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Autore: Urdi    26/03/2009    6 recensioni
“Il pensiero di un padre sul punto di morire, non è teso a quello a cui va incontro, ma si allunga verso la famiglia, la moglie, i figli. Sa di lasciare tutto quello che ha costruito, sa di abbandonare ciò che aveva promesso di proteggere e teme di recare loro il danno più grande.”
“Eppure s’è ammazzato lo stesso.”
Ashura, una donna solida. Sakumo, un ventenne con più anni sulle spalle rispetto alla sua età. Kakashi, loro figlio, lo spaventapasseri. Storia sull'amore e sulla famiglia, sulla solitudine e sulla vita di eroi che non amavano essere chiamati in questo modo. [Personaggi: Sakumo - Kakashi]
[Questa fanfic si è classificata 2^ al contest Genitori Figli, indetto da V@le e Kurenai88]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri, Kakashi Hatake
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Naruto Shippuuden
Capitoli:
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Sono passati davvero tanti anni.
Sorrido.
Calcolare il tempo, dare un nome allo scorrere della nostra esistenza, è inutile. Cerchiamo sempre di razionalizzare tutto per averne il controllo, per non sentirci perduti, ma alla fine la vita ha una dimensione troppo grande e pesante per qualsiasi persona.

Per qualsiasi ninja.

Anche per me è gunta la fine.
Il sibilo di un chiodo che fende l’aria, il sibilo di una signora che vuole abbracciarmi per sempre e trascinarmi con lei in quel mondo che non ha regole, dove perdere per sempre la ragione.

“Andiamo?” chiede mostrandomi un sorriso nell’unico occhio che mi è rimasto. Obito è diventato cieco un’altra volta.
“Sì…” rispondo, passando oltre al ricordo di un amico che perisce sotto un masso.
Non ho tempo di focalizzare la mente su altro, il mondo perde colore.

“Kakashi, sei tu?” una voce lontana, una voce lontana ma familiare e roca.
“Sì.”
Avanzo in questo spazio denso, senza sapere neppure dove sto mettendo i piedi.

Ma li ho ancora, i piedi?

“Sì, sono io… papà.”




“Il pensiero di un padre sul punto di morire non è teso a quello a cui va incontro, ma si allunga verso la famiglia, la moglie, i figli. Sa di lasciare tutto quello che ha costruito, di abbandonare ciò che aveva promesso di proteggere e teme di recare loro il danno più grande.”

“Eppure s’è ammazzato lo stesso.”









LO SPAVENTAPASSERI
di Urdi


1. Ashura




Ashura alzò lo sguardo, cercando in lontananza la figura del marito. A causa del sole, che bagnava di raggi freddi i campi coltivati, dovette portarsi una mano alla fronte per permettersi di vedere meglio.
In fondo alla strada battuta che si spiegava fra i boschi che circondavano Konoha, c’era un uomo: si muoveva lentamente, affaticato, verso la grande casa che lo avrebbe accolto.
Ashura si aprì in un raro sorriso, sistemando le maniche del kimono e slegando i lunghi capelli argentati, lasciandoli liberi sulle spalle. Si diresse quindi giù, ai piedi della collina, camminando forse troppo velocemente.
Quando la donna entrò nel campo visivo dello shinobi, lui sorrise a sua volta, lasciando che il bel viso si illuminasse di un amore sconfinato.
“Hisashiburi1.” Mormorò, fermandosi a pochi passi da lei.
Ashura si arrestò, rendendosi conto di aver fatto quella discesa di corsa solo quando il suo respiro prese a uscire irregolare.
“Okaeri2…” rispose in un soffio, scivolando con lo sguardo sulle ferite che laceravano la pelle e la divisa del jonin.
Rimasero a fissarsi senza parole per qualche minuto, a studiarsi dopo mesi di separazione. C’era stato qualcosa che avevano dimenticato? Erano cambiati?
Sakumo Hatake non poté fare a meno di pensare a quanto fosse bella la compagna, quasi lo avesse dimenticato davvero, quasi fosse passato troppo tempo dall’ultima volta che l’aveva vista. C’era quella pelle candida, gli occhi a mandorla color ghiaccio e l’argento dei capelli di seta che si muovevano nel vento leggero. E poi quella figura esile e forte, slanciata e fiera che era Ashura; ricordava una tempesta di neve, distruttiva e calmante allo stesso tempo.

Continuarono a fissarsi senza sapere cosa dire, anche se nelle loro menti il pensiero era uno solo: “Finalmente.”


Ashura e Sakumo si amavano probabilmente da sempre: erano cresciuti insieme all’interno del clan Hatake, relegato da Konoha perché non nobile, ma troppo forte per essere ignorato. Non erano originari del villaggio, arrivavano dalle fredde terre del Nord e non si erano mai del tutto integrati con il resto degli abitanti.
I due giovani eredi erano cugini ed erano stati destinati sin da piccoli come futuri sposi, per questo motivo non avevano potuto fare a meno di innamorarsi. Erano l’emblema dello splendore del clan e tutti andavano fieri della loro unione.
La loro dimora si trovava nell’area dei campi coltivati e in quanto ad eleganza non aveva nulla da invidiare alla tenuta degli Uchiha o degli Hyuga.








“Ashura…” un sussurro roco si spense sulle labbra della donna.
Lei abbassò le palpebre, abbandonando il viso sul cuscino.
Lui le accarezzò piano un fianco e la baciò dolcemente, appoggiando la fronte alla sua.
La donna allora aprì gli occhi, posando i piedi sul materasso, cercando di non scoprirsi con il piumone.
Si scambiarono uno sguardo, ansanti, ma persi nel loro mondo caldo fra le coltri.
“Ashura…” ripeté con dolcezza l’uomo, accarezzandole la fronte sudata, per scostarle i capelli dal viso.
“Sì, Sakumo?”
“Nulla, volevo solo sentire che c’eri…che ci sei e sei qui con me.”
La guerra faceva spesso dimenticare quanto potevano essere belli quei momenti, lasciando presagire che tutto il resto, quello che un tempo apparteneva alla bellezza della vita, fosse solo frutto di un sogno. Quando Sakumo tornava, cercava sempre di imprimere al meglio quell’immagine di purezza che aveva sotto di sé, per potersene nutrire ogni volta che sentiva di non farcela.
Ashura abbozzò un sorriso e in uno slancio di affetto lo abbracciò stretto, sfregando la fronte contro la sua spalla.
“Ehi…piano…” si lamentò lo shinobi, sentendo ogni ferita bruciare dolorosamente. Sakumo adorava il fatto che la moglie fosse così solo con lui, non avrebbe potuto sopportare di vederla affettuosa con nessun altro.
“Scusami… - la sentì mormorare, mentre lo stringeva - …stiamo un po’ così.”
“Va bene.”
Lui ricambiò l’abbraccio, cullandola lievemente, fino a riportarla con la schiena sul materasso. Per quanto fosse bello stringere forte Ashura, sentire il calore del suo corpo nudo e la stretta delle sue mani sulle spalle, la stanchezza aveva iniziato a farsi sentire.
“Una buonanotte, finalmente.” sussurrò la donna, accoccolandosi al fianco del compagno, mentre lui spegneva le candele. Entrambi sapevano che presto sarebbe arrivato, lento e soffuso come la neve fuori, il sonno.



###



Quando, nel buio profondo e avvolgente della notte, Ashura si alzò e corse via, Sakumo non poté fare a meno di svegliarsi di soprassalto. Quel sonno leggero apparteneva alla dimensione dove aveva vissuto per gli ultimi due mesi: sempre lei, la guerra.
Stancamente, l’uomo si portò seduto e accese una candela, uscendo dalle coltri.
“Ashura…” chiamò piano, sentendo trafficare nella stanza da bagno. Ma l’unica risposta che ricevette fu un tossire convulso tipico di chi sta rimettendo.
L’uomo, senza aspettare, spalancò il fusuma3 e la vide nella penombra, pallida a tenere i capelli con una mano.
Le si portò immediatamente vicino e la aiutò, in modo che non si sporcasse.
“Grazie.” Sorrise lei, un’espressione piuttosto insolita per il suo viso altero, forse più bello quando era arrabbiata. Certo, Ashura non mostrava mai quello che provava, se non in rari momenti di intimità, ma l’uomo aveva imparato a capire quando piccoli segni cambiavano la sua espressione. Non era una persona che suscitasse particolare simpatia e non amava scherzare su nulla. Viveva, come la immaginava Sakumo , perfettamente dritta su un filo invisibile. Sembrava che non ci fosse davvero nulla che potesse turbare la solidità di quel carattere.
“Padrone è tutto a posto?” chiese una domestica affacciandosi nella stanza. L’uomo annuì, aiutando Ashura ad alzarsi in piedi.
“Sì, torna pure a dormire Yuka.”la donna accennò un inchino e si congedò nel buio per tornare alle proprie stanze.
“Ti riaccompagno in camera.” Fece premuroso, sollevando la compagna senza nessuna fatica. Lei nascose il viso sul collo del marito e, d’improvviso, scoppiò a ridere.
Lui accigliato, pensò che fosse impazzita.
“Ashura? Ti senti bene…?” chiese, quasi contagiato da quel sorriso.
“Sì, certo, mai stata meglio.”
Il marito la adagiò sul futon4, pensando di sfuggita che in lei qualcosa fosse cambiato davvero. Non era mai stata particolarmente estroversa.
“Sakumo, sono incinta.” Ammise limpidamente, guardandolo dritto nelle iridi scure.
L’uomo dapprima spalancò gli occhi per lo stupore, poi aggrottò le sopracciglia abbassando lo sguardo, quasi stesse cercando di capire quello che gli era appena stato detto.
Ashura si tirò il piumone sulle gambe, mantenendo un sorriso calmo.
“Perché me lo dici adesso?” riuscì semplicemente a chiedere lo shinobi, tornando a guardarla e prendendole le mani nelle sue.
“In realtà non avrei voluto dirtelo sino a domani, ma ormai è inutile negare e poi…”
Sakumo abbozzò un sorriso, abbracciandola, senza che lei rispondesse a quel contatto. Lui sapeva cosa significassero quelle mezze frasi: Ashura voleva condividere con lui quel momento di felicità, ma non lo avrebbe mai ammesso a parole.
Un bambino, una benedizione del cielo avrebbero detto all’interno del loro clan.
Un bambino… che strana sensazione. Sakumo sentì qualcosa dentro come se si fosse spaccato a metà, vicino al cuore…o allo stomaco?

Ashura mosse piano le braccia e strinse a sua volta il marito affondando il viso nel suo petto.

“Avresti dovuto dirmelo prima.” La sgridò bonariamente, accarezzandole i capelli, mentre cercava di ignorare quella sorta di forellino che sembrava volersi ingoiare il suo essere. Non capiva da dove arrivasse quel dolore sottile, quella sensazioni di gioia e terrore che si mischiavano fino a formare un buco. Sapeva solo che era dentro, nel profondo e non aveva ancora una vera forma.
“Secondo Yakushi-san il sesso non è pericoloso.”lo rassicurò, intuendo le preoccupazioni dell’uomo.
Sakumo si staccò da lei, osservandola meglio: adesso si spiegava quella strana sensazione di cambiamento.
“Non c’era bisogno di farlo, avresti dovuto dirmelo lo stesso.”
“Non ci vedevamo da tanto… mi era mancato stare così con te. E se ti avessi detto che ero incinta ti saresti fatto degli scrupoli.”
L’uomo sorrise, accarezzandole una guancia candida. Anche se Ashura cercava di mantenersi distaccata, a volte tirava fuori quel lato di sé un po’ infantile e dipendente da lui che lo riempiva di tenerezza.

Scivolarono entrambi nuovamente nel futon, illuminati dalla luce tremolante della candela rimasta accesa.
Sotto alla coperta Ashura cercò lo sguardo di Sakumo.
“Sei contento?” chiese limpida, così bella da essere irresistibile.
Lo shinobi le si avvicinò abbracciandola, prima di farla scivolare sotto di sé.
“Sì.” Rispose semplicemente, baciandola lievemente sulle labbra calde.
“Soprattutto per il fatto che il sesso non è pericoloso?” chiese quasi seria.

Lui rise.



##

Nei giorni successivi Sakumo si trovò spesso a pensare alla nascita di suo figlio. Benché mantenesse il proprio carattere piuttosto distaccato, non poteva fare altro che ritornare sulle parole di Ashura, sul suo corpo che iniziava a cambiare e sulla loro vita che non sarebbe più stata la stessa.
Ordinò dell’altro sakè ormai completamente perso nel proprio mondo per sviscerare dove stesse il problema. Perché c’era, evidentemente, qualcosa che lo infastidiva. Sembrava una spina sottile e nonostante cercasse di ignorarla, dicendosi che era solo timore, la trovava sempre lì a pungere, affondando nel cervello.
Sakumo, che come Ashura era abituato ad avere sempre tutto sotto controllo, si sentiva in qualche modo impreparato alla cosa. Certo, sapeva che sarebbe accaduto, ma non così in fretta! Aveva bisogno di farsi un’idea, di ragionarci, di parlarne con la moglie… eppure non avevano potuto programmarlo. Era stata un’evoluzione naturale, come quando, poco dopo il loro matrimonio si erano ritrovati a fare l’amore con foga, felici di potersi dimostrare quel sentimento che per esigenza aveva dovuto aspettare l’unione ufficiale.

Ashura era piuttosto insofferente alle tradizioni della famiglia, ma non aveva mai opposto resistenza, neppure quando il capo clan, suo padre, volle vedere il materasso macchiato con il sangue della sua verginità.
Sakumo l’aveva vista abbassare lo sguardo, non colpevole o umiliata, ma furiosa. Per lei tutto ciò che li riguardava era e doveva rimanere all’interno della loro stanza. Per questo, anche se capitava di trovarsi ubriaco a chiacchierare con gli amici, non parlava mai di lei o di quello che condividevano.
“Ma è una donna focosa?” aveva azzardato una volta Shuei, un kohai dai capelli lunghi e neri come la seta.
Sakumo si era limitato a guardarlo male e da allora, per timore – o rispetto? – nessuno aveva più osato scherzare sull’argomento.


Quella sera, Shuei si sedette accanto a Sakumo afferrando un bicchierino con del liquore di riso e portandolo alle labbra.
“Sakumo-senpai è tornato!” constatò il moro in un sorriso.
L’uomo lo guardò e ricambiò il saluto.
“Sì, è stata una missione piuttosto lunga.”
“Oh, ma tutti a Konoha non fanno che parlare della sua abilità e del suo successo.”
Sakumo buttò giù un altro sorso e scrollò le spalle.
“E’ bene che io mantenga fede al mio credo.”
E con quelle parole Shuei intuì cosa volesse dire il suo senpai: gli Hatake erano da sempre visti con una certa diffidenza, ma negli ultimi tempi al villaggio avevano iniziato a nutrire una profonda stima proprio per l’erede del clan, grazie alla sua fama e ai suoi successi.
“Ehi, si fa baldoria senza avvisare?” un uomo dai capelli castani e gli occhi scuri, un accenno di barba sul mento e un fisico piuttosto imponente si avvicinò ai due amici.
“Taka, non avvicinarti così, mi hai spaventato…” scherzò Sakumo, ordinando da bere anche per il nuovo arrivato.
“Ha ha… Ti intimorisco?! Fantastico, non credevo che la Zanna Bianca della Foglia avesse paura di qualcosa.”
“Vi piace tanto chiamarmi così?” chiese alzando un sopracciglio, esasperato.
Taka si appoggiò al bancone e il discorso passò a cose più serie, alla morte di qualche amico, alle missioni portate a termine, che tuttavia lasciavano il vuoto dentro. La conversazione si portò su toni sempre più cupi, fin quando l’alcol divenne l’unica cosa che sembrava tenerli lontani dalla disperazione. O era il contrario?
C’era una gran confusione nelle teste dei tre ninja e nessuno pareva avere più voglia di parlarne.
Fu Shuei a rendersi conto dell’espressione grave che aveva Sakumo: l’Hatake fissava da un po’ il liquore nel suo bicchierino, perso in chissà quali pensieri e il suo Kohai lo trovò terribilmente strano.
“Senpai…”
Ma prima che finisse la frase, Sakumo lo precedette:
“Dovrei essere orgoglioso della missione. – iniziò, mentre Taka si voltava a guardarlo – E in effetti lo sono, è gratificante vedere quanto io sia ammirato. Non riesco più a nascondere il fatto che lo faccia per me stesso, per il potere e per la gloria. Sì, per il clan e il villaggio, ma per primo lo faccio perché cerco di vedere dove riesco ad arrivare, dov’è il mio limite. L’adrenalina di quel secondo in cui ti salvi, il secondo in cui puoi o vivere o morire. E l’attimo subito dopo, quando hai gli abiti sporchi di sangue e gioisci perché non è il tuo. Dovrebbe disgustarmi, farmi pensare che ho ucciso un uomo, eppure penso solo che ce l’ho fatta e che ho vinto io. Che tornerò al villaggio sentendomi elogiare come la Zanna Bianca della Foglia, sentendomi invincibile. Riabbraccerò Ashura, che mi viene incontro felice di rivedermi, con quel sorriso che rivolge solo a me … E mentre un’altra donna piangerà la sua perdita, io mi inebrierò del profumo di mia moglie, pensando che del resto non me ne importa proprio niente.”
Taka e Shuei fissarono l’amico senza sapere cosa ribattere. Sakumo si lanciava raramente in certe confessioni e quando lo faceva loro non sapevano mai cosa dire. Che era da biasimare? Che era un egoista? Che era meschino? Che la pensavano allo stesso modo?
Shuei aveva un’altra visione del mondo, lui aveva una grande paura della guerra ed ogni volta che si trovava a dover uccidere qualcuno non poteva fare a meno di sognarsi quel viso ogni notte.
Taka si limitava a non pensarci, seppellendo il senso di colpa con il dovere.
Invece Sakumo stava dicendo loro che lo faceva per sé stesso e che non gli importava di ammazzare qualcuno, anzi: gli piaceva, gli dava un senso di potere e assuefazione.
“Per questo motivo non riesco ad essere pienamente soddisfatto, perché quando sono in me e ci penso razionalmente, mi dico che è assurdo pensare che sia bello uccidere. Che è da esaltati… e mi ritrovo ad avere paura di me stesso.”
“Questa sera mi sa che hai esagerato particolarmente con il sakè…” se ne uscì Taka, cercando di sdrammatizzare e levando la bottiglietta di liquore dalla mano dell’amico.
L’altro alzò lo sguardo spento, lo sguardo di un uomo appena ventenne, che sembrava aver vissuto il doppio dei suoi anni. E Taka, che stava per raggiungere i trentatre, si sentì strano, come se guardasse davvero un ragazzino sperduto.
“Io e Ashura avremo un figlio.” Soffiò allora Sakumo, condensando in quella frase il motivo di tutti quei pensieri confusi.
Era stato inevitabile. Il pensiero di avere un bambino lo aveva fatto concentrare sul suo modo di vivere, sul cambiamento e sui timori che aveva su se stesso. Non aveva potuto fare a meno di analizzarsi e mettersi in discussione.
Taka e Shuei rimasero nuovamente senza parole.
“Non so…dovremmo fare le nostre congratulazioni…?” chiese cauto il più giovane, non sapendo come dover reagire.
Sakumo si strinse nelle spalle e appoggiò i gomiti al bancone.
“Suppongo di sì.” Bofonchiò accigliato.
All’improvviso entrambi gli shinobi scoppiarono in una fragorosa risata e Taka tirò una pacca sulla schiena al suo superiore, tanto da farlo quasi gemere di dolore.
“E bravo Sakumo!” commentò, così gioioso che l’altro non riuscì a trattenere un sorriso, dimenticando per un attimo le sue elucubrazioni.
“Già! Ottimo lavoro senpai!” Shuei versò dell’altro liquore.
“Ehi…macché lavoro!” protestò il futuro papà indignato.
“Oh su, ha capito! Dopotutto non è passato molto dal suo matrimonio…”
Taka passò un braccio attorno alle spalle del compagno.
“E’ per questo che hai iniziato a tormentarti? Guarda che capita a tutti prima o poi…”
“Speriamo poi…” mormorò Shuei, che all’idea di un bambino si sentiva male.
“Da quanto lo sai?” continuò il più grande, ignorando il commento del più giovane.
“Da tre giorni.” Sakumo, non spiegandosi tutto quell’entusiasmo, rispose meccanicamente.
“Oh, vedi?! Hai bisogno di metabolizzare la cosa, non farti prendere dall’ansia. E bevi un po’ di sakè!”
“Ma non hai appena detto che ho bevuto troppo…?”
“Sì, ma non sapevo che avessi appena appreso che sarai papà! Tieni, ti sono concessi altri tre bicchieri, minimo.”
L’Hatake davanti a quell’assurda situazione non poté fare a meno di rilassarsi e ridere, in fondo era vero: si era lasciato prendere dall’angoscia senza pensare a quanto in realtà fosse bella quella notizia.

Un bambino, un piccolo essere umano candido come un foglio di carta immacolata su cui poter scrivere qualsiasi cosa. Sakumo riusciva ad immaginarlo che iniziava a muovere i primi passi, che imparava quello che lui gli avrebbe insegnato. E in quell’istante in cui vide l’immagine di quella vita, dell’amore suo e di Ashura che prendeva forma e si muoveva fra di loro… in quel momento dimenticò le domande che riguardavano il “ne sarò in grado?".

Era qualcosa di così vasto e forte che se si fosse fermato, se Taka e Shuei non ci fossero stati, si sarebbe lasciato andare ad un pianto di disperata gioia.


##



Ashura, le braccia conserte, osservava i campi inondati dal sole estivo. I contadini lavoravano senza sosta, godendo ogni tanto della brezza che arrivava dalle montagne.
La donna se ne stava lì ferma, rimirando il paesaggio, l’espressione seria, quasi concentrata.
“Che cosa fai qui in piedi?” le chiese all’improvviso Sakumo, uscito sulla soglia della tenuta.
Lei non si voltò a guardarlo, rimase immobile come se avesse potuto cogliere un messaggio rimanendo in ascolto del vento.
“Ashura, è meglio se rientri e ti riposi, lo ha detto anche Yakushi-san. E le domestiche non fanno che assillarmi.”
“Sto bene, tranquillo.” Rispose.
Lui abbozzò un sorriso avvicinandosi alla moglie e passandole le braccia attorno alla vita per stringerla a sé.
“Oh, io lo so. – e scese a baciarle la testa – So che sei forte. So che eri una ninja e che non temi nulla. Ma i tuoi continui rifiuti di rimanere a letto dopo quello che ha detto il medico stanno facendo preoccupare tuo padre e se tuo padre è preoccupato, tutto il clan lo è.”
Lui stesso odiava quel tipo di discorso, quindi non si aspettava che Ashura iniziasse a comportarsi diversamente, in cuor suo sperava semplicemente che non cercasse di ribellarsi proprio ora.
Era preoccupato per lei: qualche giorno prima la donna aveva accusato un malore svenendo e lanciando nel panico tutta la famiglia e Sakumo si era sentito colpevole, perché non era presente a causa di una missione. Quando era tornato alla tenuta degli Hatake e aveva trovato sua moglie a letto accudita dal padre e da alcuni ninja medici, era quasi impazzito per l’ira.
Gelosia? Possessione? Sakumo ancora non riusciva a comprendere che cosa lo facesse star male a vedere che qualcun altro poteva prendersi cura della propria compagna.

L’uomo scacciò quei pensieri che gli perforavano la testa come un chiodo ed accarezzò il ventre gonfio della donna con riverenza e devozione. Sentiva chiaro il desiderio di incontrare quella vita che lui e la donna che amava avevano creato. Come se fosse qualcosa che mancava per rendere tutto perfetto.
“Vorrei chiamarlo Kakashi.” Se ne uscì ad un tratto Ashura, portando la propria mano su quella del marito.
“Kakashi?” chiese, in realtà più che sorpreso, incuriosito.
“Sì… protegge i campi coltivati e fa sì che il raccolto non vada perduto. Mi piace Hatake Kakashi…”
L’uomo sorrise, inspirando il profumo di mandorla dei capelli di lei.
“Va bene. In effetti piace anche a me. - Constatò dopo averci pensato un po’ su. – ma sarebbe insolito se si trattasse di una femmina.”
Ashura si voltò staccandosi da quell’abbraccio per guardare Sakumo negli occhi.
“Ormai lo so già. E’ dentro di me e… lo so. Sakumo, è un maschio… - la donna abbassò lo sguardo e se lui non l’avesse conosciuta avrebbe quasi detto che sembrava imbarazzata - … Non voglio che si sappia proprio perché detesterei le parole di mio padre sul fatto che avremo un erede per il clan. Anche se fosse stata una femmina, sarebbe stata nostra figlia e l’avremmo amata allo stesso modo. L’idea di sapere che gioiranno per il suo sesso mi infastidisce proprio, per cui rimarranno con il dubbio, dopotutto sono affari nostri.”
L’uomo sorrise ed annuì, non osava contraddirla quando la vedeva così determinata. La fissò negli occhi chiari e si immaginò la loro vita tra qualche mese. Sakumo sperava con tutto se stesso che la guerra non scoppiasse proprio in quegli ultimi due mesi che lo separavano dal conoscere… Kakashi… sì, era un nome bizzarro, ma un bel nome, quello di suo figlio.
“Dai vieni dentro.” L’uomo prese per mano la moglie e lei alzò lo sguardo al cielo, senza tuttavia opporre resistenza.
Sakumo sorrise: internamente persino lui aveva gioito nel sapere che sarebbe stato un maschio, ma non lo avrebbe mai detto ad Ashura.



##



Nella stanza c’era silenzio. Un silenzio che, dopo il pianto insistente del nuovo nato, aveva ripreso la sua solidità.

Immaginarlo per tutto quel tempo, aveva messo addosso a Sakumo una grande aspettativa. L’ansia che aveva provato alla notizia data da Ashura si era piano piano affievolita, ma non era mai scomparsa. Ogni tanto riaffiorava nella notte, con i dubbi e le preoccupazioni.
Ma ogni volta che sentiva quel nodo allo stomaco stringersi, accarezzava il ventre della donna addormentata e si sentiva meglio. Rassicurato dal fatto di non essere solo.
Sarebbero diventati una famiglia.
Ed ora che si trovava a contemplare i suoi stessi occhi, neri e profondi, si sentiva incredibilmente sereno. Si sentiva davvero la Zanna bianca della Foglia, invincibile…

Con quei pensieri il jonin stava seduto sul futon, dove Ashura dormiva profondamente.

Kakashi, un piccolo fagotto di appena qualche ora, sembrava così fragile e allo stesso tempo così forte, proprio come sua madre. Sakumo ebbe l’impressione che quegli occhi avessero il potere di ipnotizzarlo. Ogni particolare di quel bambino gli sembrava così perfetto, l’unica cosa per cui valesse la pena vivere.
Suo figlio.
Gli accarezzò una guancia liscia con estrema delicatezza osservando quanto la sua mano fosse grande rispetto a quella testolina. Non era come si era disegnato nei suoi pensieri, aveva la consistenza di un amore e di una felicità non descrivibili. Ogni piccolo respiro sembrava avere il potere di smuovere il suo cuore e ogni movimento lo lasciava sorpreso e incuriosito.
Sakumo era diventato padre.
Si sentiva squarciato dentro da qualcosa di immenso.
“Ciao…” soffiò, mentre il bambino spostava lo sguardo sulla mano che lo sfiorava.
Si stavano studiando a vicenda per capirsi, quasi stessero chiedendo all’altro:
“E tu chi sei? Da dove arrivi? E come mai sento di conoscerti da sempre?”
Era qualcosa di indescrivibile, lontano e vicino come l’avanzare delle onde. In alcuni momenti era così forte che sembrava di esplodere.
Il mondo di Sakumo sembrava essersi capovolto.
E tutto per quella piccola vita che ora cullava tra le braccia e che pareva avesse tutta l’intenzione di addormentarcisi.
L’uomo osservò le palpebre del bimbo calare lentamente su quelle mandorle scure, ornando il visino di ciglia lunghe e sottili.
Lo shinobi adagiò lentamente il figlio sul futon accanto alla madre e rimase ad ascoltare quei due respiri che si perdevano soffici fino ai fusuma decorati.

In una muta preghiera, sperò che quel momento di serenità potesse durare non per sempre, ma il più a lungo possibile.









Continua…-








Note dell’autrice sul testo:

1 Hisashiburi (si legge con la i accentata): espressione che i giapponesi usano quando non si vedono per tanto tempo. Sarebbe più o meno come “Ma quanto tempo!”, ma in realtà non credo sia traducibile.
2 Okaeri (si legge con la i accentata): “Bentornato”
3 Fusuma: sono i pannelli scorrevoli interni delle abitazioni tradizionali giapponesi
4 Futon: il letto tradizionale giapponese composto da un materasso che viene srotolato sul pavimento *O*


Angolino dell'autrice:
Bene! Accidenti… Primo capitolo della fanfic che ho letteralmente partorito per il contest GenitoriFigli indetto da v@le e Kureani88. Mi sono classificata 2^ e sono davvero contentissima, perché ho messo tanto in questa storia (forse in questo primo capitolo non si nota, ma nei prossimi di sicuro c’è di più…). Considerando poi il tema, di nuovo la paternità che ho trattato anche in Vertigini, e il periodo in cui mi trovo a descriverla… non lo so… mi sembra tutto strano. Vorrei sapervi spiegare la sensazione, ma non riesco a trovare le parole (buffo eh?). In ogni caso, spero che vi arrivi un pochino della tenerezza, della passione e dell’amore che ho messo in questa storia e nei suoi personaggi.

Ci tengo, come al solito, a congratularmi con la vincitrice: Hotaru! E le altre partecipanti SonSara e Sasori No Danna!
E ringrazio le giudici *inchino* che hanno valutato la mia storia e mi hanno concesso il massimo della proroga (scusate invece me per il ritardo ._.)

Ecco la valutazione che mi hanno dato:



^ 2 Classificato - Lo Spaventapasseri di Urdi ^

Originalità 9 su 10: Molto originale e ben interpretata** Mi ha tenuta incollata al pc per tutti e tre i capitoli** Complimenti!
Interpretazione dell’Immagine 9 su 10: Non c’è che dire ù.ù interpretazione ottima!
Trattazione e IC dei Genitori e Figli 13.5 su 15: Mi è veramente piaciuto il personaggio di Ashura se devo essere sincera ed ho gradito anche come hai parlato dei Kakashi e di Sakumo. Sentivo i loro sentimenti e le descrizioni mi sono parse vive**
Giudizio Personale del Giudice 5 su 5: Voto pieno! Ho adorato questa fic!
Totale 36.5 su 40


P.s. del 2012 IMPORTANTE: un ulteriore ringraziamento devo farlo a suni, una delle mie autrici preferite qui su EFP. Tempo fa, ha lasciato una bellissima richiesta per inserire questa fanfic tra le scelte del sito e non potete capire quanto mi abbia resa contenta. Adesso suni la conosco anche dal vivo e sono davvero contenta :) è una ragazza molto intelligente, adulta, simpatica, con la quale ci si diverte, per cui la sua opinione - a posteriori - oggi vale ancora di più. Grazie, grazie davvero! Rileggo oggi quelle parole e quasi mi emoziono! E dire che son la prima a urlare che son solo ff... haha... al prossimo spritz!!!!

  
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