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Autore: Margo_Holden    19/03/2016    1 recensioni
Con un passato travagliato alle spalle, mai del tutto superato, Hazel si trascina ogni giorno nel diner in cui lavora come cameriera, cercando di evitare tutti, perfino la vita stessa. Ma il destino è inarrestabile ed imprevedibile.
Così un giorno mentre si reca a lavoro, incontra lui.
Alex è un criminale, con una montagna di cicatrici e tatuaggi che parlano per lui, del suo passato, che come una tempesta lo ha corrotto dentro, fino a divorarlo, a distruggerlo, a cambiarlo.
Queste due anime che sembrano pianeti opposti, finiranno per convergere, nel modo più improbabile possibile.
Ma il loro non sarà amore, perché il cuore di Hazel è infestato dal veleno della vendetta, che l'acceca e la rende sorda. Nel suo personale inferno infatti, torreggia come un re, fra tutti i mostri, Alexander.
Così mentre una guerra tra gang divampa per la grande mela, e mentre Hazel sente su di sè, la costante presenza di due losche figure che sembrano reclamare il proprio sangue, i due riusciranno finalmente a lasciarsi il fantasma del passato alle spalle, per tornare a vivere?
[DA REVISIONARE]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 1

 
Era estate, un giorno come tanti, e mentre stava per entrare e spingere la porta, un uomo la precedette.
Era alto, quasi un metro e novanta, spalle larghe, petto ampio.
Era lui. Ma lei ancora non lo sapeva.
Come sempre aveva salutato John, il proprietario del locale dove lavorava e si era diretta verso gli spogliatoi per cambiarsi ed indossare la divisa (un vestito tra l’azzurro e il turchese, con davanti un grembiule bianco).
Lei non si occupava mai dei tavoli ma ben si, il suo lavoro era stare dietro il bancone, di quelli se ne occupava la sua collega.
Ma quel giorno il destino volle che se ne occupasse proprio lei, poichè Sally, la ragazza che lavorava con lei, si era assentata a causa di un improvvisa influenza.

Mentre passava tra i tavoli a chiedere chi volesse altro caffè, lo rivide.
Rivide l’uomo della porta intento a mandare messaggi dal suo iPhone nero, come tutto il suo vestiario di quella mattina.
-Vuole dell’altro caffè, signore?- chiese con la sua voce dolce, una voce che non gli era mai appartenuta prima di allora, ma sentiva, percepiva l’area negativa che l’uomo emanava e si ritrovò a pensare, che l’unico modo fosse quello di sembrare dolci e pazienti.
Ne aveva conosciuti di uomini così lei.
L’uomo alzò controvoglia gli occhi dallo schermo e li si accorse di che colore fossero.
Blu intenso senza alcuna sfumatura, ma erano freddi e piatti. Capaci di non emanare nessuna piccola emozione.
In quel momento l’uomo seduto con le gambe leggermente divaricate, i gomiti poggiati sul tavolino rosso e le mani intente a scrivere messaggi, gli faceva paura. Era qualcosa che mai prima di allora aveva provato. Lei che era stata arrestata ai tempi del liceo, una volta per aggressione, lei che conosceva solo il pericolo e di tutte quelle volte che si era trovata immischiata in situazioni sinistre, o più grandi di lei, non aveva mai sentito o magari solo percepito, quel senso di impotenza, quel senso di paura, che in quel momento, guardando l’uomo seduto a quel tavolo, su quella poltrona bianca sporca in pelle, stava provando.
-No, grazie- rispose freddo lui con un accento straniero nelle sua voce, tornando immediatamente al cellulare.
Lei passò oltre anche se, un tarlo gli si insinuò nel cervello, una cosa che gli faceva pensare di averlo già conosciuto. La cosa che più la destabilizzava era la sensazione di aver già sentito quella strana e sinistra paura, di averla provata a sue spese sulla pelle bianca, in un tempo che sembrava lontano, per gli altri, non per lei. E poi c’era quell’intenso profumo che aveva percepito quando gli era andata vicino la prima volta alla porta e poco fa, con il caffè. Uno di quei profumi che non si dimenticano facilmente se associati a vecchie ferite.
 
I giorni trascorsero veloci e non ci si soffermava più su quello che era accaduto o su chi si aveva avuto l’onore di conoscere, la sua vita era sempre stata un treno in corsa, poche fermate e se non sapevi cogliere l’occasione, ti lasciava a piedi. Ma di una cosa non si era ceto dimenticata. L’uomo dagli occhi blu. No, di quello no. E ogni volta che tornava nell’angolo dove pochi giorni prima si era seduto l’uomo, lei sentiva sempre dentro di se, quel senso di déjà-vu. Ed era diventato ormai una costante ogni qual volta metteva piede nel locale. Si odiava per la memoria corta che aveva e allora si interrogava: “era forse l’uomo che la sera prima aveva cercato di rimorchiarmi in discoteca?”
Ma poi si ricordava che lei era una vita che non andava in discoteca perchè anche quella faceva parte del suo passato tormentato.
Allora ripartiva con le domande a se stessa, ed ogni santissima volta, non c’era nessuna risposta adeguata.
“chi sei uomo misterioso?”
Questo era diventata ormai la sua domanda retorica che girava vorticosamente nella sua mente. E girava e rigirava, senza mai fermarsi.
 
Con il viso assorto su una rivista, il suo coinquilino-migliore amico, le sedeva di fronte.
I capelli rossi tinti, l’accenno di barba su quel viso giovane di appena 22 anni, i dilatatori neri alle orecchi e il piercing sul sopracciglio destro. Non amava per niente andare in palestra e lo amava per questo. Pensare di passare la vita a voler assomigliare a qualcun altro, è un grande spreco di quello che si è. La vita è una ed è già difficile capire il meccanismo che si cela dietro ad essa, fatta di trabocchetti e scelte, tante scelte. Se si sprecano quelle poche opportunità che essa ci regala, allora perché non accettarle per quello che si è? Perché fingere? Che cosa ci spinge a farlo? È forse mancanza di autostima? O di veri stimoli?
-Smettila di fissarmi, Hazel, sai che lo detesto!-
Beccata!
-Okay e tu lo sai che non me ne frega un cazzo, vero?- rispose lei, con un gran sorriso sulle labbra.
-Sempre molto delicata.-
Poi ci fu silenzio. Il rumore del televisore che trasmetteva un vecchio film in bianco e nero, era l’unica cosa che riempiva l’aria di quel condominio di Brooklyn, quella sera di inizio ottobre.
-Se ti dicessi che c’è un ombra che è tornata dal passato, tu che penseresti?-
All’improvviso quelle parole presero forma e consistenza, pronunciate poi, sembravano ancora più vere. Non lo sapeva nemmeno lei perché lo avesse fatto, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.
Chris alzò di nuovo gli occhi dal giornale e la guardò.
In quel momento la stava studiando. Quel metro e 70 di ragazzo, dallo stile indubbiamente grunge, la stava studiando. Erano pochi quello che potevano permetterselo. Hazel non regalava la sua amicizia a tutti. Ma solo ai giusti e alle menti malate.
Studiava i movimenti delle sue labbra, del corpo ma soprattutto cosa dicessero i suoi occhi grigi.
-Dipende.-
-Da cosa?-
-Dal tipo di ombra. È buona? Cattiva?-
Gli occhi verdi del ragazzo si posizionarono di nuovo sul giornale, ma questo non gli impediva certo di dargli l’attenzione dovuta. Gli stava lasciando il suo spazio.
-Il punto è che non lo so. È tutto così confuso e imprevedibile. Non so cosa fare e tanto meno da dove iniziare a cercare.-
-Cerca dentro di te, Hazel. Lo so che questo ti fa paura, ma devi farlo. Devi affrontare il passato per poterti godere il presente e così il futuro.-
Era facile per lui. Era facile parlare quando non si aveva quel passato in particolare, alle spalle. Anche se Chris aveva vissuto un adolescenza da autolesionista, quello che aveva dovuto sopportare Hazel era un altro tipo di dolore, più profondo e acuto, se vogliamo.
-Lo sai che è difficile e…- lasciò la frase a metà un po’ perché odiava parlare di quello e un po’ perché il magone tornava a galla e gli stritolava le corde e i polmoni e tutto il corpo, da impedirgli perfino di continuare.
Chris fece un cenno di assenso con il capo, quasi avesse capito la sofferenza dell’amica nel ripensare a quel passato tumultuoso e soffocante.
L’unico che sapeva.
Passarono alcuni minuti prima che il ragazzo ricominciasse a parlare.
-Sabato sera andiamo a ballare, tu ci vieni, Haz?-
Se glielo avesse chiesto il giorno precedente o il giorno precedente ancora, gli avrebbe risposto di no, perché doveva restarsene a casa a pensare e ripensare all’ombra e quindi a passare in rassegni i possibili candidati, a farsi male e a logorarsi dentro. Poi aveva paura di quello che la discoteca rappresentava per lei, o che comunque aveva rappresentato. Aveva una paura matta di poter ricadere in quel tunnel e non poterne mai più uscire.
Ma qualcosa la spingeva a dire si, qualcosa che nemmeno lei sapeva descrivere cosa fosse, da dove provenisse. Forse era dovuto al fatto che amava le feste, amava il fatto di potersi ubriacare e non pensare alle conseguenze, di fumare tanto e tornare a casa e puzzare come una ciminiera o una sala stile vecchio western. O era semplicemente per codardia.
-Si, dimmi l’ora e il luogo.-
Chris la guardò stranamente stupito, come se non fosse da lei fare qualcosa del genere.
In verità era così, cioè, era da giorni che rifiutava di andare a festeggiare con gli amici ma Hazel era anche questo, un giorno mare e l’altro tempesta.
La serata finì con Hazel che rimase sdraiata sul divano e Chris che continuò a leggere la sua rivista. Tutto in un placido silenzio accompagnato soltanto dal mormorio sconnesso  del televisore a basso volume, mentre figure di giovani uomini, vestiti di tutto punto, passavano sullo schermo nero.
 
   
 
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