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Autore: ellacowgirl in Madame_Butterfly    07/03/2016    1 recensioni
[Suffragette]
[Suffragette][Edith Ellyn - Steed]
Affascinata dal film, dal personaggio colto e forte di Edith Ellyn e da quello integerrimo quanto riflessivo di Steed, ho immaginato che tra i due potessero esserci stati dei precedenti, riemersi durante una delle prigionie della farmacista.
"Per quanto l’orgoglio fosse rimasto ferito, era un uomo sufficientemente controllato e pacato per non reagire oltre. Lo sguardo cedette sulle labbra della donna, per poi costringerlo a riallontanarsi e a voltarle le spalle con la dignità che gli era rimasta.
Lo sapeva, di essere nel torto? Sì, davanti a quegli occhi – a lei – ne era consapevole, ma era comunque troppo tardi.
Edith non fece un passo, né disse altro: conosceva la sua sorte, la conoscevano entrambi, così come entrambi sapevano che all’uscita di quel carcere lei avrebbe avuto qualcuno ad aspettarla, che l’avrebbe riaccompagnata a casa, curandole le ferite di battaglie.
Avrebbe voluto curargliele lui, quelle ferite, ma non potendo farlo aveva scelto di infliggergliele."
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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________Ferite________

Il petto le doleva terribilmente.
Ogni volta che si ritrovava dietro quelle sbarre sentiva il suo cuore così forte nello spirito indebolirsi fisicamente, farsi sempre più stanco, sempre più a rischio…
Ogni volta che veniva arrestata e rinchiusa si chiedeva se quella non sarebbe diventata la sua tomba.
Strinse i denti, una fitta le aveva appena attraversato l’addome, da parte a parte, come una lama tagliente.
Cinque giorni. Avrebbe dovuto resistere solo cinque giorni.
Sentì alcuni passi avvicinarsi alla cella, immediatamente allontanò la mano dal petto, lasciando la presa sulla stoffa bianca della camicetta di lino: no, non avrebbe dovuto farsi vedere così – debole.
Le iridi scure fissavano il pavimento, seria eppure limpida la sua espressione. La porta si aprì, ma non ebbe nemmeno bisogno di volgere il capo per immaginare chi fosse venuto a farle visita, ordinando di lasciarli soli in quella sudicia cella.
Rimase seria, eppure le sue piccole labbra parvero incurvarsi appena.
«Alla fine sei venuto» si limitò a dire. L’uomo non si mosse dalla porta, non subito almeno. Rimase ad osservarla, delineandone il profilo delicato con lo sguardo: capelli ricci, ribelli quanto il suo caratterino, un nasino raffinato, labbra sagomate, forme adeguate…
Distolse lo sguardo.
«Sperano ti convinca a mangiare, questa volta» fu la sua risposta. Era già stata dentro altre volte, la signora Ellyn, ed ogni volta si era rifiutata di toccare cibo, nonostante gli sforzi del personale per imboccarla a forza.
Non gli rispose, rimase a fissare il pavimento davanti a sé, ancora appoggiata a quel muro così dannatamente freddo, per i pochi vestiti che indossava.
Non gliel’aveva mai data vinta, non avrebbe di certo cominciato in quell’occasione: dopotutto, era tipico di quegli uomini di legge tentare di approfittare della debolezza altrui, sebbene nel caso della farmacista fosse solamente fisica.
La volontà no, quella rimaneva ferrea ed implacabile.
«So dei tuoi… problemi di cuore» ammise dopo un attimo di silenzio.
La donna sembrò quasi divertita da quell’affermazione. «E da quando saresti compassionevole?» domandò provocatoria, volgendogli lo sguardo solo ora. L’uomo mantenne le iridi ghiaccio su di lei senza timore, eppure – al contempo – senza alcuna comprensione.
Rimpianto, solo un rimpianto così abilmente e forzatamente rinchiuso nei meandri di se stesso, pur di non ammettere l’inammissibile – secondo la sua, di legge.
«Dovresti smetterla, Edith» la voce gli vibrò appena, nel pronunciare il suo nome.
«E’ una scommessa?» domandò lei provocatoria «Perché non sei mai stato molto fortunato, se non ricordo male. Nemmeno all’Università» lo sguardo era fiero, eppure in lei non traspariva alcuna nota di rancore, o vendetta, o risentimento. Nonostante tutti i suoi tentativi, lei – così come tante altre militanti – non era il mostro che aveva cercato di dipingere, sui giornali ma soprattutto nella sua mente.
Non le rispose, sospirò pesante, per poi avanzare qualche passo nella sua direzione. Edith non si mosse, rimase a studiare i suoi movimenti, fin quando non fu ad un passo da lei. Allungò la mano, sfiorandole il volto con il dorso delle dita nello scostarle una ciocca di capelli scuri dalla tempia, rivelando una ferita non indifferente.
Lo sapeva, che durante le manifestazioni i poliziotti non si facessero tanti scrupoli a picchiarle, quelle donne… perché diavolo continuava a sperare che lei non rimanesse ferita? Perché, invece di continuare ad insultare quel rammollito di suo marito, non cercava di ridurre quelle violenze? Lo sapeva, che quella donna fin troppo colta e pericolosa – soprattutto per lui – sarebbe sempre stata in prima fila, non aveva senso continuare ad ignorarlo.
C’era un’insana dolcezza, in quel gesto, eppure la donna non mancò di rifilargli l’ennesima frecciatina.
«Fa male, se stavi per chiedermelo» asserì con una velata ironia, costringendolo a riabbassare lo sguardo sui suoi occhi scuri: era sempre stata maledettamente intelligente, impeccabilmente preparata a tutto.
Steed inspirò profondamente: avrebbe potuto approfittarne, nessuno avrebbe detto nulla, né avrebbe creduto ad una farmacista – una donna – ribelle e malvista come lei. Avrebbe potuto baciarla, toccarla, avere da lei ciò che aveva desiderato per tanto tempo, per poi vederselo sfuggir via dalle mani per colpa di qualche stupido ideale.
«Sei sprecata» gli sfuggì, il tono si era incrinato. Probabilmente, a portare rancore era lui, anche se dietro le sbarre c’era lei.
«Tu per niente» un’altra risposta per le rime, senza tanti mezzi termini, eppure il tono era lontano anni luce dalla cattiveria. In un modo quasi umiliante, sembrava compatirlo.
Le dita scesero, dalla tempia sino alla guancia, quand’ella gli strinse il polso con una delicatezza disarmante. «Sono sposata, se non lo ricordi» precisò, lui sorrise ironicamente.
«Già, col più imbranato di Londra».
«Che mi ha dato un lavoro dignitoso e la libertà che merito» replicò, fissandolo con quello sguardo così maledettamente intenso.
Lo sapeva, che non le avrebbe mai dato niente di simile, che si sarebbe limitato ad esporla come un prezioso soprammobile e a reprimere ogni suo stupido ed avventato istinto libertino.
Ci era riuscito Hugh Ellyn, deriso sin dall’adolescenza per quei ridicoli occhialini tondi ed un corpicino troppo magro per essere un combattente, un duro.
Ci era riuscito quell’imbecille, a farla innamorare di sé.
E non ci era riuscito lui, Steed, nonostante la sua istruzione e la sua carica.
Per quanto l’orgoglio fosse rimasto ferito, era un uomo sufficientemente controllato e pacato per non reagire oltre. Lo sguardo cedette sulle labbra della donna, per poi costringerlo a riallontanarsi e a voltarle le spalle con la dignità che gli era rimasta.
Lo sapeva, di essere nel torto? Sì, davanti a quegli occhi – a lei – ne era consapevole, ma era comunque troppo tardi.
Edith non fece un passo, né disse altro: conosceva la sua sorte, la conoscevano entrambi, così come entrambi sapevano che all’uscita di quel carcere lei avrebbe avuto qualcuno ad aspettarla, che l’avrebbe riaccompagnata a casa, curandole le ferite di battaglie.
Avrebbe voluto curargliele lui, quelle ferite, ma non potendo farlo aveva scelto di infliggergliele.
  
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