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Autore: ElaineAnneMarley    09/03/2016    11 recensioni
È il primo giorno d’estate e Agata viene avvicinata da un ragazzo dall’aria smarrita. È la prima volta che incontra qualcuno di Levante, il continente al di là delle montagne. Lui ha i tratti tipici dei levantini: la pelle olivastra e gli occhi a mandorla. Gli occhi. Occhi di un colore simile non esistono, neanche a Levante. Sono di un blu intenso con scaglie ambrate e sembrano racchiudere la storia del mondo.
«Ti ho trovata» e il ragazzo lascia andare un sospiro di sollievo «appena in tempo.»
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1

PONENTE, OGGI – La delegazione da Levante


“Non credo di poter resistere un altro anno al gelo. Sono già cinque anni, uno più freddo dell’altro” sospirò Agata sistemandosi l’acconciatura per la seconda volta nel giro di mezz'ora. Come al solito indossava tre strati di vestiti, di cui due di lana, più una sciarpa di pelliccia. Non a caso il suo soprannome in ufficio era ‘Sciarpa Boss’, non è facile trovare qualcuno che indossi una sciarpa 365 giorni l’anno.
“Sono già sei anni che vivi qui?” rispose la sua stagista mentre si ritoccava il trucco.
“Sì, cinque anni il mese scorso” rispose Agata, anche se non era a quello che si riferiva.
“Ogni tanto non ti viene voglia di tornare a Levante? Lì fa sempre caldo, no?” domandò ancora la stagista.
“No, non vedo nessuna possibilità” rispose ancora Agata, anche se la risposta più accurata sarebbe stata un’altra.
“Hai capelli bellissimi ma ingestibili…” commentò la ragazzina “Non è più facile legarli e basta?”. Agata sospirò, al colloquio non si era accorta che fosse così ciarliera, se no avrebbe scelto l’altro candidato.
“Ti ho mandato due giorni fa un documento da leggere, con le usanze dei popoli di Levante. Nella pagina sull’abbigliamento diceva espressamente di evitare i capelli raccolti, perché la coda è considerata un’acconciatura non adatta a un incontro formale. Hai studiato i profili dei clienti che stiamo per incontrare?” Agata sapeva essere severa al punto giusto, se necessario. D’altra parte non è da tutti diventare team leader a soli venticinque anni.
La stagista arrossì fino alla radice dei capelli, capelli lisci come spaghetti, decisamente più ‘gestibili’ della criniera di ricci di Agata. Le due uscirono dal bagno del ristorante e tornarono nella sala allestita per la cena di lavoro. Agata fece un altro giro per verificare che tutto fosse a posto, fece rimuovere un centrotavola di fiori gialli, che ricordavano un po’ troppo i fiori che a Levante si usa porre sulle tombe, e ne spiegò la ragione alla stagista, che nel frattempo aveva recuperando il colorito e la parlantina usuali.
Un po’ alla volta iniziarono ad arrivare i clienti, accompagnati da qualche collega della sede locale. Solo due persone in più del previsto, non era andata poi così male visto che quando si organizzano incontri con gente di Levante ognuno si sente libero di allargare l’invito a chi reputa più opportuno.
La cena andò avanti senza grossi problemi. Nonostante cercasse ogni occasione possibile per parlare la lingua di Levante, Agata non aveva molte occasioni per esercitarsi con dei madrelingua. Amava sentire le parole rotolarle sulla lingua, le vibrazioni, le lettere dure, l’altalenarsi dei suoni tonali.
“Parla con un accento della zona montuosa, è molto raro sentirlo parlare a uno straniero” le disse a un certo punto il commensale di fronte. “È la zona del nostro continente con meno abitanti”.
“Lo so bene” sorrise forzatamente Agata, “Ho vissuto lì un anno” precisò.
“Ah, dove esattamente?” chiese l’altro.
“Nel capoluogo” rispose la donna, anche se non era vero.
Finita la cena, Agata mandò la stagista e il resto del suo team a casa e accompagnò la delegazione in un tour notturno della città. La cittadina faceva la sua bella figura di notte, le casette dai tetti spioventi, gli imponenti campanili, il castelletto illuminato in cima alla collina.
“E’ vero che non avete mai visto una guerra qui?” chiese uno dei levantini che aveva bevuto un po’ troppa birra.
“Nel continente di Ponente non ci sono mai state guerre” confermò Agata, anche se lei una guerra l’aveva vista eccome, e molto da vicino. Esclamazioni di stupore si alzarono da più parti.
Ogni tanto Agata si fermava per contare che fossero tutti e puntualmente doveva aspettare i due clienti imbucati, che passeggiavano in coda tenendosi a una decina di metri di distanza. A un certo punto la ragazza ebbe l’impressione che lo facessero di proposito, per non far sentire agli altri la loro conversazione.

Dopo poco più di un’ora raggiunsero l’albergo. Agata consegnò l’agenda del giorno dopo a ciascuno dei diciotto membri della delegazione e si inchinò per diciotto volte per augurar loro la buona notte. Era quasi fuori dall’hotel quando si sentì chiamare. Un brivido le salì lungo la spina dorsale, erano sei anni che non sentiva pronunciare il suo nome con quell’accento. Si voltò di scatto e si ritrovò di fronte i due levantini che si erano aggiunti all’ultimo alla visita. Agata si rese conto che non aveva scambiato con loro nessuna parola, o meglio aveva intimato loro più volte di non rimanere indietro, ma i due si erano limitati a inchinarsi per scusarsi. Era stata la stagista a riceverli al ristorante e a raccogliere i loro nomi, la ragazzina non aveva abbastanza esperienza per riconoscere l’accento o eventuali nomi tipici delle montagne di Levante. Cosa ci facevano due persone della zona montuosa con una delegazione proveniente dalla zona marittima? I levantini delle montagne non viaggiano, è risaputo.
Agata spalancò i grossi occhi neri. C’era una miriade di particolari da cui avrebbe dovuto cogliere la provenienza dei due, come le erano potuti sfuggire tutti? L’uomo più alto aveva una barba un po’ troppo incolta per la moda delle zone di mare e i gioielli che indossava avevano tre colori ricorrenti: blu, rosso e oro. Colori che nella zona montuosa sono ovunque. Sui vestiti, sulle costruzioni, sulla bandiera. Blu, rosso e oro. L’altro indossava una giacca di pelle di camoscio e aveva la fronte più chiara nel punto solitamente riparato dal sole per via del copricapo tradizionale. Per non parlare del modo di alzare le spalle in continuazione mentre parlava e la gestualità tipica dei levantini di montagna.
“Veniamo a nome della Fondazione Scientifica Internazionale” tossì quello che pareva essere il capo. “C’è stato un problema con il soggetto di ricerca. Non riusciamo più a controllarlo, è diventato troppo forte”.
“E troppo feroce” precisò l’altro.
Entrambi sembravano agitati e spiavano con attenzione la reazione della ragazza. Agata sentiva il cuore batterle all’impazzata, così forte da coprire le voci dei due. Un misto di rabbia e disperazione stava salendo dentro di lei.
“C’è stato un incidente” riprese il primo dopo la lunga pausa di silenzio. “Durante l’ultima notte di luna nuova è… è riuscito a uscire dalla zona di contenimento… e….”.
Agata capì subito cosa era successo e le emozioni che aveva trattenuto fino a quel momento esplosero.
“HA UCCISO DELLE PERSONE?” non si rese neanche conto che stava gridando.
“Ha attaccato un villaggio nella zona…” riprese l’altro con una voce sempre più sottile.
“HA UCCISO DELLE PERSONE?” gridò ancora Agata.
“Purtroppo circa metà degli abitanti del villaggio non sono sopravvissuti” sussurrò uno dei due.
Agata non si era mai sentita così in vita sua, improvvisamente il buco che si era aperto nel suo cuore cinque anni prima si fece così grande da lacerare ogni angolo del suo corpo. Le gambe le cedettero, gli occhi le si riempirono di lacrime, le orecchie iniziarono a fischiarle fortissimo e i polmoni rimasero in apnea per un istante infinito. Tutto prese a girare intorno a lei.
Aveva sterminato centinaia di persone. La sua paura più grande si era avverata. E lei non era lì con lui, non aveva mantenuto la promessa.
“Che villaggio?” chiese terrorizzata dalla possibile risposta. Se almeno non fosse stato quel villaggio, ma qualsiasi altro villaggio, magari un giorno molto lontano avrebbe potuto perdonare se stesso.
“Il villaggio ai piedi del monte Ariun” e l’uomo più basso si avvicinò, forse per aiutarla a rialzarsi.
Era quel villaggio, il villaggio vicino al quale era cresciuto. Il villaggio che da bambino visitava una volta al mese con sua madre. Il villaggio dove l’aveva portata la sua prima sera a Levante.
“QUESTO SANGUE E’ SULLE VOSTRE MANI!” urlò Agata incrociando le mani sul petto e stringendo i pugni così forte che le unghie le penetrarono la carne, “SE NON CI AVESTE DIVISO NON SAREBBE MAI SUCCESSO!”. E poi le lacrime iniziarono a scendere, tutte le lacrime che aveva trattenuto negli ultimi sei anni. Inginocchiata nella hall dell’albergo, il contenuto della borsa rovesciato a terra, gli occhi dei due levantini e di tutte le altre persone nella sala puntati addosso. Agata pianse e pianse.
Qualcuno provò ad avvicinarsi per capire cosa fosse accaduto, ma la ragazza non vedeva né sentiva nulla attorno a sé. A cinque anni e migliaia di chilometri di distanza i suoi sentimenti non erano cambiati e i ricordi erano più vividi che mai. Senza prendere fiato Agata pianse e pianse per ore.


*NdA*
Come probabilmente gran parte degli autori di EFP ho molti romanzi a metà letteralmente in un cassetto, ma ho deciso di cominciare da zero. E scrivere qualcosa esclusivamente per i lettori che gironzolano per il world wide web. So che di fantasy c’è poco in questo primo capitolo… ma abbiate pazienza! Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, vale sia per i commenti positivi che per quelli negativi, soprattutto se dopo la lettura del primo capitolo decidete di non continuare.
Buon proseguimento!
Elaine

   
 
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