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Autore: Clytie    03/03/2016    1 recensioni
Sono trascorsi mesi dalla scomparsa di Sherlock Holmes, ma il cuore di John è lontano dal ritrovare la pace.
Non bastano più i suoi pensieri e le sue banali occupazioni a mettere a tacere quel vuoto che si propaga sordo nel loro appartamento, perché quelle quattro fredde mura gli ricordano, un istante dopo l’altro, quanto sia solo.
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Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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L’alba di questo dolore











Ever since my baby went away
It's been the blackest day,
It's been the blackest day






L’ombra della notte si è allungata sulla frenetica vita londinese, avvolgendo anzitempo la città nel suo gelido abbraccio. Il manto lunare è quasi del tutto oscurato da nuvole cupe, gonfie di pioggia; un solo timido raggio le penetra e raggiunge il viso dell’uomo ritto di fronte alla finestra di Baker Street 221B. Esso lo sfiora appena, come una carezza consolatoria, come il bacio affettuoso di una madre dopo una caduta rovinosa.
Eppure, non riesce a placare il dolore.
Quella sagoma allampanata avvolta nell’impermeabile scuro, che precipita nel vuoto come un fantoccio dai fili spezzati, non accenna ad abbandonare i suoi sogni. Spari, urla di disperazione e morte, la sensazione bruciante della polvere nella trachea s’intrecciano al corpo di Sherlock, che giace privo di vita sull’asfalto insozzato di sangue.
John, all’improvviso, volta le spalle alla finestra e – non sa bene come né perché – si ritrova davanti alla camera dell’ex coinquilino. Per un secondo pensa di andarsene, di correre giù dalle scale e rintanarsi in una parte remota e oscura della città, dove i ricordi non possano raggiungerlo, ma poi le dita spingono meccanicamente la porta socchiusa, che si spalanca a poco a poco accompagnata da un cigolio sommesso.
È da molto che non si azzarda a varcare quella soglia. Da due mesi e ventuno giorni, per l’esattezza. Tutto è ancora lì dove lui l’ha lasciato, non ha permesso alla signora Hudson di spostare anche un solo libro finora.
Il respiro gli si mozza in gola e il macigno che avverte nel petto si fa un poco più pesante.
Sul comodino, oltre ad un discreto spessore di pulviscolo e sudiciume, giace abbandonato il cappello che Sherlock odia – odiava, odiava – tanto e che purtuttavia l’ha reso celebre. John lo afferra e, lasciatosi cadere sul letto sfatto, lo rigira convulsamente tra le mani e immagina di vederlo comparire sulla soglia con la fronte corrugata e le sopracciglia scure inarcate.
Probabilmente John gli correrebbe incontro e non gli permetterebbe, per una volta, di divincolarsi frettolosamente dalla sua stretta. Forse, se si rivelasse ai suoi occhi in quell’esatto istante, si spingerebbe a dirgli tutto ciò che non gli ha potuto dire, quanto quel sociopatico ad alto rendimento abbia sconvolto e migliorato la sua vita. Forse gli permetterebbe perfino di fumare una sigaretta.
Perché da quando Sherlock se n’è andato, John non ha più motivo di indispettirsi nel sapere che nel frigo ancora non c’è il latte, giacché il suo coinquilino considera la spesa un’attività degradante per il suo raffinato intelletto. Perché da quando lui non c’è più, rincasando, non si dovrà preoccupare di quale macabro esperimento si stia occupando. Perché da quando Sherlock è morto, la vita ha perso le sue innumerevoli sfumature e ogni giorno scorre uguale all’altro.  
Quanto a lungo si è crogiolato nel desiderio di riabbracciarlo! E, in diverse occasioni della giornata, si sorprende a constatare come quella speranza ancora non lo abbandoni.
Ripone il cappello esattamente dove l’ha trovato e vaga senza meta per la stanza, come a voler registrare ogni minimo, insignificante particolare: i libri con la copertina consunta e le pagine incartapecorite, le pile di documenti, gli strumenti di lavoro, la vestaglia blu, i cerotti alla nicotina, il violino.
John trascorre la notte così, immagazzinando ogni trascurabile dettaglio che lo abbia legato all’amico; non si azzarda neppure ad assopirsi, per timore che gli incubi tornino a tormentarlo, e ingurgita meccanicamente un caffè dopo l’altro.
Prima che possa rendersene conto, l’alba lo coglie ancora intento a sfogliare polverosi fascicoli di casi a cui Sherlock non potrà più fornire il suo geniale apporto. Il levarsi del sole, però, riaccende la risoluzione nel suo animo. Non bastano più i suoi pensieri e le sue banali occupazioni a mettere a tacere quel vuoto che si propaga sordo nel loro appartamento, perché quelle quattro fredde mura gli ricordano, un istante dopo l’altro, quanto sia solo.
Se ne andrà, oggi stesso. Non c’è Baker Street 221B senza Sherlock Holmes.




I'm on my own
On my own
On my own again










Note dell’autrice:

Prendetela per quello che è: una flashfic mancata/una oneshot di lunghezza ridotta. Mi sono lasciata guidare dai feels, dopo aver riguardato la serie, e qualcosa mi è sfuggito di mano. Questa storia potrebbe sparire da un momento all’altro, perché, per qualche motivo, continua a lasciarmi insoddisfatta.
Btw, non mi dispiacerebbe per nulla sapere cosa ne pensate. Spero non vi dispiaccia troppo.

C.


   
 
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