Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Recchan8    13/03/2016    1 recensioni
[SEGUITO DI "Deep Memories", CROSSOVER E VICENDA PREQUEL DI "Dangerous Heritage", SPOILER DI "Deep Memories" IN DESCRIZIONE]
Fine agosto 2014.
Giappone, Morioh: una ragazza dai capelli color miele e gli occhi ambrati si presenta presso i coniugi Higashikata pretendendo di venir ospitata per un periodo di tempo indeterminato.
Italia, Napoli: un ragazzo moro dagli occhi di smeraldo è ricercato dall'organizzazione mafiosa di cui faceva parte con l'accusa di tradimento.
Cosa lega questi due personaggi così lontani ma allo stesso tempo così vicini? Un passato nascosto nelle memorie più profonde dovrà essere destato.
Il destino, a volte, sa essere davvero comico.
Genere: Azione, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Josuke Higashikata, Nuovo personaggio, Okuyasu Nijimura, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Deep Memories'
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NOTE DELL'AUTRICE: Salve a tutti! Ho deciso di ritagliarmi uno spazio all'inizio e non alla fine del capitolo per farvi subito dei chiarimenti. L'opera che apprestate a leggere è al tempo stesso tre cose: 1) il seguito della mia fanfiction "Deep Memories"; 2) un prequel della fanfiction di AlsoSprachVelociraptor "Dangerous Heritage"; 3) un crossover tra "Deep Memories" e "Dangerous Heritage". Per evitare spoiler indesiderati vi invito a leggere prima le altre due opere citate. Non importa se "Dangerous Heritage" è ancora in corso perché i personaggi della sua fanfiction che inserirò sono quelli che AlsoSprachVelociraptor ha descritto fino a ora. "Mighty Long Fall" non è una fanfiction scritta a quattro mani, è tutta opera della mia testolina bacata. AlsoSprachVelociraptor si tira fuori da tutte le eventuali polemiche/diatribe (grazie, eh <3); nemmeno lei sa come andrà a finire >:)
Nella speranza che "Mighty Long Fall" vi possa piacere, auguro a tutti voi una buona lettura :)
   Recchan8

 






Ciro Starace esercitava la professione di psichiatra da quasi quindici anni. Il suo studio privato si trovava nel centro di Napoli; l'affitto del locale era parecchio alto, ma le entrate permettevano al dottore di sostenere senza problemi l'ingente spesa. Ciro aveva un gemello di nome Gaetano. I due fratelli avevano frequentato asilo, elementari, medie e superiori insieme, finché non avevano deciso di differenziare i loro percorsi di studi universitari e di intraprendere due carriere diverse: Ciro divenne uno psichiatra, Gaetano uno psicologo.
I gemelli Starace godevano di una certa fama regionale e per qualche strano motivo erano diventati i dottori di fiducia di una certa organizzazione mafiosa che agiva a livello nazionale. Tutti i membri di tale organizzazione, in caso di bisogno, si rivolgevano allo psicologo o allo psichiatra in base al loro tipo di problema. A volte capitava che a un paziente di Gaetano venisse consigliato da Gaetano stesso di rivolgersi al fratello per ricevere una cura più efficace e mirata.
Quella mattina Ciro non aveva visite in programma; la sua presenza nello studio era comunque richiesta nel caso in cui qualche nuovo paziente si presentasse senza appuntamento per una prima seduta o semplicemente per informarsi su questa. Ciro, seduto sulla sua poltrona dietro alla scrivania, si levò gli occhiali dalla spessa montatura rotonda e nera e se li infilò nel taschino della camicia rosa pallido. L'aria afosa di agosto entrava svogliata dalla finestra spalancata che dava sul mare. Ciro era orgoglioso di quella vista; era sicuro che da nessun'altra parte si potesse godere di uno spettacolo così bello. Fece vagare lo sguardo castano per lo studio, indugiando più volte sugli alti scaffali pieni zeppi di tomi dedicati al suo lavoro.
Avrebbe volentieri passato cinque ore in quell'atmosfera di innaturale calma se Gaetano non avesse fatto un ingresso in pompa magna nel suo studio. Il gemello minore raggiunse a grandi falcate la scrivania del fratello e ci schiaffò sopra un fascicolo contenente i dati di un paziente. Senza dire una parola ma sospirando, Ciro inforcò gli occhiali e aprì la cartellina sfogliando con calma i vari fogli.
-”Vuoi passarmelo?”- domandò senza alzare gli occhi dal documento.
Gaetano si grattò la testa ramata e annuì. Guardò Ciro continuare sfogliare il fascicolo e pregò San Gennaro di convincere il fratello ad accettare il passaggio.
-”Interessante...”- commentò Ciro dopo un po'. Restituì la cartellina a Gaetano e incrociò le braccia al petto. Lo psicologo annuì vigorosamente e iniziò il discorso che si era preparato e studiato il giorno prima. Non sempre Ciro accettava i pazienti che avevano subito un primo trattamento da Gaetano; sosteneva di preferire i “casi intatti”.
-”Come hai potuto leggere, è in cura da me da più di sei mesi. In questo lasso di tempo non ci sono stati miglioramenti, e...”-.
Ciro, mentre il fratello continuava la sua spiegazione, si abbandonò sullo schienale della poltrona e si massaggiò il mento ricoperto da una corta barba fulva. Sei mesi senza alcun miglioramento... Non poteva nascondere che il fatto fosse alquanto curioso e preoccupante. L'assenza di anche solo una minima ripresa poteva essere spiegata in due modi. Uno: lo psicologo era un incapace; due: il paziente non voleva abbandonare il suo disturbo. Ciro era più che certo che il caso non dipendesse da Gaetano; del resto il 110 e lode non l'aveva vinto coi punti dell'Esselunga.
-”Va bene, va bene... Accetto il paziente”-.
Gaetano, visibilmente sollevato, ringraziò San Gennaro con un'occhiata sognante rivolta al cielo. Il solo pensiero di essere riuscito a liberarsi di un caso così complicato lo fece sentire subito meglio. Gaetano odiava non riuscire ad aiutare le persone. Quando ciò accadeva la prendeva sul personale e tentava in tutti i modi di trovare una soluzione ai difficili problemi del paziente di turno, anche a costo di sacrificare la propria vita privata. Ma quel giovane uomo era un caso particolare. Il minore dei gemelli Starace non aveva mai incontrato una persona come lui.
-”Mandamelo pure in mattinata”- disse Ciro a Gaetano. Il sollievo di quest'ultimo non era passato inosservato agli occhi dello psichiatra.
Gaetano ringraziò il fratello e fece per eclissarsi quando all'improvviso si rese conto di non aver messo Ciro al corrente di un particolare di massima importanza. Tornò sui suoi passi e si chinò sul fratello, avvicinando le labbra al suo orecchio.
-”Fràte, trattalo coi guanti; è un membro di Passione”- sussurrò.

 

 

Un paio di ore dopo, il paziente si presentò.
Bussò lievemente alla porta dello studio e Ciro gli diede il permesso di entrare. Un giovane di ventiquattro anni aprì la porta e andò a stringere la mano al dottore, presentandosi. Ciro gli fece scivolare lo sguardo addosso, già iniziando la sua analisi. Apparentemente il giovane sembrava in perfetta salute, sia fisica che mentale. L'unico particolare che diede da pensare allo psichiatra furono gli occhi del ragazzo: verdissimi come due smeraldi ma torbidi e profondamente segnati. Un tempo dovevano essere due gemme brillanti, ma adesso non erano altro che due pietre grezze gettate tra i flutti di un fiume inquinato.
-”Si accomodi pure”- lo invitò Ciro indicandogli il divano di fronte alla scrivania con un cenno della mano. Mentre il giovane si sedeva, Ciro si spostò sull'altra poltrona vicino al divano. La prima regola del suo lavoro era far dimenticare al paziente di trovarsi sotto analisi. Accavallò le gambe e si sistemò gli occhiali rotondi sul naso. -”Posso darti del tu?”-.
Il giovane si strinse nelle spalle e annuì svogliato. Appoggiò la caviglia destra sul ginocchio sinistro e tirò fuori dalla tasca dei jeans attillati un pacchetto di Marlboro Gold. Ciro strinse le labbra. Doveva forse dirgli che nel suo studio era vietato fumare? Suo fratello gli aveva detto di trattarlo coi guanti, ma un divieto del genere valeva per tutti, senza eccezioni. Il giovane notò la strana espressione che stava passando sul volto dello psichiatra e, dopo averlo guardato per un po', si rimise in tasca il pacchetto di sigarette.
-”Ti ringrazio”- disse Ciro sorridendo e senza riuscire a nascondere una traccia di sollievo nella voce. -”Dunque, come mai ti trovi qui? Gaetano, lo psicologo da cui eri in cura, mi ha detto qualcosina sul tuo conto, ma io vorrei che fossi tu stesso a raccontarmi di te. Ti dispiace?”-.
-”Come ho già detto a suo fratello, io non sono pazzo”-.
Il sopracciglio sinistro di Ciro scattò verso l'alto.
-”Nessuno sostiene che tu lo sia”-.
-”Il Boss sì. E' stato lui a obbligarmi a rivolgermi a Gaetano”-.
Ciro si schiarì la voce e si mosse un poco a disagio sulla poltrona. Era da parecchio tempo che un membro di Passione non si presentava dai gemelli Starace. Per un po' i due fratelli avevano pensato di essere finalmente riusciti a uscire da quel giro pericoloso. Guardò il giovane: un'espressione corrucciata era dipinta sul suo volto più che gradevole, accentuando il taglio all'ingiù dei suoi occhi verdi; i capelli corvini, mossi e lunghi appena fin sopra le spalle, gli ricadevano in parte sul viso.
-”Parlamene”- disse alla fine.
-”Anche lei finirebbe per pensare che io sia pazzo”- borbottò senza guardarlo.
-”Stai quindi ammettendo che, in effetti, c'è qualcosa che non va?”- azzardò Ciro.
Il giovane si voltò di scatto verso di lui e Ciro poté giurare di aver visto per qualche secondo del fumo serpeggiare minacciosamente attorno al ragazzo. Sbatté più volte le palpebre ma del fumo non vi era alcuna traccia.
-”Stavo scherzando”- disse sorridendo. -”Sta a te decidere se sia il caso di trovare una soluzione o meno”-.
-”Glielo ripeterò: io non sono pazzo”- sibilò il giovane moro a denti stretti.
-”Allora... Perché il Boss sostiene che tu lo sia?”- azzardò a domandare Ciro, le dita intrecciate sotto al mento. Era consapevole di aver appena posto una domanda rischiosa, ma era l'unica che al momento potesse fare, visto l'atteggiamento del paziente.
Il giovane sospirò rumorosamente e incrociò le braccia al petto nudo. Per qualche motivo indossava solo una giacca nera; niente camicia, niente maglietta.
-”Faccio lo stesso sogno da sette mesi, precisamente dal 16 gennaio di questo anno”- si arrese alla fine. -”Tutte le notti”-.
Un lampo di curiosità e di vitalità rianimò gli occhi castani di Ciro. Lo psichiatra si alzò e andò a radunare qualche foglio e una penna, portandoli poi con sé sulla poltrona vicino al divano.
-”Raccontamelo”- lo esortò, interessato.
-”Per forza?”-.
-”No, per il tuo bene”-.
Il giovane fece schioccare la lingua e si passò una mano tra i capelli neri. Era stufo di dover raccontare a tutti quel sogno che lo tormentava da mesi. Sapeva benissimo che c'era qualcosa che non andava, non c'era bisogno che qualcun altro glielo dicesse.
-”...Mi trovo in una stanza bianca piena di fiamme”- iniziò esitante. -”Davanti a me c'è una ragazza. Ha dei lunghi capelli biondi e sta piangendo. Mi dice “Addio” e io le rispondo che la troverò. Non riesco a vederla bene perché le fiamme le nascondono il viso”-.
Ciro prese nota di tutto e terminò i suoi appunti con un punto di soddisfazione. Il giovane vide l'entusiasmo nei movimento dello psichiatra e gli lanciò di sottecchi un'occhiataccia. Ecco perché non voleva andare a farsi vedere: a tutti gli strizzacervelli non interessa un accidente della condizione dei pazienti, vogliono solo divertirsi con nuovi casi al limite della sanità mentale.
-”C'è dell'altro”- disse Ciro guardando il giovane da sopra la montatura degli occhiali. Non era una domanda, era un'affermazione.
Il ragazzo dagli occhi verdi scosse la testa. Se avesse detto tutta la verità allo psichiatra, per lui sarebbe stata la fine: lo avrebbero imbottito di psicofarmaci e chiuso in qualche clinica disonesta.
-”Facciamo così: torna tra un paio di giorni. Va bene?”- sospirò Ciro alzandosi dalla poltrona. Come se non stesse aspettando altro, il giovane scattò in piedi e, un'espressione lievemente più serena sul volto, strinse la mano che lo psichiatra gli aveva teso e annuì. Fissarono l'appuntamento, il giovane si infilò in tasca il biglietto da visita di Ciro Starace e si defilò rapidamente, chiudendo la porta dello studio con un sonoro tonfo.
Ciro appoggiò gli occhiali sulla scrivania e si strinse il setto nasale tra l'indice e il pollice. Sospirò. Il giovane gli aveva mentito, aveva volutamente omesso un particolare più che importante. Oltre al sogno ricorrente c'era qualcos'altro. Pensò che sicuramente il Boss di Passione ne fosse a conoscenza, altrimenti non lo avrebbe mandato dagli Starace. Fortunatamente la documentazione che Gaetano gli aveva fatto leggere qualche ora prima riportava tutto. Allungò una mano sul tavolo e scarabocchiò su un foglio un promemoria: “Allucinazioni visive. Prescrivere psicofarmaci a Mercuzio Zeppeli”.

 

 

Mercuzio era stufo di essere costretto a rivolgersi a degli stupidi dottori. Avrebbe fatto meglio a non dire a nessuno del suo maledetto sogno e di quella ragazza bionda che sembrava pedinarlo ovunque lui andasse.
Tutto era iniziato il 16 gennaio 2014 quando Mercuzio aveva fatto per la prima volta quello strano sogno. Si era svegliato nel cuore della notte con il fiato spezzato, la gola secca e un fortissimo senso di disperazione addosso. Da quel giorno in poi il giovane Zeppeli aveva continuato a sognare quella scena. Le cose erano peggiorate quando, da sveglio, aveva iniziato a intravedere la ragazza bionda.
Il problema era che nessuno a parte lui riusciva a vederla.
Giorno, preoccupato per la sanità mentale del suo sottoposto, lo aveva momentaneamente sospeso dal lavoro e spedito da uno specialista. Mercuzio si era visto costretto ad abbandonare la Squadra del Crepuscolo e a iniziare a frequentare lo studio di Gaetano Starace.
Io non sono pazzo” era la frase che Mercuzio era solito ripetere fino allo sfinimento. Più che per convincere gli altri, lo diceva per convincere se stesso.
Trovò Mista seduto sulla sua solita panchina del giardino di Giorno, quella rivolta verso la siepe di alloro. Si sedette pesantemente accanto a lui e rovesciò la testa all'indietro, godendosi il caldo del sole in pieno viso.
-”Com'è andata, Zep?”- gli domandò Mista tirandogli una gomitata amichevole.
Come doveva essere andata? Come tutte le volte. Un buco nell'acqua. Mercuzio sapeva che una risposta del genere avrebbe solamente fatto star male l'amico, così indossò una maschera e sorrise. Non gli raccontò di essere stato costretto a passare nelle mani di uno psichiatra; sapeva bene come avrebbe reagito Mista.
Allora sei davvero pazzo!”, gli avrebbe detto.
-”...Ma tu come ti senti?”- gli chiese Mista dopo aver ascoltato il resoconto del giovane. Mercuzio aggrottò le sopracciglia, sorpreso dall'insolita domanda. Guardò Mista, i capelli neri legati in una frettolosa crocchia sulla nuca. Dopo aver perso l'orecchio sinistro in una rissa tra ubriachi, Mista aveva deciso di dire addio al suo caratteristico berretto rosso e blu a losanghe e di farsi crescere i capelli per nascondere la brutta cicatrice. Nonostante tutto, Mercuzio non si era ancora abituato al nuovo look del collega.
-”Mi sento... bene!”- mentì il giovane Zeppeli allargando le braccia.
-”Van Gogh non è convinto di ciò”- disse la vocina di Numero 2 da dentro la revolver di Mista. Quest'ultimo, indispettito dal nomignolo affibbiatogli dallo Stand, aprì di scatto il tamburo e scosse la pistola, facendo cadere a terra i proiettili al suo interno e i Sex Pistols. Li fulminò con lo sguardo uno a uno, facendo ben intendere che se avessero continuato così li avrebbe spediti a lavoro senza pranzo. Già gli scocciava venir soprannominato “Leopardi” a causa della sua abitudine di sedersi a fissare la siepe di alloro per quasi un'ora buona, ci mancava solo che iniziassero a chiamarlo “Van Gogh” per via dell'orecchio mozzato!
Mercuzio osservò in silenzio Mista litigare coi Sex Pistols. Avrebbe pagato oro per avere anche solo una briciola della vitalità e della gioia di vivere di cui era provvisto il collega più anziano. No, Mercuzio non stava per niente bene. Aveva la sensazione fissa che gli mancasse qualcosa, qualcosa di davvero importante. Aveva un vuoto dentro di sé, e negli ultimi due anni niente e nessuno era riuscito a colmarlo.
Dietro al prugno, quell'albero esile piantato vicino alla panchina, la ragazza dai capelli color miele gli sorrise.

 

 

   
 
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