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Autore: GeorgiaRose_    05/03/2016    2 recensioni
Martina Stoessel è convinta che per lei la felicità non arriverà mai. Adottata a due mesi, a undici anni è dovuta tornare in orfanotrofio per via di un evento che le ha totalmente cambiato la vita. Non si fida più di nessuno. Non parla più ai ragazzi. Non ha più degli amici. Non ha più una famiglia. È sola. Ma l’incontro, dopo cinque anni, con il suo amico di infanzia Jorge Blanco le cambierà nuovamente la vita. Nonostante l’età, verrà adottata nuovamente, proprio dalla famiglia Blanco. Jorge, da sempre innamorato di lei, le starà vicino e diventerà, in poco tempo, più di un amico. Ciò che non sa, però, è che anche Jorge ha un brutto passato alle spalle. Riusciranno, insieme, ad affrontare e a risolvere i loro problemi?
“E adesso guardami, io non so più chi sono. Scaldami, quando resto da solo. Calmami, se mi sfogo con loro. Salvami.”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jorge Blanco, Un po' tutti, Violetta
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Scendo velocemente le scale, ancora sbigottita per la notizia di questa mattina. Tra pochi minuti incontrerò due persone che hanno l’intenzione di adottarmi. Davvero? Proprio io? Non riesco quasi a crederci. È letteralmente impossibile. Il fatto è che Patty ha detto che hanno chiesto di me, il che significa che mi conoscono, che sanno il mio nome. Ho quasi paura che ci sia qualcosa sotto. 
Attraverso il lungo corridoio, alla fine del quale trovo Patty a braccia conserte. Sembra molto più entusiasta di me. 
«Martina, stai tranquilla, okay?»
«Credo che dovrei essere io a tranquill
izzare te, Patty» Ridacchio, e come risposta ricevo uno sguardo storto. Mh, okay. 
«I signori ti stanno aspettando. Appena ti senti pronta, puoi entrare.» Mi informa. 
«Ma, cosa devo fare, cose devo dire?»
«Niente, al massimo presentati. Poi saranno loro a parlare e a farti delle domande. Non preoccuparti.» Mi sorride.
«Va bene, grazie.»
E poi, di punto in bianco, mi abbraccia forte. «Sono così contenta per te.» Mi sussurra all’orecchio, per poi staccarsi.
«Anche io lo sono.»
«Buona fortuna.» Dice, per poi andare via.
Respiro profondamente e mi stiro i vestiti con le mani. Mi guardo allo specchio e controllo che i miei capelli legati con una forcina siano apposto. Quando mai mi sono interessata del mio aspetto esteriore? Mha. Respiro ancora una volta, per poi avvicinarmi alla porta semiaperta. La apro totalmente per poi chiuderla alle mia spalle. Davanti mi ritrovo un signore e una signora sulla cinquantina, seduti ad un tavolo, che mi guardano quasi con ammirazione. Mi siedo alla sedia all’altra parte del tavolo. Mi sembra di aver già visto queste due facce. Sono così familiari.
«Io vi conosco, non è vero?» Chiedo immediatamente.
La signora respira profondamente, scambiandosi uno sguardo col marito che non riesco a decifrare.
«Chi siete?»
«Martina,» Inizia l’uomo. «Noi siamo Alvaro e Cecilia Blanco.»
Sono i miei ex vicini. Non capisco. Che ci fanno qui?
«Siete i genitori di Jorge.» Affermo.
«Esatto.» Mi risponde la signora.
«Cosa ci fate qui?»
Cecilia prende la parola. «Martina, noi sappiamo cosa è successo cinque anni fa. Siamo stati noi a chiamare la polizia…»
«Che è arrivata troppo tardi» La interrompo.
«Sì, purtroppo. Non sai quanto ci dispiace.» Afferma Alvaro.
«Non voglio la pietà di nessuno.» Ribatto seria.
«Martina, noi…»
«Perché mi volete adottare? Adesso, dopo cinque anni? Perché? Io non capisco.» la interrompo nuovamente.
«Martina, noi vorremmo ridarti una famiglia. Fino a ieri eravamo convinti che vivessi con i tuoi nonni, i genitori di tuo padre. Poi Jorge ci ha raccontato tutto e abbiamo deciso di venire. Noi ci teniamo a te.»
«Io non ho una famiglia. E non ho un padre. Quell’uomo non è mio padre.»
«Ti possiamo capire. E ci dispiace. Non si tratta di pietà. Solo che noi ti volevamo bene e te ne vogliamo ancora e ci dispiace per quello che ti è successo.»
«Nessuno può capire. Voi non eravate lì. Non avete visto i suoi occhi pieni di rabbia. E quel coltello. Il sangue.» Le parole mi si mozzano in gola. No, non posso piangere. Ho promesso che non l’avrei più fatto. Non per lui. Non merita le mie lacrime.
Cecilia mi prende la mano che ho disteso sul tavolo. Solo ora mi accorgo di star tremando.
«Ci dispiace così tanto.» Afferma. Anche lei ha la voce tremante.
«Smettetela di ripeterlo!» Urlo. Non ce la faccio più. Rivedere i loro volti. Ripensare a quel giorno. Mi alzo, apro la porta e scappo via, lasciando il mio passato in quella stanza.
 
Sono distesa sul letto e guardo il soffitto bianco. Sto ancora pensando all’incontro di una settimana fa. Non voglio andare da loro. Rivedere quella casa mi riporterebbe troppi ricordi. Ancora una volta, un bussare alla porta interrompe i miei pensieri.
«Posso?» Chiede Patty, entrando e chiudendo la porta alle sue spalle.
«Ormai sei già entrata.»
«Giusto. Ma, ancora devi preparare niente? Stasera Cecilia e Alvaro verranno a prenderti per portati a casa. Quindi adesso ti alzi e prepariamo le valige. Su.» Prende una valigia da sopra l’armadio e la poggia ai piedi del letto, dopo avermi fatto alzare. Sistemiamo tutto al suo interno in circa un’ora.
«Come è andata stamattina al cimitero?» Mi chiede, mentre sistemo la coperta bianca con sopra ricamato il mio nome. Patty mi ha detto che era nella culla insieme a me quando mi ha trovato fuori la porta dell’orfanotrofio che avevo meno di un mese.
«Bene. Le ho cambiato i fiori e poi sono andata via.»
«Ho notato che sei tornata prima del previsto. È per via di Lily?» Chiede, chiudendo la cerniera.
«No, è stata una mia decisione.»
«Be’, meglio così.»
«Forse hai ragione.»
«Ma non sei contenta di avere dei nuovi genitori adottivi?» Mi chiede poi.
«Non lo so, sono così confusa. Desideravo andarmene da questo posto, ma quelle persone mi ricorderanno continuamente ciò che è accaduto cinque anni fa. E non so se riuscirò a reggere.»
«Martina, io credo che tu debba dare una possibilità a quelle persone. Ti vogliono bene. Ed è vero, che forse ti ricorderanno quel giorno, ma ti ricorderanno anche tutti i momenti belli che ci sono stati precedentemente. Davvero vuoi dimenticare anche quelli?»
Non l’avevo mai vista da questo punto di vista.
Dissento con la testa, per poi essere accolta tra le braccia di Patty.
«Grazie mille, per tutto.» Le sussurro.
«Io non ho fatto niente.»
 
Scendo in fretta le scale con la mia valigia e la mia borsa a tracolla contenenti le cose di scuola. I Blanco sono arrivati ed è il momento di andare. Passo prima in cucina a salutare Mirta ed Angela. Poi passo nel giardino, dove saluto tutti i bambini. Infine, esco dall’edificio. Alvaro e Cecilia mi stanno aspettando fuori la loro macchina.
«Alvaro, aiuta Martina con la borsa.»
«Certo.» Alvaro prende la mia valigia e la mette nel bagagliaio.
«Vorresti andartene senza salutare me?» La voce di Patty mi fa voltare. Mi butto letteralmente tra le sue braccia.
«Mi mancherai tanto.»
«Anche tu, ma ci rivedremo. Posso venire a trovarti qualche volta oppure potresti venire tu qui, sia che sei sempre ben accetta.» Mi sorride.
«Grazie ancora.»
«Ti ho già detto che non hai nulla di cui ringraziarmi.»
L’abbraccio ancora una volta, per poi entrare in macchina ed allontanarmi da quell’edificio.
«Allora, Tini, Patty mi ha dato una lista delle tue abitudini alimentari e generali. Domattina andrò al supermercato a fare la spesa. Però, io e Alvaro abbiamo intenzione di cambiarti di scuola e iscriverti a quella dove vanno Jorge e Candelaria. Ti ricordi di lei, vero?»
Come non ricordare quella rossa piena di energia e sempre solare? È la sorella minore di Jorge, la mia stessa età. Sarà bello rivederla. Per quanto riguarda la scuola, non me ne farò un problema. Non ho amici, quindi non dovrei salutare nessuno.
«Certo che me ne ricordo. E per la scuola, va bene il cambiamento.»
«Molto bene!»
«Ma Jorge e Cande non sanno di quanto è successo, vero?» Solo ora mi ricordo della conversazione con Jorge di venerdì.
«No, nessuno dei due. Erano troppo piccoli e abbiamo deciso di non raccontargli niente. Jorge è stato quello più triste per via del tuo trasferimento. Credo proprio che avesse una cotta per te allora.»
«Cosa? Nha, non credo.»
«Perché no? Eri una bella bambina, e adesso sei una bella ragazza. Chissà, magari Jorge ha ancora quella cotta.» Ridacchia, assieme ad Alvaro. 
Sto iniziando a sentirmi un po’ a disagio. Io non posso stare con un ragazzo. Ho dei limiti.
«Comunque, tornando a quel discorso, non sanno niente. Sia io che Alvaro crediamo che sia compito tuo dirgli quanto è successo, sempre che tu voglia dirglielo.»
«Grazie, apprezzo il vostro silenzio.»
«Certo. Ah, mi ha detto Patty che ogni domenica vai al cimitero. Se non è un problema vorrei accompagnarti io.» Mi dice ancora Cecilia, mentre Alvaro ha gli occhi sulla strada.
«Per me va bene.» Annuisco. «Grazie»
«Di niente, tesoro.» Mi sorride lei.
Arrivati fuori la loro casa, Alvaro parcheggia l’auto in garage. Scendo velocemente, è proprio come me la ricordavo. A destra c’è il garage. Prima dell’ingresso c’è un portico dove, sulla sinistra, ci sono due sedie a dondolo con un tavolino. Il giardino è enorme e sulla sinistra c’è ancora quell’altalena dove io, Jorge e Candelaria giocavamo da bambini. Adesso è un po’ arrugginita a causa del tempo passato e del poco utilizzo.
Guardo oltre il garage e la vedo. La mia casa. Adesso è un po’ rovinata e fuori c’è un cartello con scritto “Vendesi”.
«Martina, vai pure dentro con Cecilia, prendo io le valige.» La voce di Alvaro mi fa distogliere lo sguardo e lo ringrazio mentalmente. Quella casa mi porta brutti ricordi.
Io e Cecilia saliamo i tre gradini e poi lei estrae il mazzo di chiavi dalla borsa. Con un giro nella serratura apre la porta. Jorge e Candelaria sono seduti sulle scale di fronte l’ingresso e stanno chiacchierando tra loro. Appena ci vedono, balzano all’in piedi e Candelaria viene ad abbracciarmi.
«Martina! Che bello rivederti!» Adesso ha dei lunghi capelli rossi leggermente mossi, gli occhi scuri, e poche lentiggini.
«Mi sei mancata, Scoiattolo.» Rido, chiamandola con quel soprannome che le dava tanto fastidio da piccole.
«Ah, te ne ricordi. Sarò cambiata esteticamente, ma continuo ad odiare quel soprannome.»
«È questa la parte divertente!» Rido ancora. «E comunque non sei cambiata per niente.»
«Nemmeno tu. Jorge aveva ragione, sei bellissima.» Dice guardandomi.
Dopo questo commento le mie guance si tingono leggermente di rosso e sposto lo sguardo su Jorge che è stato tutto il tempo accanto alla sorella minore, ma non ha detto niente.
«Nha, non è vero. Lasciala perdere.» Mi dice lui. «Inventa un sacco di sciocchezze.»
«Quindi mi trovi brutta?» Gli chiedo scherzosamente facendo un leggero labbruccio, come quando eravamo piccoli.
«Uuh…» Sento il piccolo commento di Cande.
«No, non ho detto questo! Sei bellissima, davvero.» Alla sua affermazione, arrossisco nuovamente. Perché mi fa quest’effetto?
Cande, invece, ride. «Sai, è divertente vederti imbarazzato!» Gli dà una pacca sulla spalla.
«Non sono in imbarazzo!» Esclama guardandola storto.
Il rumore della porta d’ingresso che si chiude ci fa voltare tutti. Alvaro e Cecilia sono dietro la porta. Ho come l’impressione che siano rimasti lì a guardarci tutto il tempo.
«Io vado a preparare la cena, ragazzi.» Ci comunica Cecilia con gentilezza, prima di entrare in cucina che è alla sua sinistra.
«Martina, porto le tue valige in camera.» Mi dice Alvaro che sposta poi lo sguardo sui suoi figli. «Perché non le fate fare un giro per la casa?» Gli chiede, prima di superarci e salire le scale.
«Ah, sì. Vieni con me, Tini!» Cande mi afferra il braccio, ma Jorge ci blocca.
«No, Cande, tu non dovevi andare a vedere quel programma di gossip? Non vorrei mai che ti perdessi il tuo programma preferito, faccio fare io a Martina il tour della casa.» Le dice in modo altamente strano e indicandole con un cenno il soggiorno sulla nostra sinistra.
La rossa fa scorrere lo sguardo da lui a me velocemente e sembra di aver capito qualcosa da come le si illuminano gli occhi e dal suo tono di voce. «Ah, sì, certo. Come sei altruista, fratellone. Vado subito.» Gli sorride, per poi avviarsi in soggiorno.
«Andiamo?» Mi chiede lui, sorridendo.
«Certo.»
Entriamo in cucina dove Cecilia con un grembiule rosso, è occupata ai fornelli.
«Questa è la cucina.» Mi indica con un gesto teatrale tutta la stanza.
La cucina ha una forma quadrangolare. Al centro c’è un grande tavolo con sei sedie e di fronte ci sono i vari mobili di un colore bianco accesso. Il frigorifero è posto sulla destra ed è argento, mentre tutti gli accessori sono verde mela.
«Quest’odore… Cecilia, non dirmi che…» Sento un odore invitante arrivarmi alle narici.
«Esatto! Carne al curry e yogurt. Spero ti piaccia ancora.»
«Ah, sì. Da bambina adoravo quel piatto.»
«Già, ogni volta che mia madre lo cucinava, arrivavi tu all’improvviso e ne volevi un piatto. Avevi un fiuto incredibile.» Ride Jorge.
«È una delle mie tante qualità.» Mi vanto.
«Sì sì, certo.» Dice alzando gli occhi al cielo.
«Cosa vorresti insinuare, scusami?» Lo guardo rabbiosamente.
«Niente, niente. Andiamo avanti col giro, okay?»
Il mio sguardo si addolcisce e annuisco. Il primo si sposta poi su Cecilia che solo ora scopro ci stava guardando dolcemente. «A dopo, Cecilia»
Entriamo in soggiorno. Cande è sul grande divano beige a guardare la televisione, posta su una grande parete attrezzata. In fondo c’è un camino, alla cui sinistra si trova una grande libreria e una poltrona sempre beige. Accanto a quest’ultima c’è una lampada. A destra c’è una finestra dalla quale si può vedere il quartiere. Sotto alla finestra c’è uno stereo.
«Il soggiorno.» Anche questa volta Jorge mi fa un gesto teatrale per indicarmi la stanza.
Saliamo al piano di sopra. Di fronte la scala c’è la camera dei genitori di Jorge. Svoltiamo a destra e ci troviamo un corridoio. La prima camera in cui entriamo è quella di Cande: la prima sulla sinistra. Sulla destra c’è una scrivania e una libreria, mentre a sinistra c’è il letto. Sulla scrivania c’è una grande bacheca piena di foto, di biglietti scritti a mano, di inviti per feste e molta altra roba. Sul soffitto c’è una lampada con il ventilatore. Il tutto è sui toni del rosso. La stanza accanto a quella di Cande, è quella di Jorge. Questa è sui toni del blu. Al centro della stanza c’è il letto a una piazza e mezza. Sopra di esso c’è una mensola sul quale ci sono due palloni da calcio e una grande trofeo al centro. Ai lati della mensola ci sono due chitarre elettriche appese al muro, uno è rossa e l’altra è blu. Alla destra del letto c’è un comodino accanto al quale è invece poggiata al muro una chitarra classica. Alla sinistra del letto, e quindi di fronte la porta, c’è la scrivania in un completo stato di disordine. Sopra di essa c’è una seconda mensola con altri piccoli trofei e dei modellini di auto.
«Cos’è quel trofeo?» Gli chiedo, indicando quello tra i due palloni.
«L’anno scorso abbiamo vinto il campionato di calcio tra le scuole, e hanno dato il trofeo a me perché sono il capitano.» Afferma, fiero.
«Wow.» Sussurro quasi. «Suoni?» Chiedo facendo riferimento alle chitarre.
«Diciamo che me la cavo.»
«Mi fai sentire qualcosa?» Gli chiedo.
«Magari un’altra volta, okay?» Chiude la porta della sua camera.
«Come vuoi.» Faccio spallucce.
In fondo al corridoio c’è il bagno e, di fronte alla camera di Jorge c’è quella degli ospiti.
«Questa è la tua nuova camera.» Mi dice Jorge aprendo quella degli ospiti.
La disposizione delle cose è come quella della camera di Jorge, ma è tutto sui toni del beige, un colore neutro.
«È un po’ spoglia.»
«Già, ma adesso la puoi rendere come più ti piace. La mamma ha detto che possiamo anche dipingere le pareti se vuoi. È tua.»
«Grazie.» Gli sorrido, entrando in camera e lui mi segue.
«Ricordi quando eravamo piccoli e ci mettevamo in questa camera fingendo di essere sposati?»
«Come dimenticarlo? La bambola Stella era nostra figlia.» Rido, ricordando. «Chissà che fine ha fatto quel bambolotto.» Scuoto la testa.
«Aspetta qui.» Mi dice Jorge prima di andarsene e tornare dopo due minuti. «Eccolo, l’ho trovato.» Allunga il braccio, dandomi proprio il mio bambolotto. Indossa ancora quel vestito che gli cucì la mamma.
«Ma come…?» Non capisco come possa averlo lui.

«L’hai lasciato qui prima di andartene. E l’ho conservato con l’intenzione di ridartelo un giorno. Quindi, eccolo qui.» Alza le spalle, rispondendo alla mia domanda inespressa.
«L’hai conservata tutto questo tempo?»
Alza nuovamente le spalle.
Gli sorrido. È stato un pensiero davvero carino. Poggio il bambolotto sul letto.
«Prima Cande ti ha salutato abbracciandoti, e io non ne ho avuto la possibilità… Quindi, be’, ecco…» È diventato all’improvviso nervoso. «Posso abbracciarti adesso? Per darti il benvenuto o, meglio, il bentornato.» Allarga le braccia, un po’ titubante.
Deglutisco. È solo Jorge. Mi fido di lui. Più volte mi ha toccato o sfiorato e non mi ha terrorizzato come di solito accade con gli altri ragazzi. Probabilmente perché lo conosco da tanto. Non mi farebbe mai del male, giusto?
«Certo che puoi.» Gli sorrido, anche se non del tutto convinta.
Il suo sorriso dapprima accennato, adesso si allarga e mi si avvicina avvolgendomi con le sue forti braccia, mentre io gli avvolgo il collo.
«È bello riaverti qui.» Mi sussurra tra i capelli.

 

*Angolo autrice*
Ehi ehi eeeehi! Ed eccolo qui, il secondo capitolo di questo bella storiella che, per fortuna, sta avendo "successo", se così si può dire. Eh, sì, sono una sfigatella che aggiorna di sabato sera, ma non credo che a voi abbia dato fastidio il fatto che abbi aggiornato, giusto? No, okay, la smetto di "vantarmi". E me ne vado. Sì, perché da ottima sfigata sto gardando C'è posta per te, non posso tradire la mia Maria ahahahah Tanti besooos e al prossimo capitolo!! 

 

  
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