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Autore: Sincro    13/03/2016    0 recensioni
Bianchissima era la luce che quella argentea luna spolverava in ogni angolo, in ogni sotterfugio o cunicolo. Talmente forte da sembrare, a passeggiatori notturni, pescatori in riva al mare e spensierati dormienti, un faro rivolto su di loro. Una costante che circa ogni 28 giorni entrava in una fase, quasi, definibile come portentosa.
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Prologo
 

Bianchissima era la luce che quella argentea luna spolverava in ogni angolo, in ogni sotterfugio o cunicolo. Talmente forte da sembrare, a passeggiatori notturni, pescatori in riva al mare e spensierati dormienti, un faro rivolto su di loro. Una costante che circa ogni 28 giorni entrava in una fase, quasi, definibile come portentosa.
Tra le tante case sparpagliate in tutto il paesino ne spiccava una per la sua caratteristica insegna dorata. Su di essa era inciso il cognome di una famiglia ormai sgretolata, i Miller.
Proprio durante quella notte assai particolare l’unica figlia del Signor Arthur Miller, Vanille, fu lasciata sola in casa.
La secca terra desiderava ardentemente dell’acqua da molto tempo, ormai. Quella fu la notte in cui il suo appello fu accolto. Dei minacciosi cumulonembi provenienti da ovest iniziarono a coprire tutta Pontoise. Minacciosi quanto uno stormo di avvoltoi affamati di carne in putrefazione, avanzarono rapidi fino al nascondere del tutto la volta celeste. L’oscurità calò anche nella piccola camera della giovane donna.
Cenò molto presto quella sera e il letto era la sua dimora da, ormai, svariate ore. La stanchezza accumulata durante il giorno non poté reprimerla e così, senza vergognarsene, si regalò un lungo sonno. O almeno questo il suo corpo e la sua mente pensavano. Alla prima devastante saetta i suoi occhi smeraldo si spalancarono. Continuava a ripetersi tra sé e sé mentre stringeva sempre più la coperta con le mani. Una seconda saetta, molto più attigua e forte della precedente, fece tremare il vetro della finestra. Anche il coprire le orecchie con il guanciale era inutile per l’intimorita ragazza. I lampi luminosi illuminavano tutta la sua stanza disegnando lunghe ombre contro le pareti azzurre. La camera era modesta, un lettino al centro con un armadio sul lato, di fronte la porta ed una finestra che affacciava sul retro della casa. Proprio da quella finestra si insinuò uno spiffero gelido che costrinse Vanille, dopo aver racimolato la forza e un cuscino da portare con sé, ad alzarsi per serrare l’infisso. Il contatto tra i piedi nudi e il gelido pavimento in legno irradiò, in tutto il suo corpo, una fitta pungente. La tentazione di ignorare quell’alito di vento e di riscappare tra le sue coperte era una forte tentazione alla quale, però, non poté cedere. Subito dopo un altro tuono divampò un temporale. L’acqua funesta colpiva la finestra con impeto feroce e bramoso di entrare in quella stanza.
Vanille era dinnanzi alla finestra pronta per ruotare la maniglia in ottone e serrarla quando, allungando lo sguardo verso la penombra creata dal viale d’abeti, non intravide un’ombra assai bizzarra. Sembrava la figura di un uomo accovacciato sulle ginocchia intento a rovistare tra i bidoni della spazzatura. Un barbone, pensò immediatamente la ragazza ma quando questa figura bloccò i suoi movimenti per poi girare, molto lentamente, il capo verso la finestra ella dovette ricredersi. La fioca luce del lampione che seguiva il sentiero non era abbastanza per osservare con chiarezza quel viso. Quasi a volerla aiutare un luminosissimo lampo illuminò, più di un sole, l’intera zona. Più che un uomo aveva il viso di un ragazzo, forse della sua stessa età. Indossava un lungo pastrano nero. Il capo era coperto da una bombetta alla Charlie Chaplin mentre le mani erano avvolte in un paio di guanti in pelle. Gli occhi verdi del giovane uomo subito puntarono quelli di Vanille che si era, letteralmente, pietrificata, davanti alla finestra. Immobilità che perse non appena il ragazzo da chino si alzò in piedi. A quel punto, adottando come consigliera la paura, serrò la finestra, chiuse la tenda e corse a rifugiarsi sotto le coperte. A spaventarla non erano più i fragori della tempesta ma alcuni lenti ed intensi lamenti provenienti dal cuore della foresta. Improvvisamente, probabilmente per il fortissimo vento, la finestra si liberò dai suoi fermi e si spalancò. L’aria gelida si addentrò in ogni angolo, fin sotto le coperte che Vanille aveva portato fin oltre il naso. Gli occhioni spalancati e il sapere di dover richiudere quella maledetta finestra malandata. Questa volta portò con sé tutte le coperte a mo’ di protezione, facendola strisciare come la lunga coda di un pregiato abito nuziale. Raggiunse la maniglia ma prima di richiudere il tutto non riuscì a non rilanciare uno sguardo al di fuori di essa. L’ombra scura di quel ragazzo era nuovamente china con le mani intente a scavare la terra. Vanille, terrorizzata e con i tremori non soltanto per il freddo, osservava l’operato del ragazzo. La sua curiosità era troppo forte e poi quel viso non le parve familiare. Il capo del ragazzo, questa volta, non ruotò verso la finestra. La ragazza, quasi delusa, provò a picchiettare contro il vetro con le sue nocche per attirare la sua attenzione ma tutto fu inutile. Non sapeva per quale motivo ma la paura per il temporale era secondaria in quel momento. Altre saette irradiarono il firmamento notturno ma la ragazza non si scompose. Desiderava riprovare il terrore di rispecchiarsi in quegli occhi. Picchiettò nuovamente contro il vetro ma il risultato non mutò, il ragazzo, chino al suolo, non si smosse minimamente verso la sua direzione. Vanille era ad un passo dall’arrendersi quando un calo di tensione spense tutte le luci, oscurandole la vista. La curiosità si tramutò nuovamente in terrore. Chiuse frettolosamente la finestra e la tenda per poi saltare nel letto a rifugiarsi nei suoi tormenti e paranoie. Il temporale non accennava alla resa, anzi manifestò di aver in serbo ancora tante carte nella sua mano. Il vento trapassava il telaio in legno della finestra creando un sibilo inquietante. Vanille era rannicchiata in posizione fetale sperando che il giorno arrivasse e che la tempesta cessasse. Le sue preghiere non furono soddisfatte.
Il rumorio della pioggia iniziò a diminuire verso le 3. La ragazza, ormai scossa dai lampi e dai pensieri, cercò di escogitare un modo per riposare un po’. Infilò la testa sotto il cuscino per poi coprire il tutto con la coperta. Questa scomoda posizione non le fu molto utile per il suo obiettivo. Difatti riuscì a sentire, nitida e chiara, una particolare risata provenire dalla foresta. Sembrava uno di quegli sghignazzi compiaciuti originati dallo stomaco. Il tutto era alquanto macabro se unito a tutte le esperienze che la ragazza aveva dovuto sopportare fino a quel momento.
Sempre con il capo immerso tra il guanciale ed il materasso di lana, Vanille, riconobbe un nuovo suono. Forse sarebbe stato meglio definirlo come un rumore. Un qualcosa provenire, non da oltre la finestra ma dall’interno di casa sua, più precisamente verso l’ingresso. La porta, dal fracasso percepibile, sembrava fosse scossa da spallate e spintoni. Subito nella mente di Vanille si materializzò il viso di quel ragazzo losco e svanito oltre il vialetto sterrato. Sola in quella casa nel cuore della notte e con dei ladri pronti ad entrare. L’agitazione iniziò a far il suo lavoro e la ragazza si ritrovò seduta nel letto senza saper cosa fare. Andare in cucina per chiamare la polizia o attendere che i ladri si stancassero e andassero via. Quest’ultima fu la scelta presa da Vanille, fin quando non sentì un rumore diverso provenire dalla porta d’ingresso. Sembravano imprecazioni senza particolare impeto, quasi dei sussurri. Uscì dalla sua stanza fino al percorrere il breve corridoio per raggiungere la piccola cucina. La porta d’ingresso era ad un paio di metri da lei. L’ansia ad ogni colpo aumentava sempre più. Addirittura raggiunse la sala a piedi nudi per non destare l’attenzione dei delinquenti. Si avvicinò al bancone per poi alzare la cornetta: era isolata. Le mani le iniziarono a tremare così come il cuore a battere impetuosamente contro il petto. Vanille approfittò di un attimo di tregua per filar via verso il ripostiglio in fondo al corridoio. La sua idea era quella di trovare un qualcosa da usare come arma o eventuale ultima difesa. Le uniche cose che vi trovò, dopo aver spintonato la porta per aprirla, erano un flacone di detersivo ed una ramazza. Afferrò il manico di quest’ultima per poi appostarsi al centro del corridoio, inerme. I rumori alla porta sembravano sedati. Vanille fece alcuni passi verso di essa, sempre a piedi nudi. Stava per passare davanti la porta della sua camera quando, con la coda dell’occhio, vide un’ombra rapidissima muoversi proprio in essa. Voltò il capo per poi seguire tutto il corpo. C’era qualcosa o qualcuno nella sua camera. La finestra era chiusa. Oltre di essa, allungando lo sguardo, si poteva intravedere una densa macchia nerastra che, via via, svaniva con il cadere della pioggia. Mentre Vanille era impegnata a scrutare oltre la finestra un tonfo preannunciò l’avvenuta apertura della porta. Senza nemmeno voltarsi spalancò gli occhi per poi correre a chiudere la sua porta a chiave. Infilò il manico della ramazza tra la maniglia e scappò nell’armadio. Riuscire a sentire i passi che man mano, zuppi d’acqua, avanzavano lungo il corridoio era un qualcosa che fece raggelare il sangue nel corpo di Vanille. Quando poi i passi si fermarono dinanzi alla sua porta, l’agitazione toccò le stelle. Il rumore della maniglia che veniva calata donava alla ragazza una fitta ogni volta che veniva forzata. Nessuna voce, c’erano soltanto scricchiolii di legno e un gocciolare d’acqua.
Un leggero botto avvisò Vanille della caduta della ramazza e della successiva apertura della porta.
Attraverso una piccola fessura tra le porte dell’armadio riuscì a scorgere un’alta figura entrare e girare per la camera. I suoi passi erano lenti e pesanti. Quasi fossero stanchi, ormai striscianti. Vanille aveva il timore che il rumore del suo cuore la tradisse ma ad un certo punto questo le parve muto, silenzioso, senza battito alcuno; gli occhi della scura figura, il cui viso era nella penombra, avevano incontrato i suoi. Un’implosione interna devastò la ragazza che si sentì mancare il fiato per il terrore. L’uomo non si avvicinò di un solo passo all’armadio. Bloccò i suoi occhi verso quella stretta fessura per poi voltarsi ed uscire dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. La ragazza non ebbe nemmeno il tempo di tirare un sospiro che subito la porta si rispalancò dando accesso ad un’entità quasi immateriale. Vanille sentì un rumore di passi ma non riuscì a scorgere nessun’ombra o figura dalla fessura delle porte dell’armadio. Provò a scostare l’anta per aver più angolo di visione ma non appena ci provò una forza invisibile spinse nel verso opposto con un impeto tale da schiacciarla contro la parete interna in legno. Rialzatasi, non conscia di quel che era successo, provò a riaprire le ante ma le fu tutto impossibile. A questo punto capì di essere stata trovata. La vita le iniziò a scorrere davanti agli occhi come fulminei fotogrammi. Tutto era immerso nel silenzio più ovattato. Ormai era ad un passo dal collasso. Il respiro affannoso era impossibile da domare ma dovette trattenerlo quando, dall’esterno dell’armadio, un suono particolare nacque. Sembrava il graffiare di un gatto, anzi era lo scorrere di un qualcosa di acuminato contro la porta dell’armadio. Quel gracchiante rumore durò pochi secondi ma per Vanille il tutto ebbe una durata infinita. Alla fine di ciò il suo corpo non resistette e, al vedere la punta della lama trapassare la porta e quasi sfiorarle la fronte, svenne.

L’alba arrivò e dalla fattoria vicina a casa Miller il gallo iniziò ad intonare una litania spaccatimpani. Per Vanille fu il rumore più agognato e apprezzato. Le parve di aver dormito per secoli. Si svegliò riposata e con, nel corpo, una sensazione di benessere diffuso. Mente sgombra da pensieri e tanta forza per affrontare il nuovo giorno. Al di là dell’incubo che la notte prima l’aveva tanto scossa, quella mattinata piena di sole iniziò nel migliore dei modi. Si alzò per poi avvicinarsi alla finestra per spalancarla. Discostò la tenda e la camera fu invasa da caldi raggi. Una fresca e frizzante brezza le discostò e fece danzare i suoi lunghi capelli. Sistemò il letto per poi avviarsi verso la porta.
Non era stato un incubo. Incisa nell’anta dell’armadio c’era una frase: Je t'ai trouvée.

   
 
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