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Autore: Rumyantsev    17/03/2016    2 recensioni
Sayaka era stata per molto tempo al servizio della Regina Mami, prima di decidere di partirsene alla ricerca del Principe Kyousuke, la cui bellezza era cantata dai bardi di tutto il regno e non c’era Principessa o Guerriera che non desiderasse prenderlo in sposo.
[KyoSaya]
Genere: Commedia, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Kyoko Sakura, Sayaka Miki | Coppie: Kyoko/Sayaka
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Cavalieri senz’attributi
e
Principesse scroccone

 
“C’era una volta…”
 
 
Sayaka era stata per molto tempo al servizio della Regina Mami, prima di decidere di partirsene alla ricerca del Principe Kyousuke, la cui bellezza era cantata dai bardi di tutto il regno e non c’era Principessa o Guerriera che non desiderasse prenderlo in sposo. Tuttavia, era impossibile trovarlo. La leggenda narrava che fosse stato nascosto nei meandri di un bosco incantato, rinchiuso in una torre presidiata da un temibile Drago, e che nessuno che avesse tentato l’impresa di salvarlo fosse mai tornato vivo. A guidare il cammino del potenziale salvatore verso la torre era proprio il suono dolce del violino del Principe, che si sentiva una volta imboccato un sentiero secondario, nascosto tra rovi irti e fitti.
Sayaka teneva la mappa ben aperta di fronte a sé, attenta a controllare dove fosse collocata ogni diramazione della strada che stava percorrendo in sella al proprio bianco destriero (non era pienamente convinta che lo fosse: aveva delle strane orecchie e occhi di un inusuale rosa), Kyuubey. Esultò quando si rese conto d’aver trovato proprio il punto che cercava nell’intreccio di rovi alla sua destra, protrattosi per l’intero tragitto. Smontò da cavallo, trionfate. Sguainò la propria spada e si fece strada fendendo ogni ramo coperto di spine che le bloccava il passaggio, protetta dall’armatura che scintillava ancora, nonostante non la lucidasse da giorni.
Superato quell’ostacolo, proseguì indisturbata per un paio di metri. La torre ancora non si vedeva, e, di fronte a sé, Sayaka aveva soltanto un muro di piante rampicanti che pendeva da due rami sporgenti appartenenti ad alberi che stavano ai lati del sentiero, come un tendaggio naturale. Li scostò con la spada e restò incantata da ciò che vide.
Una piccola valle, incantevole e piena di luce, circondata da alberi così verdi che quasi brillavano e, sullo sfondo, una cascata di acqua tanto pura da sembrare argento liquido. La torre dominava la scena, alta dieci metri o forse più, di pietra bianchissima, totalmente priva di porte e con una sola finestra, proprio sotto il tetto rosso.
L’unica cosa che stonava con quel paesaggio idilliaco era il prato, totalmente coperto da torsoli di mela abbandonati, che sembravano gettati qua e là secondo il caso. Sayaka aggrottò la fronte, perplessa e quasi dimentica del Drago, che prima aveva tanto temuto d’incontrare e che era stato il centro dei suoi pensieri durante il viaggio, e ancor più del Principe che andava a liberare.
Si decise ad avvicinarsi alla torre e, ben conscia di quello che il codice dei Cavalieri richiedeva in caso di Salvataggio di Principesse e Principi, s’inginocchiò e alzò la spada verso la finestra della torre, giurando fedeltà al suo Principe ed elencando i pericoli che aveva affrontato. Raccontò di come aveva sconfitto i Troll del sentiero Nord, di come fosse sopravvissuta agli inganni della Strega della Grotta Buia, di quanti tranelli le avevano teso i Briganti del Bosco e si dichiarò pronta ad affrontare qualsiasi Drago per trarlo in salvo.
A quel punto, proprio quando stava per alzare il viso per scoprire se il Principe l’avesse ascoltata, una vocina ironica intervenne:
«Un Drago? Ne dici di scemenze, tu».
Alla finestra stava affacciata una ragazza dai capelli rosso fiamma, stretti sulla nuca da un grande fiocco nero. Indossava un abito che doveva essere stato molto lussuoso, ma aveva adesso un’aria poco curata. La fissava con due occhietti affilati e, resasi conto del suo manifesto stupore, le rivolse un sorrisetto furbo che scoprì un canino particolarmente sviluppato, tanto bianco che Sayaka lo notò nonostante la distanza.
«Chi sei tu? Il Principe Kyousuke…».
«Ah, quel maledetto e il suo violino, sono settimane che non dormo bene con tutto il chiasso che fa! Fammi il piacere: quando lo prendi, spezzagli braccia e gambe al posto mio!», detto ciò, diede un sostanzioso morso alla mela, già in gran parte consumata, che teneva in mano (cui Sayaka non aveva fatto caso, prima), stizzita.
Sayaka si sentì offesa per una tale mancanza di decoro, ma decise di contenersi in nome dell’armatura che portava e degli illustri Signori che aveva servito. 
«Sai-», si schiarì la voce, «Sapete dove posso trovarlo, mia Signora?».
«Certo, se risali la strada lo trovi due torri prima di questa», e agitò con noncuranza la mano. Sayaka s’inchinò profondamente per ringraziare, affettandosi a tornare sui propri passi e lasciare indietro quella presenza maleducata e sgradevole ma… un tonfo leggero, a pochi passi dai suoi piedi, la costrinse a voltarsi. Una mela morsicata fino alle viscere se ne stava lì dove prima c’erano le sue ginocchia. Sayaka inorridì, alzando nuovamente lo sguardo sulla figura sorridente dai capelli rossi.
«Ehi! Ti sembra il modo di gettare i rifiuti!», sbraitò, agitando il pugno in maniera assolutamente non cavalleresca.
L’altra si concesse una risata sonora che sortì l’effetto di irritare Sayaka ancora più di quanto già non lo fosse stata prima.
«E a te sembra il modo di rivolgerti alla tua Signora?», il suo ghigno si allargò mentre poggiava il mento sul dorso delle mani sovrapposte e i gomiti sul davanzale della finestra, inclinando il viso da un lato. Sayaka provò il forte impulso di raccogliere qualcosa da terra e lanciarglielo contro.
«Certo che sei un Cavaliere strano», considerò, mentre il Cavaliere in questione tentava di domare la vena pulsante che aveva sul collo.
«E invece tu chi diavolo saresti?!»
«Una Principessa, ovviamente», in qualche modo, la sua espressione sempre più ironica spingeva Sayaka a dubitare di qualsiasi cosa dicesse. Si passò una mano sul viso e tentò di ritrovare il proprio contegno.
«Va bene. Che ci fai in quella torre? Ti ci hanno rinchiusa?».
La Principessa scoppiò nuovamente a ridere, ’stavolta con meno foga della precedente. Scosse la testa in un cenno di diniego.
«Vorrei davvero vedere chi avrebbe il coraggio di provare a costringermi a fare qualcosa», dichiarò, con un’aria estremamente arrogante, a detta di Sayaka, che tornò a vederci nero.
«Quindi ti decidi a dirmi perché te ne stai lassù?!», si trovò a urlare, di nuovo.
«Diciamo che stare qui è molto più vantaggioso che errare per la foresta come una scema», Sayaka incassò a forza la frecciata.
«E perché mai?», sibilò, ma con un tono di voce che potesse essere udito anche dalla distanza della fantomatica Principessa.
«La Principessa che stava qui è scappata tempo fa con non so che garzone capitato nella foresta per caso, ma la Strega che la teneva rinchiusa non ci vede molto bene… continua a portarmi del cibo scambiandomi per lei. Finché si mangia!», e agitò la mano con nonchalance.
Seguì un minuto di silenzio in cui Sayaka si prodigò nel metabolizzare la notizia.
Non dare in escandescenze, calmati… Non urlare… Sei un Cavaliere della Regina …
«Tu…», inspirò quanta più aria possibile, «Tu mi stai dicendo che sei una dannata ladra?!».
Non ce l’aveva fatta.
La Principessa parve offendersi.
«Non sto rubando proprio un bel niente, è lei che mi porta roba. Non lo sai che non si deve sprecare il cibo?», anche lei aveva alzato il tono di un’ottava.
Sayaka dovette ricorrere a tutto il proprio buon senso per evitare di strapparsi l’armatura di dosso e cominciare a sradicare alberi scagliandoli in giro. Che razza di farabutta! Nel regno si tagliavano mani – e teste, secondo la nuova politica della Regina – per molto meno!
«Non posso assolutamente permetterti di continuare a rubare! Scendi immediatamente da lì!».
«Ti ho detto», sbraitò la Principessa dall’alto della torre, «che non sto rubando!».
Sayaka decise d’ignorare completamente qualsiasi cosa dicesse: appropriarsi illecitamente delle cose altrui è rubare, difatti, e il suo compito era di tirare giù di lì quella sciagurata e assicurarsi che si redimesse.
«Guarda che se non vieni qua salgo a prenderti io», minacciò, sempre senza riuscire a modulare il proprio tono di voce.
La Principessa ghignò e mosse la mano in un cenno che la invitava a mettere in pratica le sue parole. Sayaka era arrabbiata, così arrabbiata che sguainò la spada, e fu tentata di usare quella e il costoliere a mo’ di piccozze per arrampicarsi sulla Torre e lanciare giù quell’antipatica a suon di calci.
«In nome di Sua Maestà la Regina, ti ordino di scendere da quella dannata Torre!», disse, anziché ricorrere a metodi più violenti e meno consoni al suo rango, seppure stentasse molto a trattenere le imprecazioni e agitasse la spada come avrebbe fatto un principiante, anni di pratica obnubilati dalla rabbia del momento.
La Principessa, per tutta risposta, afferrò un’altra mela da chissà dove (ma quante ne aveva?!) e la lanciò a Sayaka gridando: «Non agitarti così tanto, Cavaliere, prendi!».
Ma Sayaka, che già non avrebbe mai accettato una mela da una sconosciuta, memore dell’esperienza di una fanciulla di cui aveva sentito raccontare, alzò la spada e tagliò a metà il frutto in volo con sdegno. Era rubato, non poteva mangiarlo! – e, segretamente, sperava almeno un po’ d’impressionare l’altra con la sua incredibile abilità nel maneggiare la propria arma.
Gli occhi della Principessa fissarono per qualche istante le due metà della mela ferme sul terreno, entrambe dalla parte della polpa. Poi ringhiò, letteralmente, che non si doveva sprecare il cibo e, presa una rincorsa, si cimentò in un salto da maestri fuori dalla finestra. Sayaka passò dalla rabbia al terrore in un istante, abbandonò a terra la spada e corse a braccia aperte per prenderla prima che si sfracellasse al suolo. Inaspettatamente ci riuscì, ma finì dritta dritta a terra, e l’armatura non aiutò la sua povera schiena ad incassare l’impatto, aggravato dal peso dell’improvvisato angelo che le era volato addosso.
«Razza d’idiota, sai dove te la infilo quella mela!», esalò Sayaka, i cui polmoni sconquassati dalla caduta facevano fatica a racimolare aria attraverso l’impedimento dell’elmo.
La Principessa lanciò una sequela d’insulti che non sarebbero stati bene neanche in bocca a uno stalliere, evidentemente per via del fatto che anche per lei atterrare sull’armatura non era stato confortevole. Poi, in un impeto di rabbia, strappò l’elmo dalla testa di Sayaka con l’evidente intento di prenderla a pugni, rivelando il caschetto di capelli color turchese e gli occhi brillanti di lacrime di dolore trattenute di quest’ultima.
Lo stupore sulla sua faccia fu così palese che Sayaka si dimenticò di essere arrabbiata, di nuovo, per lanciarle un’occhiata altrettanto perplessa.
«Che c’è?», domandò, sperando che la risposta non fosse “hai una spaccatura sanguinate proprio al centro della testa”.
«Sei… femmina», fu invece la brillante deduzione della Principessa.
«E allora?», chiese di nuovo, circospetta, Sayaka.
Senza alcun motivo, a detta di Sayaka, le guance della Principessa presero fuoco e l’elmo le sfuggì dalle mani. «N-niente… è s-solo che da lassù non sembrava!», balbettò per risposta.
Sayaka, dopo un momento iniziale di sorpresa per via della reazione stranamente adorabile della sua interlocutrice, rise di gusto.
«Non ridere stupida!», sbottò la Principessa, diventando, se possibile, ancora più rossa, tanto che il suo viso era ormai un tutt’uno con i capelli.
Sayaka le tirò una ditata proprio al centro della fronte, continuando a ghignare senza alcun ritegno, spingendola a ritrarsi, sempre più a disagio. Ormai non si sentiva per niente arrabbiata, neanche lontanamente irritata, anzi, era come se qualcuno le avesse fatto scoppiare una bolla di felicità nella pancia e sentisse la necessità di ridere per tirarla fuori.
«Muoviti, adesso, ti porto via e mi assicurerò che non rubi neanche un acino d’uva d’ora in poi, stanne certa!».
La Principessa parve tornare in sé, anche se con le orecchie rosse, la guardò molto male e tentò d’alzarsi, ma ricadde di pancia su di lei.
«Ahi!», sbottò, e seguitò a mostrare a Sayaka quanto ricco d’insulti fantasiosi fosse il suo vocabolario.
«Che succede?!», esclamò, preoccupata, mettendosi a sedere e tenendola per le spalle, di modo che stesse diritta e la guardasse negli occhi. La Principessa aveva gli occhi lucidi e l’espressione arrabbiata, Sayaka sentì l’ansia che cresceva in petto.
«Mi sono rotta una caviglia o qualcosa del genere», disse la Principessa, sbraitando e imprecando.
Sayaka osservò la parte infortunata con attenzione, per quel poco che ne capiva non le sembrava rotta. La toccò con delicatezza e poi disse:  «Non è rotta, te la sei slogata».
«Pff, tutta colpa tua dannata scocciatrice che non sei altro!», urlò, agitandosi e gemendo poiché le sue convulsioni rabbiose avevano coinvolto la caviglia.
«Colpa mia?! Non sono io quella che è saltata giù da una Torre, razza d’incosciente!», rispose senza neanche pensarci, prima di decidere che era meglio lasciar stare.
«Andiamo, scema, ti porto io», si alzò e le tese una mano, aspettandosi che la afferrasse. La Principessa, però, incrociò le braccia.
«Non se ne parla!»
«Muoviti o ti prendo a calci!»
«Provaci, razza di stupida che non sei altro!»
«Ma senti chi parla!»
«Idiota!»
«Gallina!»
«Ti ammazzo!»
«Voglio proprio vedere!».
Sbuffarono entrambe. Sayaka si passò una mano sul viso, lasciando scivolare via la rabbia. Guardò la Principessa che sembrava del tutto intenzionata a starsene tra i torsoli di mela per sempre e sbuffò di nuovo.
Prima ancora che l’altra potesse accorgersene, l’aveva caricata in spalla.
«Lasciami! Lasciami immediatamente! Che hai in testa, l’acqua?!», strillò lei, ma la caviglia doveva farle davvero molto male perché smise subito di divincolarsi, gemendo.
«Certo, certo, e se non ti lascio mi ammazzerai e bla bla bla…», le fece il verso Sayaka, raccogliendo l’elmo e avviandosi, finalmente, verso lo sbocco della radura.
«Sei una ragazzina irritante!»
«E tu pesi un quintale, Principessa, non dovresti esagerare con le mele»
«Parla il Cavaliere che non ha idea di come si maneggi una spada!»
«Non ti permettere di fare insinuazioni del genere, ti affetto in due in un colpo solo se voglio!»
«Uh, che paura! E… quello dovrebbe essere un cavallo? Faresti una figura migliore cavalcando un asino!»
«Tu sei un’asina! Ti giuro che quando-».
La cortina di piante si chiuse dietro di loro e le loro voci si persero nella foresta, assieme al suono lontano di un violino, ormai totalmente dimenticato. 
   
 
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