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Autore: RandomWriter    12/03/2016    6 recensioni
Si era trasferita con il corpo, ma la sua mente tornava sempre là. Cambiare aria le avrebbe fatto bene, era quello che sentiva ripetere da mesi. E forse avevano ragione. Perchè anche se il dolore a volte tornava, Erin poteva far finta che fosse tutto un sogno, dove lei non esisteva più. Le bastava essere qualcun altro.
"In her shoes" è la storia dai toni rosa e vivaci, che però cela una vena di mistero dietro il passato dei suoi personaggi. Ognuno di essi ha una caratterizzazione compiuta, un suo ruolo ben definito all'interno dell storia che si svilupperà nel corso di numerosi capitoli. Lascio a voi la l'incarico di trovare la pazienza per leggerli. Nel caso decidiate di inoltrarvi in questa attività, non mi rimane che augurarvi: BUONA LETTURA
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In her shoes'
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56.
I MISTERI DELL’ARTE


 
« Io insisto per accendere il mio navigatore! »
« Non serve, Evans… basta seguire le indicazioni stradali, visto che a grandi linee so dove andare » lo tranquillizzò il pilota. Castiel teneva saldo il volante con la mano destra, poiché le dita della sinistra erano impegnate a tamburellare il ritmo delle note di sottofondo dei Queen of the Stone Age.
Uno schiocco di labbra anticipò la tenacia del suo copilota, sedutogli accanto, che perciò insistette:
« Con il navigatore siamo sicuri di fare la strada più breve »
« Ambra, come si spegne questo coso? » sbottò il rosso spazientito, indicando Armin con il pollice. La bionda sorrise leggermente, allungandosi in avanti verso il suo ragazzo:
« Armin, se Castiel sa la strada, sinceramente preferisco fare a meno del navigatore… è fastidioso sentire quella voce di sottofondo »
« La verità è che non siete convinti che l’abbia sistemato »
« La pianti di fare il moccioso? » s’irritò Castiel « che hai? »
L’amico non replicò, fingendo di trovare interessante un paesaggio che era rimasto immutato nell’ultima mezz’ora. Per chilometri e chilometri, davanti ai loro occhi, si presentavano solo infinite campagne riarse, che attendevano con trepidazione la primavera per sbocciare in tutto il loro verdeggiante splendore.
« In questi giorni è solo nervoso perché mio padre gli ha chiesto di venire a cena » spiegò Ambra, di fronte al silenzio del moro.
« Ti sembra una cosa da poco? » si agitò quest’ultimo.
« Non urlarmi nell’orecchio… » borbottò Castiel irritato, piegando il busto lateralmente per scostarsi da quella fastidiosa lamentela.
« Tornerà anche Nathaniel per l’occasione, giusto? » s’intromise il quarto e ultimo membro dell’abitacolo, Erin, portandosi a pochi centimetri dal collo del pilota. Castiel lanciò un’occhiataccia fugace allo specchietto retrovisore, per poi tornare concentrato sulla carreggiata:
« Voi due dietro, state sedute composte! » grugnì ma solo Ambra si riappoggiò contro lo schienale, mentre la mora continuava a chiacchierare imperterrita.
« Dice che ha una grossa novità… a te Ciop ha detto nulla? »
« No… e di certo non verrei a dirla a te » le abbaiò contro, mentre sentiva il fiato caldo di lei contro la nuca.
Lei storse il labbro superiore, incrociando le braccia al petto e tornando seduta accanto ad Ambra.
Erano in macchina da un paio d’ore, diretti a Pittsburgh. L’autostrada era scorrevole e il viaggio era trascorso in allegria. Ambra e Castiel, come mai prima d’allora, erano riusciti ad instaurare un dialogo, complice anche gli ultimi pranzi scolastici consumati insieme al loro gruppo di amici. Sin dal suo ritorno a Berlino, il rosso aveva realizzato quanto radicalmente la bionda fosse cambiata e, in quel cambiamento, era coinvolta anche la cessata infatuazione nei suoi confronti. Non aveva voluto approfondire la questione, gli bastava sapere che la ragazza non l’avrebbe più assillato con le sue mielose attenzioni, ma del resto, quell’Ambra che ora stava con il suo amico Armin, era incompatibile con quella che si era lasciato alle spalle prima di partire per la Germania:
« Avete fatto l’esercizio 232 di matematica? » stava domandando la bionda:
« Daniels, ti prego, non parlare di scuola! » si lagnò il rosso.
« No, ma lo copierò da Castiel » annunciò Erin come se fosse una cosa perfettamente naturale.
« Scordatelo »
« Ma se mi hai sempre fatto copiare? E poi scusa, io ti passo gli appunti di tutto il resto delle materie, ti chiedo solo aiuto per mate che sono una capra » protestò la mora.
« Me li passi, ma non mi servono ad un tubo vista la calligrafia di merda che ti ritrovi » obiettò l’amico.
La mora stava per sbottare quando Armin intervenne:
« Che argomento state facendo? »
« La funzione di una parabola » spiegò Ambra.
« Ah beh, cazzate » minimizzò il moro.
« Sì appunto » borbottò Castiel, leggendo il nome di un’uscita autostradale.
« Cazzate per voi due che le avete già fatte! » s’indispettì Erin « chiederò a Kentin allora ».
« Ti ricordo che l’ultima volta che ho copiato da lui, ho preso F nel test di fisica » puntualizzò Castiel, superando un’utilitaria davanti a loro.
« Perché sei così idiota da non aver capito che il prof aveva dato due test diversi a file, proprio per impedirci di copiare. Infatti lui ha preso A+ »
« Gnè gnè » gracchiò Castiel, facendo il verso alla saccenteria dell’amica.
Nonostante la sorpresa perplessità dei suoi insegnanti, matematica era l’unica materia in cui l’alunno Castiel Black brillava davvero. Capiva al volo le spiegazioni, risolveva esercizi complicati e riusciva persino a trovare modi alternativi per raggiungere la soluzione di un problema. Se non fosse stato per la sua pigrizia nello studio della teoria, che ad ogni interrogazione esponeva in modo grossolano e approssimativo, avrebbe avuto voti più alti di Ambra e Kentin. Erin glielo ripeteva di continuo ma il ragazzo era sordo ad ogni sprono o critica. I successi scolastici non erano mai stati motivi di vanto per lui.
« Ok, ora basta rock » esclamò Armin d’un tratto, impugnando il cellulare di Castiel e disconnettendo il Bluetooth « si passa agli Imagine Dragons »
Quell’annuncio venne approvato dalle due ragazze mentre il rosso, suo malgrado, si trovò costretto ad ascoltare un genere che non rientrava tra i suoi preferiti.
 
Aveva messo a tacere la sua coscienza sin da quando quel mattino aveva aperto gli occhi.
La notte le aveva portato consiglio, prendendo una decisione definitiva: quella storia andava risolta una volta per tutte e, visto che ormai l’aveva in parte condivisa con Nathaniel, tanto valeva accettare la sua collaborazione.
Ne era innamorata? Sì, ma avrebbe dissimulato.
Coinvolgere lui e non Erin era ingiusto? Sì, ma era la scelta più comoda.
Basta farsi angosciare dalle proprie paure.
Dovevano scovare Jack e solo allora, sarebbe potuta ritornare da Mackenzie.
Attraversò il viale del college, popolato da studenti provenienti da ogni angolo del paese. Attraversò un porticato e salì alcuni gradini che la condussero all’interno di un corridoio lungo e stretto. Incrociò un paio di ragazzi, che la fissarono incuriositi, ma lei li ignorò: di certo aveva un look un po’ eccentrico, considerato che era circondata da ordinari studenti di economia. Era anche consapevole che il regolamento vietasse alle ragazze di fare incursione nei dormitori maschili ma quella regola era talmente ignorata, che non veniva neanche più percepita come un divieto.
Erano le otto del mattino, sapeva che l’avrebbe trovato nella sua stanza.
Doveva solo ricordare correttamente il numero.
35.
Sì, era il 35.
Aprì la porta con foga perché tale era la sua trepidazione, da dimenticare le buone maniere o il buon senso in generale.
Si trovò di fronte un ragazzo dalla carnagione diafana, con una pancia prominente, intendo a levarsi la maglietta, restando solo in boxer. Gli intravedeva le costole sporgenti e anche un’altra protuberanza sotto la cintola, che la fece avvampare per il disagio.
« Oddioscusascusa! » farneticò, sbattendo violentemente la porta.
Lo studente non aveva fatto neanche a tempo a reagire, aveva solo percepito la presenza improvvisa di un’intrusa.
Sophia si scostò da quell’entrata, guardandosi attorno confusa.
Non ricordava quale fosse la stanza del biondo, era evidente. Pregò che nessuno uscisse dalle camerate ma la sua speranza andò in frantumi non appena, l’una dietro l’altra, cominciarono ad aprirsi una serie di porte:
« Ehi che succede? »
« Tutto ok? »
Le voci di cinque o sei ragazzi sconosciuti iniziarono ad accavallarsi per poi concentrare l’attenzione sull’unico individuo di sesso femminile presente in quel corridoio.
Per ultima, si aprì una porta da cui emerse una massa spettinata di capelli biondi.
« Cos’è tutto questo baccano? »
Sophia si voltò di scatto verso quella figura, eroicamente emersa da una delle porte in fondo al corridoio. Corse verso di essa, lasciandosi alle spalle gli sguardi perplessi o maliziosi degli studenti presenti. Spinse Nathaniel dentro la sua stanza, senza lasciargli il tempo di salutarla o capire quali fossero le sue intenzioni. La vide sbattere violentemente la porta, traendo un sospiro di sollievo.
« Che figura di merdaaaa » miagolò, scuotendo il capo mortificata. Aveva incollato le spalle alla porta, quasi volesse assicurarsi che nessuno tentasse di forzarla ed entrare.
Quando rialzò lo sguardo, incrociò l’espressione divertita con cui la stava scrutando il biondo.
« Finalmente sei tornata normale, Travis » la schernì « o meglio, sei tornata ad essere la solita stramba »
Quella frase gli uscì spontanea, alimentata da uno sgravio di cui Sophia non riusciva a spiegarsi la ragione. Il proprietario della stanza si avvicinò al letto, raggruppando alla rinfusa alcuni vestiti gettati lì in malo modo, in un debole e poco convinto tentativo di fare un po’ d’ordine. A parte quei capi di abbigliamento però, il resto della camera era impeccabile, nulla che lasciasse intendere la presenza di un ragazzo ormai ventenne.
« Come mai da queste parti? Dovrei pensare male? » la stuzzicò « ti ricordo che sono già impegnato »
Non si accorse della piega amara che avevano assunto le labbra di lei, poiché distratto dall’esclamazione che seguì la sua provocazione:
« Devi aiutarmi a trovare una persona »
Il sorriso di Nathaniel si spense, mentre scrutava la severità della sua interlocutrice. Si stava mordendo il labbro inferiore, gesto che la accumunava teneramente alla gemella.
« Di chi si tratta? »
« Un tizio di nome Jack Hurst » replicò l’altra prontamente.
« Chi è? »
Sophia inspirò.
Se davvero voleva che Nathaniel la aiutasse, doveva raccontargli qualcosa in più. Bombardarlo di informazioni centellinate con il contagocce l’avrebbe solo confuso o, peggio ancora, fatto arrabbiare.Settimane prima, le aveva promesso di non farle più domande di quelle che fossero necessarie e quell’ultima che gli aveva posto, rientrava nella categorie di informazioni che non poteva tenere per sé.
« E’ il padre di una mia amica. Lo sto cercando, perché le ho promesso di trovarlo »
« Come si chiama questa tua amica? »
« Mackenzie »
Nathaniel non fece una piega e proseguì.
« Tua sorella la conosce? »
« In che senso? » domandò Sophia confusa.
« Non ci sono tanti modi di interpretare la mia domanda: Erin conosce questa Mackenzie? »
«… sì » rispose infine la rossa, dopo alcuni secondi d’attesa.
« E tu non vuoi che sappia che stai cercando suo padre? » riepilogò lui.
La rossa iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza, come se quell’andatura la aiutasse a schiarirsi le idee e farsi coraggio:
« Sì, anche se di fatto non è questo il vero motivo per cui non voglio coinvolgerla »
Nathaniel si massaggiò allora la fronte, pensieroso:
« Ok » convenne infine « sto cercando di farmi un quadro della situazione, visto che vuoi il mio aiuto, ma non vuoi nemmeno giocare a carte scoperte »
« Nathaniel io- »
« Non mi sto lamentando » la frenò lui « dico solo le cose come stanno e, se questo è l’unico modo che ho per aiutarti, starò alle tue regole, Sophia »
 
Pittsburgh era una città un po’ diversa dalla loro Morristown. I grattacieli, il cui stile ricordava sì quello della loro città natale, erano tuttavia molto più numerosi e le strade più ampie e trafficate.
Castiel si muoveva con sicurezza, forse troppa, al punto da far sussultare l’amico seduto accanto a lui in più occasioni:
« Stavi per prendere sotto quella vecchina! »
« L’avevo vista, sta’ zitto »
« Occhio al ciclista! »
« E’ dall’altra parte della strada! »
« Frena, è rosso! »
« Non sono daltonico, ho visto! »
« C’è un autovelox! »
« Ma vuoi chiudere quella bocca? » sbraitò il pilota, visibilmente esasperato.
« Ti pare normale guidare così in pieno centro città? Non siamo più in autostrada! »
Ambra ed Erin non intervenivano in quell’acceso scambio di battute, troppo affascinate dalle vetrine e dal via vai lungo i marciapiedi di una città che vedevano per la prima volta nella loro vita.
« Ambra, dov’è che devo girare ora? » domandò Castiel, costringendo la bionda a staccare gli occhi dal finestrino e puntarli sul foglio che teneva sulle ginocchia.
« Dopo il semaforo laggiù in fondo, vai a destra » sentenziò, dopo un rapido consulto della cartina.
« Non è a sinistra? » obiettò Erin, allungandosi verso il foglio.
La bionda controllò la strada cartacea e insistette:
« No, è a destra. Dobbiamo andare verso l’Heinz Field » spiegò.
« Cip, non incasinare Ambra » la rimproverò il rosso, ricevendo uno sbuffo come conferma della ricezione delle sue parole.
La ragazza aveva passato gli ultimi due giorni a studiare nel dettaglio la piantina della città, tracciando meticolosamente il percorso che avrebbero seguito e i posti in cui si sarebbero fermati. Guidò così gli amici fino ad un parcheggio gratuito, comodamente collegato al centro tramite la metro.
« Aveva ragione Lysandre a includerti nel gruppo » borbottò Castiel, in quello che aveva tutta l’aria di essere un complimento. La bionda infatti sorrise leggermente, cercando di soffocare la soddisfazione. Quando era stata invitata ad unirsi ad Erin per quella gita, aveva dovuto dissimulare la gioia nel sentirsi apprezzata e accolta. Emozioni che aveva provato raramente nei suoi quasi diciotto anni, nonostante avesse qualità che le potessero garantire ogni lode.
Scesero dalla vettura e si radunarono davanti ad una statua in bronzo, raffigurante il celebre George Washington.
« Allora ragazzi, riepiloghiamo: questa è la città natale di Tracy Leroy, una famosa artigiana specializzata in cornici di legno. Il nostro compito è scoprire il più possibile su di lei, e a maggior ragione, sulla cornice che ha realizzato. Avete tutti una foto sul cellulare? » li istruì la bionda.
« Roger! » affermarono in coro Erin ed Armin, portandosi una mano sulla fronte e assumendo la posa di un militare. Gli occhi di Ambra si assottigliarono, sbottando offesa:
« Piantatela o vi mollo qui »
« Scusa, scusa » scattò la mora, agitando i palmi mentre il moro sorrideva, per nulla preoccupato. Conosceva abbastanza bene la sua ragazza, da sapere quanto fossero false quel genere di minacce. Tuttavia, non per questo, ne sottovalutava l’orgoglio. Se stuzzicata in questioni più delicate, Ambra era una vera testarda e non sarebbe stato saggio da parte sua sfidarne la grinta.
« Anziché muoverci in gruppo, ci divideremo a coppie, così avremo un raggio d’azione più ampio e quindi maggiori possibilità di scoprire qualcosa su questa donna. Io e Armin andremo nel museo d’arte contemporanea, mentre voi due andrete in cerca di informazioni nelle biblioteche e nelle librerie »
La mora annuì, con una serietà tale da far sorridere i due ragazzi.                                        
« Rilassatevi! Non siamo dentro una puntata di CSI » le derise Castiel.
« Agente Travis e Daniels, a rapporto! » aggiunse Armin, calandosi gli occhiali da sole scuri sul naso.
« Prendetela seriamente questa cosa » farfugliò Erin, mentre Ambra mollava una gomitata al moro.
« Abbiamo il check-in per il motel a partire dalle 18.00, quindi direi che per le 19.00 cerchiamo di trovarci tutti qui » proseguì la bionda.
« Oddio Ambra, come sono contenta che ci darai una mano! » squittì Erin, ammirandone le capacità organizzative e deduttive « hai un futuro nell’FBI! »
« Tzè, come no » sorrise l’altra, poco convinta e riponendo il cellulare nella borsa.
A distanza di anni, le sarebbe tornata in mente quell’affermazione di Erin che avrebbe trovato in essa, il pretesto per vantare una sorta di capacità di preveggenza.
 
Avevano già consultato tre biblioteche ed erano entrati in quattro diverse librerie. Stavano per l’appunto uscendo dall’ultima, mentre Erin attendeva risposta dall’altro capo del telefono:
« Speriamo che Ambra abbia una soluzione » stava commentando, guardando l’amico.
« Dille di raggiungerci » le consigliò Castiel, accendendosi l’immancabile sigaretta. L’amica gli lanciò un’occhiata carica di biasimo, ma lui fece spallucce. Resistere al tabacco era una sofferenza troppo grande per uno come lui. La mora stava per aggiungere qualcosa, quando avvertì una voce dall’altro capo del cellulare:
«Allora Erin, novità? »
« Sì, dunque. Alla Carnegie Library hanno un volume dedicato interamente alle opere di Tracy… il problema è che non possiamo noleggiarlo, solo consultarlo »
Durante la conversazione, fissava l’imponente struttura dell’edificio storico, in cui ogni pilastro trasudava storia e fascino. Amava la lettura ed era rimasta piacevolmente colpita dall’interno di quella biblioteca, in cui si sarebbe persa volentieri se non fosse stato per la fretta che le aveva messo addosso Castiel.
« Davvero? Che strano… forse si tratta di un volume pregiato. Te lo sei fatta mostrare? »
« Sì, ed in effetti sembra piuttosto prezioso. E’ ricco di immagini e didascalie per ogni cornice »
« Avete scoperto qualcosa sfogliandolo? »
« No, non c’è quasi nulla sulla parte biografica. A quanto pare è un’artista estremamente riservata »
Ambra soppesò quelle parole, riflettendo per qualche istante.
« Ricordi il titolo del libro? »
« Era… » la mora guardò Castiel, nello sforzo di ricordare « Art Legna, mi pare »
« Ars lignea, forse? » la corresse la bionda.
« Sì, esatto! Come lo sai? »
« E’ in vendita qui al museo. Costa ottantasei dollari »
« Cosa? » gracchiò Erin sconvolta.
« Credo che dovremo prenderlo, può tornarci utile » la esortò la bionda.
Erin sospirò.
Ottantasei dollari per un libro d’arte, una delle materie che più la annoiava. Ottantasei dollari per un libro del genere le sembrava uno spreco, specie se considerava tutti i soldi che i suoi genitori già stavano spendendo per mandarla ad un liceo esclusivo come il Dolce Amoris.
« Lo compro io, Travis, non preoccuparti » le giunse risposta dall’altro capo della cornetta.
Quelle parole la scossero, più per la risolutezza con cui erano state pronunciate che per il loro contenuto. Non poteva permettere ad Ambra di essere così categorica e farsi carico dei suoi problemi. Le stava già fornendo un aiuto preziosissimo e non era giusto che si accollasse pure le spese di quell’indagine:
« No, Ambra, non è giusto! Questa storia è un mio problema e… »
« Io sono quella più ricca » tagliò corto l’altra con strafottenza « per me i soldi non sono un problema »
Pronunciò quelle parole con quella punta di arroganza che serviva a mascherare il suo reale rammarico. Certo, la sua famiglia non era ancora ridotta sul lastrico, ma il segno meno davanti al conto in banca dell’azienda le ricordava che l’epoca d’oro dei Daniels era uno sbiadito ricordo. Solo ad Armin e Lin aveva rivelato quella preoccupante situazione, poiché il suo orgoglio le impediva di ammettere il suo status al resto del gruppo. Era troppo fiera per piangersi addosso o accettare una qualunque forma di commiserazione.
« Sei sicura? » titubò Erin, credendo ciecamente nell’ultima frase dell’ereditiera dell’impero Daniels.
« E’ un libro che vorrei tenere. Qui al museo abbiamo visto due opere di Tracy Leroy e sono davvero bellissime… quelle che ho a casa sono nulla a confronto »
Dopo aver ricevuto i ringraziamenti di Erin, Ambra chiuse la conversazione con un ghigno malinconico. Quegli ottantasei dollari le pesavano eccome, ma sopì il senso di colpa pensando a quanto avesse risparmiato in quelle ultime settimane. Avrebbe comprato quel libro e poi non ci avrebbe pensato più.
Si guardò attorno, ma si accorse che il suo compagno di ricerche era sparito. Si mosse dal ripiano dei gadget su Pollock, per cercarlo in prossimità dell’uscita, quando sentì qualcosa di rigido e spigoloso urtarle il braccio.
Si voltò e vide una busta di plastica ondeggiare, racchiudendo al suo interno un voluminoso tomo.
« Allora, andiamo? » la esortò Armin con noncuranza.
« Ah, l’hai già comprato? » si sorprese la ragazza « aspetta che ti do i soldi »
Il ragazzo però, anziché fermarsi, aveva ripreso a camminare a passo svelto.
« Ehi, Evans! » lo rincorse infastidita, brandendo a mezz’aria due banconote da cinquanta dollari « aspetta un minuto »
« Non voglio i tuoi soldi… »
« Eh? »
Ambra si era bloccata a metà del corridoio, tenendo a mezz’aria quei due pezzi di carta di valore.
« Non voglio soldi da te » ripetè il moro, mentre salutava con un cenno l’addetto all’uscita del museo.
« Non lo accetto » obiettò la bionda, dopo qualche secondo di spiazzante sorpresa.
Si ritrovarono all’esterno ed Ambra arrancò sui tacchi degli stivali per colmare la distanza da Armin. Scendere i gradini a quel ritmo la stava mettendo in difficoltà, ma doveva raggiungerlo se voleva costringerlo a prendere quelle banconote.
« Non voglio la tua carità, Evans » aveva borbottato infastidita.
Il moro allora si fermò e, dopo pochi secondi, lo vide voltarsi con un sorriso malizioso:
« E chi ha detto che è gratis? Io pensavo ad un altro genere di pagamento… »
Si trovava un gradito sotto di lei ma ciononostante, neppure con i tacchi Ambra riusciva a superarlo in altezza. Nella mano destra, teneva la borsa con il pregiato libro, mentre con quella ancora libera, Armin avvicinò il mento di lei al suo, baciandola senza esitazione.
Quando si staccò, notò divertito il rosso e l’emozione che le avevano imporporato le guance:
« Non ti sopporto quando fai così » borbottò lei, trattenendo a stento una smorfia di pura tenerezza.
« Io invece ti trovo irresistibile, qualunque cosa tu faccia » e tornò a saldare il resto del conto lasciato in sospeso.
 
Non erano molti i posti in cui una mente vivace e caotica come quella di Sophia Travis potesse trovare un angolo di pace, ma di certo, in questa ristretta categoria rientravano i negozi d’arte. L’odore così artificiale ed artificioso delle vernici, l’aroma del legno delle cornici erano inebrianti ed esercitavano sui suoi sensi un effetto calmante.
Quel giorno però non bastava qualche profumo chimico ad attenuare la sua naturale ed irrefrenabile irruenza. Aveva varcato la soglia del “Pennelli e pannelli” spingendo la porta con cattiveria ed imprimendo sul vetro immacolato lo stampo di cinque dita. Nathaniel l’aveva seguita vagamente incuriosito e divertito. Abituarsi a quei modi così poco educati e posati non era difficile per chi per anni aveva avuto come migliore amico un certo Castiel.
Sophia si appoggiò ad uno scaffale di legno ambrato da sotto il quale emerse la figura di un uomo piuttosto magro, con un’ampia fronte stempiata. Da dietro un paio di occhiali rotondi, si nascondevano due iridi verdi, enfatizzate da una carnagione leggermente abbronzata.
« Oh no, ancora tu »
Quell’esclamazione era sfuggita non appena il suo sguardo si era posato sull’unica cliente del locale, che non si era nemmeno degnata di salutare. Per Nathaniel fu inevitabile guardare interrogativo l’amica, mentre quest’ultima puntava i palmi contro il bancone.
Ben poche cose gli aveva detto prima di trascinarlo in quel posto, ma tra queste una era di fondamentale importanza: quello sconosciuto conosceva Jack Hurst, il padre della misteriosa Mackenzie.
« Sono tornata perché lei non si decide a dirmi la verità su Jack Hurst » s’impuntò Sophia, guardando l’uomo dritto negli occhi. Occhi che quest’ultimo sollevò al cielo, rassegnato.
« Ti prego, basta! Sei venuta qui fin troppe volte, e la risposta è sempre la stessa. Non vedo Jack da anni. Non ho idea di dove sia e, onestamente, non mi interessa neppure saperlo! Compra qualcosa, o vattene »
L’uomo non aveva l’espressione di una persona severa, piuttosto la smorfia di una personalità debole, facilmente plagiabile e fondamentalmente troppo genuina per mentire. Per quanto fosse importante che il biondo accorresse in soccorso di Sophia, Nathaniel in un primo momento preferì lasciarsi distrarre dall’arte circostante; le pareti erano tempestate di quadri ed opere di ogni tecnica pittorica, alcune delle quali mai viste prima. Accanto a disegni di artisti amatoriali, spiccavano le opere di professionisti locali che, seppur sconosciuti, erano abbastanza talentuosi da catturare l’interesse del ragazzo, che per l’arte aveva sempre avuto una certa passione.   
« Sono convinta che se continuo ad insistere, prima o poi svuoterà il sacco definitivamente! » insisteva Sophia.
« Ma non ho nient’altro da dirti, ragazzina! Jack non amava parlare di sé, è arrivato qui dal nulla ed è sparito da un giorno all’altro » s’inalberò l’uomo, la cui pazienza era già agli sgoccioli.
« Sono realizzati da artisti locali? »
L’uomo si voltò verso il silenzioso accompagnatore della rossa che, a sua volta, si zittì in attesa di una risposta.
« Sì, esatto. Se sei interessato all’acquisto… »
« No, grazie. La mia era solo curiosità » si affrettò a precisare il giovane, riducendo la distanza tra lui e il suo interlocutore.
Fu allora che lo scrutò con attenzione e in lui lesse dei tratti ipocritamente duri, tesi nello sforzo innaturale di connotare nel soggetto un’aria minacciosa. Ronald non era uno spirito forte, quanto piuttosto racchiudeva un carattere tendenzialmente debole e particolarmente incline ai condizionamenti; toccando i tasti giusti, poteva rivelarsi collaborativo più di quanto affermasse:
« Sentite ragazzi » sospirò l’uomo, scuotendo il capo « devo lavorare e non ho tempo per assecondare due ragazzini che giocano a fare i detective »
« Sarebbe così gentile da ripetere a me tutto ciò che ha detto alla mia amica? » lo interruppe Nathaniel, sordo a quanto gli era stato appena riferito. Abituato a mediare con il mondo degli adulti, l’ex segretario del liceo Dolce Amoris, sapeva come relazionarsi a quello sconosciuto per ottenere le informazioni di cui aveva bisogno. Doveva solo confidare nel buon senso della sua amica e sperare che quest’ultimo fosse sufficiente a tenere a freno la sua impulsività e linguaccia.
« Mi rendo conto che siamo inopportuni, ma è davvero importante per noi trovare Jack » insistette, guardando l’uomo dritto negli occhi. Nelle sue parole, trasparì una sorta di familiarità verso lo scomparso che di fatto, non aveva alcun motivo di esistere. Per lui Jack non era nient’altro che un nome, ma dietro quel nome senza volto, vi era un mistero che teneva Sophia Travis lontana da tutti e da tutto.
« Perché è così importante per voi? » questionò l’uomo, in un prematuro segno di cedimento.
Il biondo avrebbe desiderato così tanto avere la risposta a quella semplice domanda ma, suo malgrado, non poteva farsene vanto. Sophia aveva aggrottato le ciglia, ostile e guardinga, probabilmente intenzionata ad apostrofare l’uomo con qualche esclamazione poco cortese. Fu per questo che la prima reazione di Nathaniel fu sfiorarle il braccio con discrezione. Era stato un gesto istintivo, quasi affettuoso, che bastò a smorzare in lei ogni replica. Sussultò, come una dodicenne che arrossisce di fronte al ragazzo per cui ha una cotta. Accanto a Nathaniel, lei perdeva ogni difesa e attacco. Diventava inerme ma iniziava a trovarla una sensazione odiosamente piacevole, perché scaturita da quel senso di protezione che solo Nathaniel esercitava su di lei. 
« Lo stiamo facendo per Mackenzie » replicò Nathaniel con serietà. Doveva essere schietto per convincere quell’uomo dell’onestà delle loro intenzioni. Non potevano sapere se Ronald fosse così reticente alla conversazione per una reale marginalità ai fatti, oppure per una qualche forma di tutela verso Jack Hurst. In entrambi i casi, la prudenza era la tattica più opportuna, se combinata ad una buona dose di sincerità.
Il nome Mackenzie aveva sortito quasi un effetto magico nella mente dell’uomo, i cui occhi si erano sgranati per la sorpresa. Aveva allungato il collo in avanti, come se quella posa gli consentisse di far riecheggiare meglio nella sua testa un nome che aveva visto scritto in una lettera anni prima.
« Conoscete Mackenzie? »
Il biondo annuì leggermente, ricacciando in un angolo remoto della mente la sfacciataggine che gli permetteva di mentire in modo così naturale, mentre l’uomo si accasciava su una sedia, sospirando pesantemente.
« Vorrei tanto potervi aiutare, ragazzi… » esordì, dopo qualche secondo di riflessivo silenzio « ma davvero, non so che fine abbia fatto Jack »
Gli fece quasi pena, non tanto per l’espressione mortificata, quanto per il tono stanco e rassegnato con cui erano state pronunciate quelle parole. Ronald era davvero un uomo debole e a Nathaniel non restava altro che approfittare della sua mancanza di determinazione, per estrapolargli qualche informazione.  
« Come vi siete conosciuti? » insistette Nathaniel.
Le gambe stanche dell’uomo ruotarono in avanti e gli diedero la spinta per alzarsi goffamente dallo sgabello. Superò i due ragazzi e temporeggiò nella contemplazione di una parete adorna di dipinti, la stessa che aveva catturato l’attenzione di Nathaniel poco prima. Indicò un punto spoglio, in cui  solo un chiodo arrugginito testimoniava la passata presenza di un’opera.
« Fino all’anno scorso, qui c’era un suo quadro » mormorò.
Gli occhi erano vitrei e lo sguardo rimaneva fisso su quell’area così anonima del muro. Lo schermo perfetto per il turbinio di immagini mentali che iniziarono ad accavallarsi nella sua mente. Sarebbero state queste ultime a scandire il ritmo della narrazione, cadenza che si preannunciava alquanto lenta.
 
Uno spiffero gelido investì il viso di Ronald, troppo preso dalla catalogazione delle tempere per accorgersi altrimenti dell’entrata di un cliente. Alzò lo sguardo, preparandosi a sfoggiare il sorriso di circostanza e accoglienza che si addice a ogni venditore. Le sue buone intenzioni però, vennero soffocate dalla materializzazione di una figura curva, imprigionata in un cappotto troppo largo e malconcio. Le punte delle scarpe erano lerce di fango e acqua, che non avevano risparmiato l’orlo inferiore del misero indumento. L’uomo si levò un cappello sgualcito, debole riparo ad un acquazzone che stava infuriando all’esterno. Sotto il copricapo, rivelò una massa rada di capelli, tra i quali si intravedeva una pelle lucida e inumidita dalla poggia.
« Buongiorno » sospirò Ronald, con scarsa cortesia.
Doveva pensare ad un modo per liquidare in fretta quel barbone, prima che compromettesse l’immagine rispettabile del suo negozio.
« ‘Giorno » replicò l’uomo, guardandosi attorno.
Nonostante gli abiti spenti e tristi, nelle sue iridi guizzava una scintilla di interesse e curiosità, stridenti in quel viso scavato dalle rughe e dalla stanchezza.
« Posso aiutarla? » soggiunse il proprietario del negozio, fingendosi disponibile. Pattuì con sé stesso una cifra che potesse sembrargli ragionevole e liquidare il clochard in pochi secondi. Dieci dollari di elemosina e avrebbe addirittura concluso la giornata con una buona azione. Fosse stato ancora credente, avrebbe potuto reputarsi un bravo musulmano.
« Devo mostrarle una cosa… »
L’espressione di Ronald rimase la stessa finché non notò la posizione rigida del braccio destro dello sconosciuto, che sembrava reggere una cornice sotto l’impermeabile. La stoffa usurata tradiva le forme spigolose di un dipinto, tenuto al riparo da intemperie e sguardi fino a quel momento.
« Prego » borbottò, continuando ad inventariare i colori.
Probabilmente si trattava di un qualche quadro di poco conto trovato abbandonato in una discarica e che, pertanto, lo istigava a relazionarsi all’uomo con particolare cinismo.
Lo sconosciuto rilassò il braccio destro, mentre con la mano sinistra afferrava il bordo ligneo dell’oggetto. Con eccessiva lentezza, appoggiò il quadro sul bancone, lasciando al venditore il tempo necessario a valutarne il pregio. Dapprima gli occhi porcini di Ronald si posarono sul dipinto con scarso entusiasmo ma, dopo pochi secondi, si sgranarono per lo stupore.
Sollevò il mento di scatto, guardando l’interlocutore dritto negli occhi. Nonostante quel gesto repentino ed improvviso, quest’ultimo non sussultò, ma rimase impassibile:
« E questo dove l’ha trovato? »
L’uomo non battè ciglio, né reagì minimamente alla foga con cui gli era stata posta l’ultima domanda.
« E’ mio » affermò risoluto. Ronald inspirò, tamburellando nervosamente le dita contro la superficie del bancone.
« Siamo seri. Dove l’ha trovato? » ripetè, quasi con sfida.
Lo stile era inconfondibile e, con esso, il valore. Tracy Leroy, la famosa artigiana del legno, era sparita dalla circolazione, dopo aver dichiarato chiusa la sua carriera. Tale scelta ne aveva aumentato esponenzialmente il valore delle opere, alimentato dal mistero circa la sua scomparsa.
Il dipinto all’interno non sembrava l’opera di un qualche pittore famoso, né essere realizzato da mani esperte. Il colore ad olio non era miscelato in modo uniforme e all’occhio clinico del venditore, non sfuggì una setola di pennello incastrata nella pittura, indice della scarsa qualità degli strumenti impiegati.
Curiosamente, la vera opera d’arte non era rappresentata dal contenuto, ma dal suo involucro.
« E’ un regalo per me » insistette l’uomo, impassibile ed impenetrabile. Non sembrava offeso dal cinismo di Ronald, probabilmente perché preparato a tanta ostilità. Aveva la sicurezza di chi ha la coscienza rasserenata dalla propria onestà. O era solo una tanto talentuosa quanto biasimevole ipocrisia che gli permetteva di mentire spudoratamente.
« Mi è difficile crederle… e in tal caso non posso proprio aiutarla »
Forse perché sua moglie aveva chiesto il divorzio appena una settimana prima. Forse perché da mesi suo fratello non si decideva a mettere quella firma e lasciargli quanto gli spettava di diritto. Quale che fosse la cagione del suo malumore, quel giorno Ronald era più scontroso e determinato di quanto fosse mai stato. Non si sarebbe lasciato abbindolare come un allocco e questo lo sconosciuto sembrò averlo capito.
Lo vide quindi rituffare la mano all’interno del cappotto, da cui estrasse una ricevuta sgualcita. La porse in silenzio all’uomo, senza prendersi la briga di distenderla. Il venditore la afferrò, analizzando con attenzione. Dopo qualche secondo, sollevò lo sguardo oltre il foglio e domandò:
« Lei è il signor Hurst quindi? »
Per la seconda volta Hurst non replicò a voce, ma esibì un documento di riconoscimento.
Ronald indugiò non poco tra la foto della carta d’identità e la figura che aveva di fronte, soffermandosi su quei dettagli che ne rappresentavano gli elementi comuni. Anche se la versione cartacea aveva un’aria più distinta e curata, non c’erano dubbi.
Quell’uomo era chi aveva dichiarato di essere.
« Non sono sempre stato così » sussurrò Hurst, riponendo il documento nella federa interna dell’impermeabile, mentre Ronald cercava di dissimulare la sua perplessità « ora ho solo bisogno di soldi. Mi dica… quanto può offrirmi per quest’opera? »
 
« Scoprii che non era intenzionato a vendermi il quadro, ma solo a impegnarlo. Era un tipo laconico, non mi fornì dettagli oltre a quelli necessari a concludere l’accordo. Lo rividi dopo due settimane ma non si fermò molto. Rimase a fissare il suo quadro, senza dire nulla, perso nei suoi pensieri. Gli chiesi come avesse investito i soldi del prestito e mi rispose che si era sistemato e che aveva trovato lavoro »
« Che tipo di lavoro? » lo interruppe Nathaniel.
Ronald scosse il capo, incrociando le braccia al petto.
« Quando glieli chiesi, mi rispose in modo criptico, come era nella sua natura… credo che le sue parole siano state “rimedio agli errori altrui” »
« Rimedio gli errori altrui? » ripetè Nathaniel, mentre Sophia storceva il labbro.
Insieme a Space, aveva riflettuto a più riprese su quale fosse il significato di quella frase, ma nessuna delle loro ipotesi li aveva portati a scoprire qualcosa.
« Sì, e visto che non sono una persona invadente, considerata pure la sua reticenza alla conversazione, non saprei dirvi cosa significasse. Personalmente non sopporto estrapolare informazioni dalle persone » spiegò Ronald.
« Avete parlato d’altro? »
« Beh, io ripresi a fare quello che stavo facendo, mentre lui rimase un altro paio di minuti a guardare il quadro. Dopo di che, lo vidi avvicinarsi al calendario appeso alla parete e fissarlo inespressivo per qualche istante. Sfogliò le pagine di qualche mese e mosse le dita, quasi stesse calcolando mentalmente una cifra.
riscatterò il prestito entro i prossimi cinque mesi” dichiarò. Io incurvai le spalle, mi risultava difficile credere che ci sarebbe riuscito. In tutta onestà, avrei voluto che non lo facesse: quella cornice infatti iniziò ad attrarre un gran numero di clienti e dovevo solo sperare che la notizia non giungesse a qualche museo, altrimenti qualcuno avrebbe potuto saldare il debito al posto suo, privandomi di quella preziosa pubblicità. Gli chiesi se, al di là del valore economico, quel quadro significasse qualcosa per lui, ma sembrò non sentirmi. Affondò le mani nelle tasche e, con un cenno furtivo del capo, mi salutò, richiudendosi la porta alle spalle. Quella fu l’ultima volta che lo vidi »
« Da allora non l’ha mai più rivisto? » puntualizzò Nathaniel.
« No »
« Quindi il quadro divenne automaticamente di sua proprietà? » dedusse il biondo.
« No » lo contraddisse Ronald.
Il biondo ascoltava quella conversazione senza battere ciglio, mentre Sophia continuava a perdere lo sguardo nell’ambiente che la circondava. Amava dipingere e, se non fosse stata così squattrinata, avrebbe comprato volentieri un bel set di fogli per acquarelli in offerta. La storia di Ronald l’aveva già sentita e, doveva riconoscerlo, nessun dettaglio era stato cambiato.
« Che accadde? » lo incalzò il biondo.
« A due giorni dalla scadenza del prestito, mi giunse una busta, al cui interno trovai esattamente la cifra necessaria a riscattare il quadro… più un extra per me. Nelle parole che vi lessi, Jack mi pregava di spedire il quadro all’indirizzo allegato nella busta, pagandomi per quel favore. Non avevo possibilità di replica, dal momento che non vi era segnato l’indirizzo del mittente. Lo considerai un azzardo bello e buono quello di affidarsi alla mia onestà per una simile commissione. In fondo, ero praticamente uno sconosciuto, nessun vincolo mi legava a lui e avrei potuto tranquillamente potuto fingere di non aver ricevuto nulla, intascandomi soldi e tenendomi il quadro »
« … ma non lo fece » concluse Nathaniel.
L’uomo sorrise leggermente, guardando vittorioso Sophia, che alzò lo sguardo al cielo.
« Ne sei proprio sicuro, Dora? » sbottò « per me non ci sta dicendo tutto… »
Sorvolando sul soprannome che gli aveva affibbiato, Nathaniel ragionò:
« Se mentisse, si sarebbe inventato una storia diversa da questa. Di certo non una in cui è fin troppo facile sospettare di lui »
« Ti ringrazio, Dora » annuì Ronald, mentre il ragazzo corrugava la fronte.
« Non dia retta a questa scema, mi chiamo Nathaniel »
Gli costò un certo imbarazzo correggere l’adulto, tanto che strappò un sorrisetto ironico alla sua carnefice. Ancora dubbiosa, quest’ultima tornò a scrutare le setole morbide di un set di pennelli, lasciando che l’amico venisse messo al corrente anche dell’ultima parte della storia.
« A malincuore, lo ammetto, ho spedito quel quadro e da allora, non ho mai più sentito parlare di Jack Hurst »
« Ricorda l’indirizzo di spedizione? O almeno la città? »
« Mi dispiace, sono passati cinque anni da allora… sono quasi sicuro però che fosse nell’Illinois… mi pare che la città avesse il nome di una serie TV… »
« Quale? »
« Se me lo ricordassi, ve lo direi » convenne Ronald con ovvietà «ma ricordo quest’associazione mentale.. sì insomma, la collegai ad una serie »
« Secondo lei, perché Jack non ha spedito personalmente il quadro? » domandò Nathaniel.
« E chi lo sa. Siete voi che state indagando sulla faccenda. Per quello che mi riguarda, sono affari suoi »
« Ecco! Lo vedi perché mi incazzo? Questo tizio non ce la racconta giusta! » s’inalberò Sophia, mentre l’uomo sollevava gli occhi al cielo.
« Senti ragazzina, io ti ho detto tutto quello che so, mentre tu, non mi hai ancora detto come e perché sei arrivata a me… chi è allora che non sta raccontando tutta la verità? »
La rossa si zittì, mentre Ronald apriva un cassetto sotto il bancone. Estrasse un pacchetto di sigarette e, nonostante il divieto di fumare appeso fuori dalla porta, inspirò qualche tiro di tabacco.
« E’ stato molto gentile » mediò Nathaniel, inclinando leggermente il capo « credo che da qui in poi dovremo arrangiarci a trovare altri indizi per conto nostro »
Ronald non replicò, mentre il biondo spingeva fuori l’amica.
Voleva credere ad ogni parola di quell’uomo, senza lasciarsi influenzare dai sospetti della ragazza. Prima che abbandonassero il locale però, li chiamò:
« Senti un po’ ragazzo, lo dico anche a te, sperando che tu abbia più sale in zucca della tua amichetta… »
Nathaniel aggrottò la fronte, mentre Sophia lo guardò duramente.
Ronald inspirò una boccata di fumo e la restituì all’aria, come se l’urgenza iniziale di allontanare i due ragazzi fosse sparita definitivamente, sostituita dal rimpianto di non averli trattenuti abbastanza:
« Quel Jack non mi è mai piaciuto. Fossi in voi, piuttosto che cercarlo, me ne terrei alla larga »
« Lei non lo conosce veramente » sputò Sophia.
« Nemmeno tu » replicò l’altro placidamente e a quell’ultima battuta, la rossa sapeva di non poter replicare.
 
Ambra capovolse il libro e iniziò a sfogliarlo dall’inizio, mentre Castiel sollevava gli occhi al cielo spazientito:
« Questo cazzo di libro è stato una spesa inutile » borbottò, reclinando il capo all’indietro.
Vide le dita sottili di Erin allungarsi sui caratteri stampati, indicando una parola in particolare:
« Secondo te, Ambra, questo può essere un indizio? »
La bionda spostò fugacemente lo sguardo sul punto indicato, per poi tornare a concentrarsi sulla lettura di una didascalia:
« Il fatto che si sia dileguata nel nulla? Beh, diciamo che è qualcosa di cui eravamo già al corrente… e comunque, non mi sorprende che abbia adottato questa scelta »
« Come mai? » intervenne Armin.
La ragazza sospirò alzando lo sguardo verso il trio di amici che, come lei, aveva preso posto sul tavolo circolare del motel.
Dopo una sommaria occhiata, sfogliò le pagine soffermandosi su una serie di immagini che riepilogavano le opere più belle dell’artista. Capovolse il volume, in modo che anche gli altri potessero ammirarle dal giusto orientamento.
« Tracy ha realizzato qualcosa come centocinquanta opere, tra cornici, statue e altri oggetti nell’arco di tanti anni di carriera. Qui sono riportate le trenta che sono considerate i suoi migliori capolavori… notate nulla? »
I tre si allungarono in avanti, scrutando le foto e sfogliando le pagine successive con minuzia.
Castiel fu il primo ad arrendersi, sottolineando la sua scarsa sensibilità artistica. Anche Armin fu costretto a sventolare bandiera bianca, gesto mosso principalmente dalla trepidazione di ascoltare l’ipotesi della sua ragazza. Solo Erin continuava a scrutare le opere ma, non osservando in esse un particolare che potesse essere utile alla loro indagine, cercò indizi nelle didascalie. Le opere erano esposte in diversi musei del paese e non sembrava esserci una qualche correlazione tra le varie ubicazioni. La maggior parte si trovavano in città dell’Est, ma a parte questo, Erin non riusciva a trovare un nesso.
I suoi occhi guizzavano da una frase all’altra, alla febbrile ricerca di quel dettaglio che Ambra era riuscita a cogliere. Doveva trovarlo, anche a costo di metterci qualche minuto in più.
« Qual è il periodo di attività di Tracy? » mormorò d’un tratto, tenendo lo sguardo fisso su una didascalia.
Castiel ed Armin spostarono lo sguardo sull’altra ragazza, il cui sguardo s’accese di uno zampillo di eccitazione e complicità. Valse a conferma che la mora era sulla giusta direzione e che, probabilmente, avesse colto esattamente lo stesso particolare che l’aveva colpita.
« Tra il 1953 e il 1985 »
« Allora è curioso come le sue migliori opere si concentrino nel decennio tra il 1960 e 1975 » ragionò Erin.
La bionda annuì, sottolineando:
« O, vista da un altro punto di vista, è significativo il fatto che nessuna opera dopo il 1977 sia considerata al pari delle altre. Per nove anni, Tracy non è più riuscita a realizzare qualcosa che colpisse il mondo artistico come in passato »
« E quindi? » la incalzò Castiel, grattandosi poco elegantemente il capo.
« Secondo me questo può avere avuto un impatto negativo sulla sua autostima. Aggiungici la spiccata sensibilità che caratterizza gli artisti in generale, non mi sorprende se alla base della sua scomparsa dalle scene ci fosse una consapevolezza di non essere più la Tracy Leroy di un tempo »
« Un po’ come cantanti e attori che, invecchiando, decidono di abbandonare il palcoscenico per non compromettere, con performance o ruoli mediocri, la fama che si sono costruiti da giovani » esclamò Armin.
La bionda annuì e rivoltò il libro verso di sé:
« E’ con quest’idea che mi sono concentrata sulle opere più tardive e le ho paragonate con quelle considerate dei capolavori… ok, non ho un occhio particolarmente critico ed allenato come potrebbe avercelo Violet, ma non avete anche voi l’impressione che le forme siano leggermente distorte? Che nelle sculture dopo gli anni Settanta, Tracy abbia perso un po’ di realismo e abbia iniziato a realizzare figure sempre più deformate? Qui per esempio… » precisò, indicando un ingrandimento di un’opera che si trovava verso la fine del volume « non notate anche voi che il viso dell’angelo è troppo lungo? »
I tre si incurvarono in avanti, osservando incuriositi.
L’opera ritraeva una figura celestiale con possenti ali e una posa nell’atto di spiccare il volo.
Erin storse il labbro: doveva scavare a fondo di una sensibilità artistica inesistente per cogliere quanto Ambra si sforzava di far notare.
Se solo avesse avuto il talento artistico di sua sorella.
 
Sophia corrugò la fronte, avvicinandosi allo schermo del PC.
« Lo vedi? » insistette Nathaniel, premendo il tasto freccia sulla tastiera.
L’immagine dell’angelo del 1979, venne sostituita da una delle opere più belle di Tracy Leroy, una donna che allattava.
« La figura dell’angelo è leggermente allungata » meditò Sophia.
« Proprio così, Travis! » esultò il biondo.
« Mi chiami per cognome ora, Piccolo Lord? » s’indispettì lei.
« Con tutti i soprannomi che mi affibbi tu, ho il diritto di chiamarti come mi pare » sorrise lui, ripristinando l’immagine dell’angelo.
Quella smorfia abbatté ogni difesa della ragazza che riuscì solo a voltare il capo di scatto, per non dover indugiare ulteriormente su di lui.
« E questo stile caratterizza tutte le sue opere tardive » tornò a parlare il biondo, scorrendo l’una dopo l’altra le immagini salvate nella galleria di Picasa.
 
« Ma se questo cambio di stile ha segnato il suo tramonto come artista, perché non è tornata a scolpire come prima? » dubitò Armin.
« Forse non poteva farlo»
Tutti si voltarono verso Castiel, che aveva pronunciato quelle parole con tetra semplicità.
« Che intendi? » sbottò Erin.
« Hai presente quel tizio di cui parlava la Robinson l’altro giorno? Quello greco che disegnava i corpi un po’ distorti? Com’è che si chiamava? »
« El Greco » risposero in coro le due studentesse, basite dalla scarsa memoria dell’amico.
« Ti ricordi che è greco ma non come si chiama? » si stupì la mora, mentre il rosso la ignorava.
« Insomma, si dice che alla base di questo suo modo di rappresentare le forme, ci fosse un difetto visivo no? »
Erin sgranò gli occhi, applaudendo felice:
« Cas, sei un genio! »
Anche Armin lo fissava sorpreso, anche se non poteva non chiedersi come quel dettaglio potesse tornare loro utile. L’unica a non lasciarsi coinvolgere da quell’entusiasmo generale era Ambra che, sorridendo pazientemente, domandò:
« Deduco quindi che nessuno di voi due abbia ascoltato la seconda parte della spiegazione di Miss Robinson… »
Erin sollevò lo sguardo verso l’alto nello sforzo di ricordare ma l’unica immagine che le venne a mente era che, mentre la prof esponeva l’argomento, il suo vicino di banco l’avesse distratta per mostrare a lei e Kentin una mosca senza un’ala. Quell’insetto aveva calamitato l’attenzione dei tre studenti, che avevano iniziato una discussione su come trattare la povera bestiola. Se Castiel e Kentin insistevano per costruire un labirinto con penne e materiale vario, Erin, che si trovava a metà tra i due si era nominata paladina del benessere degli animali e insisteva perché la liberassero all’aperto.
« Credo di essermi persa quella parte » concluse, restando sul vago.
Ambra allora iniziò la sua spiegazione, dopo essersi schiarita la gola.
 
« La teoria del difetto oculistico è emersa anche per un pittore italiano di nome Modigliani, le cui forme sono decisamente più esasperate di quelle di El Greco » raccontava Sophia.
Si sentiva particolarmente orgogliosa nell’esporre, una volta tanto, un argomento su cui Nathaniel fosse ignorante. Finalmente poteva mostrargli di avere anche lei qualità ed interessi che andassero oltre la partite a beach-volley e insultare la gente.
« Supponiamo per un attimo che El Greco vedesse come un’ellisse quello che noi percepiamo come un cerchio: nel ritrarlo fedelmente però, avrebbe rappresentato i cerchi come ellissi, mentre noi li avremo pur sempre visti come cerchi. Dunque, a logica, un difetto visivo non può essere il motivo dello stile di El Greco, perché anche noi vediamo le sue figure come distorte »
« In altre parole, tu escludi che alla base del mutamento di stile della Leroy ci fosse un peggioramento della sua vista » tirò le somme Nathaniel meditabondo.
 
« Precisamente » confermò Ambra, guardando il suo ragazzo.
« Allora perché non è tornata al suo precedente stile? » insistette Castiel, irritandosi per l’insuccesso della sua teoria.
« Mi sorprende che proprio tu non ci arrivi » lo provocò Ambra, con un ghigno di sfida.
Il rosso strinse le palpebre, mentre Erin la esortava a parlare.
« Gli artisti sono persone un po’ eccentriche e tendenzialmente insensibili a quella che è la moda. Tendono ad assecondare il loro estro più che il volere popolare. Se tu Black, nel corso di una tua ipotetica carriera come musicista, ti capitasse ad un certo punto di voler cambiare stile, manterresti fede al cambiamento nonostante una stroncatura da parte della critica? » domandò Ambra.
Il ragazzo ci pensò un po’, ma fu Erin a rispondere al posto suo:
« Credo che Castiel sia troppo orgoglioso per fare marcia indietro »
« Al di là di questo » precisò lui « considera che se ho cambiato stile, è perché il vecchio non mi soddisfa più e quindi sarebbe difficile tornare a qualcosa di insoddisfacente »
« Esatto… e poi io sono convinta che un vero artista, quando arriva a cambiare stile, non possa accettare di tornare indietro, perché alla base del suo mutamento c’è stata la voglia di qualcosa di diverso »
 
« In sintesi questa Tracy Leroy deve avere un bel caratterino se non si è lasciata plagiare dall’opinione pubblica ma anzi, se ne è sbattuta alla grande… non è scesa a compromessi» convenne Sophia.
« Beh può essere » borbottò il biondo con scarso entusiasmo, reazione che irritò non poco la ragazza.
« Cos’è quest’apatia? E’ un indizio! »
« Alquanto inutile, Travis » la zittì « se vogliamo proseguire l’indagine dobbiamo approdare a qualcosa di più consistente. Dal mio punto di vista, stiamo solo perdendo tempo indagando su quest’artista. Dovremo recarci nella sua città natale per scoprire qualcosa, ma sarebbe stupido considerato che al momento abbiamo una seconda pista da seguire… »
« Ti riferisci a Jack? »
Nathaniel annuì, iniziando a tamburellare le dita sul tavolo.
« Dobbiamo partire da quello che sappiamo: Jack ha vissuto in questa città per un certo periodo e ha fatto un lavoro che dobbiamo scoprire quale fosse. Una volta individuato, possiamo cercare colleghi e conoscenti che ci diano qualche informazione aggiuntiva »
« Ok, quindi nel concreto, come pensi di procedere? »
Il ragazzo guardò l’ora e nel vedere le sue lancette perfettamente verticali sul numero dodici, si lasciò sfuggire uno sbadiglio:
« Riflettiamo sulla frase che disse a Ronald “rimedio agli errori altrui” e stiliamo una lista dei possibili lavori. Dobbiamo anche considerare quello che sappiamo della sua personalità, e cioè che era una persona schiva, poco incline al contatto umano e… »
« … che si è arricchito in poco tempo »
Nathaniel la fissò dubbioso, mentre lei puntualizzava:
« E’ riuscito a ripagare in poco tempo un debito enorme. Dovrà aver fatto un lavoro molto ben retribuito »
Il ragazzo scosse il capo poco convinto, mentre la rossa storceva il labbro:
« E ora cosa c’è che non va? »
« Riflettici un attimo, Sophia. Da come ci è stato descritto, Jack non aveva propriamente un’aria rispettabile. Trovo molto difficile credere che uno come lui sia riuscito, in pochissimo tempo, a trovare un lavoro che gli garantisse uno stipendio consistente… chissà che titolo di studio aveva poi »
La ragazza non fiatò, chiudendosi nelle proprie riflessioni. Nathaniel non aveva torto, era difficile immaginare uno come Jack Hurst dietro una scrivania con giacca e cravatta. Non era quello l’uomo di cui aveva parlato il venditore di articoli d’arte.
« Dobbiamo rifletterci » aveva concluso il ragazzo.
 
Nella camera dei ragazzi, le lenzuola erano impregnate di uno strano odore che, per quanto Armin cercasse di non pensarci, continuava ad inzuppargli il naso.
Gettò un’occhiata fugace al suo compagno di stanza che, con sua profonda invidia, era già nel mondo dei sogni. Avevano prenotato per una sola notte e l’indomani avrebbero dovuto fare i bagagli e tornarsene a Morristown, con un magro bottino. Per quanto la sua ragazza Ambra si fosse impegnata, non erano riusciti a scoprire alcunché di determinante per la loro indagine.
Se solo avessero conosciuto qualcuno che potesse dar loro qualche dritta, una pista da seguire per trovare Tracy.
Un cane da tartufo.
I pensieri del ragazzo degenerarono sempre più verso il non sense finché, senza che potesse rendersene conto, il sonno aveva deciso di raggiungere anche lui.
 
Sua zia Chloe era vestita da Bianconiglio e, come la versione originale di Lewis Carrol, teneva in mano un orologio da taschino. Armin la fissava incuriosito ma non perplesso. Era perfettamente normale che la propria zia di Fox Chapel indossasse un panciotto e saltellasse da una parte all’altra di un giardino fiorito.
Stava per inseguirla quando accanto a lui passò una versione fiabesca di Ambra, vestita esattamente come la protagonista del libro Alice nel paese delle meraviglie. Lui aveva chiamato la sua ragazza, protestando per la poca grazia con cui l’aveva investito, al punto da farlo capitolare.
Ambra-Alice si era voltata di scatto, fissandolo con superiorità:
« Armin, perché non mi hai detto prima di tua zia Chloe? »
Il moro gracchiò un “eh?” poco fine, mentre la bionda scuoteva il capo, per poi sorridergli pazientemente:
« Svegliati, amore »
 
Le palpebre del ragazzo tremarono leggermente, fino a dischiudersi contro la loro volontà.
Davanti a lui trovò il viso di Ambra, luminoso e tenero ma senza quel delizioso abitino azzurro con cui l’aveva appena lasciata. Non aveva neanche il nastro nero tra i boccoli biondi.
« Forza, vieni a fare colazione » lo esortò, senza abbandonare la dolcezza con cui aveva cercato di destarlo dal sonno.
Ancora frastornato dal sogno bruscamente interrotto, si voltò verso il letto attiguo, trovandolo completamente vuoto.
Erano in un motel e non in un giardino fiorito.
« Erin e Castiel sono di là a fare colazione » lo informò, aprendo le tende e consentendo alla luce di illuminare la penombra della stanza.
Si voltò verso di lui e, dopo un’occhiata divertita, domandò:
« Perché non me l’hai mai detto? »
Quella frase lo scaraventò immediatamente nell’immagine vissuta poco prima nella sua testa, troppo vivida e nitida per averla scordata:
« C-come? » boccheggiò confuso.
La ragazza indicò il logo sul pigiama del moro, sogghignando:
« Della tua doppia identità, Superman » lo derise, mentre il ragazzo posava lo sguardo sul logo del superuomo cucito in pieno petto. Non badò tuttavia a quella scherzosa osservazione, bensì esclamò:
« Mia zia Chloe! »
 
Non aveva mai avuto una gran passione per gli animali ma, doveva riconoscerlo, Katy non era affatto male. Non eccessivamente affettuosa, decisamente ubbidiente e per nulla chiassosa. Un po’ come lei insomma. Anzi, vedendola in quell’ottica, cominciava persino a farle tenerezza, perché isolata dagli altri quattro cani. Solo Ryder aveva il vizio di punzecchiarla e cercare la provocazione, ma Katy resisteva stoicamente, senza mai lasciarsi andare alla zuffa.
« Brava Katy » si complimentò Jordan, dedicandole la prima e forse unica carezza della giornata. Per contro lanciò un’occhiata sprezzante al pastore tedesco di nome Ryder, un esemplare di razza davvero notevole. Quel soggetto e la timida Katy, una meticcia, non avevano assolutamente nulla in comune ma il suo lavoro di dog-sitter la vincolava a farli sfilare insieme, rendendo ancora più stridente quanto i due cani fossero diversi e male assortiti. Ryder era un cane esuberante, curioso e sempre allerta: correva dietro ai piccioni, faceva festa ai bambini e adulti e aveva l’irritante abitudine di marcare ogni palo con la sua urina.
Non a caso, Jordan lo aveva ribattezzato con il nome di una delle persone più irritanti che avesse mai conosciuto. Ironia della sorte, in una coppia di ragazzi in lontananza, le sembrò di riconoscere proprio la fonte del suo malessere psicologico.
Quando ebbe la conferma che si trattava proprio di lui, si guardò attorno allarmata, cercando un nascondiglio.  Con cinque cani al suo seguito, tuttavia, passare inosservata era una missione impossibile. Afferrò più saldamente in guinzagli e strattonò i cani verso i bagni pubblici, affrettando il passo. Se la schiera di quattro la seguiva docilmente, solo uno opponeva resistenza e Jordan non si stupì nel constatare che fosse l’irritante Ryder.
« Senti Trevor, datti una mossa o ti lascio qui! » abbaiò.
Il cane però, con la sua versione umana non condivideva solo il carattere, ma anche la tendenza a non prenderla mai sul serio. Continuava quindi a fissarla con la lingua a penzoloni e un’aria poco sveglia.
« Dio quanto gli somigli! … Trevor andiamo! » ripetè, voltandosi.
« Dove dobbiamo andare? »
Quella frase la fece sobbalzare e, per un attimo, le sembrò quasi che fosse stato l’animale a parlare. Si voltò di scatto e, con sua enorme sorpresa, si trovò di fronte Trevor, il cestista.
Non capì come avesse fatto a raggiungerla così in fretta, dal momento che veniva dalla direzione opposta del parco. Accanto a lui, dall’alto di una statuaria altezza, la fissava una ragazza bellissima:
« Hai chiamato il cane come me? » la stuzzicò lui, accucciandosi per accarezzare il pastore tedesco.
Jordan pregò affinchè Ryder gli mordesse la mano, ma per sua disgrazia, era un cane che si faceva amare da tutti.
« Non hai un po’ troppi cani? » scherzò la sconosciuta.
Aveva una pelle perfetta e dei profondi occhi marrone caldo. Non un capello fuori posto, nonostante la tenuta tecnica da jogging indicasse un’appena interrotta attività di corsa.
Jordan cercò di non pensare all’orlo inzuppato di terra dei suoi pantaloni della tuta e alla felpa scolorita che aveva recuperato dal fondo dell’armadio quella mattina. Non aveva neppure avuto il tempo di pulirsi la lente degli occhiali che Ryder, in un eccesso di affetto, le aveva slinguazzato. La sera prima al ristorante aveva dovuto spruzzare della candeggina per eliminare della muffa e le punte delle dita ancora le puzzavano di quell’orrendo detergente.
« Non sono miei » boccheggiò a disagio, approfittando di quell’interruzione per togliersi gli occhiali.
Tenne il capo chino, mentre con l’orlo della felpa era intenta a ripulire dalla saliva la lente.
« Quindi fai la dog-sitter? »
Risollevò lo sguardo, incrociando il ghigno beffardo di Trevor, che la mandò su tutte le furie.
« Inutile che sfotti… mi pago le bollette con questo lavoro, sai? »
« Deve essere piacevole passare del tempo all’aria aperta » cercò di rimediare la sconosciuta, ma nonostante la nobiltà del suo intento, finì solo per peggiorare l’umore instabile di Jordan.
« Oh sì, immagino che vorresti essere al mio posto »
Ne aveva abbastanza di quei ragazzini viziati e ricchi che nulla sapevano dei sacrifici a cui erano costrette le persone come lei.
Deve essere piacevole passare del tempo all’aria aperta”. Ma cosa credeva? Che Jordan non avesse preferito pure lei avere la domenica mattina libera? Che fosse divertente per lei passare mezza giornata con un branco di pulci del genere?
Dopo la battuta di Jordan, la sconosciuta aveva preferito zittirsi, come umiliata, mentre Trevor continuava a fissare Jordan divertito:
« Non mi hai ancora risposto Jojo: perché hai chiamato questo cane come me? Non mi dire che è una coincidenza »
La ragazza stava per replicare quando un’esclamazione di sorpresa la colpì. Si voltò di scatto e vide Ryder nell’atto di assalire posteriormente una graziosa cagnolina. La padroncina stava cercando di allontanarsi con la bestiola, ma finchè il guinzaglio gli dava corda, il pastore tedesco era determinato a centrare il suo bersaglio. Jordan allora bloccò il meccanismo e tirò a sé il cane, sbottando irritata:
« Lo vedi perché l’ho chiamato come te? E’ pervertito come te»
 
« Tua zia Chloe conosce così tanta gente? » domandò Ambra dubbiosa.
« Sì, perché lei e lo zio erano commercianti e conoscono mezza Pittsburgh » spiegava Armin, voltandosi verso le due ragazze sedute dietro di lui.
« Allora non potevi pensarci prima, genio? » lo strigliò Castiel, fermandosi ad uno stop.
Durante la colazione di poco prima, Armin aveva esordito sostenendo di avere una zia a Fox Chapel, una piccola cittadina nei pressi di Pittsburgh. Erano anni che non la vedeva, ma la sua famiglia aveva mantenuto regolarmente i contatti di tipo telefonico.
Chloe era la sorella minore di sua madre Evelyn, una donna ancora più esuberante e allegra della madre dei gemelli Evans. Forse proprio per questo l’inconscio del moro aveva preferito dimenticare la sua presenza. Temeva il momento in cui avrebbe dovuto presentarle Ambra come la sua ragazza, ma non aveva scelta. Zia Chloe poteva essere preziosa dal momento che erano arrivati ad un punto morto della loro ricerca.
« E’ probabile che abbia sentito parlare di Tracy, magari sa anche indirizzarci da qualcuno che la conosce personalmente »
« Avresti dovuto pensarci prima » tornò ad insistere Castiel, mentre Erin interveniva:
« Non importa, quello che abbiamo scoperto a Pittsburgh può comunque tornarci utile se e quando conosceremo Tracy… piuttosto Armin, che tipo è tua zia? »
 
Pam inspirò profondamente.
Distese le dita nervosamente e riafferrò per la nona volta la scatola rosa. La rigirò tra le mani, per leggere istruzioni che ormai sapeva a memoria.
« Allora? »
La voce di Jason dall’altra parte della porta la fece sobbalzare, al punto che l’involucro le cadde a terra.
« Jas, mi hai fatto venire un infarto! »
« Verrà a me se non ti decidi a dirmi qualcosa! » protestò lui, con la tachicardia.
Aveva consumato il pavimento di fronte al bagno a forza di camminare avanti e indietro. Voleva entrare, in fondo non era per una questione di privacy che Pam l’aveva lasciato lì ad aspettare.
« Perché se fosse vero, voglio essere io a dirtelo » gli aveva sussurrato prima di chiudersi dentro.
« Bisogna aspettare che la strip faccia reazione » borbottò Pam.
Aveva passato gli ultimi minuti a tenere a bada i nervi, che si erano stranamente rivelati più saldi di quelli dell’uomo. Normalmente era Jason il più razionale dei due, quello che doveva tranquillizzare.
« Allora lasciami entrare, è snervante stare qui fuori »
« No… » insistette la donna, espirando pesantemente.
Quelle continue interruzioni ed insistenze le impedivano di pensare.  
« Jason, cerca di stare zitto, ok? Sono già abbastanza in ansia di mio! »
Iniziò a camminare avanti ed indietro per il bagno ma, considerate le dimensioni ridotte, scoprì di non poter fare molta strada. Si sedette sul water e si portò le mani tra i capelli.
Erano tre settimane che il ciclo non arrivava, lei che era sempre puntuale.
Il suo cuore non aveva ancora deciso come accogliere quell’eventualità.
Diventare mamma.
A mala pena stava imparando ad essere una fidanzata decente.
Poche settimane prima lei e Jason avevano annunciato alle rispettive famiglie il loro intento di sposarsi e ora dovevano prepararsi ad una seconda cena per un annuncio ancora più inatteso.
Ancora pochi secondi e avrebbe avuto una risposta.
Prima che quella strip le annunciasse quale sarebbe stato il suo destino, Pamela Travis voleva capire. Voleva capire quale risultato il suo cuore sperava di leggere.
Afferrò il test di gravidanza, senza guardarlo e lo tenne stretto.
Chiuse gli occhi, inspirò, rilassando le spalle.
Un suo amico indiano, un giorno, le aveva detto che c’è un modo per capire cosa vogliamo dalla vita: scommettere sul lancio della moneta. Testa è un sì, croce un no. Nel momento esatto in cui la moneta cade al suolo, prima di conoscerne l’esito, dentro di noi sappiamo già qual è il risultato che vogliamo leggere.
Quel test era come giocare a testa o croce.
Una lineetta negativo, due lineette positivo.
La presa della mano cominciava ad allentarsi.
Proprio come le era stato detto, in quel momento, capì quale fosse il destino in cui più sperava.
Fu per questo che, di fronte a quelle due linee verticali, scoppiò in un pianto di gioia commossa.
 
Armin suonò il campanello una seconda volta, guardando impaziente gli amici.
Pregò che ad accoglierli ci fosse suo zio Chase, un po’ più posato ed equilibrato di sua moglie, ma sapeva che a quell’ora era probabilmente impegnato nei campi.
La porta si aprì con furia e i quattro abbassarono lo sguardo verso una ragazzina dai brillanti occhi azzurri. Alle sue spalle, facevano seguito due folletti, che le arrivavano a mala pena all’altezza del bacino.
« Armin! » esclamò la biondina, sgranando i grandi occhi candidi.
Il cugino sorrise, riconoscendo nella figura davanti a lui la cuginetta che non vedeva da almeno tre anni.
Roxanne era cresciuta di svariati centimetri e di certo non era più la bambina che giocava con le Barbie e che lo venerava come un dio solo per averle fatto scoprire il mondo di Harry Potter.
« Ciao Roxy » la salutò scompigliandole i capelli sottili.
Le due sorelline minori, Mathilda e Lauren, erano troppo piccole per riconoscere nel ragazzo alto e moro il parente della costa Est. Si limitavano a farsi scudo con la sorella maggiore, fissando con curiosità i quattro sconosciuti. Erin sorrise affabile alle due, mentre Ambra cercava di esternare una dolcezza che la metteva a disagio.
« Possiamo entrare? » chiese Armin alla cugina.
« Parola d’ordine? » scattò lei, sfidandolo.
« Fortuna maior » rispose prontamente lui, facendola sorridere:
« Citare il terzo libro è un colpo basso, cugino… sai che è il mio preferito » sogghignò, guardandolo divertita. Roxanne si spostò di lato, facendo cenno ai quattro di accomodarsi, anche se gli amici di Armin apparivano alquanto perplessi.
Giunsero in un salotto ampio ed accogliente, soffermandosi a pochi metri da un divano arancione e rosso.
Seguì il rumore di passi affrettati che portò tutti a voltarsi verso la cucina:
« Roxy, chi era alla p-…ARMIIIN!! » strillò la donna che aveva fatto la sua comparsa.
Zia Chloe era l’incarnazione più fedele del personaggio di Molly Weasley, creato dalla strepitosa fantasia di J.K. Rowling. Si era praticamente tuffata sul nipote, che aveva gemuto al solo pensiero di quella corporatura tarchiata che gravava sul suo fisico mingherlino. Zia Chloe aveva una capigliatura rossa e arruffata e un sorriso caloroso e materno. Era molto diversa dalla sorella Evelyn, ben più aggraziata ed elegante nel portamento, caratteristiche che anche Roxanne e le sorelle avevano ereditato dal ramo maschile del loro albero genealogico.
Chloe stringeva con forza il petto del nipote, poiché la sua minuta altezza non le consentiva di raggiungere cime più elevate. Armin si era allora curvato in avanti, lasciando che l’affetto della zia lo inondasse di baci e rossetto viola.
« Nipote degenere! Sono anni che non ti fai vedere! » lo rimproverò poi, pizzicandogli la guancia « tu e quell’altro screanzato di tuo fratello Alexandre! Ah, colpa di vostro padre scommetto! Troppo tirchio per pagarvi il viaggio fin qui! » sbuffò la donna, per poi ritrattare «ma suvvia, non perdiamo tempo con queste sciocchezze! Che bella sorpresa! »
« Eravamo qui di passaggio, zia » riuscì finalmente a parlare Armin, massaggiandosi la guancia dolorante.
Quel plurale attirò l’attenzione della donna che finalmente si accorse della presenza di altre tre persone alle spalle del nipote.
« Sono i miei amici » spiegò Armin, mentre Erin fu la prima a presentarsi.
Le aveva allungato la mano ma la donna l’aveva stretta a sé in un abbraccio contenuto ma accogliente.
Aveva cercato di fare lo stesso con Castiel, che aveva istintivamente arretrato di due passi, borbottando qualcosa sul fatto di non essere un amante degli abbracci.
La donna non aveva avuto il tempo di offendersi che era stata distratta dalla bionda che si era appena presentata dicendo:
« … e io sono Ambra »
Chloe aveva sgranato gli occhi, mentre quelli della figlia maggiore avevano iniziato a luccicare entusiasti:
« Tu sei quella Ambra! » esclamarono in coro madre e figlia.
Alternarono lo sguardo tra un imbarazzantissimo Armin e una confusa Ambra che, impacciatamente, cercava di ricambiare la stretta morbosa della padrona di casa.
« Mia sorella mi ha parlato così tanto di te! Avrei dovuto capirlo subito chi fossi! Oh, quasi non ci credevo quando Evelyn mi ha detto che Armin si era trovato la ragazza! Pensavo fosse un caso perso »
« Grazie zia » mormorò Armin, anche se la donna lo ignorò e, tenendo a braccetto la bionda, guidò il resto degli ospiti verso il divano.
« Vi va un thé ragazzi? O preferite una Coca? »
« Una birra? » tentò sottovoce Castiel, ma fu udito solo da Erin, che replicò con una gomitata.
Chloe si dileguò con la scusa di procurarsi dei bicchieri, mentre le tre figlie si accomodavano sul sofà davanti a quello dei ragazzi. Al centro era disposto un basso tavolino di vetro, in cui le carte metallizzate di invitanti cioccolatini facevano la loro comparsa.
« Servitevi pure » miagolò Roxanne.
Improvvisamente sembrava aver perso l’esuberanza con cui li aveva accolti pochi minuti prima. I quattro erano schierati davanti a lei e specialmente il rockettaro sociofobico aveva uno sguardo poco rassicurante. Piombò un imbarazzante silenzio, finchè non fu proprio quest’ultimo a congedarsi, con il pretesto di andare in bagno:
Cogliendo il disagio di Roxanne, Erin cercò di sorriderle rassicurante e domandò:
« Così ti piace Harry Potter? »
Quella semplice domanda bastò ad illuminare la ragazzina che annuì con convinzione.
« Lo adoro. Tu? »
« Ho visto i film » patteggiò Erin, percependo immediatamente che quella considerazione non fosse abbastanza.
« E’ solo una babbana come tante » scherzò Ambra.
Gli occhi di Roxanne tornarono a posarsi sulla bionda, così bella da ricordarle la descrizione di Fleur Delacour. Harry Potter era il suo mondo, le veniva istintivo ricollegare ad esso la sua realtà quotidiana.
« Tu hai letto i libri? » domandò Roxanne, quasi con supplica. Aveva deciso di adorare quella ragazza ma se voleva davvero conquistarsi la sua totale stima, doveva passare quell’unico test.
Ambra annuì e completò:
« Anche io preferisco Il prigioniero di Azkaban… e l’Ordine della Fenice »
« Davvero? » si stupì la biondina.
« Adoro l’entrata in scena di Sirius… e la sua scomparsa »
« E’ il tuo personaggio preferito? »
« Indovinato » le sorrise la bionda.
« Io invece amo Draco »
« Beh, Tom Felton è molto popolare tra le ragazze » convenne Armin.
L’occhiata glaciale che ricevette dalla cugina gli fece gelare il sangue:
« Non mi piace per quello » sottolineò « bensì per la sua complessa caratterizzazione psicologica »
« Che intendi? » s’incuriosì Ambra.
« Draco Malfoy è un personaggio eternamente combattuto, oltre che eternamente battuto da Harry. E’ sempre un passo dietro di lui ed è per questo che non riesco a non pensare che il suo disprezzo verso il ragazzo che è sopravvissuto non sia altro che una maschera per quella che, di fondo, è stima nei suoi confronti »
« Hai dei pensieri molto maturi per la tua età » si congratulò Erin, sinceramente ammirata.
« Oh, non sono io… è Zia Row è un mito » commentò Roxanne adorante.
« E’ una vostra parente? »
Si voltarono tutti verso Castiel, che stava cercando posto tra l’amico ed Erin.
Appena alzò lo sguardo, incrociò quello offeso di Roxanne che sibilò:
« E’ la scrittrice di Harry Potter »
« Allora non chiamarla zia » la liquidò il rosso.
Roxanne stava per sbottare quando sua madre fece ritorno nel salotto. Distribuì i bicchieri su un tavolino, per poi riempirli di un liquido contenuto all’interno di una caraffa:
« Spero vi piaccia il thè al limone, ragazzi »
Erin e Ambra ringraziarono, mentre Castiel si limitò ad un cenno con il capo.
« Comunque zia, siamo qui per chiederti una mano »
Doveva lasciare i convenevoli per un’altra occasione. Non avevano tempo da perdere, considerato l’indomani era lunedì e dovevano andare a scuola.
« A che proposito, tesoro? » cileccò Chloe, servendo Ambra per prima.
« Tu conosci un sacco di gente no? »
« Beh, diciamo di sì » convenne la donna, ancora perplessa.
« Quindi ci chiedevamo se non sapessi qualcosa di Tracy Leroy »
« L’artigiana del legno? »
« La conosce? » si elettrizzò Erin.
« Di fama sì… ma non l’ho mai vista… ecco tieni, cara »
« Cosa sa dirci di lei? »
« Molto poco temo » ammise la donna, porgendo a Castiel un bicchiere colmo di thè.
« So solo che le sue opere passate sono molto quotate ma non ha più prodotto nulla da anni… penso che viva di rendita e basta » spiegò la mora.
« Sa dove vive? » tentò Castiel.
« No, mi dispiace »
« Nient’altro? » insistette Ambra « un qualsiasi dettaglio, ricordo che ha sentito su questa donna… »
Chloe scosse il capo sconfitta e dispiaciuta. I quattro rimasero spiazzati dalla velocità con cui si era svolta quella conversazione. Avevano riposto molte speranze in essa, forse troppe.
« Posso chiedervi ragazzi come mai tutto questo interesse? »
Il tono dolce, quasi colpevole di zia Chloe intenerì Erin ma fu Armin a liquidarla con un:
« E’ una lunga storia »
Quello che aveva interpretato come un sogno premonitore, era stato un fiasco su tutta la linea. Non aveva senso intrattenersi in quella casa e chiedere agli zii di ospitarlo insieme ai suoi amici.
« Aspetta mamma! Si potrebbe chiedere a Miss Patty! »
Quella voce drizzò l’attenzione generale e fu a seguito di essa che tutti tornarono a volgere la loro attenzione su Roxanne. La biondina era balzata in piedi, euforica, battendo le mani.
« Tesoro, sei un genio! Ma certo! Miss Patty era la domestica della signora Leroy! » esclamò a sua volta la madre, battendosi una mano in fronte.
« Che cosa? » esclamarono in coro Erin ed Armin.
« Che sciocca che sono! » ridacchiò Chloe « l’avevo completamente rimosso! Miss Patty è una donna che ho conosciuto tanti anni fa ad un corso di yoga e che mi disse che, saltuariamente, prestava servizio nella casa di Tracy Leroy ma mi pregò di non farne parola con nessuno »
« Come mai? »
« La signora Leroy era molto gelosa della sua privacy, non riceveva mai ospiti e praticamente non usciva di casa. Poiché Patty mi aveva raccomandato di non dirlo in giro, ho finito per scordare io stessa questo dettaglio »
« Ma Roxy lo sa » convenne Ambra.
« L’ha scoperto da sola, non c’è mistero che sfugga a questa peste » scosse il capo la madre, mentre la biondina rispondeva con una linguaccia divertita.
« Allora, dove abita precisamente questa Miss Patty? » domandò Castiel alzandosi in piedi.
« Questo non lo so, si è trasferita a Ford City due anni fa, ma se volete l’indirizzo, temo di non potervi aiutare »
« Non hai un numero telefonico a cui possiamo chiamare? » intervenne il nipote.
Chloe stava scuotendo il capo, mentre la figlia interveniva:
« Ma mamma, non ricordi che il signor Deer ci ha detto che ora lei lavora nell’asilo di Ford City? Quello vicino alla chiesa di Saint Andrew? »
« Stavo per dirglielo io, Roxy, smettila di interrompermi e farmi passare per rimbambita » la rimbeccò la madre, gonfiando le guance come una bambina.
« Dove si trova questo asilo? » chiese Ambra.
« Non ricordo il nome della via e purtroppo neanche la strada »
« Io sì però! Li accompagno io! E’ vicino al lunapark »
«  E quando? »
« Domani! Di certo oggi non troviamo nessuno visto che è domenica »
« E con la scuola, come pensi di fare, signorina? »
« Quella c’è sempre, Armin no » replicò candidamente Roxanne.
Chloe aggrottò la fronte contrariata, mentre Armin interveniva:
« Suvvia zia, per un giorno si può anche fare… »
Pure i quattro non avevano preventivato di saltare un giorno di scuola, ma l’occasione era troppo ghiotta per rinunciarvi. Chloe posò lo sguardo sul nipote, combattuta tra i suoi doveri come madre e l’apertura mentale di cui si dichiarava così orgogliosa.
Saltare un giorno di scuola non era una tragedia, del resto i voti della figlia erano ineccepibili.
« Grazie! » esultò Roxanne, trionfante, a seguito del sospiro rassegnato della donna.
« Quanto dista Ford City da qui? » investigò Castiel.
« Un’ora di macchina »
« Allora sarà meglio che prima la facciamo controllare da un meccanico. Venendo qui faceva dei rumori strani » sentenziò Castiel.
« Non è una scusa per saltare più giorni di scuola? » dubitò Erin.
« E dobbiamo anche trovarci un albergo » intervenne Ambra ma prima che potesse aggiungere altro, Chloe era drizzata in piedi indignata:
« Come? Mio nipote viene a trovarmi e io lo faccio dormire fuori? Non sia mai! Qui c’è posto per tutti, abbiamo una dependance laggiù » li informò, indicando una costruzione oltre le vetrate del salotto « c’è un letto matrimoniale nella parte ovest e due singoli in quella est. Posso avvicinarvi i due letti, così anche voi avrete la vostra intimità » e nel dire quell’ultima frase, aveva guardato maliziosamente Erin e Castiel che, dopo un iniziale stupore, erano sbottati:
« No, no, ma che dice! » aveva farfugliato Erin in difficoltà.
« Ah, ma guarda cara che sono fatti apposta per essere uniti, starete comodi. C’è un meccanismo ad incastro nelle testiere del letto, così anche se fate un po’ di… insomma, zum-zum, il letto rimane compatto! »
« Non è questo » l’aveva interrotta Castiel in difficoltà.
« Ma guardate che io non mi scandalizzo mica! Anzi, sono la prima a dire che, finchè si è giovani, bisognerebbe fare tanto sesso! »
« Non siamo una coppia! » aveva gracchiato la mora, mentre un brivido le aveva percorso la schiena. Roxanne si era portata una mano sulla fronte, scuotendo il capo in imbarazzo. Sua madre era irrecuperabile. Armin era scoppiato a ridere, dimenticandosi che era proprio quel genere di battute a metterlo così in difficoltà di fronte a sua zia. Gli era bastato vedere il sorriso divertito e luminoso di Ambra per ricredersi e desiderare di restare in quella casa il più a lungo possibile.
 
Dopo una cena consumata in allegria, Castiel e Chase, lo zio di Armin, uscirono a dare un’occhiata alla macchina, mentre il moro intratteneva il resto dei presenti con racconti della sua esperienza da lavapiatti nel ristorante cinese della loro amica Lin.
Passato un quarto d’ora, sentirono uno scoppio fortissimo, che li portò tutti all’esterno spaventati.
Dal garage emergeva un fumo grigio, dal quale si distinsero le sagome tossicchianti di Castiel e dello zio Chase.
« Glielo dicevo io che quell’olio motore era strano! » stava brontolando Castiel.
« Beh, almeno adesso ho la conferma che quello non era olio »
« Mi sta prendendo per il culo? Ora il motore è andato a puttane! »
Chase però non era minimamente turbato, ma continuava a ridere divertito dalla sua precedente battuta. Armin corse incontro all’amico, il cui viso era leggermente annerito dal fumo.
«Che succede? »
« Tuo zio ha ben pensato di buttare un intruglio strano nel serbatoio dell’olio e questo è il risultato! Ma non era un meccanico? »
« Sì, ma poi ha chiuso l’attività e si è dedicato all’agricoltura »  convenne il moro, mentre la tempia del rosso rischiava di esplodere.
« E dirmelo prima no, eh? » sibilò furente, strattonando l’amico.
« Quindi la macchina non va più? » riepilogò Erin preoccupata.
« No, domani la porteremo da un meccanico… uno vero » puntualizzò il rosso, lanciando un’occhiata all’uomo, che aveva iniziato a giustificarsi:
« Forza ragazzo, non prendertela, vedrai che te la caverai con poco »
Ambra continuava a sorridere divertita, facendo irritare ancora di più il musicista che scattò:
« E tu Daniels che ti ridi? Siamo a piedi se non l’avevi capito »
« Eddai Black, non te la prendere. Divideremo le spese per la riparazione e nel frattempo andremo a Ford City in bus »
« Non è comodo. L’asilo è parecchio dislocato dal centro » spiegò Roxanne.
Castiel si allontanò dal gruppo a grandi falcate e impugnando il cellulare.
Non aveva nessuna voglia di viaggiare in bus, era una cosa che aveva sempre odiato. Persino per andare al liceo, preferiva prendere la bici, anche in pieno inverno.
C’era solo un’alternativa e corrispondeva al nome di Lysandre White.
 
 




 
 
 
 
NOTE DELL’AUTRICE
 
Buongiorno a tutte ^^
So che è passato un bel po’ di tempo dall’ultimo aggiornamento, ma ahimè, non ho potuto fare di meglio. Avrete intuito che è stato un periodo full solo dal tempo che ho lasciato scorrere tra una risposta e l’altra alle recensioni T_T
Sono anche indietrissimo con le storie che sto seguendo e sfrutto questo angoluzzo per chiedere scusa alle dirette interessate, che sapete di essere tali u.u
Altra cosa: chiedo perdono alle recensioni rimaste senza risposta, vi prego, scusatemi T_T. La risposta arriverà prima della pubblicazione del prossimo capitolo, promesso!!
Prima di addentrarmi con il commento del capitolo, vorrei invitarvi ad osservare questo meraviglioso disegno, realizzato da C., a cui va un mio sincero grazie ^^ (saluti anche a G.)
 
Dunque, annuncio con sollievo l’arrivo di un capitolo veramente importante per lo svolgimento della storia poiché sia sul fronte Sophia-Nathaniel che Erin e company, si è messo seriamente in moto il meccanismo che porterà alla risoluzione del mistero di IHS.
Mi piacerebbe tantissimo sentire le vostre ipotesi su alcune tematiche sulle quali i personaggi si trovano a riflettere, prima su tutte: che lavoro ha svolto Jack Hurst, il padre di Mackenzie?
L’indizio è “rimedio agli errori altrui” e c’è da tenere in considerazione anche quanto detto da Nathaniel, circa le possibilità di carriera dell’uomo.
Abbiamo anche un indizio su quale sia la città in cui è stato spedito il quadro, ossia che è il nome di una serie TV… cioè?
 
Questa volta le domande a cui ho scelto di rispondere sono le seguenti (quelle in cui non c’è il nickname, risalgono al precedente sondaggio, in cui non avevo messo la possibilità di identificarsi)
 
Hai mai pensato a far diventare IHS un libro?
Dunque, questa cosa mi è stata chiesta più volte in passato e sono contenta che sia riemersa, perché così posso dare una risposta definitiva. Fino a diversi mesi fa, escludevo a priori l’idea che IHS potesse diventare un libro, perché ci sono troppe cose che non vanno e che dovrei sistemare, a partire dalle incongruenze legate al fatto di aver ambientato la storia in una realtà che non è la mia (non so quasi nulla del sistema scolastico americano) oppure aver ad esempio personaggi americani ma con nomi francesi.
Tuttavia, con il passare del tempo, ho cominciato a rivalutare questa cosa, pensando che potevo almeno provare a sentire Missy per capire se, con le giuste modifiche, IHS avesse delle speranze di interessare alla Beemov. Io sinceramente non ho né il tempo né la voglia di sistemare la storia dall’inizio, preferisco concentrare il tempo per finirla, però se la Beemov avesse voluto farsene qualcosa di questa storia, ne sarei stata onoratissima. Dopo aver contattato Missy(grazie alla mediazione della gentilissima Reika80), ecco la sua risposta: “[…]Per quanto riguarda un'eventuale progetto con Beemoov, ti rispondo io perché sono l'incaricata per l'Italia.
Purtroppo, questo tipo di collaborazioni non è previsto (neanche per la versione madre francese).
Ma mai dire mai nella vita! […]”
In sintesi, per rispondere alla domanda, sì, ho pensato a rendere IHS un libro però la cosa non è realizzabile J. In passato alcune di voi mi hanno suggerito di cambiare i nomi dei personaggi, in modo da svincolarli dalla Beemov, ma per me ormai il protagonista maschile di IHS si chiama Castiel, così come Rosalya è la Rosalya di DF e così via… non riesco proprio a riscriverli in chiave diversa J
 
Vorresti scrivere un'altra long che sia long long come IHS?
Nì. Dunque, dopo IHS il mio obiettivo sarebbe quello di pubblicare un libro.
Ho un’ideuzza in cantiere e, forte dell’esperienza di questa long, ho deciso che sarà qualcosa di completamente diverso, a partire dall’ambientazione che sarà in Italia, visto che è il mio paese e che immagino di conoscerlo meglio di una sperduta cittadina americana xD
Ma sul discorso del libro, se siete interessate, vi terrò aggiornate più avanti, non appena nizierò a vedere la luce in fondo al tunnel con IHS :)
 
Myuuuuuuuu: Ciao, volevo chiederti se aggiornerai sempre ogni mese... Grazie
Temo che il tempo che ci ho messo a pubblicare risponda da sé. Mi piacerebbe tantissimo poter pubblicare con regolarità ma purtroppo sono in balia dei miei impegni personali e lavorativi, che mi assorbono totalmente, per cui sono costretta a pubblicare ogni morte del papa. Chiedo perdono T_T
Comunque, per chi non lo sapesse, nella mia home page di EFP cerco di segnare la data di pubblicazione del capitolo e cercherò anche di avvertire tramite Wattpad i lettori con il giusto preavviso non appena la data è stabilita.
 
Vi lascio il link per eventuali domande su IHS:
 
https://docs.google.com/forms/d/1wyv8hujlm__oDyaziSxmfdgxZhVG8GnZ-N4Ob1hV-j8/viewform
 
Alla prossima!
 
Ellen March

 
  
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