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Autore: Snow_Elk    18/03/2016    1 recensioni
"Bugie, bugie, bugie, nient'altro che bugie... tutto ciò non può essere vero, perché dovrebbe? No, no, è una di quelle cose che potresti leggere in un libro, vedere in un film, ma non potrebbe mai essere la realtà. Com'è possibile? Io... io non ho fatto niente di male, perché dovrei meritarmi una cosa del genere? Eppure non sono l'unica, ce ne sono altri come me, loro dicono che è tutto vero, che siamo marchiati, che siamo maledetti e non c'è scampo, nessuna via di fuga. Il sipario calerà su di noi. Non voglio credere a tutto, è pura follia...eppure... il seme di fiori è apparso sulla mia mano. Che cosa mi sta succedendo?"
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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The Ballad of Whispers: Bloody Memories



Frammento I- Cacciatore e Preda


“Fuggire è l’unica soluzione, sei una preda.
 Inseguire è l’unico desiderio, è un cacciatore.
Non puoi cadere, questo è il tuo ruolo,
Si alza il sipario, non puoi cadere.
Il tuo ultimo respiro sarà il suo trofeo”
 
 
 
Corri, non ti fermare, ne va della tua sopravvivenza, ne va della tua vita. Vuoi forse morire? Non conosceva quella zona della città, non si era mai avventurata per quei vicoli.
Non fermarti a pensare, non ne hai il tempo, non cercare una soluzione, continua a correre, correre è l’unica cosa che puoi fare.
Svoltò a destra, evitando alcuni cassonetti e una vecchia scalinata arruginita. Esistevano posti simili in quella città? Non pensare!
Sentiva rimbombare i suoi passi sull’asfalto, uno dopo l’altro, come una sinfonia disconnessa, uno più pesante dell’altro, due singole note che si susseguivano e inseguivano ferocemente. Continua a scappare.
Correre, da quanto tempo stava correndo? Non lo sapeva. Dove stava andando? Non lo sapeva. Chi la stava inseguendo? Non lo sapeva, non riusciva a capire, ogni singola scintilla di energia era spinta verso le gambe, perché doveva continuare a correre, perché se si fermava lui l’avrebbe uccisa.
 
Il suo cervello era come spento, stava soffocando immerso nelle nere acque della paura, nella nebbia del terrore, continua a correre, maledizione, continua a correre!
I suoni della città ancora viva e frenetica la circondavano, ricordandole che non era sola, eppure tutte quelle persone erano troppo lontane da lei, non c’era nessuno che potesse aiutarla. In quel dannato posto c’erano solo lei e lui, cacciatore e preda.
Inciampò su qualcosa, non riuscì a capire cosa, ma scivolando a terra tentò di rialzarsi il più velocemente possibile, incespicando più volte, perchè doveva correre, correre per vivere.
 
Come diavolo era finita in quella situazione? Perchè proprio lei? Aveva cercato in ogni modo di trovare una risposta a quella domanda, ma qualunque risposta si era rivelata banale e insulsa e questo non faceva altro che renderla più inquieta.
Si aggrappò ad una ringhiera, ansimando, e guardò in alto: i palazzi la circondavano in quel labirinto di vicoli e stradine dimenticate, sembrava che perfino la luce del sole avesse paura ad avventurarsi in quei meandri di cemento e vetro.
Inspirò profondamente per una manciata di secondi e riprese a correre, sperando in cuor suo che ad ogni svolta non si presentasse il vicolo cieco di turno, il solo pensiero la terrorizzava.
 
Non aveva il coraggio di voltarsi, di guardare alle sue spalle, per capire se l’aveva seminato, se la stava inseguendo ancora. No, non serviva, lo sentiva, poteva percepire l’eco dei suoi passi, lo svolazzare di quella cappa stracciata, il tintinnio dei sonagli appesi alla maschera. Continua a correre, non ti fermare.
Facendo appello a tutte le sue forze scavalcò un’altra piccola recinzione e svoltò prima a sinistra, poi a destra, continuando a zizgare in quell’inferno di rottami e relitti urbani, con la paura in gola e le lacrime che si mescolavano al sudore che le bagnava la fronte e i polsi.
Le gambe iniziavano a cedere, per quanto tempo ancora avrebbe retto? Cinque minuti? Forse dieci? No, probabilmente meno, ma la fitta di dolore causata dal taglio sulla guancia la spingeva a stringere i denti e ad andare avanti, a non fermarsi.
Perché non chiedere aiuto? Ci aveva provato, più e più volte, urlando con tutto il fiato che aveva nei polmoni, ma non era servito a niente, le sembrava di essere finita in una città fantasma.
Svoltò nuovamente a destra, ma posando male il piede sinistro finì per rotolare a terra, sbattendo infine contro l’ennesima recinzione in metallo.
 
Lievemente stordita si guardò intorno e ben presto il panico si impossessò di lei: era finita in uno di que dannati vicoli ciechi, circondata da alte pareti di cui non si vedeva la fine, l’unica possibile via di fuga era la recinzione, non poteva tornare indietro, lì c’era lui, lo sentiva.
- No, no, no, no! – si rialzò in fretta e ignorando i tagli e il dolore prese ad arrampicarsi sulla recinzione, facendo appello alla sua stessa anima, non c’era tempo, ogni secondo era prezioso. Non sarebbe morta lì.
- Non puoi scappare dal tuo ruolo, mia signora – quella voce spettrale le fece perdere un battito, si voltò per una frazione di secondo e lo vide: l’uomo con la maschera da giullare la stava raggiungendo, a passo svelto, ma con una tranquillità nei movimenti disumani. Sembrava che sapesse di non dover temere la fuga della sua preda.
 
Colta da una nuova ondata di paura e terrore prese a scalare l’intera recinzione, spinta dal puro istinto di sopravvivenza e stava per raggiungere la cima quando si sentì afferrare un piede:
- Lasciami andare, mostro! – urlò, strigendo la prese sugli anelli metallici, fulminando con lo sguardo quella maschera inespressiva.
- Quest’atto pretende la sua fine, il pubblico attende il suo finale. Non si può dipingere di bianco una rosa rossa, appassirebbe - sussurrò l’uomo che di rimando la strattonò per farla cadere come una mela dall’albero. Non poteva nulla contro quella forza, ma se fosse caduta, se avesse ceduto, semplicemente sarebbe morta. Vuoi davvero morire così?
Le bastò un attimo di lucidità: ritirò la gamba destra con uno scatto e sferrò un calcio dritto in faccia al suo cacciatore che colto alla sprovvista riuscì a schivarlo di poco, beccandosi ugualmente il tallone sulla maschera.
 
L’uomo indietreggò, abbandonando la presa, portando entrambi le mani al volto, sibilando parole che non riuscì a capire, parole cariche di odio e follia.
Quella era la sua occasione, senza pensarci due volte scavalcò la recinzione arrivando in cima e atterrando dall’altra parte riprese a correre ignorando le fitte di dolore.
Il suo sguardo danzava da una parte all’altra di quel luogo: dov’era finita? C’erano edifici in costruzione, impalcature, camion e quant’altro. Un cantiere?
La sua resistenza era ormai al limite, il fiato corto e la vista annebbiata erano solo gli ultimi due segnali d’allarme, presto sarebbe crollata inerme a terra e sarrebbe stato tutto vano.
Fu in quel momento che vide delle scale e spinta da chissà quale pensiero le imboccò, continuando a salire, continuando a correre, gradino dopo gradino. Cosa pensava di ottenere? Non lo sapeva, semplicemente voleva uscire da quella oscurità imposta e rivedere la luce del sole.
Il sole stava iniziando a tramontare, dipingendo il cielo di un caleidoscopio di colori caldi, dal rosso all’arancione, riflettendosi sulle vetrate dei grattacieli della skyline, sgattaiolando tra i vicoli polverosi della periferia. Una leggera brezza si muoveva silenziosa tra le nuvole e lei inspirò profondamente, lasciandosi cullare.
Eppure si rese conto che non aveva tempo per quello, l’illusione di tranquillità era durata quanto un fiocco di neve che si scioglie tra le mani, un battito d’ali. Si morse le labbra, non era giusto, nulla di quello che stava accadendo era giusto.
 
Si guardò intorno: era arrivata in cima, l’ultimo piano di quell’edificio in costruzione, non c’era alcuna via di fuga, tornare indietro equivaleva a gettarsi tra le braccia del suo aguzzino e saltare di sotto ad una morte atroce, era finita, la sua folle corsa era finita.
Correre, non poteva più correre, il fiato corto era l’epilogo delle sue forze, le gambe indolenzite dallo sforzo avrebbero ceduto da un momento all’altro.
Il suo cervello stava cercando come impazzito una soluzione a quella stessa trappola che si era costruita da sola quando udì i passi del cacciatore, il giullare era giunto in cima al palazzo, l’aveva trovata.
Non fece in tempo a voltarsi che qualcosa la inchiodò alla colonna di cemento alle sue spalle e quel gesto improvviso la fece sobbalzare per lo spavento, ma non sentì dolore: il pugnale lanciato dal giullare si era conficcato nella colonna lacerando la divisa scolastica all’altezza della spalla. L’aveva appesa come un quadro,quasi non le partì una risata ironica al pensiero.
 
L’uomo si avvicinò e ben presto la sua figura la oscurò: era molto più alto di lei, indossava degli indumenti di pelle scura pieni di cinghie e lacci, intrecciati a filamenti di un argento opaco che si perdeva negli stivali neri come la pece.
Una cappa lacera dai motivi sconosciuti gli copriva la parte destra del corpo, nascondendo il suo interno color porpora e l’apertura della camicia sovrastata dalla giacca. Eppure, nonostante quell’abbigliamento fosse molto particolare, la vera protagonista era la maschera da giullare, con la sua espressione gioconda e al tempo stesso terrificante, e quei dannati sonagli  che tentennavano ad ogni singolo movimento.
Quale persona malata di mente poteva mascherarsi a quel modo? Ora che poteva osservarlo da così vicino più che  di un giullare raffigurava le sembianze del Jolly, la carta più temuta. Tentò di muoversi, ma più che bloccata dal pugnale era pietrificata dalla paura.
 
L’uomo sospirò e sentì che la stava fulminando con lo sguardo nascosto dalla fessure della maschera, posò una mano sulla colonna e con l’altra si sfiorò le crepe  sulla guancia:
- Questa folle fuga si conclude qui, mia regina – sentenziò, dimostrando una freddezza disumana, anche se c’era qualcosa che lasciava trapelare stanchezza, frustrazione, dolore, o forse se lo stava solo immaginando.
- Lasciami andare, maledetto pazzo, lasciami andare! – urlò, dimenandosi come una bestia in catene, non riusciendo a pensare a niente se non a quelle parole. Fino a che punto puoi resistere alla paura prima che ti trasformi in una sua marionetta?
- Non posso, o non ci sarà più il giorno, né la notte, e questo tramonto si trasformerebbe in un’eterna eclissi. Questa città reclama la tua vita, i suoi morti la tua anima, io sono il mietitore, porterò a termine l’atto e farò calare il sipario anche questa volta – pronunciò ogni singola frase come se stesse recitando, gesticolando leggermente con la mano, senza mai staccarle gli occhi di dosso.
- Che cosa stai blaterando? Io non ti conosco, non ti ho fatto niente, perché? Perché mi stai facendo questo? Lasciami andare! – quelle parole non avevano alcun senso ma le avevano fatto gelare il sangue nelle vene, non riusciva più a tollerare quella situazione, non voleva morire.
 
- L’umanità pagherà per i suoi peccati, tu sei il sacrificio per l’epilogo di questa follia. Martire delle rose color sangue, signora degli amanti dannati. Regina di cuori – nel cantare quella sentenza di morte il cacciatore estrasse da sotto la cappa una lunga daga finemente decorata e senza esitazione la puntò al suo petto. Poteva sentire il freddo della lama sulla pelle nonostante la camicia della divisa e rabbrividì vedendone i riflessi rossastri causati dal tramonto.
Che sapore ha la paura della morte?



Note dell'autore: Salve gente! Era da tanto tempo che volevo pubblicare questa storia, ma per un motivo o per un altro non ci sono mai riuscito. Beh quel giorno è arrivato! Spero che questo primo episodio vi sia piaciuto, diciamo che è un antipasto di cosa vi aspetta nella storia vera e propria, che sarà carica di suspence, colpi di scena e situazioni mozzafiato. Un ringraziamento speciale per la copertina "provvisoria" va al mio coinquilino, in attesa di quella originale. Che dire, ci si vede al prossim episodio e....stay close!

 
   
 
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