime che le erano salite agli occhi.

 

Nessuno disse più nulla dopo quel lungo abbraccio, entrambi i fratelli sapevano che c’era bisogno di riordinare un po’ i pensieri nel silenzio della propria interiorità. Cora si avviò in cucina, mise a scaldare la macchina del caffè e si appoggiò stanca al bancone, dove Derek si stava appollaiando mogio. Doveva parlare, oppure sarebbe scoppiato. Tenendo lo sguardo sul tavolo di legno aprì finalmente bocca. «Sto per partire, sai il perché. Non voglio chiederti di seguirmi, non potrei mai farlo. Qui hai la tua vita, le tue amicizie, i tuoi amori. Non voglio portati via più di quello di cui la vita ti ha già privata. Se vorrai resteremo in contatto, se vorrai mi raggiungerai. Potrei stare via giorni o anni, io ora non so stabilirlo. Ma quello che so è che ho bisogno di staccare da questo posto dove i ricordi mi stanno divorando» prese fiato solo alla fine, senza riuscire davvero a respirare. «Se qui ti divorano i ricordi da un’altra parte ti divoreranno i rimorsi. Sono contraria ad ogni parola che hai appena detto ma non ho alcun potere di fermarti. Sapevo che avresti fatto così, ormai ti conosco, non sono serviti i miei sensi sovrannaturali per leggerti dentro stamattina. Ieri sera eri disperato, ma stamattina la rassegnazione era la grande protagonista dei tuoi occhi. Sappi che non ti supporto, penso sia la peggior scelta della tua vita. Scelta di cui ti pentirai ogni minuto dal momento in cui varcherai il confine della contea» qui Cora fece una piccola pausa, «ma sei mio fratello per cui se vorrai sarò sempre qui, ad aspettarti, ad accoglierti a braccia aperte. Perché la nostra casa siamo noi, la nostra famiglia siamo noi e il tuo posto è qui». La stanza ripiombò nel silenzio, un silenzio che era il preludio di un addio. Derek allungò la mano sul tavolo per raggiungere e stringere forte quella di Cora. Non c’era altro da aggiungere.

 

Cora era andata per schiarirsi le idee a far colazione fuori, al bar poco lontano che lei e il fratello frequentavano ogni tanto e dove c’era un’insistente cameriera che da anni faceva il filo a Derek, irritandolo parecchio. Intanto a casa Derek si preparò una borsa, i vestiti che aveva nell’armadio non erano molti; non sapeva se e quando sarebbe tornato ma non svuotò completamente la sua camera, voleva dare una speranza a Cora. O voleva darla a se stesso, questo Derek non seppe deciderlo. Piegò accuratamente tutto, raccolse alcuni libri di Talia e li mise da parte; prese la sciarpa che Cora gli aveva fatto a ferri l’inverno prima e la mise da parte con delicatezza, accarezzando le fibre che pungevano un po’ sotto le sue dita. Alla fine prese anche la felpa che si era messo Stiles la mattina in cui si era fermato a dormire all’appartamento: potevano davvero essere passati solo un paio di giorni? Rimase indeciso con quell’indumento in mano, mentre riaffioravano di nuovo i ricordi…e poi non poté fare a meno di portarla al viso, di affondarci il naso e respirare a pieni polmoni. Faceva un male del diavolo ma continuava a farlo, anche se i polmoni bruciavano, non poteva staccare dal viso quel pezzo di stoffa, non poteva staccare dal cuore quel ragazzo. Ma era proprio per questo che partiva. Non poteva dimenticarlo ma avrebbe provato a farsi dimenticare. Si appuntò mentalmente di non lavare mai quella felpa. Una volta chiusa la zip del borsone, Derek si sedette sul letto: sapeva benissimo qual era il passo successivo, aveva elaborato quel progetto tutta la notte e non poteva saltare quella parte. Solo che era la parte più difficile e dolorosa. Tirò fuori dalla tasca il cellulare, ritrovò il contatto “S.” salvato quella mattina e cominciò a digitare un SMS.

 

Sto partendo. Troppo crudo, Stiles meritava molto di più. Cancellò.

Devo andare. Non cercarmi. Dimenticami. Perdonami, se puoi. Cancellò di nuovo e si passò una mano sul viso sospirando.

Ho bisogno di smettere di far soffrire la gente, è una mia brutta abitudine. Derek Hale al 100%.

Vorrei non averti ferito come faccio sempre con tutti. Ancora Derek Hale, c’era la sua firma ovunque.

Ho sperato davvero che con te sarebbe andata diversamente. Come si fa a dire che si è innamorati e che si sta mollando tutto proprio per questo?

Ma forse non merito la felicità da questa vita. Aggiunse.

Chissà se ti incontrerò di nuovo in un’altra vita: io ti riconoscerò, ne sono certo. Forse tu no, o forse farai finta di non riconoscermi e io non potrò fare altro che accettare la tua decisione e darti ragione. Poteva sembrare sciocco ma ci credeva davvero. Anche se alla fine cancellò di nuovo l’intero testo del messaggio. Voleva scrivere che con lui aveva trovato la sua casa, ma avrebbe rovinato la vita di Stiles. Di vita rovinata gli bastava la sua, non voleva coinvolgere nessun altro, non poteva permetterlo.

Vado fuori città, forse per ora, forse per sempre. Non avrei mai dovuto coinvolgerti in tutto questo e non potrò mai perdonarmi per quello che ho fatto. Non posso chiederti di perdonarmi, posso chiederti di dimenticarmi, di vivere i tuoi giorni migliori con le persone che meriti accanto. Una sola lacrima bagnò lo schermo del cellulare. Forse era l’ultima che gli era rimasta.

Sappi che io non dimenticherò, non dimenticherò nulla. Avrei solo voluto essere diverso, migliore, più adatto a te. Avrei voluto portare solo il sorriso sulle tue labbra. Derek dovette fermarsi un attimo prima di scrivere la frase finale.

Avrei voluto essere per te quello che sei stato per me: la possibilità di essere felice di nuovo. La meritavi. Rimase a lungo di fronte a quelle parole, senza riuscire a premete il tasto “Invia”. Le osservò così a lungo che le imparò a memoria. Se le scandì nella sua mente, si immaginò Stiles a leggerle. Immaginò la sua voce, quella calda voce, quelle voce che avrebbe voluto ascoltare per sempre. E che invece non avrebbe ascoltato più. Sul domani non ti viene sottoscritta nessuna assicurazione, probabilmente questa doveva essere la frase che caratterizzava l’intera vita di Derek Hale.

 

Quando finalmente riuscì a premere il tasto “Invia” si lasciò cadere sfinito sul letto, con gli occhi chiusi. Lasciò andare un respiro che aveva trattenuto da troppo tempo, ma un secondo dopo gli si bloccò in gola. Un rumore. Poteva essere un rumore qualsiasi. Ma Derek sapeva che non lo era, quella era la suoneria di un cellulare. Quella era la suoneria di un messaggio su un cellulare. Quella era la suoneria di un messaggio sul cellulare di Stiles. Quella era la suoneria di un messaggio sul cellulare di Stiles da parte di Derek. Quella suoneria proveniva dal suo pianerottolo, il suo udito da lupo glielo poteva garantire. Il suo cuore perse un battito prima che il cervello gli ordinasse una sola cosa: andare alla porta dell’appartamento.

 

Ma come faceva ad essere davanti alla sua porta? Derek poteva accettare di non aver sentito la Jeep arrivare, era completamente assorbito dallo scrivere quel dannato messaggio. Oppure poteva essere arrivato a piedi. O forse lo aveva accompagnato qualcuno. Chi si permetteva di accompagnarlo? Derek non si rese nemmeno conto di quante supposizioni stava facendo, stringendo spasmodicamente la maniglia della porta d’ingresso, incapace di muovere un altro muscolo, paralizzato. Non era una cosa a cui Derek era abituato, andare nel pallone ed essere bloccato non era da lui, non sapeva come reagire e si stava agitando. Cosa doveva fare? Finalmente decise di abbassare la maniglia, ma prima di riuscire ad aprire la porta una voce lo bloccò di nuovo sul posto. «Ho appena letto il tuo messaggio, Derek». Derek aveva cercato di ripetersi in testa quel tono di voce per tutta la notte, ma non era mai riuscito a sentirlo così chiaro. Si era arreso al fatto che non l’avrebbe più riascoltato e ora giungeva alle sue orecchie come una frusta. Nonostante fosse l’unico suono che volesse davvero sentire in quel momento, le parole gli bruciavano dentro come fuoco acceso, come un marchio, come una ferita aperta e sanguinante. Stiles era andato da lui; non importa con che intenzioni, Stiles era andato da lui ed era l’ultima cosa che Derek si aspettava perché lui non l’avrebbe mai fatto in quella situazione. Derek nella stessa situazione sarebbe scappato. Come stava facendo nella situazione attuale. Derek sapeva solo scappare, accusarsi di tutto e chiudersi in se stesso, ferendo se stesso e tutti quelli che lo circondavano. Era l’unica cosa che sapeva fare. Stiles invece era alla sua porta, era lì per lui; forse era lì per dirgli che non voleva più parlargli e voleva tirargli un pugno; forse voleva solo dirgli quanto gli aveva fatto male e quanto non avrebbe più voluto avere a che fare con lui. Ma almeno Stiles era lì, era lì per lui. Forse per la prima volta Derek capì che Stiles era la parte migliore di lui.

 

Stiles aveva letto il messaggio, sapeva che Derek voleva andarsene e Derek aveva potuto sentire la sua delusione dal tono di voce, senza nemmeno averne la certezza annusando l’aria. Aveva deluso Stiles, aveva deluso se stesso. Gli aveva fatto del male e continuava a non riuscire a rimediare; sentire dolore e delusione nel timbro di voce di Stiles era probabilmente la peggiore delle sensazioni che il lupo potesse provare. Passarono lunghi secondi di silenzio, in cui ognuno dei due calibrava la mossa successiva e cercava di prevedere quella dell’altro. Erano in bilico su un baratro, camminavano su una corda tesa tra due universi, opposti e in lotta, ma proprio per questo in perpetua attrazione. Non era una cosa che decidevano loro, accadeva e basta. Derek si rese conto di avere ancora la mano stretta alla maniglia della porta e la spalla contratta, ma non osava muovere un muscolo prima di capire cosa avrebbe fatto Stiles. Dal canto suo, Stiles stringeva ancora in mano il cellulare, leggendo e rileggendo quelle righe di testo, cercando di scavarci dentro per trovare il Derek vero e cercando di evitare il Derek terrorizzato. Perché anche lui era terrorizzato e non sarebbero andati da nessuna parte in quel modo.

 

«Posso parlare?» Stiles ruppe il silenzio all’improvviso, ostentando abbastanza sicurezza, nascondendo un po’ la voce ancora incrinata. E prima che Derek potesse rispondere, aggiunse «Sì sì, è proprio un “posso” parlare, non “possiamo” parlare. Io sono quello logorroico, quindi lasciami fare ciò che faccio meglio. Tu scappi? Io parlo» lo disse un po’ piccato, ma non c’era traccia di risentimento nella sua voce. Derek era un po’ perplesso e non sapeva esattamente come fare ma capì che la cosa migliore era assecondare Stiles. «Allora tu ti siedi e io mi siedo…e io parlo. Ma la condizione inderogabile è una: non ci guarderemo in faccia, io ti parlerò attraverso la porta e solo alla fine decideremo se aprirla. Ci stai? Batti un colpo. Anzi facciamo due, altrimenti potresti anche essere collassato a terra per quanto ne so e questo discorso lo farò una volta sola» aggiunse deciso, cercando di sdrammatizzare la situazione. In effetti, il ragazzo poteva anche parlare ad un tono di voce abbastanza basso, il suo udito da lupo lo avrebbe sentito comunque attraverso la porta. Derek batté due colpi sul muro.

 

Derek sentì la schiena di Stiles scivolare pigramente lungo la porta mentre il ragazzo vi si appoggiava di peso. Lui invece preferì posarsi con la schiena contro lo stipite destro, reclinando la testa all’indietro e socchiudendo gli occhi per potersi concentrare di più sulla voce di Stiles. Lo sentì prendere un respiro profondo, trattenere un attimo il fiato e poi partire spedito. «Ti racconterò una storia. È una storia che conosci…da una certa prospettiva. Circa un anno fa era il mio compleanno. I miei amici mi avevano convinto a festeggiare in un bar gay, ma io non ne avevo nessuna intenzione. Ok, ho fatto outing, ma non mi volevo vendere proprio così, in un bar palesemente nato per incontrare persone del mio stesso sesso…e non solo incontrare. Sapevo che mi avrebbero fatto bere…e diciamocelo, ho diciannove anni, i miei ormoni avrebbero agito al posto del mio cervello. E sinceramente non volevo buttare via la mia dignità non ricordando nemmeno il nome della mia prima volta. Mi sono puntato e ho deciso di andare nel bar che conosciamo bene entrambi: si sa da chi è frequentato ma non è l’unico scopo della serata se vai a berti una cosa lì. Abbiamo fatto un paio di giri di drink fino a quando il mio amico Jackson non se n’è uscito con la storia che mi mangiavi con gli occhi da tutta la serata. Ho fatto finta di cadere dal mondo delle nuvole, ma come potevo non essermene accorto? Cosa credi, ti avevo puntato anch’io, non è cosa da tutti i giorni vedere un dio greco appollaiato al bancone, tutto solo, e che per di più ti lancia certi sguardi. Certi sguardi che se solo ci penso ho ancora i brividi lungo la spina dorsale. Non sono un tipo abituato a ricevere particolari attenzioni, sai.» Stiles fece una piccola pausa, solo per riprendere fiato e Derek avrebbe potuto giurare che dai piccoli rumori che aveva sentito si era anche umettato le labbra e passato una mano a scompigliarsi i capelli. «E così ho preso un altro sorso del mio drink e mi sono alzato dal tavolo dove stavo festeggiando. Non ero ubriaco, ma ti assicuro che senza quei due drink non avrei mai avuto il coraggio di fare quello che ho fatto. Ho cercato di mantenere la mia facciata sprezzante, ma hai capito subito che io in realtà sono molto diverso. Mi hai letto subito dentro, non so come tu faccia. Non penso di doverti dire nulla sul nostro bacio…» e qui Derek lo sentì chiaramente deglutire, anche perché a quel ricordo deglutì forte anche lui «…non avevo mai provato nulla del genere. Non me ne intendo di droghe ma penso che le tue labbra mi facciano un po’ quell’effetto stupefacente e di dipendenza. Quando te ne sei andato mi è crollato il mondo sotto i piedi. Quella volta sei scappato, non capirò mai perché ma non sono qui a chiederti il perché di quel gesto. Sono qui a dirti che l’hai fatto una volta ma non puoi permetterti di farlo di nuovo, non puoi spezzarmi il cuore due volte. Forse non sai quante notti ho passato alla finestra, a maledire quella luna silenziosa. Quella luna che magari stavi osservando anche tu. Quella luna a cui confidavo i miei segreti. Quella luna che magari custodiva anche i tuoi. Quella luna che non ha fatto nulla per farci incontrare di nuovo. Per un anno intero è stata la testimone silenziosa del mio dolore.» La pausa che si prese qui Stiles fu più lunga, come se stesse rivivendo quei momenti.

 

«Ho provato a riprendere in mano la mia vita, ho provato ad uscire, a svagarmi come facevo una volta. Ma c’era sempre qualcosa che mi mancava, mi avevi lasciato un vuoto dentro che nessuno poteva colmare. Poi, un giorno, dopo il diploma, ho deciso di reinventarmi: non volevo andare al college, io e mio padre non viviamo esattamente nell’oro. Mi andava bene restare qui, restare con lui, lasciarlo sarebbe stato troppo difficile. Sai, mia madre è morta ormai tanti anni fa, ma lui non l’ha mai dimenticata, soffre ancora della sua mancanza, ne soffriamo entrambi. E allora ho optato per il dog sitter: mi piacciono i cani, avrei avuto una retribuzione discreta per una cosa che mi fa piacere, avrei avuto abbastanza tempo libero. Più di tutto avrei occupato il cervello con qualcosa: dovevo smettere di pensare perennemente a te oppure sarei finito al manicomio. Nemmeno se me l’avessero detto avrei creduto al fatto che ti avrei incontrato di nuovo…in quelle condizioni. Quando ho varcato per la prima volta questa soglia» Derek lo sentì accarezzare malinconico la porta con la mano, come a ricordare quel momento «ero parecchio agitato. Probabilmente non devo nemmeno dirtelo: puoi sentire le mie emozioni, vero? Ho fatto parecchie ricerche, ben prima di conoscerti, è la mia passione. Scoprire tutto quello che si può scoprire, tutto quello che succede nel mondo, tutto quello che la gente non vuole raccontarti. Ti ho visto lì, con quegli occhi blu e ho capito che dovevo accettare questo lavoro, non c’era una spiegazione, dovevo e basta. Che altro devo aggiungere su quello che abbiamo vissuto insieme in queste settimane? Devo davvero dirti che non ero così sereno da tanto tempo? Che sentivo di aver trovato il mio posto? Che dopo un anno non ti avevo dimenticato ma riuscivo a sopravvivere alla distanza che avevi messo tra noi? Dovevo capirlo che questa distanza era in realtà il periodo più vicino che avessimo mai vissuto. Quando ho avuto quell’attacco di panico…non ne avevo uno così dalla morte di mia madre. Mi sono sentito impotente e svuotato. Mi è bastato un tuo sguardo, un tuo tocco: sei il mio collegamento con la realtà, io sono il palloncino e tu il filo che mi permette di non perdermi nell’immensità del cielo. Perché il cielo è stupendo, ma è spaventosamente grande». Stiles non sembrava particolarmente affaticato, ma si sentiva che certe volte alcuni dettagli del racconto gli pesavano, erano ricordi difficili da raccontare. Derek continuava a stupirsi di come quel ragazzo si stava aprendo, senza filtri, di come si stava donando completamente a lui: Derek non avrebbe mai dimenticato il calore che sentiva nel petto mentre Stiles parlava, nessuno aveva mai creduto così tanto in lui da consegnargli la parte più nascosta e recondita di sé. Ci fu un attimo di silenzio, in cui Stiles sembrava essere alla ricerca delle parole giuste per proseguire, probabilmente stava per arrivare alla parte più difficile del suo racconto. Derek ne approfittò per battere due colpi, a significare che era ancora lì. Stiles sbuffò una risata e ringraziò Derek per aver allentato la tensione.

 

«E poi è arrivato il bosco. Io non avevo idea di dove ti stessi portando fino a che entrambi non ci siamo accorti di cosa incombesse davanti a noi. Credimi, non ti avrei mai fatto del male deliberatamente portandoti in un posto così traumatico per te. Quando ti sei bloccato non potevo ovviamente capire tutto quello che stava succedendo nella tua testa, provavo a capire ma mi mancava il tassello fondamentale che legava la tua persona a quel lupo dagli occhi blu. Da un lato è stato come se l’avessi sempre saputo, sentivo nel profondo che avevi qualcosa di speciale, qualcosa che ti distingueva da tutti gli altri lupi. Nel momento in cui però avrei dovuto fare il passo in più per avvicinarmi alla verità il mio cervello si è bloccato: stavi piangendo. Non ho avuto nemmeno il tempo di reagire all’accaduto, ti ho preso istintivamente il muso tra le mani, ho cercato le risposte in quegli occhi in cui stavi rischiando di annegare. E poi è stato tutto surreale, in un attimo sotto le mie mani non c’era più un lupo nero ma un giovane uomo con la barba sfatta. In un attimo ho dovuto imparare che non ululi ma parli, che non hai gli oceani blu negli occhi ma i prati verdi, che non ti affezioni ma ami. E ho avuto paura di ogni cosa e del contrario di ogni cosa. Ho finalmente compreso perché tu ogni volta scappi, ho capito qual è il sentimento che si prova, l’idea che sia l’unica cosa che può proteggerti dal mondo e dalle cose che ti terrorizzano, dalle cose che ci terrorizzano. Ma non esiste sensazione più illusoria Derek, il vuoto che ti lascia dentro l’essere scappato non lo riempirai mai: vale sempre la pena di lottare. Ora io di paura non ne ho più perché so che anche se si spegnessero tutte le stelle nell’universo tu rimarresti la mia unica fonte di luce, per sempre».

 

Derek aveva smesso di respirare. Aveva smesso di respirare quando Stiles aveva pronunciato le ultime due frasi. Aveva sentito il cuore perdere un battito, poi un altro. A quel punto aveva trattenuto il respiro, involontariamente. Stiles dall’altra parte della porta aveva finito le forze e si mordeva disperatamente il labbro inferiore, in attesa almeno di una doppia bussata, per sapere che Derek aveva sentito, ascoltato, capito. Ma non arrivò nessun colpo sulla porta. Derek, restando seduto, alzò il braccio e abbassò la maniglia; la porta si aprì sotto il peso di Stiles che vi si era appoggiato. A quel punto il ragazzo cadde all’indietro, ma prima che andasse a sbattere con la testa sul pavimento, Derek lo prese al volo, si avventò sulle sue labbra e respirò. Respirò per la prima volta dopo la notte in cui l’aveva baciato, respirò per la prima volta dopo che la sua famiglia era stata bruciata viva, respirò per la prima volta in vita sua.

   
 
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