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Autore: Malakia    03/03/2016    1 recensioni
Una Cacciatrice rifiuta il ruolo impostole dal Sogno e cerca un modo per tirarsene fuori senza perdere di vista la propria umanità. Ma la frenesia della Caccia è un richiamo al quale è difficile resistere...
[Ambientata dopo la boss fight con Father Gascoigne, affrontato prima del Chierico Bestia. Prendete per buono che molte scorciatoie sono già aperte e che altre aree invece non sono accessibili nonostante lo siano in gioco.]
Genere: Drammatico, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Il Cacciatore, Nuovo personaggio, Padre Gascoigne
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Violenza
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PREMESSA:
Sono anni che non scrivo una fanfiction, ma Bloodborne e la sua ambientazione straordinariamente complessa e Lovecraftiana mi hanno veramente rapita. Ho preso quindi questa storiella un po’ come una sfida, cercando di riproporre l’opprimente atmosfera di questo gioco esulando dalle meccaniche di gameplay e dando al tutto un taglio un po’ più realistico. La Cacciatrice, per esempio, non fa strage di migliaia di Belve ogni volta che mette piede fuori dal Sogno ma si limita a piccoli gruppi e non si lancia in mezzo ai nemici a cuor leggero nonostante la consapevolezza di avere respawn infiniti. Stessa cosa per quanto riguarda le interazioni con gli NPC che non sono per monosillabi ma vere e proprie conversazioni che esplorano il passato della protagonista e degli sventurati che la circondano. Nel fare questi approfondimenti, mi baserò il più possibile sulla lore del gioco e divertendomi ad unire i puntini con le mie personalissime teorie.
 
Per chi è curioso di sapere com'è il mio personaggio in-game, magari per immaginare meglio il suo stile di combattimento, ecco qua:
Build: Abilità/Arcano
Armi da fuoco: Evelyn/Fucile di Ludwig
Arma bianca: Bastone Filettato/Lame della Pietà
Incantesimi/Reliquie: Guscio di Spettro Vuoto + Guanti del Carnefice + Osso di Vecchio Cacciatore
 
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Mi trascinai sui gradini della Cappella di Oedon come una mendicante gettata nel fango dal lustro stivale di un principe crudele.
Yharnam è come lui, altera e bellissima al chiaro di luna eppure con un cuore così marcio.
Sangue, carne e icore invadono le sue strade sgocciolando fin nelle fogne ormai straripanti dell’orrore che infesta la città come fanno i vermi con una ferita infetta.
L’odore dell’incenso che aleggia appena fuori dal portone mi consente finalmente di respirare. Per quanto asfissiante, è un toccasana se paragonato all’aria dell’esterno che inaridisce i polmoni col suo tanfo di morte e corpi bruciati. Nessuno m’insegue e la piazza cinta di lapidi e statue è silenziosa, ma il sangue scorre copioso delle mie ferite, gli abiti inzuppati tanto del mio quanto di quello delle dozzine di belve che un tempo erano uomini che ho fatto a pezzi. Vacillo sulle gambe, una fitta al fianco mi piega in due dal dolore mentre in gola sento salire un fiotto di bile misto a sangue. Sto per crollare. Solo l’incenso sempre più appestante mi tiene sveglia come farebbero i sali profumati che si usano per riaccendere di rosa le guance pallide di una fanciulla svenuta.
Mai vi fu paragone più amaramente ironico di questo, perché si, un tempo anch’io sono stata una di quelle fanciulle.
Vestita di seta, coi capelli raccolti e un libro compostamente appoggiato in grembo.
Guardatemi adesso.
Guardatemi mentre m’aggrappo alla vita anche se so che non è nient’altro che un’illusione. So che se morissi tornerei ancora ed ancora perché come altri prima di me sono rimasta intrappolata nel Sogno del Cacciatore, il gioco perverso della Notte della Caccia.
Fato, maledizione, salvezza, rifugio… il Sogno è tutte queste cose messe insieme. Dovrei essere grata, dovrei provare conforto nel sapere che non morirò, non sul serio. Chi non sarebbe rincuorato da una simile certezza? La morte, l’ultima frontiera, la paura ancestrale della razza umana… per me ormai non è altro che un mito. Dovrei essere grata.
Ma non lo sono.
Odio quel posto, quell’isola idilliaca in mezzo alla bufera, gli occhi inespressivi della Bambola e il suo viso immobile. Odio Gehrman e il suo dare tutto per scontato, i suoi enigmi sussurrati a mezza bocca, il suo limitarsi a ripetere che un cacciatore deve cacciare e basta. Non farsi domande, non interferire, non ribellarsi.
Lei sarà anche un automa, ma il vecchio non è troppo diverso, solo un fantoccio senza consigli da offrire, senza risposte. Forse è questo in cui la Caccia veramente ti trasforma, non in una Belva ma in un burattino, un giocattolo rotto, abbandonato in quell’inquietante casa per bambole.
No, non voglio tornare al Sogno, nemmeno se questo dovesse significare morire sul serio, rinunciare alla sicurezza della mia resurrezione dopo ogni Caccia finita male. Preferisco agonizzare per ore su queste scale piuttosto che rinascere nuova, sana e forte in quel mondo fittizio.
 
Inciampo sui miei stessi piedi, il bastone filettato mi sfugge di mano rotolando giù per i gradini. Cado faccia in giù sul pavimento di pietra, figure nere s’accalcano immediatamente attorno a me, ma la mia vista è ormai appannata. Forse sono i Messaggeri, venuti come sempre a riportarmi al cospetto della Bambola.
Vi prego, lasciatemi qui. Tutto è pronto per il funerale, l’incenso già brucia e questo mantello strappato sarà il mio sudario. Lasciatemi qui. Non fatemi sognare.
Non voglio più sognare.
 
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-…Cacciatrice? –
- Zitto bestiaccia, la sveglierai! –
- Oh cielo! Non… non… io… non potrei mai perdonarmelo s-se… -
- È tutto apposto, starà bene, vedrai. E lei signora, moderi i termini e mostri un minimo di riconoscenza. È solo per merito suo se siamo al sicuro per la notte. –
- Baggianate! Scommetto tutto quello che vuole che la Straniera e il cieco sono in combutta. Chissà cos’hanno in mente di fare con noi dopo averci radunati tutti qui. –
- La Chiesa c’insegna che riporre fiducia nel prossimo è un rischio che dobbiamo correre, buon uomo. Non lasciate che il sospetto avveleni il vostro cuore. La Cacciatrice… lei lavora per la Chiesa della Cura, segue il verbo del Buon Sangue e ci ha salvati tutti quanti. Abbiate fede in lei come la ho io. –
- Che sia davvero alle dipendenze della Chiesa questo è ancora tutto da vedere. È quello che ha detto a voi per convincervi a venire qui, non è così? Scommetto che ha raccontato una diversa storiella a ciascuno di noi! Solo io non mi sono fatto fregare, no signora! A me, aveva indicato la Clinica di Iosefka come luogo sicuro, ma ho deciso di venire qui ad indagare di persona. Non mi faccio manipolare così facilmente, sa. –
- O forse la Cacciatrice sapeva che non le avreste dato ascolto e che avevate origliato la sua conversazione con me… -
- Pensate quel che volete, per quanto me ne importa! –
- C-credo… che si stia svegliando! Ooh, Cacciatrice! Bentornata tra noi, è un tale sollievo! –
 
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Mi tiro su a fatica, ho male dappertutto e la testa mi gira come dopo una tremenda sbornia ma sono… viva. Viva non perché il Sogno mi ha rimessa insieme pezzo per pezzo ma perché sono sopravvissuta. Perché qualcuno s’è preso cura di me mentre ero prima di coscienza. Guardo il curioso drappello di personaggi al mio capezzale e non riesco a trattenere un sorriso nonostante ogni muscolo del viso sia ancora intorpidito dagli antidolorifici.
Arianna è seduta accanto a me, la mano pallida che sbuca dalla manica del suo abito sgargiante si poggia sulla mia – State bene? –
Il Vecchio Bisbetico, come lo chiama scherzosamente lei, sbuffa dandoci le spalle per tornare al suo solito posto all’estremità opposta della Cappella. Ignorandolo, sposto lo sguardo su Adella appena in tempo per ammortizzare il suo improvviso slancio affettivo ed impedirle di rompere anche le poche costole che mi sono rimaste tutte intere. La suora mi abbraccia come farebbe una bambina con la madre che non vede da settimane, ma io sono stata fuori soltanto poche ore e, soprattutto, non sono certo sua madre. – Siano ringraziati gli Dèi! Ecco, ecco cara, prendete! Prendete ancora un po’ del mio sangue, bevete su! Vi rimetterà in forze! – dice con quella sua voce estatica, afferrando una fiala vuota ed iniziando ad arrotolare la manica sinistra dell’abito monacale per scoprire le vene bluastre del braccio.
- Diamine ragazza mia, ma non hai imparato proprio niente? Nessuna infusione di sangue quando si è sotto l’effetto di sedativi! – s’intromette la vecchia che per prima ho condotto in questo luogo, piantandosi le mani rugose sui fianchi.
- E poi, la C-Cacciatrice ha già assunto il vostro sangue ben due volte quest’oggi, signorina. Non vi affaticate… - balbetta timidamente il Custode della Cappella, chinandosi a sua volta su di me.
Solo in quel momento realizzo che è la prima volta che lo vedo stare in piedi e lontano dal suo angolino alla luce della lanterna. È più gobbo e minuto di quanto immaginassi, ma i suoi lineamenti distorti dalla contaminazione del Sangue sono rilassati in un sorriso tanto sincero quanto impacciato.
La Piaga delle Belve ha colpito e trasformato i cittadini di Yharnam in mille modi e anche se la maggioranza ricorda un branco di cani rabbiosi, altri hanno mantenuto un aspetto prevalentemente umano per quanto distorto. Il Custode è uno di questi, e il solo a non aver cercato di aprirmi in due con una mannaia incandescente appena ci siamo incrociati.
Anzi, sono stata io a puntargli la pistola alla tempia minacciando di fargli saltare le cervella.
Potete forse biasimarmi? Anche allora ero di ritorno da una Caccia ma la mia preda non era stata una Belva mutata oltre il punto di non ritorno ma un Cacciatore che aveva perso il senno.
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L’uomo caricava con la foga di un cane idrofobo ancor prima che la Bestia interiore prendesse il sopravvento tramutandolo in una creatura d’incubo.
Ma così come spero non biasimerete me per l’estrema cautela con cui trattai il Custode della Cappella, allo stesso modo io non mi sento in diritto di biasimare Padre Cascoigne. Non so niente di lui, eccetto quel poco che sono riuscita ad intuire dalle parole di sua figlia e dal corpo dilaniato che ho rinvenuto su un tetto poco dopo aver abbattuto il Cacciatore, ma il suo fato adesso non mi sembra più così tragico se paragonato al mio.
D’un tratto doveva essersi svegliato dalla frenesia della Caccia per scoprire d’aver ucciso sua moglie con le sue stesse mani e preda della disperazione e dell’odio s’era lanciato in una carneficina indiscriminata mietendo tutto ciò che incontrava sul suo cammino.
Mi piace pensare che soltanto la sua parte bestiale abbia lottato contro di me per la propria sopravvivenza mentre quella umana non aspettasse altro che ricevere il colpo di grazia. Per questo scoprii i miei occhi pieni di lacrime mentre crollavo in ginocchio accanto al corpo mostruoso di un padre che la morte aveva in parte restituito alle proprie sembianze umane. Le mani mi tremavano in modo incontrollabile mentre ruotavo la chiave di carica del carillon che sua figlia m’aveva affidato nella vana speranza che potessi arrivare in tempo per salvare i suoi genitori.
Così non era stato, e fu con il cuore a pezzi che mi lasciai alle spalle la Tomba di Oedon per raggiungere la Cappella mentre il carillon ancora tintinnava stretto tra le mani artigliate e ormai inermi dell’ex cacciatore.
Oh, la Cappella di Oedon… il solo luogo sicuro in tutta Yharnam.
Un luogo di pietra, stucchi e incenso, non un sogno popolato di spettri ma di persone in carne ed ossa. Un posto dove la moglie di Gascoigne avrebbe forse potuto sfuggire al suo destino e dove mi ero ripromessa che avrei condotto la piccola e ormai orfana proprietaria del carillon.
Era per questo che ero uscita a Caccia.
Volevo liberare la via, farmi largo fino alla casa della bambina e chiederle perdono. Ma Yharnam è un labirinto e i cittadini contagiati bloccano le strade con barricate di fortuna e costanti pattugliamenti. Non è facile ripercorrere i propri passi, non è raro essere costretti a deviazioni, a ritirarsi, ad attendere nei vicoli col fiato sospeso, sperando di non essere visti, pregando che il fetore delle carcasse in decomposizione copra l’odore così peculiare che abbiamo noi Cacciatori.
Yharnam è una trappola mortale e, proprio come dice il Vecchio Bisbetico, io sono solo una straniera. Non conosco i suoi misteri, non conosco le sue scorciatoie, i corridoi sicuri, le vie più facili.
Sono un naufrago in mezzo ad una tempesta di sangue e fuoco.
 
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Non ho mai raggiunto la casa dell’orfana, o meglio, quando ci sono arrivata non avevo la forza necessaria per poterla scortare sana e salva fino alla Cappella.
Sono stata spinta giù dal ponte dal fendente di una belva gigantesca. Una bestia argentea e maestosa nel suo essere orripilante, leggiadra ed agile nonostante la sua mole. Il colpo mi sbalzò oltre il parapetto e fu solo grazie alla mia prontezza di riflessi e ad una buona dose di fortuna che riuscii ad estendere il bastone filettato in forma di frusta e ad arpionarmi ad uno dei pilastri del ponte.
Ciò mi salvò fa morte certa, ma al tempo stesso mi scaraventò contro la finestra sbarrata di uno degli edifici sottostante. Il legno marcio cedette sotto il mio peso e in pochi istanti mi trovai distesa in un cumulo di polvere e macerie all’interno di quella che sembrava una vecchia biblioteca.
Gli artigli della Belva avevano ridotto a brandelli tanto la manica sinistra del mio abito quanto la carne che v’era sotto e non riuscivo a trattenere gemiti e singhiozzi mentre cercavo febbrilmente le fiale di sangue donatemi da Adella.  Il sollievo fu istantaneo, il sangue della Suora veramente aveva proprietà curative superiori a quello comune, del resto lei e tutte quelle del suo ordine erano scelte ed allevate espressamente per questo scopo, per fornire alla popolazione di Yharnam l’elisir di lunga vita.
L’elisir che aveva maledetto la città intera.
Mi rialzai, guardandomi attorno, sorpresa che la Belva argentata non si fosse lanciata al mio inseguimento balzando giù dal ponte. Quasi m’aspettavo che il soffitto mi crollasse addosso sotto il suo peso da un momento all’altro, ma non accadde niente e così decisi di esplorare lo strano luogo in cui ero precipitata.
Scaffali impolverati pieni di libri occupavano interamente le pareti e una pomposa scrivania in mogano faceva bella mostra di sé al centro della stanza. Tutto era coperto da almeno mezzo centimetro di polvere e i miei passi lasciavano impronte sul pavimento grigio come su un suolo innevato. Scostai le ragnatele da uno scaffale e sfilai un libro, osservando pensierosamente la copertina rilegata in pelle. Era un testo d’astronomia, probabilmente una raccolta di osservazioni e trattati, e sfogliandolo notai quanto fosse stato stropicciato e riempito di note a margine in una calligrafia fitta e sottile. Chiunque avesse vissuto lì, era stato certo uno studioso infervorato. Riposi il libro, dirigendomi verso la scrivania. Con un certo disappunto, scoprii che i cassetti erano vuoti eccezion fatta per un paio di penne d’oca e boccette d’inchiostro, ma poi qualcosa catturò la mia attenzione. Un luccichio appena percettibile s’intravedeva attraverso le travi sconnesse del pavimento proprio sotto la scrivania.
M’inginocchiai, scostando la polvere che sollevò dense zaffate che mi fecero lacrimare gli occhi. Il riflesso adesso era chiaramente visibile attraverso la fessura nel legno. V’insinuai le dita non senza difficoltà e riuscii a poco a poco a sollevare la trave che a differenza di tutte le altre non era stata inchiodata. Era chiaro che quello scompartimento venisse usato per nascondere qualcosa di sconveniente o di illegale. Stando a quanto diceva Adella, c’erano degli eretici che si servivano di certe linee di sangue cattivo’, diverse da quello della Chiesa della Cura. Possibile che mi fossi imbattuta in qualcosa di simile?
Nel vano segreto era riposta una lustra cassetta di legno nero riportante lo stemma di due leoni rampanti e su di essa, era posata una curiosa lama ricurva delle dimensioni di un lungo pugnale. La sollevai, valutandone la maneggevolezza e la strana forma. Sembrava costruita in modo tale da potersi dividere in due, trasformandosi in una coppia di stiletti. Non avevo mai visto niente di simile neppure all’Officina, essì che i Messaggeri sembravano in grado di procurare armi di qualsiasi tipo semplicemente immergendosi in quella loro vasca. Allacciai la lama alla cintura dando per scontato che nessuno sarebbe venuto a reclamarla e decisi di portare con me anche la cassetta sigillata. Non era né il momento né il luogo adatto per mettersi ad armeggiare con una serratura, ma lo stemma inciso sul coperchio aveva qualcosa di stranamente familiare.  
Feci per uscire, pregando che anche al piano di sotto tutto fosse tranquillo come nella soffitta, ma il cigolare di passi caracollanti su per le scale infranse subito le mie speranze. Mi nascosi appena dietro la porta, la pistola all’altezza degli occhi, pronta a far fuoco, il bastone stretto saldamente nell’altra.
- Sento il tuo odore.. – ringhiò una voce d’uomo dalla tromba delle scale. – Non puoi nasconderti… vieni fuori… vieni fuori, Bestia Contagiata! -
Restai immobile, il cuore mi martellava a mille nel petto. Pensavo alla figlia di Gascoigne. Che dovevo raggiungerla, arrivare in fondo a questa sessione della Caccia, stringere i denti.
Una mano sporca e munita d’unghie scheggiate artigliò l’arco della porta mentre il tanfo della Belva m’invadeva le narici. Senza pensarci due volte, sparai.
Le dita esplosero in una bolla di sangue e l’uomo ululò per il dolore – Maledetta! Che siate maledetti tutti quant..! –
Non lo lasciai finire, una sferzata precisa all’altezza della gola e l’energumeno s’accasciò ai miei piedi. Lo scavalcai senza degnarlo di un solo sguardo e scesi le scale, sforzandomi di fare meno rumore possibile. Se ce n’erano altri, non volevo certo rivelare la mia posizione prima di aver gettato uno sguardo sul pianerottolo.
La via era libera fino al piano terra, dove una seconda stanza stipata di libri ed alambicchi era là ad attendermi. Giare di vetro piene di occhi e strani liquidi stagnavano all’interno di ampolle annerite dalla fiamma. Non m’azzardai a toccare niente e finalmente raggiunsi nuovamente il livello della strada. La luna splendeva alta nello spaccato di cielo che potevo scorgere tra i tetti sbilenchi degli edifici che mi circondavano, ma la luce delle torce appena dietro l’angolo e il latrare degli infettati non mi permise di trarre alcun conforto dalla vista del cielo sereno.
Diamine, avrei dato qualsiasi cosa per una mappa. A grandi linee sapevo di essere sotto il Gran Ponte che collegava Yharnam centrale a Cathedral Ward e che un’impenetrabile cancellata di ferro rendeva completamente inutile, ma dovevo trovare comunque un modo per risalire.
Vagai per il dedalo che sono i sobborghi di Yharnam per non so quanto tempo, falciando i cittadini che mi si paravano davanti e intimando a chi non volesse rimetterci la pelle di starmi lontano. Si, certo, come se gli infetti potessero darmi ascolto. Come se si potesse ragionare con quelle cose che un tempo erano state uomini.
Ero allo stremo delle forze quando finalmente ritrovai la strada. Mi sarebbe bastato svoltare l’angolo e la casa della bambina, così come una via più o meno sicura fino alla Cappella sarebbero state a portata di mano. Ma il destino aveva altri piani per me.
La Belva argentea alle cui grinfie ero sfuggita per miracolo stavolta m’aspettava al varco, il muso deforme e senza occhi puntato nella mia direzione, le fauci che grondavano saliva.
- Cacciatrice… - ruggì rocamente la sua voce, non attraverso l’aria ma nella mia testa – Cacciatrice, non temere il Sangue Antico… lascia che la Belva dentro di te ululi, spezza le catene… ripudia il Sogno… -
Serrai con forza la mano guantata attorno al bastone – Vorrei poterlo fare. – dissi sinceramente – Ma se cedessi, non arriverebbe forse un altro Cacciatore? Anch’egli prigioniero del Sogno e pronto a dare la caccia alla Belva che diventerei? –
La Belva argentea s’avvicinò col suo passo pesante, le zanne grandi quanto il mio braccio scoperte in un ghigno, le zampe deformi che artigliavano i tetti decrepiti del vicolo che la sua mole occupava quasi interamente.
E attaccò.
Forse avevo solamente immaginato la sua voce, la sua supplica, desiderato che ci fosse ancora un po’ d’umanità in quella creatura, che le mie prede potessero offrirmi un motivo per non sterminarle. Un’alleanza, un armistizio.
Tutto inutile.
Il sangue corrotto pompava nelle mie vene, scartai di lato evitando il suo fendente, agile come solo i cacciatori di Yharnam possono essere. La Belva alzò nuovamente gli artigli per afferrarmi, ma fui più rapida. Dopo la trasfusione, sono diventata così forte e veloce che a malapena riesco a controllarmi. Reagisco alla minima minaccia, non ho tempo di pensare, di decidere. A volte nemmeno di avere paura. Semplicemente scatto.
Premetti il grilletto e la Belva caracollò, un solo colpo al momento giusto può fare la differenza. È questa la forza delle armi dell’Officina. Mi lanciai sulla creatura, atterrando pesantemente sulla pelliccia sporca, tirai indietro la mano, l’arma già riposta nel fodero.
E affondai le dita nella carne viva come fosse fatta di burro.
Il sangue esplose tutt’intorno mentre la Belva ruggiva, lo sentii sulla mia pelle, sulla lingua, tra i capelli. E d’un tratto ne desiderai ancora.
Era questo che Gehrman intendeva? Cacciare per il gusto della Caccia? Niente domande, niente rimorsi, niente pensieri.
Afferrai nuovamente l’arma, attivai il meccanismo e il bastone si srotolò in frusta dentata, con una sferzata la passai attorno al collo della Belva e saltai indietro, trascinandola a terra come se fosse priva di peso. Così grande… eppure così alla mia mercé! La guardai dibattersi e contorcersi per liberarsi dal guinzaglio spinato, sentii la forza dei suoi muscoli mentre cercava di disarmarmi, il calore del respiro che sapeva di carne marcia. Urlai di frustrazione quando rotolandosi su un fianco, riuscì a strapparmi la frusta di mano e a scagliarla lontano. Prima che potessi reagire si gettò nuovamente su di me in un turbine di pelo e zanne.
Non pensare!
Combatti!

Sparai tre colpi in rapida successione, ma la Belva gl’incassò tutti senza vacillare, travolgendomi di peso col suo intero corpo crivellato. Sentii le costole spezzarsi e il dolore mi fece quasi perdere i sensi, ma il richiamo del Sangue fu più forte. Estrassi la lama che avevo raccolto nella casa abbandonata e la conficcai dritta nel muro di carne insanguinata che ancora torreggiava sopra di me. Continuai a colpire e a colpire senza vedere altro che il corpo della Belva , il suo uggiolare mi riempiva le orecchie, i suoi spasmi mi sbattevano contro i ciottoli della strada ormai immersi in una pozza di sangue umano e di bestia.
Risi preda di una strana euforia, mentre con una capriola riuscivo finalmente a liberarmi e mi portavo alle spalle della Belva, ancora intenta a menar fendenti là dove non mi trovavo più. Alzai la lama sopra la testa, dividendola in due pugnali ricurvi e m’avventai per l’ultima volta sulla mia preda. Un colpo tra le scapole, preciso come l’incisione di un chirurgo, le lame che affondano trinciando muscoli e spezzando ossa. Un ultimo ruggito, mio e della Belva all’unisono.
Il mio è di trionfo, il suo un rantolo dal suono struggentemente umano che mi riportò istantaneamente alla realtà.
Mi guardai le mani fradice di sangue. Sono un mostro.
Nessun essere umano dovrebbe poter sopravvivere a tutto questo, meno che mai provare il desiderio di combattere in questo modo. I Cacciatori non sono per niente diversi dalle Belve.
E io sono IL Cacciatore. Quello con l’articolo davanti, quello che tornerà ancora e ancora, quello che nessuna Belva potrà fermare. Perché finché ci sarà il Sogno a sostenermi, io combatterò.
Non per me stessa o per la figlioletta di Gascoigne, ma perché è questo ciò che il Sogno vuole.
Quel che Gehrman vuole… forse?
Non ha importanza.
Barcollando, raccolsi il bastone filettato e tastai la cintura dove tenevo la mia scorta di fiale di sangue. Me ne restava soltanto una.
Merda.
Inutile dire che le sproporzionate quantità di sangue che la Belva argentea stava riversando sul marciapiede avrebbero presto attratto altre creature in cerca di un banchetto facile, potevo già sentire i cani infetti grattare ossessivamente alle porte delle loro gabbie e gli abitanti leccarsi le labbra  munite di zanne. Dovevo andarmene al più presto prima di trovarmi presa in mezzo ad una folla di bestie e uomini affamati.
Ma la bambina…
Guardai verso l’altro capo della strada, la lanterna fuori dalla sua porta era ancora accesa, l’incenso fumava, tenendo lontane le Belve. Per adesso sarebbe stata più al sicuro là dentro che per le strade al fiacco di una Cacciatrice mezza morta e con una sola fiala di sangue in saccoccia.
Tornerò a prenderti, piccola. Le promisi tacitamente prima di dirigermi verso Cathedral Ward il più in fretta che potevo.
 
  
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