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Autore: AnyaTheThief    08/03/2016    4 recensioni
Si consiglia la lettura di "Crossed lives".
L’ho visto cadere.
Lo abbiamo subito soccorso.
Ha detto di dirti che ti amerà per sempre.
E poi…
Constance, mi dispiace.
D’Artagnan è morto.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos, Constance Bonacieux, D'Artagnan, Nuovo personaggio, Porthos
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Stefano gridava.
Damiano gridava.
I bambini gridavano.
“BAGHEERA!” alcune bambine la stavano scuotendo con forza. Le graffiavano involontariamente le braccia e le tiravano i capelli. Beatrice rinvenne e capì subito che qualcosa di brutto era accaduto.
Perché non c’era Tommaso accanto a lei.
Fu la prima figura che cercò con lo sguardo, e nonostante avesse la visione ancora appannata, lo vide.
Le sue mani erano rosse. A dire il vero, era rosso fino ai gomiti.
Per solo mezzo secondo, Beatrice si dimenticò di ciò che era accaduto e pensò alle tempere con cui giocavano da piccoli: lui finiva sempre tutto inzaccherato di mille colori.
Quella non era tempera rossa e lei lo sapeva bene.
Tommaso era inginocchiato, la testa china e le braccia aperte, come se stesse recitando il Padre Nostro. Sulle sue gambe era appoggiata una testolina bionda.
Samuele sembrava addormentato, ma uno sparo gli aveva squarciato il petto e giaceva in un lago di sangue. Capì che doveva essere rimasta svenuta per poco, perché la macchia rossa ancora si stava allargando.
“TOMMY!” la sua voce stridula si unì a quella dei bambini. Cercò di alzarsi, ma ricadde sulle ginocchia pesantemente, strisciò verso di lui e si gettò su Samuele.
“No, no, no…” ansimava agitata. Le mani le divennero rosse in un attimo, come quelle di Tommaso, mentre sentiva i rapinatori urlarsi addosso.
“NON VOLEVO!”
“Sei una testa di c***o, l’hai ucciso, Dio, l’hai ucciso!!”
“Mi è piombato addosso, è stato un riflesso!”
“Era quello che volevi dall’inizio!”
“NO!”
Damiano e Stefano stavano cercando di calmare i bambini. Soltanto i più piccoli si erano mossi dai loro posti ed erano corsi verso gli adulti. I grandi piangevano e gridavano, ma restavano incatenati da un’incredibile diligenza contro il muro.

Per osservare la legge scout.

Beatrice tentava di tener chiusa la ferita di Samuele con entrambe le mani. Non sapeva che era troppo tardi, Tommaso lo aveva già fatto, aveva cercato di trattenerlo con tutte le sue forze, ma la sua vita gli era scivolata via, troppo leggera.
Quando aveva capito che non c’era più nulla da fare, Tommaso aveva tentato di fargli recitare prima la Promessa scout e poi una preghiera, ma Samuele non faceva che gorgogliare sangue. Si era fatto forza ed aveva scandito ogni parola al posto suo.

E benedetto il frutto del seno tuo Gesù.
Amen.


Samuele non aveva mai sentito la fine dell’Ave Maria.
Era morto.
Era morto tra le sue braccia.
Era stata tutta colpa sua.
Lui era responsabile della sua vita ed era morto.
Se non avesse urlato vedendo Bea svenire, l’uomo non si sarebbe mai avvicinato...
Se fosse riuscito a metterlo nel nascondiglio, insieme agli altri piccoli…
Il corpicino esile che soltanto poche ore prima era stato un bambino vivace e curioso giaceva immobile e freddo sulle sue gambe. Rivide il cerotto colorato sul suo ginocchio.

Starai meglio.

Glielo aveva detto? Era quasi sicuro di averlo fatto. Era quasi sicuro che non avesse avuto paura, quando gli avevano sparato. Ma lui cosa poteva saperne?
Beatrice piangeva. Aveva capito anche lei che quel corpo non era altro che un involucro vuoto.

Un insieme di ossa e carne pallida.

E gli si era aggrappata al collo singhiozzante. Doveva rimanere forte, non potevano perdere qualcun altro. Ma era esausto, completamente. Era come se l’anima di Samuele, scappando via, si fosse portata con sé una parte di lui, la parte combattiva, quella che gli stava facendo studiare un piano per fuggire di lì.
Beatrice sembrava terrorizzata e distrutta, ma manteneva ancora una certa lucidità. Spostò il corpo di Samuele contro il muro, in modo che Tommaso non potesse vederlo, anche se rimaneva sul pavimento lucido la chiazza di sangue.
Le bambine chiamavano il loro compagno a gran voce.
Gli uomini ancora si gridavano addosso. Non sapevano cosa fare.
Dovevano prendere una decisione alla svelta, prima che lo avessero fatto i rapinatori.
“Nessuno verrà mai a cercarci qui! Il furgone è nascosto.”
“E vuoi rimanere qui per quanti giorni, esattamente, con trenta ostaggi? Finché qualcuno non riuscirà a scappare, magari? Siamo nella m***a, ci siamo dentro fino al collo, ora!”
“Dovevamo andarcene quando potevamo!”
“Facciamolo ora!”
“Per vivere una vita da ricercati? Io ho una moglie! Lui ha due figli, Dio santo!”
“E allora cosa suggerisci, di sterminarli tutti?”
“...”
“Arrendiamoci.”
“Cosa?! NO!”
“Arrenditi tu, se proprio ci tieni a fare l’eroe!”
Beatrice si avvicinò a Tommaso, cercò di scuoterlo.
“Tommy…” gli sussurrò, mentre lui ancora si guardava gli avambracci sporchi di sangue. “Tommy, dobbiamo fare qualcosa. Ora!” bisbigliò, tenendo d’occhio i cinque che discutevano tra di loro. Aveva ancora le lacrime fresche sulle guance, ma cercò di rimuovere dalla testa il pensiero che Samuele era lì, morto, dietro di loro.
Lui parve scuotersi leggermente e la guardò confuso, come se gli stesse parlando in un’altra lingua. Beatrice disse ad alcune bambine di rimanere sedute contro il muro, perché ancora cercavano la loro attenzione: in questo momento l’importante era far riprendere Tommaso. Senza di lui non poteva fare nulla, era la sua roccia, lo era sempre stato.
“Tommy, mi senti? Mi senti?” domandò più volte, prendendogli il viso tra le mani, finché, frustrata, non esclamò: “non può succedere di nuovo, chiaro?! Non lo permetterò!” le sue parole erano ferme e determinate.
E nella mente di Tommaso qualcosa si smosse. Gli ricordò la Beatrice di quando avevano dodici anni, anzi, no. Una Beatrice ancora prima. Quella Beatrice antica, quella che aveva visto nella sua allucinazione e che mai si era dimenticato.
La ragazza del mercato.
La moglie che lo aspettava.
La donna del cimitero.
L’anziana dell’ospedale.
Quella che aveva tanto amato, e che amava in quella vita, e che avrebbe amato nelle prossime.
“Cosa non può succedere di nuovo?” riuscì a chiederle.
Doveva sapere. Non poteva più vivere con quel segreto tra di loro. Era diventato più grande di tutta la loro storia ed avrebbe finito per soffocarlo: lei aveva visto qualcosa che si sentiva in diritto di sapere.
“Bea.” disse, con un’espressione pietosa sul volto. “Devo saperlo.”
La vide esitare. Diede un’altra occhiata ai cinque uomini armati, poi lo baciò sulle labbra.
“Non mi lascerai di nuovo sola.”
Suonò quasi come un rimproverò, e per un istante Tommaso scavò nei suoi ricordi cercando di trovare il momento in cui aveva compiuto quell’errore. Ma non lo trovò, perché doveva andare troppo indietro con la memoria.
Beatrice gli solleticò la maglietta in quel punto in mezzo al petto, quello che stuzzicava sempre prima di addormentarsi. Ed all’improvviso capì. Sentì una fitta di dolore laddove l’indice di Beatrice lo accarezzava.
“Non ho mai voluto farlo, Const--” si bloccò sul finire della frase. Quel nome… Era rimasto nel suo inconscio per tutto quel tempo, e si sentiva così strano a pronunciarlo. Sapeva che quella era Bea, ma quel nome gli parve così adatto e lei non sembrava per nulla sorpresa del fatto che la stesse chiamando così.
“Constance…” concluse, con un fil di voce ed il groppo in gola.
Beatrice lo guardò intenerita. Non sembrava lei, aveva qualcosa nello sguardo che non le apparteneva. Il modo in cui aveva dischiuso le labbra, la maniera in cui gli prese le mani e la voce che le uscì di bocca quando sussurrò:
“D’Artagnan…”


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Athos bussò alla porta.
La campagna intorno alla casa si estendeva per chilometri, ma una decina di altre abitazioni modificavano il paesaggio in maniera quasi armoniosa.
Gli sarebbe piaciuto vivere così, dopotutto. Ma anche se stava diventando vecchio per combattere, non sarebbe riuscito ad abbandonare i Moschettieri. C’erano così tanti soldati da addestrare, così giovani ed ingenui, che gli ricordavano sempre lui… Quel pivello arrogante.
La prima volta che giunse alla Guarnigione, con la rabbia negli occhi e la sua testardaggine caparbia...
A ripensarci gli veniva sempre da ridere: ormai non provava più quella malinconia che spesso lo attanagliava al mattino.
Porthos… Anche lui caduto in guerra, ma con onore. Era quella la cosa più importante: sarebbero sempre stati ricordati come eroi. Persino Aramis. Anche se era stato condannato come traditore, nella Guarnigione il suo nome era rimasto simbolo di nobiltà d’animo e coraggio.
Constance aprì la porta con aria sorpresa, come se fosse abituata a non ricevere spesso visite. Anche lei era invecchiata, la sua bellezza sfiorita, ma manteneva sempre quel portamento con cui Athos la ricordava, ai primi tempi della sua storia con D’Artagnan.
Lui sorrise e lei fece lo stesso. Le rughe le incresparono il viso, ma riuscivano a malapena a nascondere la sua traboccante spigliatezza.
La Constance che aveva visto dopo la morte di D’Artagnan... Non era lei.
Athos lo aveva sempre saputo, non era stata lei ma un demone oscuro con le sue fattezze che aveva preso possesso delle sue azioni. Per questo aveva garantito per lei con il Re e la Regina, convincendoli ad optare per l’esilio, piuttosto che per la condanna a morte. Si era inginocchiato davanti a loro, aveva abbassato la testa per non far vedere le lacrime ed aveva chiesto clemenza.
La donna lo abbracciò e lui le baciò il capo affettuosamente. Non si vedevano da anni.
Lo fece entrare, si sedettero al tavolo. Lui le teneva le mani tra le sue.
“Ho parlato con la Regina.”
Il sorriso di Constance si affievolì leggermente.
“Lui sta bene. E’ in Spagna. E’ in salute e sta studiando per diventare dottore.” le rivelò, sperando di leggere sollievo nella donna. Ma quella che percepì fu una leggera delusione.
“In Spagna, eh…?” abbassò lo sguardo. Si sforzò di sorridere di nuovo. “Scommetto che è diventato bellissimo. Come lui.” si affrettò ad aggiungere, malinconica.
“Constance. Mi dispiace, ma forse è meglio così.” Athos richiamò la sua attenzione, stringendole leggermente le mani. “Lui vive felice e tu…” esitò. Non si poteva dire certo che viveva felice in quella casa, da sola, ma aveva trovato un certo equilibrio dopo l’allontanamento di Charles. Lasciò perdere la frase che aveva iniziato ed invece aggiunse: “Ho una buona notizia anche per te.”
Constance risollevò lo sguardo incuriosita.
Aveva chiesto ad Athos di rintracciare Charles ormai un anno prima. Si sentiva pronta, dopo vent’anni, a fare la madre che non era mai stata. Ma dentro di sé sapeva che era troppo tardi per colmare quel vuoto che - comprese con sofferenza - poteva essere riempito soltanto da un figlio, sangue del suo sangue e di quello del suo caro D’Artagnan.
Lo ricordava con amore, non più con disperazione.
Lui aveva reso la sua vita meravigliosa, anche se per un tempo ingiustamente breve, e doveva essergliene grata. L’unica cosa che rimpiangeva era quella vergogna che provava mettendo a nudo la sua anima durante le preghiere, davanti a Dio, davanti a D’Artagnan: aveva cercato di eliminare dalla sua vita il dono più bello che una donna possa ricevere. Ed alla fine ce l’aveva fatta.
“Puoi tornare a Parigi, se lo vuoi.” disse Athos con un sorriso caloroso.
Lei arrossì leggermente.
Il suo crimine era stato coperto dalla misericordia della Regina Gisela, che aveva convinto Luigi a non condannarla né umiliarla, ma semplicemente allontanarla dal Louvre e da suo figlio. Le aveva detto belle parole, ricorda. E pensare che lei aveva persino storto il naso quando la Regina si era dichiarata sua amica; lo era veramente, e ciò provava quante volte nella sua vita Constance si fosse trovata in torto.
Ormai Luigi era morto, ed anche la maggior parte delle persone che conosceva. Nessuno le avrebbe rinfacciato nulla. Era rimasto solo Athos, il caro Moschettiere che le era rimasto fedele fino alla fine.
“Potremo vederci più spesso.” le disse, ricordandole quanto solo si sentisse anche lui, nonostante la Guarnigione fosse piena di validi soldati. “E potrai fare visita alla sua tomba quando lo vorrai.”
Constance sussultò impercettibilmente. Non era stata molte volte sulla lapide di D’Artagnan, perché Parigi era lontana ed aveva bisogno della scorta di Athos per rientrare senza rischiare di essere scoperta dalle Guardie Rosse.
Lei si alzò in piedi di scatto e sparì nella camera da letto. Athos si preoccupò solo per un istante, prima di vederla ritornare. In una mano stringeva il crocefisso che D’Artagnan le aveva donato prima di partire, lo stesso della Regina Anne e lo stesso che era stato al collo di Aramis.
“Mi sono ricordata, sai?” sorrise tranquilla. Athos ricambiò interrogativo il suo sguardo. “L’olmo campestre. Mi sono ricordata dove si trova.” spiegò, con una leggerezza che lo fece rimanere basito.
Athos dischiuse le labbra sorpreso. Erano anni che Constance parlava di quell’albero, di cui lui non aveva mai saputo niente, da parte di D’Artagnan.
Era il loro posto segreto, quello in cui andavano quando D’Artagnan spariva per pomeriggi interi.
Ma da quando era morto, Constance aveva continuato a crucciarsi per il fatto di essersi dimenticata dove si trovasse. Un paio di volte lui e Porthos l’avevano anche aiutata a cercarlo, sperando di darle un po’ di sollievo, ma lei vagava con gli occhi persi e guardava senza vedere, quindi non era molto d’aiuto nella ricerca. E poi, com’era fatto un olmo campestre?
“E’ sempre stato lì, non lontano dal cimitero.” rivelò all’amico.
Athos si alzò e le fece un cenno col capo verso la porta.
“Andiamo.”
  
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