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Autore: Beauty    11/03/2016    4 recensioni
Nel mondo delle favole, tutto ha sempre seguito un preciso ordine. I buoni vincono, i cattivi perdono, e tutti, alla fine, hanno il loro lieto fine. Ma le cose stanno per cambiare.
Quando un brutale omicidio sconvolge l'ordine del Regno delle Favole, governato dalla perfida Regina Cattiva, ad indagare viene chiamato, dalla vita reale, il capitano Hadleigh, e con lui giungono le sue figlie, Anya ed Elizabeth. Attraverso le fiabe che noi tutti conosciamo, "Cenerentola", "Biancaneve", "La Bella e la Bestia"..., le due ragazze si ritroveranno ad affrontare una realtà senza più regole e ordine, in cui niente è come sembra e anche le favole più belle possono trasformarsi nel peggiore degli incubi...
Inizia così un viaggio che le porterà a scoprire loro stesse e il Vero Amore, sulle tracce della leggendaria "Pietra del Male" che, se nelle mani sbagliate, può avere conseguenze devastanti...
Il lieto fine sarà ancora possibile? Riusciranno Anya ed Elizabeth, e gli altri personaggi delle favole, ad avere il loro "e vissero per sempre felici e contenti"?
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II
 
Turning Pages
 
Quando le due bimbe si guardarono intorno, si
accorsero che il luogo dove avevano dormito era sull'orlo
di un precipizio, nel quale sarebbero di certo precipitate
se nel buio avessero fatto due passi di più.”
 
Grimm, Rosabianca e Rosarossa
 
 
New York, 2015. Ore 6:00 p.m.
 
 
VIVEVANO in quell'appartamento da tre anni, ed era stato l'ennesimo di tanti trasferimenti. Prima abitavano in una casa di proprietà a Briarwood, ma un po' perché quella sistemazione era stata voluta dalla mamma, un po' perché la loro psicologa dell'epoca aveva detto a papà di far loro evitare tutti i brutti ricordi legati a quel luogo, e un po' perché una notte un ispanico adolescente aveva cercato di entrare passando dalla finestrella nel garage per rubare, quando avevano nove e sette anni Richard l'aveva venduta e si erano trasferiti tutti e tre ad Harlem. Ma l'ambiente non era adatto per due bambine – questo sempre secondo Richard –, così dopo altri tre anni avevano fatto di nuovo i bagagli, e adesso vivevano in quell'appartamento al settimo piano di un condominio in periferia. Ad Elizabeth sarebbe piaciuto abitare in una zona come Chelsea, oppure a Little Italy o a Tompkinsville, o in un quartiere pittoresco, anche se non era sicura di voler tornare a Briarwood, che pure era un bel posto. Anya, invece, non si era mai pronunciata sulla faccenda, anche se faceva capire in ogni modo che quell'appartamento le faceva schifo.
Sua sorella parcheggiò e inserì l'allarme.
- Aiutami a prendere le borse...
- Le borse?
- Ho fatto un po' di spesa...- spiegò Anya, alzando le spalle. Elizabeth non disse nulla e prese due sacchetti di plastica mentre sua sorella reggeva il resto. Come al solito l'ascensore era fuori uso – a dire il vero in sei anni che abitavano lì nessuno di loro tre aveva mai potuto permettersi il lusso di prenderlo – e toccò loro scalare ben cinque piani a piedi cariche di borse della spesa. Quando arrivarono in cima, Elizabeth avrebbe voluto gettarsi a terra per lo sfinimento.
Guardò sua sorella mentre armeggiava con le chiavi nella serratura; era calato un silenzio teso fra di loro, proprio come tre anni prima, quando sua sorella tornava a casa a notte fonda mezza ubriaca e lei non aveva il coraggio di chiederle perché avesse addosso quell'odore di sigaretta e di...sedili posteriori di un'auto di seconda mano. Ora le parti si erano invertite: era lei a dover dare delle spiegazioni e sfortunatamente Anya non era remissiva tanto da lasciar perdere.
- Andrò di nuovo a parlare con quell'incompetente della preside - annunciò infatti, una volta che furono entrate in cucina.
- No!- si affrettò a dire Elizabeth.- No, l'ultima volta non è servito a niente, anzi, ha solo peggiorato le cose...
- Solo perché sono stata troppo gentile, stavolta ci andrò giù a muso duro - Anya si tolse il cappotto e lo gettò su una delle sedie della cucina.
- Non servirebbe a niente lo stesso. Sei solo mia sorella, non hai audience...
- Vediamo se non avrò audience dopo che l'avrò minacciata di andare alla polizia...
- E che cosa le dirai? Lo dirò al mio papà?- Elizabeth parlò in falsetto, imitando una grottesca presa in giro della voce di sua sorella.
- Invece di sfottere, aiutami a ritirare la spesa.
Elizabeth lo fece di malavoglia; Anya cucinava sempre roba pronta e cibo in scatola, e alla terza vaschetta di lasagne surgelate che tirò fuori dalle borse si sentì salire la nausea.
- E comunque, se anche fosse, questo basterà a farle alzare il culo da quella lurida sedia - era evidente che Anya non aveva finito, e con ogni probabilità ne avrebbe avuto ancora per un po'.- E poi, lei non sa che razza di fallito sia papà, le servirà solo sapere che fa lo sbirro...
Sempre che ti dia credito, dopo quei due anni d'inferno che le hai fatto passare, pensò Elizabeth, ma non lo disse ad alta voce. Per i primi due anni di liceo Anya era stata la peggiore alunna che un preside potesse avere, l'incubo di ogni insegnante; poi si era data una calmata e aveva preso il diploma con un voto dignitoso, ma la macchia che era stata sulla reputazione della scuola era indelebile. Ricordava ancora come le si era rivolta la professoressa Antsey durante la prima ora di ginnastica: Elizabeth Hadleigh? Oh, sì, ricordo, sei la sorella di quella sbandata.
Dubitava seriamente che qualcuno in quel posto avrebbe preso sul serio le minacce di Anya.
- E potrebbe anche essere un buon incentivo per lui. E' ora che s'interessi anche a qualcos'altro che non sia il suo lavoro, questo sarebbe perfetto per cominciare, no?
- Non voglio che tu lo dica a papà.
- Non vuoi che lo dica alla preside, non vuoi che lo dica a papà...devo contattare qualche entità superiore perché tu la pianti di farti pestare?
- Sul serio, Anya, non voglio che tu lo faccia...
- E allora impara a difenderti!- sua sorella sbottò.- Ce le hai, le mani, no? Usale! Sferra qualche schiaffo qua e là, vedrai che dopo un paio di giorni impareranno la lezione...
- Sì, se non mi spezzano l'osso del collo prima...- Elizabeth spostò il peso del corpo da un piede all'altro.- Sono in cinque, te lo dimentichi sempre.
- E questo secondo te sarebbe un buon motivo per continuare a farti riempire di lividi?
- No, ma...
- Sapevo che avevi l'autostima a livello zero - Anya sbatté un pacchetto di spaghetti sul tavolo.- Ma speravo che almeno un briciolo di istinto di autoconservazione ti fosse rimasto. Hai sedici anni, Liz, cazzo, se adesso ti fai mettere i piedi in testa sarai destinata a subire per tutta la vita...
- La prossima volta cercherò di stare alla larga da Jessica - sapeva benissimo che non avrebbe funzionato, ma lo disse lo stesso per farla stare buona.
- Tu scappi sempre. Prova ad affrontare il nemico, una buona volta...!
- Che hai contro la convivenza pacifica?- Elizabeth alzò gli occhi al cielo.- Perché devo proprio arrivare alle mani?
- Finiscila di dire stronzate, è tutto tranne che una convivenza pacifica...- Anya tirò un sospiro; si avvicinò al lavello e riempì una pentola d'acqua, che posò sul fornello incrostato di unto. Girò la manopola del gas e le fiammelle si accesero sotto di essa.- Senti, Liz...se non vuoi che io intervenga allora va bene, non farò nulla...ma non puoi continuare in questo modo. Non sarai sempre a scuola, non ci sarò sempre io a proteggerti, e se non impari a...
- E' un brutto periodo - Elizabeth scrollò le spalle; un periodo che dura da due anni.- Passerà.
Anya inarcò un sopracciglio.
- Davvero?
Non fu mai tanto grata come in quel momento di averle raccontato che le prepotenze e i pestaggi andavano avanti da poco, e non dal primo anno di liceo.
- Sì - rimarcò, cercando di apparire convinta.- Prima o poi le cose cambieranno.
Lo sguardo di scherno che Anya le rivolse diceva tutto.
- Cambieranno, dici? E cosa succederà? Arriverà il Principe Azzurro a portarti via?
- Non sfottermi!- ringhiò.
- Io non ti sto sfottendo, voglio solo che ti svegli e la pianti di vivere nel mondo delle favole! Far finta che i problemi non esistano o sperare che si risolvano da soli non ti aiuterà!
Elizabeth decise che ne aveva abbastanza. Finse d'ignorare sua sorella che smanettava in cucina – Anya si lamentava sempre che non le dava mai una mano, quando avrebbe potuto almeno preparare la tavola – e filò a chiudersi in camera sua.
Beh, non era proprio corretto definirla camera sua, visto e considerato che l'appartamento era piccolo e dunque fare fifty-fifty con sua sorella maggiore era stato obbligatorio. L'affitto a fine mese era abbastanza basso, si sarebbe potuto dire quasi stracciato, ma forse anche per questo l'interno di casa loro non era un granché: quando erano arrivati i muri della cucina era ricoperti di carta da parati colorata incrostata di unto e l'odore di olio e di fritto era quasi insopportabile, il divano in salotto era sfondato, alcune piastrelle in bagno rotte e la vernice in tutte la altre stanze incrostata. C'erano solo due camere da letto, e dal momento che una spettava per forza a papà, lei e Anya si erano dovute dividere l'altra. Elizabeth ricordava che era stata sul punto di scoppiare a piangere, la prima volta che l'aveva vista: era completamente vuota, senza arredamento, e la porta era scardinata; una trave di legno era fissata orizzontalmente al muro – molto probabilmente i precedenti affittuari la usavano come appendiabiti, aveva riflettuto in seguito – e sul soffitto si allargava una grossa chiazza nera da cui colavano gocce d'acqua.
Adesso, grazie a Dio, anche se l'appartamento non era un granché almeno era vivibile: papà si era messo d'impegno e in un mese aveva riverniciato, aveva sostituito la carta da parati in cucina, e comprato nuovi mobili. Alla loro camera da letto ci aveva pensato Anya fin da subito, e adesso c'erano due letti paralleli l'uno all'altro, un armadio che dovevano dividere metà per ciascuna, un bel tappeto color fucsia, una scrivania con computer e stampante – di sua sorella –, due comodini con lampade annesse e qualche mensola. Non sarebbe neanche stato male, se Anya non avesse preteso per sé metà dello spazio: a Elizabeth era rimasta solo una misera mensolina dove poter sistemare i suoi libri e i suoi CD, mentre sua sorella aveva occupato ogni angolo restante con i suoi cosmetici e i suoi dischi, e aveva tappezzato il muro con i poster delle star che piacevano a lei. A tutt'oggi, Elizabeth dormiva sotto lo sguardo vigile di David Bowie che torreggiava sopra la sua testa.
Si buttò sul letto a pancia in giù. Non aveva voglia di cambiarsi, per il momento. Sbuffò, affondando la testa nel piumone; il braccio sinistro le faceva male, probabilmente si sarebbe illividito entro sera pure quello. Se questo fosse stato un romanzo, pensò, il romanzo della sua vita, ecco, quello sarebbe stato il momento perfetto in cui l'autore – e lei stessa, ammettiamolo – ci avrebbe ficcato volentieri qualche riflessione esistenzialista su Jessica, Ursula, sua sorella, papà e la sua vita in generale, ma a lei non andava di pensarci, adesso. E a che scopo? Erano solo pensieri triti e ritriti che non avrebbero fatto altro che farla rimuginare a vuoto.
Il braccio continuava a farle male. Se lo massaggiò, poi allungò una mano in direzione dello zaino che aveva abbandonato per terra e tirò la zip. Oltre ad Anna Karenina quel giorno si era portata dietro anche una copia di Nord & Sud, e dal momento che era venerdì e aveva altri due giorni per studiare, decise di concedersi il lusso di scoprire quando John Thornton avrebbe scoperto che quello alla stazione non era l'innamorato di Margaret Hale, bensì suo fratello.
Invece, tirò fuori il libro di favole.
Stava per rimetterlo dentro, ma all'ultimo non lo fece. L'aveva rimosso dai suoi ricordi a breve termine, e non era ancora riuscita a spiegarsi come avesse fatto a finire nel suo zaino. Lo rigirò più volte fra le mani per trovare il marchio della New York Public Library o almeno della biblioteca scolastica, o se non altro di qualche indizio che la riconducesse al proprietario, ma non trovò nulla.
 
Fiabe del focolare
 
La scritta dorata sulla copertina di pelle marroncina era sempre lì, ma stavolta c'era una novità. Elizabeth avvicinò il volto al libro; gli occhiali le scivolarono lungo il naso e dovette rimetterseli a posto, e vide che più in basso, sotto al titolo, c'era un'altra scritta.
 
La vera storia del signor Jacob e del signor Wilhelm Grimm,
e di tutti coloro che vi presero parte
 
Elizabeth si accigliò. Era sicura di non aver visto quella scritta negli spogliatoi della palestra. Anzi, ricordava bene di aver cercato anche il nome di un autore e di non averlo trovato. Che le botte in testa di Ursula l'avessero rincretinita del tutto? Probabile.
Sempre più accigliata, aprì il libro. Nessuna traccia di casa editrice e di anno di pubblicazione. Il che era strano perché, se aveva capito bene, si trattava di una versione tradotta di Kinder und-Hausmärchen, la raccolta di fiabe dei fratelli Grimm, che avrebbe dovuto comunque avere delle indicazioni bibliografiche.
Le sembrò quasi di sentire la voce di sua sorella che gridava piantala di fare la saputella, sei pesante come un sacco di pietre!, e per una volta decise di ascoltarla. Fece spallucce e girò la prima pagina.
Al centro della prima pagina c'era solo una parola, scritta al centro.
 
Benvenuto
 
Elizabeth aggrottò le sopracciglia. Girò un'altra pagina. Stavolta c'erano più parole, sempre scritte al centro del foglio.
 
Il signor Jacob e il signor Wilhelm Grimm
sperano che questo viaggio
sia di vostro gradimento e vi augurano
di avere la buona sorte sempre sul vostro cammino.
 
Le scappò un sorriso. Non le era mai capitato di leggere un'introduzione di un libro scritta in quel modo. Le ricordava vagamente il diario di Tom Riddle in Harry Potter, o la Mappa del Malandrino. Cominciava anche a dubitare che si trattasse della raccolta di fiabe dei due scrittori tedeschi, ma non le dispiaceva affatto. Voltò ancora la pagina, e stavolta non si stupì di ritrovare il medesimo schema.
 
La vita ci insegna che il caso non esiste.
Il destino guida i nostri passi nelle più oscure foreste
di questo mondo e degli altri.
A volte dobbiamo prendere il nostro destino per mano
e lasciarci guidare.
 
Elizabeth trovò questo paragrafo molto banale e scontato, ma conosceva bene se stessa e sapeva che ci voleva ben altro per convincerla a posare un libro dopo neanche dieci pagine. Proseguì con la lettura, ma stavolta non trovò più brevi frasi o parole scritte al centro del foglio.
Dalla pagina numero 9 il testo rispettava i medesimi canoni degli altri libri, con tutto il foglio occupato dalle parole scritte. Elizabeth cominciò a leggere.
 
Una volta, molto più tempo fa di quanto un mortale privo di magia, bianca od oscura che dir si voglia, sarebbe in grado di rimembrare, i sovrani e i capi comandanti di ciascuno dei Nove Regni scelsero i loro migliori campioni, i soldati più valorosi e i generali più esperti, e inviarono messaggeri a bussare di porta in porta a domandare se ci fossero volontari disposti a combattere nelle file dell'esercito del proprio sovrano o, qualora non avessero trovato militari che avessero raggiunto le schiere di propria sponte, a prelevare giovani baldi e forti da arruolare.
Non venne fatta distinzione fra di essi: uomini o donne, ragazzi o vecchi, chiunque era bene accetto se voleva unirsi all'esercito del proprio sovrano che, una volta che tutti i combattenti dei Nove Regni furono radunati, divenne il più grande schieramento che questo mondo e gli altri avessero mai visto.
Allora i comandanti, non soddisfatti, chiamarono in loro ausilio anche coloro che possedevano o praticavano le arti magiche, senza alcuna differenza fra chi ne faceva uso per scopi personali o altrui nocivi, e chi invece le impiegava per più alti fini. Maghi, streghe e stregoni accorsero immediatamente al richiamo dei sovrani, e anch'essi misero a disposizione le loro persone e le loro conoscenze magiche per la guerra che stava appropinquandosi.
La ragione di questa adunata era da ricercarsi nel flagello che dall'alba delle memorie di ciascuno di noi si era abbattuto sui Nove Regni...
 
- Sei ancora viva?!
Elizabeth sobbalzò e lasciò cadere a terra il libro. Gli occhiali le scivolarono di nuovo lungo il naso e di conseguenza la vista le si appannò.
- E' la terza volta che ti chiamo. Credevo fossi morta.
- Scusa...- si rimise gli occhiali a posto, e subito la figura di sua sorella riacquistò i contorni; era in piedi sulla soglia della porta.- Stavo leggendo.
- Non l'avrei mai detto...- ironizzò Anya, roteando gli occhi.- Dai, vieni ad aiutarmi a mettere i piatti in tavola...questa è anche casa tua, cerca di dare una mano di tanto in tanto...
Elizabeth sbuffò e si sollevò a fatica dal letto. Seguì sua sorella in cucina e fece tutto ciò che le chiedeva. Anya non smise un secondo di tenerla d'occhio per tutto il tempo, osservando i suoi movimenti mentre apparecchiava la tavola: Liz era decisamente in sovrappeso, constatò con un po' di amarezza. Non era obesa, né eccessivamente grassa, ma i dieci chili in più che aveva si vedevano. Anya pensava che quei jeans che aveva addosso le sarebbero stati infinitamente meglio, se solo si fosse decisa a mettersi a dieta, o almeno avesse imparato a trattenersi un po' di più dall'ingozzarsi di cioccolato e porcherie varie. Peccato che il problema non fosse mancanza di forza di volontà, si costrinse ad ammettere. In casa era lei che faceva la spesa; era lei che controllava cosa mancava in frigorifero a fine settimana; ed era lei che dormiva nella stessa stanza di Liz e di notte la sentiva alzarsi e zampettare al buio fino alla cucina. E il giorno dopo mancava sempre qualcosa dalla dispensa o dal frigo. Vedeva sua sorella a cena avventarsi sul proprio piatto e spazzolare via tutto, e non era fame, era ingordigia. Liz cercava di ingoiare quanto più cibo poteva e non ne aveva mai abbastanza; era per questo che ingrassava; se avesse mangiato normalmente, non sarebbe stata in sovrappeso.
Anya aveva anche pensato di parlargliene, oppure di ricontattare l'ultima psicologa che le aveva avute in cura tutt'e due ed esporle il problema, ma non aveva mai fatto né l'una né l'altra cosa. Voleva bene a sua sorella, ma era stufa di continuare a risolvere quelli che erano i suoi casini. E in tutta sincerità, non credeva nemmeno che sarebbe dovuto toccare a lei. Possibile che fosse stata l'unica in quella casa ad accorgersi che Liz era presa di mira a scuola e che aveva dei problemi con il cibo? Papà dov'era? Viveva anche lui sotto quel tetto, no?
Eppure, o non vedeva, o se vedeva non si curava di fare nulla. Quell'uomo la faceva veramente incazzare.
Dal salotto provenne un rumore soffocato, che ben presto si distinse chiaramente come Hot Stuff di Donna Summer. Anya lasciò cadere il mestolo nel lavandino.
- Il tuo telefono...- bofonchiò sua sorella, sedendosi a tavola.
- Sì, ho sentito...- le rispose con un tono più secco di quel che avrebbe voluto; corse in salotto e dovette rovesciare la borsa per recuperare il cellulare. Accettò la chiamata senza neanche preoccuparsi di guardare il numero.
- Pronto?
- Ehi, Anya. Come stai?
- Greg?!- guardò inorridita il cellulare, come se avesse avuto in mano una tarantola.- Chi ti ha dato questo numero?!
- Juliet, la tua collega.
- Ah.
Promemoria: uccidere lentamente e dolorosamente quella ficcanaso alla prima occasione.
- Scusa, ma sto preparando la cena per stasera...
- Non ti ho disturbata, vero?
- Se proprio devo essere sincera, Greg, sì - Anya si morse l'interno di una guancia, cercando di ricordare le tecniche di rilassamento yoga che aveva visto in un programma TV qualche tempo prima; non gliene venne in mente neanche una.- Sono le sette di sera passate, la gente normale a quest'ora si prende un attimo di pausa dalla giornata, o ha comunque qualcosa da fare.
- Beh, al lavoro sei occupata, la sera non puoi...quand'è che dovrei parlarti, allora?- la voce dall'altro capo del telefono suonava tremendamente irritata. Non che gliene fregasse, ma trovava incredibile che Greg avesse anche il coraggio di innervosirsi in quel frangente.
- Forse non è una questione di essere occupata o meno. L'hai considerata questa ipotesi?
- Come?
- Mi sembra di capire che sia un no...beh, riflettici, okay?- riattaccò e lanciò il cellulare di nuovo nella borsa, e tornò in cucina con una gran voglia di spaccare la faccia sia a Greg che a Juliet.
- Chi era?- chiese Liz a bocca piena; era in piedi appoggiata al bordo del lavandino e stava sgranocchiando una barretta di cioccolato. Sua sorella provò il fortissimo impulso di darle una sberla su una mano perché la lasciasse, ma si trattenne.
- Uno che non conosci - Anya controllò che gli spaghetti fossero cotti, poi spense il fornello.- Aiutami a finire di preparare, fra poco dovrebbe arrivare papà...
 
*
 
New York 2015, ore 8:15 p.m.
 
ANYA posò due piatti di spaghetti al pomodoro sulla tavola, prima di prenderne un terzo e sedersi di fronte a sua sorella minore.
- Grazie, Anya...- mormorò Richard Hadleigh mentre impugnava la forchetta.
- Liz, a te ne ho messa un po' di meno...- disse la ragazza.
- Perché sapevi già che a me gli spaghetti al pomodoro non piacciono, vero?- borbottò Elizabeth di rimando, giocherellando con il cibo nel piatto.
- Non ti ho riempito il piatto, ma quello che c'è lo devi mangiare tutto.
Sì, mamma!, le rispose mentalmente Elizabeth, con una punta di fastidio, mentre mescolava svogliata gli spaghetti. Era tipico di sua sorella: forse neanche se ne accorgeva, ma in ogni cosa che faceva, fosse stato fare la spesa, preparare la cena o mettere in ordine la casa, tendeva sempre ad assumere il ruolo della mamma, anche quando papà era presente. Era un atteggiamento che le dava sui nervi quasi quanto il suo preoccuparsi di quanto mangiasse e cosa mangiasse.
- Com'è andata oggi a scuola, Liz?- le chiese suo padre.
Anya le gettò un'occhiata di sottecchi. Elizabeth fece spallucce.
- E tu, Anya? Il lavoro?
- Al solito. Niente da raccontare.
In cucina calò il silenzio, e Hadleigh sentì il proprio stomaco chiudersi. Odiava quando succedeva così, quando dopo un'intera giornata trascorsa lontana dalle sue figlie se le ritrovava di fronte e non sapeva neanche cosa dire loro. Parlare con Anya ed Elizabeth diventava ogni giorno più difficoltoso. Per di più, pensò guardando l'orologio, l'ora dell'appuntamento si stava avvicinando.
- La fai finita di giocare?- abbaiò Anya, vedendo che Elizabeth continuava a rigirare gli spaghetti con la forchetta. L'altra alzò gli occhi al cielo e sbuffò.
Hadleigh allontanò da sé la cena e si schiarì la voce.
- Ragazze, dovrò andare via per un po'...- esordì, senza tanti preamboli. Tanto valeva tagliare la testa al toro e venire subito al sodo.
Entrambe sollevarono lo sguardo dal piatto.
- Perché?- fece Elizabeth a bocca piena.
- Questioni di lavoro. Vado via fra dieci minuti. Starò fuori casa...due o tre giorni, quattro al massimo - a dire il vero non sapeva quanto ci avrebbe messo esattamente, ma contava di fare abbastanza presto; si trattava pur sempre del Regno delle Favole, alla fin fine.
Elizabeth sembrò l'unica interessata alla faccenda. Anya riprese a mangiare come se niente fosse.
- D'accordo...- mormorò.
- Credete di cavarvela? Avete tutto?
- Ho fatto la spesa proprio oggi.
- Va bene. Anya, conto su di te, lo sai...- non seppe che altro aggiungere. Elizabeth continuava a guardarlo con curiosità, probabilmente avrebbe voluto chiedere qualche informazione in più, ma in ogni caso lui non avrebbe potuto dargliela. L'altra invece riprese a mangiare come se nulla fosse.
Hadleigh andò in camera da letto e prese un borsone sportivo dall'armadio. Mise dentro un cambio di vestiti e una busta di plastica: al suo interno c'era un completo che gli aveva sempre ricordato gli abiti medievali, con camicia, casacca, pantaloni e mantello, e un paio di stivali di cuoio. Servivano a mischiarsi alle favole, come gli aveva spiegato una volta Fraser, ma non li aveva mai indossati. Prese anche il portafogli e il cellulare – teoricamente sarebbe stato proibito, ma tanto sapeva già che anche se lo avessero scoperto non ci sarebbe stata nessuna conseguenza.
Quando tornò in cucina, Elizabeth aveva ripreso a mangiare e Anya stava mettendo il proprio piatto nel lavello. Fece schioccare le nocche della mano destra; sentiva che avrebbe dovuto dire qualcosa per accomiatarsi come si deve, ma non gli veniva in mente nulla.
- Se...se c'è qualche problema, ho il cellulare con me - che tristezza, sapeva benissimo che i telefonini non avrebbero mai preso nel posto in cui stava andando.- Allora...io vado.
- Okay, ciao.
- Ciao, papà.
Rimase ancora un attimo a guardarle, poi accennò un ultimo saluto e si avviò verso l'uscita, e poco dopo udirono la porta che si chiudeva.
Anya sospirò, mise un paio di guanti in gomma e cominciò a lavare i piatti.
- Secondo te dove va?- bisbigliò Elizabeth.- E' la prima volta che sta fuori casa per lavoro.
- Non lo so, e neanche m'interessa...- borbottò la sorella.- E' uno sbirro, avrà i suoi affari.
- Sì, ma di che si occupa di così importante? Insomma, okay che è un poliziotto, ma addirittura stare via da New York per tre giorni, o quello che è...
- Non ha detto che andava via da New York, ha detto che stava fuori casa per qualche giorno. Cos'è tutto questo interesse, Liz?- Anya si voltò.- Non mi sembra che te ne sia mai fregato niente...
Elizabeth si alzò da tavola e andò a recuperare il libro di favole.
- E' a te che non frega niente...- ribatté, un po' risentita.- E' solo che...ci hai mai pensato?
- A cosa?
- Che lavoro fa papà?
- Sei diventata scema?
- Intendo dire...fa il poliziotto, okay, ma tu lo sai a che sezione appartiene? I poliziotti non sono tutti uguali - a Elizabeth sembrò di vedere un barlume di confusione farsi strada oltre l'ostentata indifferenza di sua sorella.- Non ci ha mai detto di che si occupa.
- E tu non glielo hai mai chiesto. Ti è venuta voglia di saperlo a sedici anni?
- Magari è un agente segreto che lavora per la CIA!- Elizabeth fece una risatina forzata, cercando di sdrammatizzare.
- Sì...James Bond versione sfigata e letargica.
E ciò bastò a chiudere il discorso.
 
Mezz'ora dopo, Anya aveva finito di lavare i piatti, aveva riordinato la cucina e aveva tirato fuori dal freezer due pizze surgelate per il pranzo del giorno dopo; dopodiché, si era seduta in salotto a guardare una puntata registrata di The Bachelor e non aveva fatto più alcun commento su quel che aveva detto papà. Nello stesso lasso di tempo, Elizabeth si era resa conto che, da qualunque luogo provenisse quel libro di favole, chi lo aveva infilato nel suo zaino molto probabilmente aveva voluto mollarle una fregatura.
Aveva deciso di continuare la lettura dopo essersi seduta a gambe incrociate sulla poltrona di fronte ad Anya. Sua sorella si era espressa solo con un annoiato cosa leggi?, prima di stravaccarsi sul divano e accendere la TV; Elizabeth pensò che non dovesse importargliene molto della risposta, dal momento che quando aveva mancato di fornirgliela non aveva protestato.
Pur avendo aperto il libro a caso, si ritrovò nello stesso punto in cui si era interrotta, e da lì aveva ripreso.
 
La ragione di questa adunata era da ricercarsi nel flagello che dall'alba delle memorie di ciascuno di noi si era abbattuto sui Nove Regni...
 
Aveva girato la pagina con tutta l'intenzione di scoprire che cosa fosse questo flagello che all'alba delle memorie di ciascuno di loro si era abbattuto su questi fantomatici Nove Regni...e invece niente.
Proprio niente.
La pagina successiva era vuota, un immenso foglio bianco. E così anche quella accanto.
Elizabeth voltò un'altra pagina, ma ancora i due fogli successivi erano completamente bianchi. Si tolse gli occhiali e pulì le lenti con un lembo della maglietta, e voltò altre due, tre, quattro, sei, dieci, dodici pagine, ma niente. Ancora una serie infinita di fogli bianchi.
Un'altra persona – o almeno sua sorella – avrebbe di certo gettato la spugna e chiuso il libro, a quel punto, ma Elizabeth non lo fece. Uno strano puntiglio la spingeva a continuare e a venire a capo di quella faccenda. Afferrò la copertina rigida e inclinò il libro di novanta gradi, e cominciò a far scorrere velocemente le pagine fra le dita. Non trovò altro che pagine e pagine bianche e intonse, fino a quasi metà, quando qualcosa di scuro colpì il suo sguardo prima di essere sostituito da altri fogli intoccati. Elizabeth smise subito di far scorrere le pagine e tornò indietro.
Quando finalmente la trovò, la pagina presentava solo una scritta al centro del foglio.
 
Hai paura?
 
Girò ancora la pagina.
 
Non devi
 
- Ehi, che ti succede? Liz?
Elizabeth proseguì.
 
Tutto sarà come prima
 
Un'altra pagina.
 
Quando loro torneranno
 
- Liz!
Trasalì. Non avrebbe saputo dire se fosse stata lei a lasciare la presa o sua sorella ad averlo colpito, ma il libro le scivolò dalle mani e cadde sul pavimento, richiudendosi. Anya la scosse per una spalla.
- Tutto bene?
- Sì...- le uscì un rantolo dalla gola che faticò a riconoscere come la propria voce.
Guardò il libro che giaceva ai piedi della poltrona.
Anya si passò una mano fra i capelli e tirò un lungo sospiro.
- Ma che ti è preso?- sbottò Elizabeth, ripresasi.
- A me?!- Anya raccolse il libro da terra e glielo sbatté in grembo.- Sembravi ipnotizzata, come se fossi fatta. E non mi rispondevi. Mi sono spaventata, ecco cosa mi è preso!
- Scusa...
Guardò ancora il libro chiuso posato sulle sue ginocchia. La scritta dorata Fiabe del focolare era lì, come se fosse stata una cosa normale, ma Elizabeth aveva quasi la sensazione che presto le lettere avrebbero cominciato a staccarsi dalla copertina, a roteare su se stesse per poi...dare vita a qualcosa di brutto. Tipo quei film horror.
Anya le diede un colpetto sulla nuca con l'indice e il medio, poi prese il telecomando e spense la televisione. Il suo cellulare era abbandonato sul sofà; Elizabeth si accorse che vibrava, ma sua sorella lasciò cadere la chiamata.
- Chi era?
- Greg.
- Chi?
- Niente, lascia stare.
- Sempre quello di prima?
Anya si sgranchì le braccia e sbadigliò di nuovo. Elizabeth prese il libro con la punta delle dita e lo posò ancora sul pavimento. Sua sorella fece per chiederle spiegazioni, ma poi qualcos'altro la distrasse.
- Merda, il distintivo!
Elizabeth seguì il suo sguardo: sul tavolino alle loro spalle era posato, in bella mostra, il distintivo di Richard. Anya lo raccolse.
- Ma che razza di poliziotto è uno che si dimentica il distintivo?
- Magari non gli serviva...
Anya controllò all'interno della custodia di cuoio: oltre al distintivo al suo interno c'erano anche dei documenti e ci trovò pure due banconote da cinquanta dollari.
- Vado a riportarglielo, forse sono ancora in tempo - lo sbatté malamente nella borsa e s'infilò il cappotto.
- Sono le nove di sera passate, a quest'ora sarà già...
- Andrò alla centrale. A spiegare che mio padre, il grande poliziotto, s'è scordato di prendere il distintivo - fece una smorfia. Prese un ombrello e lo infilò nella borsa, poi raccolse ancora i capelli in uno chignon malfatto e cascante. Elizabeth fissò il libro di favole ancora per qualche istante: non avrebbe saputo spiegare perché, ma non si sentiva tranquilla, non con quell'affare in casa. Era una sensazione uguale a quella che aveva provato quella volta a undici anni, appena dopo essere andata a letto dopo che sua sorella l'aveva costretta a guardare con lei Pet Sematary. La suggestione, l'idea assurda ma al contempo sensata che qualcosa di brutto stesse per succedere da un momento all'altro.
Non stette lì a pensarci troppo. Saltò in piedi e indossò a sua volta un giubbotto.
- Vengo con te!- annunciò.
- Non serve, faccio in un attimo...
Elizabeth fece finta di non aver sentito, e si mise la propria borsa a tracolla, con Anya che era già a metà delle scale. Prima di seguirla, posò il libro sulla poltrona dove era seduta poco prima, appuntandosi mentalmente dove e la posizione in cui lo lasciava. E sperò che al suo ritorno di non trovarlo spostato, tipo la bambola Annabelle.
 
La centrale di polizia dove lavorava papà si trovava a circa due o tre chilometri da casa loro, e raggiungerla fu un penosissimo strazio. Anya ci mise venti minuti di giri di chiave, incitamenti e imprecazioni degne di uno scaricatore di porto per far partire quella ferraglia arrugginita che lei si ostinava a chiamare automobile, quando tutt'e due sapevano alla perfezione che la suddetta ferraglia arrugginita entrava in sciopero quando c'era tanta umidità e non si sarebbe messa in moto neanche se l'avessero spinta a mano. Alla fine, l'uomo aveva soccombuto alle macchine, e sua sorella aveva annunciato con la morte nel cuore che avrebbero preso la New York Underground per raggiungere la centrale. E così avevano fatto il doppio del tragitto impiegandoci il triplo del tempo, in piedi e stipate come sardine in una scatola nel vagone della metropolitana.
Quando finalmente scesero, non aveva smesso di piovere, anzi, il tempo se possibile era peggiorato. Elizabeth aveva sperato che le disgrazie fossero finite, ma c'erano almeno cinquecento metri a piedi per arrivare alla centrale. Si tuffò sotto l'acquazzone seguendo a ruota sua sorella, che aveva preso a correre cercando di ripararsi alla bell'e meglio sotto quell'ombrellino striminzito che si era portata dietro.
- Ma non potevi prendere un ombrello più grande?!- strillò Elizabeth; aveva sollevato la borsa sulla testa nel pietoso tentativo di ripararsi, ma la pioggia battente l'aveva infradiciata in poco meno di due minuti. Anya, dieci passi di fronte a lei, si fermò per aspettarla e le fece spazio sotto il suo ombrello, con il risultato che nessuna delle due fu abbastanza riparata e si bagnarono ancora di più.
La vista dell'insegna luminosa che indicava la centrale di polizia che si stagliava a pochi metri da loro sembrò quasi una sorta di intervento soprannaturale volto alla loro salvezza.
Anya lasciò l'ombrello sui gradini d'ingresso e fece per entrare, ma sua sorella le gridò di guardare alla sua destra. Non si distinguevano molto bene le sagome a causa della pioggia e della distanza, ma la maggiore delle Hadleigh intravide la figura di suo padre insieme a quella di altri uomini. Si scostò le ciocche di capelli fradici dalla fronte: Richard annuì rivolto a un uomo dai capelli grigi, quindi lui e gli altri poliziotti lo seguirono.
Riprese l'ombrello.
- Aspettami qui, faccio una corsa...!- gridò a Elizabeth; le diede parecchio fastidio che sua sorella la seguisse comunque, ma disse nulla. Corse a perdifiato fino all'incrocio oltre il quale erano spariti suo padre e gli altri. Svoltando a sinistra si aveva accesso a uno stretto vicolo, decisamente anormale per una città come NY, illuminato soltanto da un lampione. Anya lo percorse di corsa fino alla fine. Rimase un po' allibita quando non trovò altro se non una porta di legno neanche troppo alta e un po' tarlata.
Elizabeth arrivò trafelata alle sue spalle.
Anya cominciò a bussare con forza contro la porta e a chiamare suo padre.
- Ma che fai...?
- Devono essere entrati qui, per forza. Papà!- chiamò.- Papà, apri!
- Forse non è il caso...
- Non ho fatto tutta questa strada per un distintivo di merda solo per... - la porta si aprì da sola dopo l'ennesimo pugno di sua sorella. Anya fu sul punto di perdere l'equilibrio quando il battente si socchiuse in avanti. Entrambe si dimenticarono per un secondo della pioggia battente che cadeva sulle loro teste, e rimasero a fissare lo spiraglio che si era aperto di fronte ai loro occhi. Oltre quella porta doveva essere completamente buio, perché nessuna luce di lampadina proveniva dal suo interno. Da quel poco che si poteva vedere tutto era avvolto nell'ombra e nel silenzio. Elizabeth si sarebbe aspettata di sentire, se non la voce di suo padre, almeno quella di qualcuno che chiedeva spiegazioni. Pensò che era piuttosto strano che nessuno degli sbirri fosse venuto a controllare chi aveva aperto la porta. Provò a dire che forse era meglio entrare in qualche posto asciutto e telefonare a papà per avvisarlo del distintivo, ma non profferì parola in quanto Anya aveva già abbandonato l'ombrello a terra e aveva aperto la porta in modo da varcare la soglia.
Non si accese nessuna luce e l'interno continuò a rimanere silenzioso.
Elizabeth se la stava vagamente facendo sotto. Sua sorella sembrò esitare, ma alla fine entrò.
- Senti, lascia perdere...!- disse infine Elizabeth.- E' solo uno stupido distintivo, non so nemmeno perché hai voluto...
- Aspetta un attimo.
Anya mosse qualche passo all'interno della stanza, ritrovandosi a ringraziare Iddio Onnipotente quando si accorse che a pochi centimetri dall'ingresso c'erano degli scalini che conducevano verso il basso. Se fosse entrata più decisa, con ogni probabilità sarebbe ruzzolata giù dalle scale fino alla fine. A proposito...era possibile che non si vedesse il pavimento?
Mosse una mano a tentoni e solo quando riuscì ad aggrapparsi a quella che doveva essere una ringhiera di ferro trovò il coraggio di riprendere ad avanzare. Cominciò a scendere cautamente gli scalini.
Elizabeth si aggrappò allo stipite della porta.
- Ma ci tieni proprio a farmi morire?!- strillò.- Chi te lo fa fare?
- Tu resta fuori, se vuoi.
Non credeva veramente che l'avrebbe fatto, e come volevasi dimostrare udì il rumore delle scarpe da tennis di sua sorella che la seguivano lungo la scala. A ogni passo che compiva il tacco dei suoi stivali mandava uno stridio metallico contro i gradini, e un paio di volte Anya pensò fosse meglio tornare indietro. Ormai non pensava più neanche a quel dannato distintivo, le interessava soltanto venire a capo di quella faccenda: Richard era sparito dietro quella porta e così anche i suoi colleghi, ma quel luogo non doveva essere altro che una cantina o un magazzino, magari pure abbandonati. Inoltre, non sentiva alcun suono o rumore di voci, era ovvio che non ci fosse nessuno.
Cercò di rispondere a quell'interrogativo dicendosi che forse c'era un'altra uscita, da qualche parte. Papà e tutti gli altri non potevano essere semplicemente spariti nel nulla.
- A te che piacciono tanto i film horror - gracchiò Elizabeth alle sue spalle.- Questa non sarebbe una di quelle situazioni da evitare? Tipo, la scala che porta verso la cantina infestata o al mattatoio del serial killer.
- Liz, hai due possibilità: o vieni con me e la pianti di sparare stronzate, oppure continui a spararle ma te ne esci fuori sotto l'acqua. Non siamo in un film horror - la scalinata finì, e due secondi dopo Anya si sentì sfiorare la fronte dall'alto, da qualcosa di sottile e freddo. Comprese subito che si trattava di una cordicella, e la tirò. Sopra la sua testa si accese una lampadina, la cui luce era troppo fioca per illuminare tutta la stanza ma meglio di niente, realizzò Anya.
La stanza non era molto grande ed era quadrata, completamente spoglia fatta eccezione per alcuni scatoloni vuoti e sfondati ammassati agli angoli e due o tre sedie rotte. C'erano ragnatele ovunque, sia sulle pareti che sul pavimento.
Elizabeth la raggiunse.
- Senti, papà non c'è...- osservò con impazienza.- Ti devi essere sbagliata per forza.
Non c'era altra spiegazione, doveva convenirlo. Non solo non c'era nessuno, ma non c'era nemmeno nessuna porta che avrebbe potuto dare accesso a qualche altra stanza. Erano in mezzo a quattro mura e l'unica via d'uscita era quella attraverso cui erano entrate.
Una folata di vento fece richiudere la porta con un colpo secco.
Anya sospirò e si appoggiò contro la parete alle sue spalle.
- Se era una di quelle porte che si aprono solo dall'esterno, parola mia che t'ammazzo.
- Non è possibile, dai. E poi l'idea di entrare è stata tua.
Chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie. Le era scoppiato un gran mal di testa.
- Hai ragione, Liz. Scusami. Devo essermi sbagliata... - ancora non capiva come fosse stato possibile ed era sicura di ciò che aveva visto, ma beh, la logica e l'evidenza sostenevano il contrario.
- Che facciamo, adesso?
- Torniamo a casa.
- E il...
Elizabeth si bloccò di colpo, tanto che Anya sollevò lo sguardo su di lei per capire che cosa ci fosse che non andava. Sua sorella aveva gli occhi sgranati e gli occhiali le erano scivolati lungo il naso. La stava fissando.
- Che hai da guardare?
Nello stesso momento in cui lo chiedeva, sentì il muro a cui era appoggiata come spostarsi, o cedere. Notò che la luce nella stanza si era fatta più forte, ma non poteva essere certo la lampadina.
Avvertì i mattoni smuoversi contro la sua schiena. Si allontanò di scatto, unendosi a Liz nel fissare la parete.
- Ma che cavolo...?- boccheggiò sua sorella.
Anya sgranò gli occhi. Era come se la parete si stesse...aprendo!
I mattoni si muovevano, continuavano a spostarsi da soli, ad accavallarsi l'uno sull'altro, finché nel muro non comparve un'enorme voragine luminosa.
Un forte vento cominciò a soffiare nella stanza.
Elizabeth gridò, sentendosi sollevare in aria.
Entrambe vennero risucchiate nella voragine.
  
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