N.D.A.
A
chi aveva seguito in passato la mia
"A brand new world – A
brand new me", avevo promesso un seguito. Ma ultimamente sono
troppo presa da altre cose e altri lavori e non credo che potrei
cominciare un'altra long, ciò nonostante non vi ho
dimenticati! E
non ho dimenticato la mia promessa. Così ho pensato,
intanto, di
pubblicare questa OS.
Spero
possa piacervi ^_^
Chissà che magari un giorno non riesca davvero
a renderla long, come avevo progettato.
Per
le new entry, che non conoscono la mia vecchia
Long, un paio
di informazioni per orientarvi nella lettura: in essa, avevo
inserito un nuovo personaggio (Alice) all'interno del gruppo, al
tempo della fattoria di Hershel e all'inizio della prigione,
facendola durare per tutto il primo periodo "Governatore".
Alice aveva legato molto con Daryl e insieme, durante
un'avventura/disavventura, avevano trovato Molly: una bambina di 8
anni dai capelli rossi, rimasta orfana. L'avevano portata alla fattoria
e Molly si era legata molto ai suoi due salvatori.
Piccola
curiosità: Molly, vuoi per lo shock, vuoi perché
piccola e ogni
tanto le parole si storpiano, una sera, mezza addormentata, non
riesce a chiamare in maniera corretta "Daryl" e per sbaglio
lo chiama "Daddy". La cosa però non dispiace al
balestriere e glielo lascia fare, accollandosi
quell'appellativo.
Spoiler necessario per comprendere la trama:
alla fine Alice muore xD
Enjoy!
This
is not the end
Prigione,
circa
1 anno dopo la morte di Alice
Uno
sparo improvviso.
Sussultai
e mi voltai verso il recinto della prigione. Proveniva da
lì. Ma non
ebbi tempo di vedere cosa lo avesse provocato.
«Vieni!»
mi tirò Maggie, trascinandomi velocemente dietro un angolo,
protetta
dal casolare.
«Che
succede?» chiesi, sussurrando.
«State
indietro!!!» urlò Rick, precipitandosi nel cortile
dove eravamo. Lo
guardai allarmata e lessi nei suoi occhi la stessa paura che al
momento avevamo tutti. Dietro di lui correvano anche Daryl e Tyreese.
Vennero nella nostra direzione e Daryl si precipitò da me,
inginocchiandosi. Mi guardò torvo in viso: «Stai
bene?» mi chiese.
Annuii.
«Rick!»
chiamò una voce in lontananza. Non fu difficile
riconoscerla, tutti
la conoscevamo lì dentro, perfino io.
«Vieni
qui fuori. Dobbiamo parlare.» chiamò il
Governatore.
«È
qui?» chiesi sconvolta, guardando Daryl con aria riprovevole,
come
se fosse stata colpa sua. «Perché è
qui? Era morto! Tu hai detto
che... »
Daryl
mi zittì con un severo "sh", ma potei leggere il senso di
colpa nei suoi occhi. Lo aveva inseguito a lungo, cercandolo per
vendicarsi di quanto aveva fatto ad Alice e a Merle. Non ero mai
stata sicura che fosse giusto così, ma certo non sarei stata
io a
dirgli cosa era giusto fare. Lui sicuramente ne sapeva più
di me. Ma
poi aveva smesso di cercare e io, chissà perché,
avevo creduto
fosse davvero tutto finito.
Mi
ero sbagliata.
Il
Governatore era di nuovo alla nostra porta.
Chi
si sarebbe portato via questa volta?
La
paura mi chiuse per un istante i polmoni, impedendomi di respirare.
Perché
era di nuovo alla prigione? Perché?!
Ci
avvicinammo alla rete metallica, per osservare meglio e poter parlare
con lui. Daryl mi spinse per una spalla, costringendomi a nascondermi
dietro di lui e, ammetto, non disdegnai.
«Non
spetta più a me! C'è un consiglio adesso! Sono
loro che decidono!»
urlò Rick.
«C'è
Hershel nel consiglio?» chiese il Governatore. Non
rispondemmo, ma
osservammo quello che stava accadendo davanti a noi. Una donna mora
si avvicinò a un auto, una delle tante, vicino a un carro
armato. La
donna sparì dietro lo sportello, poi ricomparve, facendo
camminare
davanti a sè Hershel, con le mani legate dietro la schiena.
Sussultai
nel vederlo lì, in mezzo ai cattivi, legato e con la testa
china.
Strinsi tra le dita la camicia di Daryl, davanti a me, e, intimorita,
mi schiacciai contro di lui. Alzai lo sguardo, cercando il suo viso,
cercando, sciocca, nei suoi occhi chissà quale speranza. Lui
sapeva
sempre cosa fare, sapeva sempre come risolvere la situazione. Ero
certa che avrei trovato le mie risposte.
Ma
non fu così.
Ed
ebbi paura.
«E
che mi dici di Michonne? Anche lei è nel
consiglio?» continuò il
Governatore e un altro uomo, infilandosi sempre nella stessa auto,
tirò per un braccio la donna di colore, accompagnandola
vicino al
vecchio. Furono entrambi fatti inginocchiare davanti al carro armato,
con due uomini armati al loro fianco, per tenerli sotto tiro.
Guardai
di nuovo Daryl, insistendo nella mia ricerca di risposte. Ma lui
parve riflettere il mio sguardo intimorito, indirizzandolo a Rick.
Daryl era la mia sicurezza, Rick la sua.
«Le
decisioni non le prendo più io.»
insistè Rick.
«Oggi
dovrai prenderle tu.» rispose con sicurezza il Governatore.
Aveva un
conto in sospeso con Rick, era palese. Era con lui che ce l'aveva e
con lui voleva vedersela.
«Vieni
qui da me» proseguì il Governatore. «E
facciamo due chiacchiere.»
Rick
era irrequieto, forse quello più spaventato tra tutti. Era
incredibile come ancora fosse un pilastro nel nostro gruppo, lui che
più di tutti aveva vacillato. Eppure era lì e
tutti noi volgevamo i
nostri occhi ai suoi.
Rick
ci guardò, cercando in noi la forza e il nostro consenso.
Guardò
soprattutto Daryl, la persona su cui contava di più. Poi si
voltò
verso Carl e disse a lui, ma forse più a se stesso:
«Ehy. Possiamo
farcela, ok?»
Carl
annuì e Rick, sospirando, impugnò la pistola e si
diresse
attraverso il cortile, verso la recizione più esterna.
Daryl
si voltò a guardare gli altri e si avvicinò
lentamente a loro, per
parlargli, senza essere sentito dal nemico. Io continuai a star
attaccata alla sua camicia.
«Non
possiamo ucciderli tutti. Facciamo il giro dal bosco, come avevamo
pianificato. Non abbiamo abbastanza uomini. Avete controllato le
provviste sull'autobus?»
«Sì.»
rispose Sasha. «Il giorno prima della spedizione. Le razioni
erano
poche, ora ancora meno.»
«Ce
la caveremo. Se si mette male andate verso l'autobus, ditelo a
tutti.»
«E
se nessuno capisse che si sta mettendo male? Quanto
aspettiamo?»
chiese Tyreese.
«Il
più possibile.» rispose Daryl, prima di
inginocchiarsi di nuovo
verso di me, tenendo però lo sguardo fisso sul Governatore.
«Hai
la tua daga?» mi chiese e io gli mostrai, quasi con orgoglio,
il
fodero appeso alla vita della mia salopette in jeans. Da quando Alice
era morta, regalandomelo, non me lo toglievo mai di dosso se non per
dormire. E anche in quelle occasioni, comunque, restava vicino a me,
a portata di mano. Ne ero gelosissima.
«Resta
nascosta. Se qualcosa va storto segui gli altri sull'autobus, ma
ricorda quello che ti ho insegnato!»
«Segui
il tuo istinto» recitai solennemente. «Se tutte le
pecore vanno
verso il pastore, ma tu senti che puzza di merda, scappa e fottiti
delle regole.»
Se
Alice fosse stata ancora viva avrebbe urlato per tre giorni nel
sentirmi dire parolacce, ma da quando non c'era più e ad
occuparsi
di me era stato solo Daryl le cose erano cambiate. Tutto era
cambiato. Mi ero ritrovata improvvisamente adulta, e agli adulti era
permesso dire parolacce.
«Brava,
piccola.» mi disse, dandomi un bacio sulla fronte.
«Vai, ora.»
Annuii
e mi voltai per scappare via, ma non lo feci subito. Una voce
sussurrò al mio cuore e io, come mi era stato insegnato,
seguii
l'istinto: mi voltai nuovamente verso di lui e con un leggero balzo
in avanti gli cinsi il collo con le braccia, stringendolo con tutta
la forza che avevo.
Avevo
paura.
Il
pericolo era lì fuori, pronto a spararci addosso e io avevo
paura
che quello sarebbe stato l'ultimo momento insieme. Non volevo farla
tragica, anche se oggettivamente lo era, ma avevo imparato che
qualsiasi momento, anche il più banale, poteva essere
l'utimo. E io
non volevo andarmene senza aver prima ribadito quanto lui fosse
importante per me.
«Andrà
tutto bene, vedrai» mi rassicurò, stringendomi a
sè con un
braccio. «Vai. Forza!» mi incoraggiò
ancora e io questa volta
ubbidii. Andai a infilarmi in uno dei miei nascondigli preferiti, una
sottile fessura tra il muro del casolare e uno di quei pesanti
carrelli in ferro. Da lì sarebbe stato facile scappare in
caso di
pericolo, la copertura era assicurata fino alla prima rete, quella
interna, e da lì sarei potuta sgattaiolare dietro il
casolare e
raggiungere facilmente l'autobus. Avevo vissuto abbastanza in quella
prigione per conoscerne tutti i segreti, e costruirne di nuovi. Avevo
i miei nascondigli, i miei tunnel e tutto ciò che era
necessario a
una bambina di otto anni per divertirsi e sentirsi padrona di quel
posto.
Mi
infilai e restai lì, con la testa leggermente sporgente in
fuori,
per continuare a tenere sotto controllo la situazione.
Daryl
cominciò a distribuire armi tra i presenti,
dopodichè si sitemò
vicino a Carl, con un fucile ben spianato davanti a sè.
Rick,
nel cortile esterno, continuava a parlare col Governatore, muovendosi
agitatamente da una parte all'altra. Irrequieto.
Non
riuscivo a sentire ciò che stavano dicendo e la cosa mi
agitava un
po'.
Ma
potevo vedere.
E
vidi all'improvviso il Governatore scendere dal carroarmato, con
passi lunghi. Stava cominciando ad irritarsi e questo mi metteva
ancora più paura. Prese la katana di Michonne e si
avvicinò a
Hershel, poggiando la lama sulla sua spalla, vicino al collo.
Parlò
ancora.
Non
lo sentii, ma in qualche modo sapevo cosa stava dicendo.
Era
qualcosa di cui avrei dovuto avere paura.
Strinsi
tra le dita l'elsa della daga, senza sfilarla, cercando in lei la
forza e il coraggio.
Cominciarono
a bruciarmi gli occhi, sentivo il bisogno di piangere, ma lottai. Non
dovevo piangere. Daryl mi sgridava sempre quando lo facevo.
Tirai
su col naso e strinsi ancora più forte l'elsa della mia arma.
«Ti
prego, ti prego, ti prego» cominciai a mormorare tra me e me,
in una
privata pregheria. «Vattene. Vattene via. Lasciaci in
pace.»
Mi
sorpesi a tremare e continuai, sentendo la gola bruciare, nella mia
preghiera.
Rick
parlò, parlò a lungo, quasi urlando. Il
Governatore abbassò
l'arma, ascoltandolo. Cominciai a sperare. Stava funzionando! Strinsi
le mani tra loro, lasciando la daga, incrociando le dita e pregai
più
forte.
«Ti
prego! Lasciaci in pace. Ti prego.»
Non
sapevo a chi stessi rivolgendo le mie parole, ma sapevo che, chiunque
fosse, le stava ascoltando. E ne ero talmente felice che, nel
tentativo di chiamare ancora di più la sua attenzione,
aumentai la
stretta delle mani, l'una dentro l'altra, fino a farmi quasi male.
Stava
funzionando.
La
katana non poggiava più sul collo di Hershel.
Stava
funzionando.
Ma
qualcosa andò storto.
Tutto
crollò, l'entità divina che stava cercando di
esaudire il mio
desiderio morì all'improvviso e con lui la magia che stava
compiendo.
Il
Governatore con un colpo secco tagliò la gola a Hershel.
Urlai,
ma mi affrettai a tapparmi la bocca da sola. Non dovevano sentirmi.
Non riuscii a trattenere le lacrime, però, e scoppiai a
piangere
così forte che nemmeno le mani sulla mia bocca poterono
tacere i
miei lamenti.
Sentii
altre urla, Maggie, Beth e forse Rick.
Poi
non sentii altro che colpi di pistola.
Mi
rannicchiai, urlando e disperandomi, cercando di restare nascosta
dietro il mio enorme carrello. Qualche proiettile colpì
anche lui,
mettendomi ancora più paura. Mi portai le mani alle
orecchie,
cercando di tapparle. Non volevo sentirli.
Non
volevo sentirMI.
Non
volevo sentire dolore e paura.
Quella
era casa mia.
Lasciatela
in pace! Lasciate in pace la mia famiglia.
Urlai
ancora, senza trattenermi.
Ma
la mia voce fu sovrastata dal rumore del recinto che veniva piegato,
sotto al peso del carroarmato.
Stavano
entrando.
La
mia casa.
Stavo
perdendo la mia casa.
I
proiettili continuavano a colpire il carrello, che ancora mi teneva
protetta.
"Basta!
Basta!"
continuai a
pensare, pregando che smettessero immediatamente... senza un motivo
preciso, se non quello di continuare a vivere.
Quella
era la mia casa.
Perché
ce la stavano distruggendo? Cosa avevamo fatto di sbagliato? Non
eravamo persone cattive, perché ci stavano sparando addosso?
Ancora
colpi, ancora urla e il nemico, ormai nel cortile esterno, che
avanzava.
«Va'
nell'autobus!» sentii dire da Maggie, probabilmente non
rivolta a
me, ma questo mi ricordò una cosa importante.
«Segui
il tuo istinto.» mormorai più volte tra me e me.
Riportai
velocemente la mano sull'elsa della daga e la strinsi.
«L'autobus.
Devo andare... » mi dissi ancora, cercando di darmi degli
ordini da
seguire, o sarei rimasta lì aspettando di essere trovata e
uccisa.
Strisciai lungo il muro, restando nascosta dietro i carrelli
metallici, continuando a proteggermi dai proiettili.
Poi
un enorme esplosione fece saltare in aria il muro sopra la mia testa.
Mi acquattai di nuovo, urlando terrorizzata per l'improvviso rumore e
mi coprii la testa con le braccia in un istintivo gesto di
protezione. Sentii i calcinacci arrivarmi addosso e in poco tempo fui
seppellita dalla povere. Tossii e mi portai una mano alla bocca. Mi
bruciavano gli occhi, ma dovevo andare avanti. Mi misi a gattoni,
tenendo la testa bassa per evitare che altra polvere e altri
calcinacci mi arrivassero in viso e proseguii, lenta.
Riuscii
ad arrivare alla fine della fila, all'angolo del muro. Da lì
sarei
stata scoperta per un piccolo tratto, ma c'erano tavoli capovolti
sparsi per la via con cui potevo proteggermi. Sporsi la testa e
guardai in direzione del cancello, da dove stavano arrivando gli
aggressori. Erano distanti da dove ero io, ma i proiettili arrivavano
lo stesso fin lì. Potevo vedere sbuffi di povere al suolo
ogni volta
che uno lo colpiva. Rientrai con la testa e feci un paio di respiri
profondi, dandomi il tempo per trovare il coraggio. Il primo tavolo
era distante pochi passi, dovevo essere veloce.
«Uno,
due e tre... » sospirai rapidamente, prima di lanciarmi fuori
e
cominciare a correre, con le braccia avvolte sopra la testa. Senti un
colpo sfiorarmi la caviglia. Mi venne voglia di piangere, ma riuscii
a trattenermi.
Raggiunsi
il primo tavolo e mi fermai dietro di esso, per prendere fiato. Mi
ero accorta solo in quel momento di aver trattenuto il respiro.
Guardai davanti a me: riuscivo a intravedere l'autobus, sul retro del
casolare. Dovevo solo arrivarci e il secondo tavolo era ancora
più
distante.
«Forza.»
dissi tra me e me e, dopo altri respiri profondi, cominciai a correre
di nuovo verso la mia nuova protezione. Mi fermai però a
metà
strada, inchiodando talmente forte da perdere l'equilibrio e cadere a
terra.
Urlai.
Due
vaganti mi stavano venendo incontro! Erano riusciti a entrare dai
cancelli sfondati, non sapevo quando. Ma erano lì!
Mi
voltai di scatto e, gattonando in un primo momento, poi tirandomi in
piedi, scattai nell'altra direzione. Un proiettile atterrò
davanti
ai miei piedi, facendomi inchiodare di nuovo e cambiai di nuovo
direzione. Ovunque andassi trovavo ostacoli e pericoli.
Senza
rendermi conto, presa com'ero nello schivare vaganti e proiettili, mi
allontanai dall'autobus invece che avvicinarmi.
Corsi
dietro un altro tavolo, cercando protezione almeno dai proiettili, ma
alcuni vaganti mi stavano ancora seguendo. Un altro sbucò
all'improvviso da dietro il mio rifugio e io, urlando, scappai di
nuovo. Dove, non sapevo, ma lontano da tutto quel trambusto. Cercavo
un rifugio, lo trovavo, lottavo per raggiungerlo e poi ero costretta
a correre di nuovo via.
Seguivo
l'istinto. Proprio come mi era stato insegnato.
Corsi
ancora, svoltai l'angolo di una colonna ma mi trovai di fronte altri
tre vaganti. Mi voltai per tornare indietro. Ne avevo due alle
spalle.
La
voce mi uscì d'istinto.
«Daddy!!!»
urlai, arretrando fino a trovarmi con le spalle al muro.
«Daddy!»
urlai ancora, terrorizzata, non sapendo più da che parte
andare.
All'improvviso un vagante cadde a terra, poi un secondo. Un volto
sbucò all'improvviso: lo conoscevo appena. Era uno degli
abitanti
della prigione, un nuovo aiutante di Rick, sapeva usare la pistola a
sufficienza, ma non ricordavo il suo nome. Non avevo mai parlato
molto con lui. Mi prese per un braccio e mi tirò via,
trascinandomi,
correndo verso il cancello.
Nella
corsa vidi alla mia destra Daryl e d'istinto puntai i piedi, cercando
di fermarmi. La strada era libera fino a lui, sarei potuta correre e
lui mi avrebbe protetto e portata via. Ma l'uomo continuava a tirarmi
con forza, tenendomi il polso talmente stretto da farmi quasi male.
«Lasciami!»
ordinai, senza essere ascoltata.
«Lasciami!
Daddy!!!» urlai ancora, voltandomi a guardarlo. Nonostante il
rumore
degli spari Daryl riuscì a sentire la mia voce e si
voltò verso di
me, vedendomi.
«Molly!»
urlò, scattando in avanti per raggiungermi. Degli spari gli
tagliarono la strada, costringendolo a fermarsi e tornare indietro,
per proteggersi dietro a delle scatole in legno.
Io
continuai a strattonare per liberarmi e a chiamarlo.
Fu
tutto inutile.
«Daddy!!!»
urlai ancora, ma quella volta la mia voce fu coperta da un altro
urlo. Un proiettile raggiunse il braccio teso dell'uomo che mi stava
trascinando, costringendolo a mollare la presa. Lui cadde a terra,
urlando di dolore e io rimasi immobile, sconvolta da quanto fossi
stata fortunata. Pochi centimetri più indietro e quel colpo
avrebbe
centrato me.
«Molly!»
mi sentii chiamare e mi risvegliai dal mio shock. Mi voltai e lo
cercai con gli occhi.
Dei
vaganti mi si piazzarono davanti e vennero nella mia direzione.
Sentivo
la sua voce ma non riuscivo a vederlo.
Arretrai.
Proiettili.
Morti.
Vaganti.
Ovunque
guardassi una sola parola mi veniva alla mente:
«Merda.»
Era
la merda più totale.
E
sapevo cosa dovevo fare se sentivo puzza di merda.
Scattai,
voltando le spalle alla voce di Daryl che continuava disperato a
chiamare il mio nome. Mi diressi verso uno squarcio nella recizione,
mi acquattai e scivolai fuori. La mano di un vagante sfiorò
la mia
caviglia, ma per fortuna non riuscì a prendermi.
Cercai
di tenermi sempre dietro alle auto e a tutto ciò che ora
decorava il
cortile esterno, cercando nella fortuna la mia unica protezione, dato
che il pericolo era ovunque.
Riuscii
a raggiungere la recinzione più esterna. Scattaiolai oltre
l'apertura che l'aveva distrutta, riuscendo miracolosamente a
schivare i proiettili, complice anche la mia bassa statura che non mi
rendeva un obiettivo ben visibile.
Ben
presto l'unica cosa che avevo intorno furono solo alberi.
Ma
non mi fermai.
Sentivo
la paura inseguirmi.
Non
mi fermai.
E
scappai via lasciandomi alle spalle una scia di lacrime e di addii
mancati.
Da qualche parte, Georgia, 7 anni dopo
Correvo.
Avevo freddo. Paura. Provavo dolore.
Tante
cose potrei dire di quel giorno. Ma in verità solo una
parola
definirebbe veramente ciò che provavo: libertà.
Il
respiro mi mancava, ero stanca, affamata e mi facevano male le gambe,
ma il fiato dei miei inseguitori, ancora troppo vicino, mi dava la
forza di andare avanti. I piedi nudi non smettevano di scontrarsi
contro sassi e schegge, lasciando una leggera scia di sangue alle mie
spalle, che certo non aiutava al mio scopo. Non scostavo i rami che
mi venivano incontro, ferendomi le braccia, strappando quella stupida
camicetta bianca che mi arrivava alle ginocchia. Unico abito che
avevo addosso. Tutto era successo così velocemente che non
avevo
avuto tempo di prepararmi adeguatamente. Si era presentata
l'occasione e io l'avevo presa al volo. L'unica cosa che ero riuscita
a prendere, perdendo un po' di tempo e mettendo a rischio la riuscita
della mia missione, era stata la mia vecchia daga. La mia fedele
amica. Daga che ora stringevo con tutte le forze tra le dita, mentre
correvo, scappavo, senza una meta precisa.
Mi
sarei fermata solo quando avrei smesso di sentire puzza di merda.
Gli
alberi finirono, finalmente, e sbucai su una strada. Davanti a me
c'erano delle case, riuscii a contarne quattro prima che il bosco
ricominciasse. Guardai a destra e sinistra, seguendo con lo sguardo
la strada: se avessi proseguito in quella direzione, mi sarei
ritrovata i miei inseguitori addosso nel giro di pochi minuti e solo
Dio sa cosa mi avrebbero fatto.
C'era
una sola via che potevo proseguire.
Un
fruscio alla mia destra mi fece sussultare e mi voltai di scatto,
alzando istintivamente la daga.
Un
vagante mi venne incontro a fauci spalancate, mugolando, ruggendo.
Arrancava, non era troppo veloce sulla sue gambe marce. Non era un
pericolo, ma ciò mi diede modo di ricordarmi che dovevo
sbrigarmi.
Corsi
verso le quattro case e mi nascosi dietro la prima, infilandomi nel
vicolo tra lei e quella di fianco.
Dovevo
trovare una soluzione alternativa: se avessi continuato a scappare
prima o poi mi sarei stancata e loro mi avrebbero raggiunto. Non era
gente che si arrendeva con facilità.
Dovevo
fargli perdere le mie tracce.
Un
altro mugolio alle mie spalle e scattai di lato, schiacciandomi
contro il muro appena in tempo per schivare la bocca puzzolente di un
altro vagante.
Quegli
stronzi erano ovunque e sbucavano dal niente.
E
io...ero solo una stupida ragazzina di 15 anni in camicia da notte,
appetibile e facile da afferrare perfino per un cane zoppo.
Troppo
esposta.
Poi
ebbi l'idea.
Afferrai
i lembi della mia camicia e li tirai velocemente verso l'alto,
sfilandomela e restando completamente nuda.
Il
vagante tornò all'attacco, avventandosi su di me. Gli posai
le mani
sulle spalle e con tutta la forza che avevo lo spintonai.
«Aspetta,
cazzo.» brontolai.
Il
vagante si schiantò contro il muro dietro, ma ovviamente non
si
arrese e si lanciò nuovamente verso di me. Lo spintonai
ancora e
cominciai a indietreggiare lentamente verso l'interno del vicolo,
pregando che non ce ne fossero altri appostati dietro i cassonetti.
Impugnai la mia daga con la stessa mano che reggeva la camicetta e
posai la punta affilata contro il palmo dell'altra.
Tremavo
come una foglia, maledetto freddo! Maledetta paura!
Senza
esitazione, incisi la mia stessa mano non troppo in
profondità,
trattenendo un lamento.
La
ferita cominciò a vomitare sangue.
Bruciava
come l'inferno, ma al momento la paura superava il dolore.
Cominciai
a sporcare la mia camicetta con il mio stesso sangue, mentre ancora
indietreggiavo, facendomi seguire dal vagante.
Poi
sventolai la camicia pregna di sangue davanti a me, invitandolo ad
afferrarla come un torero con il suo mantello rosso.
Come
previsto, ci si lanciò contro, anche se probabilmente mirava
a me.
Lasciai
la camicetta, strattonandola per farla ben incastrare tra le dita del
vagante e con una piroetta degna del torero che sentivo di essero,
schivai il suo attacco.
Gli
posai velocemente le mani sulle spalle e lo spinsi a terra,
guadagnando tempo.
Corsi
via, intenzianata a uscire dal vicolo e proseguire la mia fuga.
«Di
qua!» sentii urlare dall'altro lato della strada e mi
bloccai,
schiacciandomi contro il muro della casa. Se fossi uscita in quel
momento mi avrebbero vista e il mio piano sarebbe andato in fumo.
Dietro di me il vagante si stava alzando, pronto a tornare
all'attacco.
Ero
nei guai.
Mi
voltai di nuovo verso l'interno del vicolo e trovai la mia soluzione
davanti ai miei occhi: il cassonetto.
Corsi
da lui e l'aprii con urgenza.
Un
altro vagante uscì all'improvviso da lì, urlando
e spingendosi in
avanti per prendermi e per poco non urlai. Le voci dietro di me si
fecero più forti: «Controllate la strada, io e
John andiamo a
cercare lì dentro.»
Non
potevo vederli, ma immaginavo cosa fosse il "lì dentro".
Dovevo
sbrigarmi.
Mi
lanciai contro il vagante nel cassonetto e con un colpo deciso al
volto lo uccisi, poi con altrettanta velocità mi lasciai
cadere
all'interno di quell'inferno puzzolente e chiusi il portellone appena
in tempo, prima che il mio amico con la camicetta si lanciasse su di
esso nel tentativo di afferrarmi.
Chiusa
lì dentro, al buio, tutto sembrava più rumoroso
di quanto fosse in
realtà, perfino il mio fiato smorzato.
Tremavo
ancora come una foglia, ma stavolta ero sicura non era per il freddo.
Sentii
il Vagante fuori dal cassonetto mugolare, colpendo la mia gabbia,
innervosito dall'evenienza che non riuscisse a raggiungermi.
"Merda!"
pensai "Così capiranno subito che sono qui dentro."
Dovevo
trovare una soluzione, non volevo arrendermi così. Non
potevo.
Guardai
il mio coinquilino morto, steso al mio fianco. Non era messo troppo
male, probabilmente non era morto da molto tempo e poi...era una
donna. Ebbi un'idea e pregai nella mia fortuna.
Strinsi
la daga tra le dita e con decisione, ma senza troppo impeto (dovevo
evitare assolutamente di far rumore) le sfigurai il viso, rendendola
irriconoscibile.
Le
guardai i lunghi capelli: erano chiari, ma non certo rossi come i
miei.
Dannato
ceppo genetico poco diffuso!
Afferrai
un po' di schifezze intorno a me, senza chiedermi cosa fossero (era
meglio così) e le feci un rapido shampoo alla merda.
Sentii
una porta sbattere non troppo lontano: i miei inseguitori avevano
deciso di perlustrare prima l'interno della casa. La fortuna era
dalla mia, quel giorno. Sarebbe stato un spreco farmi scoprire.
Le
strappai gli abiti di dosso, ancora sforzandomi di essere silenziosa
e rapida, e me li infilai io grossolanamente, lasciando nuda quella
che sarebbe forse diventata la mia salvatrice.
«Ehy!
Guarda!» sentii la voce non troppo lontano «Quel
vagante...quella
non è la sua camicetta?»
Stavano
arrivando.
Scavai
rapidamente nella sporcizia sotto di me e mi stesi in quella specie
di fossa che avevo fatto. Mi ricoprii le gambe con le schifezze che
avevo intorno. Le mani mi tremavano così tanto che non
aiutavano la
mia fretta.
Mi
ricoprii fino alla vita, poi tirai il corpo del Vagante nudo sopra
di me, nascondendomi lì sotto.
Un
colpo e sentii il vagante fuori dal cassonetto cadere a terra,
probabilmente morto.
Trattenni
il fiato.
E
la luce penentrò all'interno del mio nascondiglio, facendomi
rendere
conto solo allora che non ero nascosta poi così bene. Se
avessi
avuto qualche minuto in più sarei stata più
accurata. Ma non
l'avevo avuto, e tutto ciò che potevo fare al momento era
pregare.
«Che
schifo.» disse uno degli uomini, allontanandosi di qualche
passo con
una mano sul viso. Anche l'altro allontanò momentaneamente
il viso,
per evitare di vomitare.
In
effetti l'odore lì dentro era terribile, ma la mia paura mi
aveva
impedito di preoccuparmene.
«Ehy,
l'abbiamo trovata!» urlò uno dei due, al resto dei
compagni sulla
strada.
«Questo
fottuto bastardo le ha mangiato la faccia.»
comunicò l'altro.
«Dai
chiudi, per favore. Mi viene da vomitare.» disse il primo e
si
allontanò.
Il
portellone cominciò a scendere e io sentivo avrei potuto
piangere di
gioia.
«No,
aspetta!»
Il
cuore mi si fermò.
Smisi
di respirare.
"Merda!
Mi hanno scoperta!" pensai in preda al panico.
Sapevo
che il mio piano era stato troppo frettoloso e grossolano per
riuscire.
Chiusi
gli occhi e strinsi la daga tra le dita: se mi avessero tirato fuori
di lì, piuttosto mi sarei uccisa. Non volevo tornare
indietro con
quei bastardi, non mi avrebbero avuta ancora!
Sentii
una mano poggiarsi avida su una tasca dei pantaloni e rufolò
frettolosamente.
E
si allontanò.
«Sigarette!
Almeno qualcosa di buono... » disse la seconda voce maschile,
sghignazzando compiaciuto.
Poi
il cassonetto si richiuse.
Tornai
a respirare e mi concessi il privilegio di piangere.
Sentii
distintamente le loro voci e il rumore dei loro passi allontanarsi,
ma non ebbi coraggio di muovermi.
E
restai lì, chissà quanto tempo, forse ore,
sommersa di merda
puzzolente, a tremare e piangere.
Sette
anni di prigionia, sette anni di sfruttamento e dolore, schiava di
quegli stronzi che mi avevano trovata ai bordi di una strada da sola,
in lacrime, e una prigione assaltata alle spalle.
Quel
giorno avevo pregato che l'autobus fosse passato lì, avevo
pregato
che mi avessero ritrovata, che Daryl mi avesse ritrovata...invece
erano stati loro a passare, con le loro rumorose motociclette e non
si erano fatti scrupoli a considerare quella bambina abbandonata la
loro nuova conquista.
Avevo
imparato a cucinare, per loro.
Avevo
imparato a ballare e cantare per alleviare le loro noiose serate.
Avevo
imparate a pulire e lucidare le armi.
Avevo
imparato a sopravvivere.
E,
purtroppo, avevo già imparato ad essere donna.
Sette
anni d'inferno, pregando che Daryl, Rick, Carol o chiunque altro,
fosse sbucato da quegli alberi e li avesse uccisi tutti.
E
ogni notte, volgendo gli occhi alla luna, ricordavo la soave voce di
Alice che cantava la sua canzone, "Alice in wonderland".
«Ascoltami
bene, non perdere neanche una parola. Concentrati solo sulla mia
voce, Molly. Assolutamente solo sulla mia voce.*»
E
io lo facevo. Chiudevo gli occhi e sentivo solo la sua voce. Non
udivo i mugolii dei vaganti, non udivo le voci degli uomini che
brindavano alle mie spalle, non udivo le terribili parole che mi
rivolgevano, non udivo più niente... solo la sua voce, che
cantava
nella notte, "I'll survive when the world's crashin down,
when i fall and hit the ground."
Presi
dei grossi respiri, sforzandomi di trattenere le lacrime.
Avevo
pianto abbastanza.
Ora
era tempo di alzarsi.
"I
will turn myself around"
Spostai
il vagante che mi aveva salvato la vita da di dosso e mi sollevai a
sedere.
Puzzavo
come uno di loro, se uscendo ne avessi incontrato qualcuno
probabilmente sarei passata inosservata.
Un
altro grosso respiro.
Ora
ero libera, finalmente. E avevo un obiettivo:
«Daddy.»
"Don't
you try to stop me!"
Mi
asciugai rapidamente il viso dalle lacrime.
Non dovevo piangere.
Daryl
mi sgridava sempre quando lo facevo.
"I
won't cry."
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*
= Quando Alice la trova insieme a Daryl, vengono presi d'assalto da
una mandria di vaganti. Alice, tenendola in braccio, le chiede di
cantare una canzone per distrarsi, così da non farla
spaventare ma
Molly, in quel periodo, stava attraversando una fase di Mutismo per
colpa del trauma (aveva appena perso i genitori). Allora Alice decide
lei di cantare, e le dice quella frase.
Mentre combatte e cerca
di mettersi in salvo, canta "Alice in Wonderland".