Personaggi: Jack Vessalius / menzione di Oswald Baskerville
Rating: Giallo
Note dell'autore: Introspettiva / Angst / Drammatica
Disclaimer: Personaggi, luoghi e abitudini sono di proprietà dell'autore; lo scritto e le situazioni sono di mia proprietà.
.Ricordo di un sogno.
La polvere attutiva il silenzio,
posata su ogni mobile, ogni macchia di
sangue ormai secca e scricchiolante sotto le scarpe dalle suole
consunte; vi
era polvere sugli specchi rovinati, sugli stucchi d'oro screpolati,
sulle ossa
sbiancate dal tempo trascorso. Possibile che respirasse addirittura la
polvere
del tempo mentre avanzava per corridoi familiari come un sogno,
ricordando voci
di donne, risate di bambini, come un ritornello di campane a
festa.
Una mano
sfiorò casualmente una colonnina, vi si resse quando gli
occhi spaziarono su
quel salone buio, spento, consunto dalle fiamme e dal dolore. Non vi
era più
nulla della sfarzosità di sere d'estate, le vetrate erano
cadute lasciando che
il vento freddo dell'inverno crudele penetrasse nel salone da ballo,
mucchietti
di neve contro colonne e tavolini rovesciati, tutto come quella notte.
La
moquette intrisa di ricordi cedette sotto il suo peso e Jack,
scostandosi una
ciocca dal volto, si sforzò nel portarsi al centro del
portale, sgusciando
dalla piccola apertura; si rannicchiò tra le proprie braccia
nel freddo
pungente che un cappotto consunto e color della ruggine non poteva
fermare.
Ricordava bene ogni cosa, si disse
chiudendo gli occhi e lasciando che
le immagini fluissero davanti a lui come in un sogno da cui non si
sarebbe mai
voluto svegliare. La neve sparì, le vetrate tornarono a
proteggere la felicità
di Sablier, i fruscii delle gonne delle dame vorticavano attorno a lui
in un
brillio d'oro e di gioielli. Era tutto come un tempo, per questo
avanzò un
passo lasciandosi travolgere da una orchestra invisibile, con le mani
di Lacie
sul pianoforte fantasma. Era forse la casata Barma quella?
Abbozzò un inchino
ad una Charlotte lontana, accettò le dita affusolate di una
donna di cui non si
ricordava il volto.
Il cappotto rossastro lasciò il posto, insieme ad un
movimento ampio del braccio e alle scarpa destra incrociata dietro la
caviglia
opposta, a quell'abito verde come i suoi occhi decorato di oro e
rubino; lo
riconosceva dal profumo di crisantemo, dall'aria spostata dai capelli
lasciati
sciolti che vorticavano attorno alla sua figura.
Un'altra donna, stavolta
vestita di rosso; la bella Miranda che osò fargli un sorriso
ricambiato con una
risata. Le scarpe si tinsero d'oro, gli orecchini tintinnarono di
fianco al
volto. Un eco di una voce profonda e lontana, un'immagine indelebile,
due mani
grandi che cinsero lentamente la sua vita.
Non osò parlare eppure
riconobbe sé stesso quando si gettò nelle iridi
ora viola, ora rosse, come un opale dai mille sbagliati riflessi. Jack
sorrise
ad Oswald in modo quieto, l'orchestra che pareva composta da un
pianoforte e
una voce dolente e amata ma non desiderata capace di seguirli in quei
primi,
abbozzati passi di danza. Oswald era vestito di nero eppure sembrava
ardente
come il grande candelabro sopra la loro testa; era così
facile ricordarsi come
per gioco avevano iniziato a ballare, ritrovare i ricordi nel breve
bagliore di
un sorriso.
Le dita scivolarono tra gli spazi
lasciati liberi quasi per caso da
Oswald, percependo un calore familiare attraverso i guanti di seta, i
fianchi
spinti contro un uomo che sembrava essere uscito da un sogno sul serio.
La
musica cresceva, diminuiva, un'allodola pronta a cantare le ultime note
del suo
inno; le ultime note furono portate via da un sospiro freddo come la
neve,
dagli occhi d'ossidiana con lacrime intrappolate dalle ciglia
impossibilmente
lunghe dell'uomo. Quelle labbra erano troppo gelide, un abbraccio
improvvisamente vuoto e l'eco del cuore perduto negli angoli remoti del
palazzo.
Il silenzio cadde come il corpo di
Jack, impattando con le ginocchia sul
pavimento mangiato dalle intemperie. Nessuna dama, nessuna musica,
nessuno
sguardo di pietra liquida pronto a colargli nelle vene, a riscaldare
una
speranza perduta per sempre. Si ritrovò a ridere, a
piangere, non lo sapeva
neppure lui, gli occhi perduti in un mondo onirico a cui avrebbe voluto
appartenere.
La polvere, gli scheletri, la macchia di sangue davanti a lui,
tutto era reale; dei gioielli e delle risate, della musica e
dell'amore, non
rimaneva che una patina pronta ad essere grattata via con l'unghia,
così come
la polvere su specchi che avrebbero rivelato solo che nessuna mano era
ormai
tesa per lui, fantasma anch'egli.
.Fine.
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Consiglio la lettura con "Quando viene Dicembre" in sottofondo.