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Autore: Logan Way    04/03/2016    0 recensioni
Nella sua breve vita lui aveva imparato una piccola lezione fondamentale: chi ama il silenzio deve stare da solo.
No, nemmeno con altre persone che amano il silenzio.
[...]
Julian però era diverso.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Nella sua breve vita lui aveva imparato una piccola lezione fondamentale: chi ama il silenzio deve stare da solo.
No, nemmeno con altre persone che amano il silenzio.
Per quale contorto motivo, vi chiedete? Il silenzio mette a disagio, ecco il motivo.
Lui ormai l'aveva imparato.
Era come ogni mattina sul pullman diretto verso scuola, ma aveva dimenticato le cuffie così aveva puntato il suo sguardo fuori dal finestrino, a guardare il panorama mutevole.
«Posso?» gli chiese una voce femminile che apparteneva a una ragazza alta, finemente truccata, indicando il sedile di fianco.
Si voltò verso di lei e rispose cortesemente di si, nonostante volesse risponderle di no.
A quel punto lei si accomodò, facendo ondeggiare un po' i lunghi capelli castani legati in una coda alta, senza degnarlo più di un attenzione.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli corti neri, sbuffando leggermente perché non era abituato ad avere qualcuno che non conosceva vicino, mentre un fastidiosissimo rumore si diffuse nell’aria; solo dopo si rese conto che non era altro se non il ticchettio prodotto dalle unghie smaltate delle donna che picchiettavano insistentemente sullo schermo del cellulare bloccato.
Alzò lo sguardo incuriosito da quel gesto e incontrò un viso rigido che lasciava trapelare il suo disagio, gli occhi erano fissi sul vetro davanti, nella snervante attesa di veder arrivare la sua fermata.
Da quella mattina diventò quasi un'abitudine osservare le persone che erano non solo sul pullman con lui, ma anche chi gli stava intorno, i suoi genitori, amici; lo faceva sempre più spesso, sempre con più interesse e in questo modo iniziò ad elaborare la sua teoria, ad arrivare a una conclusione.
In definitiva aveva compreso che non era importante il periodo, o il luogo, o le persone stesse: il silenzio intimoriva tutti, chi si conosceva e chi no, era un sentimento che nasceva senza che nessuno potesse controllarlo; l'unico caso in cui aveva visto il volto di qualcuno disteso era quando questo era impegnato, o lo era l'altro che condivideva quello stesso spazio col primo.
Era assurdo, per lui che nel silenzio era abituato a vivere.
Julian però era diverso. Lo era stato fin da subito.
Quando lo vide la prima volta era seduto su una panchina del parco comunale, stava scrivendo, e questo ragazzo gli si era avvicinato con una sigaretta in bocca, i capelli biondi spettinati dal vento.
«Hai da accendere?» aveva chiesto nella speranza di sentirsi dire di si, indicando poi con un dito ornato da un anello arcobaleno la Marlboro spenta.
Lui aveva annuito in modo meccanico, infilando una mano nella tasca della sottile felpa nera, indossata solo al fine di compiacere la madre, per prendere con le dita sottili l'accendino arancione.
Dopo averlo cacciato fuori l'aveva acceso e il biondo si era avvicinato alla fiammella, aspirando per far prendere fuoco alla cartina, subito dopo aveva rimesto a posto l'oggetto, tornando a guardare il tema che stava completando.
«Grazie.» aveva detto l'altro a bassa voce, espirando poi il fumo mentre si sedeva al suo fianco.
Alexis aveva imprecato appena, ma aveva fatto finta di nulla, concentrandosi solo su ciò che stava facendo, in quel modo era sicuro di evitare qualunque distrazione.
E all’inizio così fu, perché per un bel po’ di tempo si sentì solo il rumore della bic che scivolava velocemente sul foglio.
Era come stare da solo, solo con ciò che lo faceva sentire vivo e con i suoi pensieri; ed era una sensazione talmente reale che, alzando gli occhi dal quaderno dopo aver scritto due pagine, si era sorprese di vederlo ancora lì.
Si era sorpreso di trovare il giovane, di cui ancora non conosceva il nome, che guardava in alto le nuvole mutevoli nel cielo, un espressione rilassata, come il resto del suo corpo.
E allora l'abitudine aveva preso il sopravvento, ed erano rimasti così per svariato tempo, mentre lui osservava la prima persona oltre se stesso che riusciva a stare nel silenzio tranquillamente.
Era così strano, era abituato a gente che impiegava quel tempo: chiamava qualcuno, si metteva a canticchiare le canzoni che passavano alla radio, pur di non lasciar spazio al loro temuto nemico.
Era sorprendente.
Poi aveva scosso la testa scacciando quelle riflessioni, ritornando a dare attenzione al compito per scuola e quando aveva sentito l'altro muoversi si era girato di nuovo, ma il biondo così com'era arrivato se n'era andato, lasciando solo una scia di Hugo Boss Red.
La seconda volta che lo notò invece era perché gli aveva fregato il suo amato posto da asociale, non troppo avanti, non troppo dietro.
Nonostante tutto l’idea di allontanarsi da lì per la sua mente era inconcepibile, così, seppur reticente, gli si era seduto vicino, sentendosi inondare i polmoni da quel profumo che aveva già avuto modo di sentire.
Con la scusa di guardare fuori osservò quella figura per niente a disagio; scoprì il suo nome grazie a un braccialetto in quello che gli sembrava argento, su cui era inciso in caratteri essenziali ed eleganti "Julian", infine i suoi occhi caddero sulla tracolla bianca, dove campeggiava sulla tela una spilla su cui c'era scritto "Love is Love", e sullo sfondo la bandiera arcobaleno.
Dopo due fermate lo osservò indossare la borsa, e capì che doveva scendere, così si alzò per farlo passare.
E pensò che la sua teoria avesse delle piccole falle.
Da quel giorno il biondo gli fregava sempre più spesso il suo posto abituale, e sempre più spesso si ritrovava a fissarlo, a scoprire sempre più cose, come il suo amore per la fotografia.
A un certo punto era diventato meccanico cercare la sua figura con gli occhi, esattamente come in quel momento, ed era diventato meccanico sedersi vicino a lui.
E quando scendeva, esattamente una fermata prima della sua, il silenzio diventata più vuoto.
E intanto la sua teoria cadeva a pezzi, sempre di più, sempre più velocemente.
Ma la svolta fu un sabato sera, mentre lui tornava a casa dopo essere uscito coi suoi amici.
Camminava tranquillo, una bottiglia di birra mezza consumata in mano, quando una figura seduta sulla panchina del cortile in cui si erano conosciuti attirò la sua attenzione.
I suoi occhi azzurri non faticarono affatto a riconoscere il ragazzo, e così senza pensarci due volte si avvicinò a lui; ma la scena che si trovò davanti lo spiazzò più di quanto avrebbe mai immaginato.
Julian aveva i capelli biondi che cadevano sul viso, e tra questi si intravedevano i suoi occhi verdi rossi e gonfi, le mani stringevano spasmodicamente la stoffa dei jeans neri che venivano bagnati dalle lacrime che percorrevano le guance diafane, mentre i denti torturavano il labbro inferiore in un maldestro tentativo di trattenere i singhiozzi che scuotevano le sue spalle esili.
Gli si avvicinò ancora di più, pochi passi lo separavano dal giovane.
E il silenzio non regnava più sovrano tra di loro.
Gli porse la bottiglia e l'altro alzò gli enormi occhioni liquidi su di lui, boccheggiando leggermente. Ignorò completamente la birra e si gettò su di lui, allacciandogli le braccia nude intorno al collo, stringendolo forte contro il suo corpo scosso dai tremiti.
Aveva maledettamente bisogno di qualcuno vicino, in quel momento.
Alexis sembrò capirlo perché circondò il suo torace, ricambiando quella stretta, senza fregarsi dei vetri infranti che si sparpagliarono intorno a loro, senza farsi domande sul perché uno sconosciuto si nascondesse in quel modo nell'incavo del suo collo.
Forse perché infondo. Non ci aveva mai parlato, ma lo conosceva, aveva imparato a capirlo, ammise mentre incominciava ad accarezzargli la schiena per cercare di calmarlo.
Le lacrime iniziarono a scendere meno copiose, ma non per questo il biondo si staccò dalla pelle umida dell'altro, anzi, la sfiorò con le labbra, per poi depositarvi un piccolo bacio.
Il moro pensò che a quel punto una persona razionale si sarebbe ritirata quantomeno stranita, invece lui portò la mano ad intrecciarsi coi suoi capelli sottili, nella speranza di riuscire a calmare quel ragazzo che sembrava così fragile con quelle piccole attenzioni che non aveva mai dedicato nemmeno agli amici più intimi.
Passarono alcuni minuti, o forse mezz'ora, avevano perso la cognizione del tempo, in cui finalmente Julian si calmò, ed entrambi si incantarono ad ascoltare i loro cuori che battevano all'unisono, rumorosi come solo un tamburo che spezza la solitudine potrebbe essere.
Il biondo decise di alzare il viso per guardarlo negli occhi e sfiorò con le sue labbra quelle carnose dell'altro: era un gesto puramente dettato dall'istinto, ma che gli sembrava maledettamente naturale.
Non sapeva nemmeno il nome di quel ragazzo che lo consolava senza un motivo, ma sapeva che non avrebbe giudicato: era come una certezza che sentiva nel profondo.
E non si rivelò sbagliata, perché appena si allontanò il moro lo strinse più forte, senza scandalizzarsi per quel gesto che molti avrebbero definito improvviso e immotivato, se non fuori luogo, ma per lui non poteva che essere di un tempismo perfetto.
Nella sua mente costatò che era bellissimo, e forse lo disse anche ad alta voce, perché lo sentì sorridere contro la sua giugulare.
Stettero ancora in quel modo, poi Alexis lo allontanò per spazzare via con le sue mani i segni di quella tristezza che lo aveva attanagliato poco prima ed entrambi si ritrovarono a sorridere, sinceri per la prima volta da lungo tempo.
Non c'era bisogno di altre parole, le loro espressioni dicevano tutto.



«Ricordi?» chiese Julian ravvivandosi i capelli, al polso portava ancora la fascetta d'argento, ma non aveva più l'anello.
Alexis gli sorrise, stringendogli la mano mentre passeggiavano sulla sabbia, il mare agitato in sottofondo.
«Si.»
E ricordava davvero quel ragazzo che in due giorni si era rivelato forse troppo loquace, a tal punto da chiedersi se era lo stesso che aveva fatto crollare la sua teoria.
Due giorni dopo quel sabato il biondo scoprì il suo nome e ci rimase malissimo, perché pensava che avesse un nome più comune, e Alexis scoprì anche il loro comune interesse per la musica oltre al motivo dietro quelle lacrime.
Il biondo lo aveva anche baciato di nuovo, timido, come se avesse avuto paura di essere rifiutato, senza capire che più il tempo passava più il moro bramava le sue labbra sottili. Lui, che non aveva mai nemmeno pensato di stare con un uomo… Eppure non poteva fregarsene di meno, delle sue convinzioni, perché quel ragazzo lo faceva stare bene con la sua sola presenza ed era l'unica cosa che gli importava.
Così alla fine glielo disse, trattenendolo a sé glielo disse su quelle dolcissime labbra, e da quel giorno fu tutto in discesa.
Una discesa piena di liti, problemi, pregiudizi, ma pur sempre una discesa perché erano insieme.
Il suo compagno lo fermò e si posizionò davanti a lui, guardando prima la collana che avevano in comune, un plettro rosso con inciso dietro le iniziali dell'altro, e poi i suoi bellissimi occhi azzurri.
Da quando avevano iniziato quella strada insieme il tempo era volato.
Quel giorno erano esattamente sei anni.
«Ho un regalo per te.» annunciò il biondo con la sua solita voce sensuale mentre la brezza marina scompigliava i capelli, e avrebbe tanto voluto avere la macchina fotografica con sé per poter immortalare quel momento bellissimo, ma tanto sapeva che se lo sarebbe tatuato nel cuore.
Prese una piccola scatolina dalla tasca della blazer azzurra, e l'aprì davanti ai suoi occhi che erano mutati da sorpresi a emozionati.
«Leggi dentro.» sussurrò, porgendogliela.
«"In amore un silenzio vale più di un discorso."» obbedì Alexis, leggendo l'incisione dentro l'anello, la voce spezzata carica di sentimenti.
«Pensavo odiassi il silenzio.» disse appena la voce glielo permise, gli occhi lucidi,
Il biondo sorrise perché per una volta non faceva lui la figura del sentimentale, poi annuì.
Era vero: nel silenzio si era sempre sentito a disagio.
«Ma con te è stato diverso. Ho imparato ad apprezzarlo.» continuò.
Era vero anche quello, perché con lui non era mai successo.
Con lui era sempre stato bene, ed era una cosa che aveva apprezzato fin da subito.
Con lui il silenzio non era pesante, ma era stato sempre più eloquente delle parole: niente poteva competere con il battito del loro cuore.
«É nel silenzio che ci siamo lasciati andare, preferisco ricordare ciò che per primo ci ha legato, nel giorno in cui ti chiedo di legarti a me una seconda volta.»
E non aggiunse altro, perché sapeva che Alexis avrebbe capito.
Alexis capiva sempre ogni suo singolo pensiero, quelle lacrime che non provava più nemmeno a frenare ne erano la conferma.
E anche Julian sapeva che il suo amato non era mai stato più felice di essersi sbagliato.




Log's corner.

Oddio, scrivere in una nuova sezione è sempre traumatico, quindi passo direttamente alla storia.
Non sono affatto convinta di ciò che ho scritto, rileggendola mi è sembrata così meccanica, quasi forzata, e per poco stavo desistendo da metterla su EFP.
Poi però ho deciso di mettercela lo stesso, in primis perchè spero di scoprire cosa non va effettivamente o se è solo una mia impressione (ma ne dubito); in secundis perchè ho disturbato la mia amata Tessa per correggermela, era giusto che vedesse la luce!
A proposito, grazie di cuore, senza di te non saprei mai dove sbattere la testa! <3
Spero vi possa piacere e ringrazio chiunque arrivi a leggere fino a qui!


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