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Autore: Symph    14/03/2016    0 recensioni
«Quel grido, Orchidea. Te l'ho detto, non me lo scorderò mai»
Samuel Griffin ha una vita modesta, ma serena. Ha imparato a cavarsela da solo. Dopo svariate storie d'amore brevi e dolorose ha incontrato Orchidea, che sembra diversa dalle altre.
Avvenimenti strani iniziano a tormentare la vita di Samuel e ogni cosa sembra ricollegarsi a Orchidea. Samuel si sente intrappolato in un enigma continuo e irrisolvibile, che coinvolge tutte le persone che conosce, tutti i luoghi in cui ha abitato e perfino la musica che ama sembra volerlo portare alla deriva. In un labirinto che lo lascia senza fiato il suo obiettivo è uno solo: Orchidea deve uscirne viva.
Genere: Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La casa era costantemente vuota, sembrava di viverci da solo con George. Come tutti i giorni sarei dovuto andare al lavoro, sentendomi stupido. C'è chi fa il commesso solo per arrotondare, per poter alimentare con qualcosa di concreto i piani per il futuro. E poi ci sono io, commesso per non dover nemmeno pensare al futuro. Ero lì, svaccato sul mio squallido letto e l'unico gesto che sembrava non affaticarmi era controllare il telefono. Leggevo i messaggi sui gruppi e tutte le cretinate simili, tenendo per ultimi i messaggi di Orchidea; con lei era diverso, lei era importante ed era la sola, fra le persone che mi circondavano ad andare oltre alle apparenze. Con Orchidea non dovevo essere il ragazzo scemo, ma figo, che se ne frega della cultura perché tanto sa sempre cosa dire per far bella figura. Lei era la stessa anche conoscendo i miei aspetti peggiori e anzi, nonostante i difetti mi amava. Dopo averle risposto mi alzai e andai in cucina a fare colazione. Notai il posacenere, pieno di mozzziconi di sigarette e canne. Li buttai nel gabinetto, perché in fondo mi spiaceva che Marco, il mio coinquilino, vedesse il mio stato di degrado rimanere costane di giorno in giorno.
Era appena iniziato l'anno nuovo ma la città aveva già ripreso il suo frenetico ritmo. Torino non è una metropoli ma tutti hanno sempre qualcosa da fare, le strade sono trafficate e i pullman affollati. Come tutti i giorni c'era da lavorare fino alle 7 e mezza e poi per la sera mi sarei inventato qualcosa da fare. Orchidea non c'era. Il centro città di mattina era più grigio e più vuoto, quasi preferibile al solito, e lavorare in piazza Castello era soddisfacente, eppure quel giorno c'era qualcosa che non andava; ero a disagio con i colleghi, soprattutto nelle prime ore della giornata. Di pomeriggio mi chiamò Matteo per organizzare la serata e mi raccontò che suo padre l'aveva quasi beccato con l'erba.
- Cosa cazzo hai fatto? - chiesi fra le risate.
- Dovevo operare un cane in ambulatorio con lui, mi son portato una deca per Branco e quando mi sono tolto la giacca mi è caduta dalla tasca. Per toglierla di mezzo in fretta l'ho messa nella tasca del camice e l'ho lasciata lì.
- Ma che coglione che sei, con Branco come hai fatto?
- Sono tornato in ambulatorio a prenderla per vendergliela.
- Va be', tuo padre penso che ormai abbia capito...
- Finché non dice nulla va bene. Stasera sei con Orchidea?
- No, non può. Vuoi venire da me?
- Sì, posso portare gente?
- Se non puoi farne a meno...
- Ma che hai oggi? - Non lo sapevo. Ero a disagio per qualcosa e sarei rimasto volentieri senza troppa gente in casa.
- Niente, devo andare. A più tardi.-
Da quando Matteo faceva il tirocinio col padre ero un po' invidioso. Mio padre viveva in Argentina, io, qui, non avevo finito il liceo e non avevo mai avuto nemmeno l'opportunità di pensare all'università. L'Italia è diversa dall'Argentina, arrivato qui pensavo di poter avere una vita ricca di occasioni, come gli altri. Vivevamo in un paese di montagna, Coazze. Lì sembrava che tutti potessero ottenere il meglio dal futuro, nessuno aveva aspirazioni particolarmente alte, ma tutti avevano sufficienti opportunità per essere felici. Io volevo di più e spesso mi impegnavo di meno. E poi non basta stare in Italia per essere italiano, a volte lo dimenticavo. Era proprio la famiglia di Matteo a ricordarmelo.
Arrivai a casa verso le 8:00 e trovai Marco.
- Ciao Sam! Vuoi mangiare qualcosa? - Ok, mi piaceva un sacco avere un coinquilino palesemente gay. Era gentile ed educato, e teneva anche gli occhi lontani da Orchidea.
- Sì Marco, grazie. Dopo esci?
- Sì, perché?
- Viene qui Matteo, un po' di gente...
- Va bene, io torno tardi, tanto.
Poco dopo cena arrivò Matteo con suo fratello Emanuele, Branco, Leonardo e un altro di cui nemmeno ricordavo il nome. Emanuele era un ragazzino di 17 anni; di solito non faceva molta confusione e si limitava ad ascoltare gli altri, ma quella sera si era portato il laser per far giocare i gatti e in pochi minuti George aveva fatto cascare dall'armadio tre libri e una sveglia. Branco e Leonardo continuarono per tutta la sera a ridacchiare di idiozie incomprensibili, l'altro tentò più di una volta di estorcermi uno sconto alla Nike. Non capiva che un commesso sta troppo in basso per decidere di cambiare prezzi e che, anche se avessi potuto farlo, a un tipo così la roba l'avrei fatta pagare il doppio.
Matteo si era accorto che qualcosa non andava, ma sapeva anche che non era il caso di fare domande, con tutte quelle persone. Non era frequente che io e Matteo parlassimo dei nostri sentimenti, io potevo farlo con Orchidea, lui non lo faceva e basta. A volte però era necessario sapere che ci sostenevamo a vicenda, che ci capivamo. Era il mio migliore amico. Ma adesso era qui senza essere con me.
Dopo poco tempo fece pressione per andare via, forse si annoiava o forse aveva capito che volevo un po' di pace. Era mezzanotte passata, non avevo sonno e mi misi a suonare la chitarra in cuffia. Dalla finestra aperta entrava un vento gelido, ma io rimasi in maniche corte. Non c'era nulla di sbagliato, in quel momento.
Non erano passati molti minuti quando sentii un lancinante grido di donna trapassare il silenzio della notte. Corsi verso le scale e aprii la porta con affanno. Davanti a me trovai Marco, con le chiavi in mano e gli occhioni azzuri spalancati dietro gli occhiali. Sembrava sorpreso, ma tranquillo.
- Samuel, ciao. Cosa fai qui? - Stava sussurrando come per non disturbare.
- Non hai sentito quel grido? Avrà svegliato tutto il palazzo!
- Shh, parla piano. Io non ho sentito nulla, Sam. Sono abbastanza sicuro che non ci sia stato nessun grido. Tu dovresti andare a riposare, sembri sconvolto.
Ero sicuro di aver sentito il grido. Le cuffie non erano bastate ad isolarlo, l'avevo sentito così forte dentro di me che avevo iniziato a sudare e sentivo ancora i nervi a fior di pelle. Nonostante fossi molto scosso, seguii il consiglio di Marco e andai a letto.

   
 
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