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Autore: Sapphire_    19/03/2016    0 recensioni
Nella New York del ventunesimo secolo, Ophelia Winston è una diciannovenne con una vita piuttosto comune, con gli alti e bassi come tutti. Almeno fino a quando tre tizi dall'aria sospetta non la rapiscono (o salvano, a detta loro) e la portano alla sede di una delle due principali fazioni dei cosiddetti Malus Sanguis. E Ophelia si rende conto che avrebbe dovuto riconsiderare la sua visione di quotidianità.
Dal testo:
«Guardala: già dalla faccia si capisce che è fastidiosa. E poi mi spiegate perché sono stato io quello a doverla recuperare? L'idiota mi ha pure morso!» continuò lamentoso quel Nicky, Domi, o come cavolo si chiamava, iniziando a sventolare la mano ferita su cui spiccavano rossastri dei segni di denti.
«Tu mi stavi quasi impedendo di respirare» intervenne furente Ophelia.
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve, lettori e lettrici di EFP!
Dopo quasi due settimane di assenza, ecco il nuovo capitolo di questa mia originale. Era pronto già da alcuni giorni, ma dovevo dargli una sistemata e correggere alcune incongruenze, quindi mi ci è voluto qualche giorno in più.
Anche questo capitolo, come l'altro, non spiega granché della storia; anzi, credo che confonda ancora di più. In ogni caso tutto sarà più chiaro con il resto dei capitoli, in cui le informazioni saranno date pian piano per creare un po' di suspense.
Spero vi intrighino i personaggi e anche che non li troviate troppo banali, però li conoscerete meglio con l'andare della storia.
Ho notato che il primo capitolo non ha riscosso tanti commenti, ma in ogni caso spero che qualcuno apprezzi anche il secondo capitolo di questa storia a cui tengo particolarmente. Mi piacerebbe tanto che qualcuno mi dicesse un suo parere, qualunque esso sia, per poter migliorare o anche per spronarmi a continuare a scrivere, ma ringrazio comunque anche chi si limita soltanto a leggere!
Alla prossima!

~Sapphire

NOTE: non so se qualcuno di voi coglierà il riferimento agli occhiali di Maya*, comunque sia il nome è riferito al “velo di Maya” di Schopenhauer.





 ~Dirty Blood




Capitolo due

La situazione stava sfiorando i limiti dell'assurdo e, purtroppo, non parevano esserci miglioramenti all'orizzonte.
Va bene – più o meno – essere quasi stuprata, va bene anche essere “salvata” e portata in un luogo sconosciuto da tre pazzi con occhi multicolori, ma, davvero, perché il suo ragazzo si trovava legato e imbavagliato su una sedia, con un grosso taglio sulla fronte da cui continuava a scendere copiosamente sangue?
«Mathias?» ripeté balbettando Ophelia, per poi iniziare a tremare nuovamente terrorizzata.
«Sarebbe più corretto chiamarlo Aragorn» disse flemmatico quel ragazzo sconosciuto – pareva si chiamasse Sargas, giusto?

Ma quella che voleva essere un'informazione pacifica, perlomeno da parte di lui, non fu altro che la goccia che fece definitivamente traboccare il vaso. In questo caso il vaso era Ophelia, la quale iniziò a strillare al principio di una crisi isterica.
«Si può sapere che cazzo succede?! CHI SIETE VOI? Perché ci avete portato qui? Che avete fatto al mio ragazzo?» urlò, iniziando a piangere.
Mathias iniziò a divincolarsi, cercando inutilmente di slegarsi e ottenendo solamente un violento colpo alla nuca da Milly, che lo fissava con curiosità.
«Uh, gli hai applicato un sigillo?» chiese voltandosi verso il moro e ignorando su tutta la linea la povera Ophelia che si accasciò al suolo, pallida come se stesse per svenire da un momento all'altro. Cosa molto probabile, d'altronde.
«Ovvio. Anche se non so quanto sia necessario, è così debole che mi fa ridere»
Ophelia in quel breve scambio di battute si sentì chiaramente svenire e il busto le cedette per un attimo, crollando in avanti, e si sarebbe fatta male se non fosse stato per Claire che la afferrò appena in tempo; la mora le diede qualche piccolo schiaffo sul viso, cercando di farle riprendere colore. Ophelia sentì il sangue riprende a fluire, poi continuò a piangere.
«Sargas, non credi sia il caso di dirle qualcosa? Questa poveretta fra un po' sviene seriamente» bofonchiò con aria preoccupata Claire, cercando di tirare su Ophelia e facendo ondeggiare la chioma scura sui fianchi lasciati scoperti dal top nero.
Con fatica la fece alzare in piedi, per poi trascinarla su una poltrona posta affianco alla scrivania; il corpo di Ophelia si afflosciò sulla pelle nera, i capelli lisci spettinati e gli occhi messi in ombra dalla frangia.
«Che rottura» intervenne Domi.
«Potresti non lamentarti per cinque minuti? Grazie» fece ironica Claire.
«Non lamentarmi? Sono stato trascinato in questa situazione senza neanche averlo chiesto!»
«Ti ricordo che è il tuo lavoro»
«Non mi pare che il mio lavoro sia andare a recuperare ragazzine isteriche» continuò a battibeccare Domi, mentre Milly osservava la situazione ridendo e senza preoccuparsi di nasconderlo.
«Claire, Dominik: smettete di litigare. E tu, Maximilian, invece che ridere porta gli occhiali di Maya» intervenne gelido Sargas.
A Ophelia, non ancora del tutto ripresa, sembrò che più che arrabbiato il moro fosse tremendamente annoiato dalla situazione. A malapena si accorse che Max (finalmente il nomignolo acquisiva un senso!) uscì dalla stanza con aria annoiata, lasciando il gemello a sorvegliare scazzato quello che pareva essere un vero e proprio prigioniero.
Ma la ragazza si ridestò sentendo un gemito da parte del suo ragazzo. Sollevò lo sguardo verso di lui, gli occhi che si colmavano di nuovo di lacrime osservando i riccioli scuri bagnati di sangue e gli occhi vitrei. Nonostante si fissassero negli occhi, Ophelia si accorse di non cogliere nessuna preoccupazione da parte dell'altro: la fissava con odio e, quando la ragazza balbettò il suo nome, iniziò a divincolarsi nuovamente senza successo.
Dominik, di fronte allo sguardo scioccato dell'altra, lo afferrò violentemente per i capelli e gli portò indietro la testa, facendogli torcere in malo modo il collo.
«Vedi di stare fermo, bastardo, mi stai irritando» soffiò freddo, per poi lasciarlo andare. Si guardò poi la mano, macchiata di sangue, e sbuffò infastidito.
«Che volete da noi?» sussurrò Ophelia, stremata. Le sue parole erano così basse che Dominik, dall'altra parte della stanza, a malapena la sentì.
Sargas le lanciò un'occhiata, osservando come si fosse spenta all'improvviso senza più lacrime da versare, con l'amara luce negli occhi di chi si arrende all'impossibilità di cambiare la situazione.
«Da lui niente, è solo un incidente di percorso» rispose freddo il moro. Ophelia sentì un fastidioso nodo alla gola.
«E da me?» sussurrò, temendo la risposta.
Una risposta che però non arrivò in quanto l'altro tacque, limitandosi a fare un cenno a Claire. Quest'ultima allora si avvicinò di nuovo a Ophelia, accucciandosi di fronte a lei e fissandola con i grandi occhi castano-verde; ma lo furono solo per un attimo poiché, come a causa di uno strano gioco di luci, le iridi cambiarono colore diventando bianche come la neve, distinguendosi comunque dal resto dell'occhio.
Ophelia rimase ipnotizzata da esse: fissandosi dritte l'una nello sguardo dell'altra poté osservare accuratamente quel misterioso evento che aveva colto anche in Dominik ma che aveva pensato fosse solo un'allucinazione. E per un attimo pensò che anche in quel momento si trattasse di una cosa del genere, ma tutto era troppo reale per scambiarlo per una fantasia.
Le folte ciglia nere rendevano ancora più pungenti gli occhi, che però conservavano una particolare dolcezza nello sguardo candido nel quale la pupilla nera spiccava come uno spillo.
Il viso le si addolcì ulteriormente quando sorrise e lentamente le prese le mani – era Claire ad avere le mani bollenti o erano le sue a essere fredde come il ghiaccio? - stringendole con delicatezza.
All'improvviso, Ophelia sentì il grande masso che aveva dentro di sé alleggerirsi; era sempre lì, l'ansia e la paura non scomparivano del tutto, ma la sua mente si schiarì dalla nebbia fitta che fino a un istante prima l'avvolgeva e si rilassò, osservando la situazione con lucidità. La cosa comunque non fu molto utile, perché si accorse ancora di più della gravità della situazione – lei portata lì contro la sua volontà e il suo ragazzo picchiato e legato – ma, nonostante ciò, la sensazione di calma non scomparve, come se le fosse stato fatto un incantesimo.
La porta si riaprì con uno scatto e Max tornò dentro, in mano un paio di occhiali dalle vistose lenti viola. Le consegnò a Sargas sotto lo sguardo attento di Ophelia che aveva abbandonato la sicurezza degli occhi di Claire per osservare che succedeva.
Il ragazzo le prese con delicatezza per poi avvicinarsi a Ophelia. Non si chinò come aveva fatto Claire, ma la squadrò dall'alto, e sotto il suo sguardo la ragazza si pietrificò. Visto a quella così breve distanza Ophelia riusciva ad ammirarne ancora di più la bellezza, il viso perfetto privo di sensibilità.
Si era contrapposto alla luce che proveniva dal lampadario – lì dentro non c'erano finestre ad illuminare con la luce naturale, anche se sarebbe stato inutile considerando che ormai doveva già essersi fatto buio – e così facendo aveva coperto la giovane con la propria ombra.
Si sentì completamente oscurata, e non solo dal punto di vista fisico. Sargas quasi la schiacciava con la sua presenza fastidiosamente imponente.
«Indossali» ordinò solo, porgendole gli occhiali.
Il distacco dalle mani di Claire fu quasi doloroso, ma la sensazione di calma non l'abbandonò del tutto sotto lo sguardo attento della mora.
Li prese in mano, osservandoli: avevano una montatura dorata, antica e datata dal tempo, ma sempre luccicante e le lenti, notò meglio Ophelia, variavano la sfumatura di viola a seconda della luce.
Con cautela li indossò, per poi sentirsi una stupida ad aver paura di un paio di occhiali: cosa le avrebbero potuto fare d'altronde?
All'inizio non colse alcuna differenza se non il violetto che avvolgeva ogni cosa, poi si rese conto dell'aurea bianca, quasi argentea, che si espandeva dai corpi dei quattro astanti. Ma fu altro che la spiazzò.
Un gemito strozzato le sfuggì dalla bocca, per poi coprire quest'ultima con una mano, scioccata e terrorizzata al tempo stesso.
Mathias – o almeno, quello che fino a poco prima aveva le sue sembianze – non era più lui: al suo posto vi era una strana creatura dalla pelle fatta come di cuoio, grigia e opaca. La testa completamente calva ricoperta di incisioni e simboli rossi, la bocca dalle labbra inesistenti e gli occhi completamente blu, senza iridi, pupilla o altro. Era talmente magro da sembrare uno scheletro ricoperto di sola pelle.
«Ma che cazzo...» le sfuggì, shockata all'inverosimile.
No. Non poteva essere vero. Quella cosa non poteva essere vera. Doveva star avendo le visioni, non si poteva spiegare in altro modo una cosa del genere.
«Delizioso, non trovi?»
Il tono ironico di Dominik la risvegliò dalla trance in cui era caduta e terrorizzata si tolse gli occhiali, lanciandoli via sotto lo sguardo spaventato di tutti.
Max li afferrò appena prima che si schiantassero in terra, evitando un disastro.
«Ma sei fuori di testa? Questi valgono più di te!» le sibilò proprio Max, tenendo con cautela il prezioso oggetto e allontanandosi da Ophelia come se questa potesse alzarsi all'improvviso e romperglieli apposta.
Ma la ragazza, non sentendolo nemmeno, iniziò a strillare di nuovo.
«Che cazzo era?! Che cosa è successo?! Mi avete drogata!» iniziò a blaterare partita nuovamente di testa.
«Ma perché non la sediamo?» fu l'allegra proposta che Dominik fece con sguardo disgustato.
«Sono d'accordo con lui» fece Max.
«Ma perché non siete un po' più comprensivi?» rispose a tono la sorella.
«Ma perché non state tutti zitti?» fu il glaciale commento di Sargas «Pure tu. Se non la smetti di strillare come un'invasata, Aragorn sarà l'ultima cosa di cui ti dovrai preoccupare» sibilò in direzione di Ophelia, che si sentì di nuovo svenire.
«Grazie tesoro, bell'aiuto. Io sto qui cercando di farla calmare e tu fai queste fantastiche sparate» disse acida Claire. Afferrò ancora la mani tremanti della ragazza che si sentì di nuovo tranquillizzata, anche se rimaneva comunque un fascio di nervi.
Sargas la ignorò.
«Allora...» si interruppe.
«Ophelia» gli suggerì Claire sottovoce.
«Ophelia» ripeté il moro, per nulla scalfito «Come hai appena visto, Mathias non è quello che credi. Se è per quello, nemmeno tu lo sei. Mi spiace informarti che hai vissuto tutta la vita in una bugia» iniziò.
Ophelia impallidì per l'ennesima volta.
«Ma sei un idiota? Davvero, c'è da farti un applauso per come sei bravo a interagire con le altre persone» fece sarcastica Claire. In sottofondo, i due gemelli ridevano.
«Come glielo dovrei dire, scusa?» la guardò Sargas, iniziando a spazientirsi.
«Con un po' più di tatto magari. Ops, scusa, dimenticavo che l'hai perso con la simpatia»
Sargas le lanciò uno sguardo gelido.
«E fra un po' perderò anche la pazienza» fece un sorriso glaciale e Ophelia, ancora sconvolta, pensò vagamente che quella fu la prima vera espressione che gli vide fare.
«Cosa intendi?» fece con la voce spezzata.
Nella sua testa, una parte di lei cercava di riprendere il controllo del suo corpo e delle sue emozioni.
Doveva stare calma, urlare in maniera isterica non sarebbe servito a niente; inoltre, se ci ragionava con più lucidità, quei tre non le avevano fatto del male e non sembravano decisi a farlo, nonostante le frecciatine di Dominik. Era strano e si sentiva una sciocca ingenua a pensarlo, ma forse quei tizi non erano contro di lei. In fondo avrebbero potuto ucciderla o farle del male molto prima, invece sembravano volerla in qualche modo aiutare – anche se non era sicura che Dominik fosse d'accordo.
«Intendo che non hai mai saputo la verità riguardo ciò che sei e che ti abbiamo portato qui proprio per mostrartela» continuò Sargas.
Ophelia rise acida, riprendendo piano il controllo di sé stessa.
«Uh, davvero? E cosa dovrei essere allora? Se mi dici come lui uccidetemi, non lo sopporterei» fece con velata ironia.
Ormai non considerava più quel Mathias come il suo ragazzo. Lo guardava e vedeva solo quella creatura spaventosa. Un distacco emotivo stava avvenendo in lei per farle mantenere un briciolo di sanità, come accadeva al seguito di ogni abbandono che viveva.
Si conosceva: prima prendeva la situazione sullo scherzo, poi usciva di testa, infine diventava dura come l'acciaio, impedendo a tutto e a tutti di scalfire la corazza che si creava per sopravvivere emotivamente.
«Se fossi stata come lui non saremmo venuti a cercarti o, in caso, ti avremmo ucciso subito» disse incolore Sargas.
Dentro di sé, Ophelia tirò un piccolo sospiro di sollievo.
Allora non vogliono uccidermi, pensò.
«Quindi non volete uccidermi?» cercò una conferma.
«No»
Ed ecco la prima bella notizia della giornata.
«Allora volete torturarmi?» chiese. Non sapeva come stesse riuscendo a porre quelle domande con una tranquillità del genere; fino a pochi minuti prima era in piena crisi isterica.
«Non vogliamo farti del male in nessun modo» tagliò corto Sargas, spazientito.
«Parla per te» bofonchiò Dominik nelle retrovie.
«Siamo qui per aiutarti. So che potrebbe non sembrare così, ma, davvero, non devi temerci» interloquì Claire morbida. La mora le sfiorò i capelli color miele, prendendole con delicatezza una ciocca e giocherellandoci.
«Va bene» disse solo Ophelia.
In fondo, cos'altro avrebbe potuto fare? Anche se tutta quella fosse stata una menzogna, di certo non sarebbe potuta fuggire: l'avrebbero ripresa senza il minimo sforzo e inoltre non era sicura di sapere la strada per uscire da quel labirinto.
Notò gli sguardi straniti dei quattro, ma non nessuno commentò. Era meglio che rimanesse tranquilla.
«Quindi ora che si fa?» chiese Max.
Già. Che si faceva?
«Non dovresti avvertire Lisander?» domandò Claire.
«Mio padre è a Bucarest con Morgana, non ho modo di contattarlo. Il bastardo ha lasciato me a gestire i suoi problemi» borbottò Sargas con un vago cenno in direzione di Ophelia.
Ah, quindi era pure un problema ora?
«Lasciamola da qualche parte e aspettiamo che tuo padre torni, poi se ne occuperà lui» disse Dominik.
«Allora potremmo anche aspettare in eterno» bofonchiò Claire, alzandosi ma non lasciando andare la mano di Ophelia che aveva ripreso. La bionda, del canto suo, non voleva lasciargliela: sembrava che avesse lo strano potere di tranquillizzarla.
«E lui?» chiese ancora Max, indicando invece Mathias – o Aragorn, o qualsiasi altra cosa fosse.
«Lo uccidiamo» risposero in coro gli altri tre.
Ophelia impallidì.
«Cosa?»
Sargas le lanciò un'occhiata di sufficienza.
«Beh, a patto che tu non voglia continuare a starci» disse melenso.
L'apatia sembrava averlo abbandonato, per lasciar spazio a delle emozioni più umane.
«Ma...» iniziò la ragazza «Non potete uccidere una persona!»
«Ti sembra una persona quella?»
Ophelia tacque.
«Se non è una persona, allora cos'è?» chiese.
Il silenzio cadde nella stanza.
«È lungo da spiegare» disse Sargas, e i suoi occhi aggiunsero “e io non ho voglia di spiegartelo”.
«Abbiamo tempo no?»
«No» fece secco Dominik, alzandosi di scatto.
«Se qui abbiamo finito io vado, ho una partita in sospeso con Abel e quel bastardo l'ultima volta mi ha fatto tornare in mutande, devo prendermi la rivincita» disse rapido, praticamente correndo verso la porta.
«Prima di correre via, tu e Max occupatevi di questo tizio» lo bloccò Sargas. Il biondo fece una smorfia, ma senza dire niente tornò indietro e insieme al fratello costrinse il tizio a mettersi in piedi, slegandolo dalla sedia.
Mathias cercò di fuggire, ma i due gemelli lo afferrarono per le braccia e gliele torsero, costringendolo a seguirli.
«Beh, ci si vede» disse con un sorriso Max e, senza che Dominik aggiungesse nulla, si dileguarono.
«Dove lo stanno portando?» fece preoccupata Ophelia.
«Non credo tu lo voglia sapere. E poi dimenticati di quello lì, era solo un mostro che ti stava ingannando per prenderti gli occhi» rispose Claire.
«Cosa?»
«Perfetto: Claire, occupati di lei. Portala da qualche parte, spiegale il necessario e poi domani faremo qualcosa. Ti avviso stasera» e senza aggiungere altro, anche il moro prese il volo.
«Evviva» fece sarcastica Claire, ma vedendo l'improvviso sguardo spaesato dell'altra sospirò.
«Andiamo» disse solo, e Ophelia abbassò gli occhi.
E adesso?

Abel Houbraken non era un tipo molto paziente.
Per questo quando Dominik – il caro, dolce, bastardo Dominik – arrivò dopo più di un'ora di attesa, sentì l'istinto omicida che si faceva strada in lui.
«Finalmente. Iniziavo a pensare che gli strozzini mi avessero fatto un favore e ti avessero finalmente accoppato» soffiò sarcastico.
«Muori» fu il felice augurio che gli venne di risposta.
Lo squadrò in silenzio. Beh, Domi non era di certo un tesoro di simpatia, ma doveva aver avuto una brutta giornata se si limitava a borbottargli “muori” – senza scalfirlo minimamente, ovvio – e a sedersi con malagrazia nella sedia dall'altra parte del tavolino.
Dopo un paio di secondi arrivò anche Maximilian, con il solito sorriso divertito stampato in faccia, che prese un'altra sedia e si mise a cavalcioni vicino al fratello.
«Magari un'altra volta» disse poi Abel «Deduco tu abbia avuto una bellissima giornata»
Dato che il fratello non accennava a rispondere, ma si limitava solo a fare un cenno all'uomo dietro il bancone, Max intervenne.
«Sargas ci ha spedito a recuperare una ragazzina isterica»
«Ma dai. E chi sarebbe?»
«Una da sopprimere» rispose velenoso Dominik.
«Adorabile» commentò il ragazzo.
Lanciò poi uno sguardo al locale: lo Spectrum era ancora mezzo vuoto, in fondo era ancora presto per la vita notturna tipica del posto. Si sentì perciò autorizzato a parlare senza il rischio di orecchie indiscrete, complice il fatto che gli altri giocatori dovevano ancora arrivare – com'è che tutti si stavano prendendo il brutto vizio di arrivare in ritardo? Il poker era una cosa seria!
«Non sapevo che Sargas fosse il tipo da ragazzine isteriche» continuò versandosi altro gin nel bicchiere vuoto. E tanti saluti se era a stomaco vuoto.
«Sargas è un tipo da prendere e sbattere al muro»
«Ignoralo, è arrabbiato perché ha mandato noi a recuperare i suoi affari»
«Che affari?» chiese con nonchalance.
«Cazzi nostri» rispose con la solita delicatezza Dominik, accendendosi una sigaretta e sbuffandogli il fumo in faccia. Abel scrollò le spalle, accedendosela a sua volta.
«Era solo per fare conversazione» rispose placido.
«Immagino» rispose sarcastico il biondo.
«E Amadeus come se la passa?» chiese Max.
Abel fece una smorfia sentendo nominare il suo capo.
«Lasciamo perdere, sono giunte voci di strani traffici di Omega e dei Grigi sono andati a fargli una sorpresina. Poi si è attaccato alla bottiglia e non so che fine abbia fatto»
«Ma dai, chi ha fatto la soffiata?» tubò Max, divertito al massimo.
«Che ne so, stanno sospettando di quei viscidi francesi che stanno cercando di farci lo scalpo da un po', ma non abbiamo prove» rispose Abel annoiato, senza tentare nemmeno di nascondere gli effettivi traffici del suo collega. Tanto sapeva che prima o poi sarebbe uscito fuori qualcosa, se da parte dei francesi o di altri non gliene importava. Omega gli stava pure sul cazzo.
«Rapite un francese e fatelo cantare, no? Di certo Amadeus saprà come farlo» fece ironico Max.
«Non so, non che me ne importi a dire il vero» rispose annoiato Abel.
Poi, senza dire una parola, vide Dominik attaccarsi al bicchiere e non staccarsi più.
Sorrise vedendo entrare nel locale Clay e Drake.
«Smettiamo di parlare di lavoro. Siamo qui per giocare no?»
Dominik ghignò.
«Siamo qui per farti il culo» fece melenso.
Abel rise. Beh, in fondo poteva sempre provarci.

Il suono del traffico giungeva lontano alle orecchie di Sargas Van Middlesworth.
Di lontane origini inglesi e tedesche, era l'unico discendente di Lisander Van Middlesworth, uomo dai troppi anni e dalle troppe amanti, che preferiva dedicarsi alla fidanzata di turno piuttosto che al figlio.
Ma Sargas non veniva toccato dal comportamento del padre, piuttosto era infastidito che gli avesse lasciato una patata bollente tra le mani senza dargli ulteriori informazioni.
Non sapeva cosa fare con quella ragazzina!
«Quando torna lo uccido» sibilò tra sé, accartocciando la lettera che gli era stata lasciata dove Lisander, con il solito imperioso modo di fare, gli ordinava di andare a recuperare una ragazza. Una ragazza che non aveva mai sentito nominare.
Aveva solo una foto di lei – che non sapeva come era finita nelle mani del padre, ma non gli interessava – e dietro c'era scritto solo NYC.
Sospirò, sedendosi sulla poltrona di fronte alla portafinestra. Gli occhi vagavano nel buio della stanza, rischiarata di poco dalle luci della città che filtravano attraverso la tenda sottile, ma per lui non era un problema l'oscurità, grazie ai suoi occhi bianchi avrebbe visto sempre e comunque.
Si accese una sigaretta, per poi massaggiarsi la testa sentendo pulsare le tempie.
Era stanco.
Aveva sprecato giorni cercando di rintracciare quella ragazzina – com'è che si chiamava? Giusto, Ophelia – sembrava introvabile! E poi quando l'aveva finalmente raggiunta e osservata si era reso conto di come fosse... normale. Aveva cercato di cogliere qualcosa in lei, ma non aveva sentito nulla. Forse si aspettava chissà che cosa, specialmente da come il padre la volesse a tutti i costi e da come il suo ragazzo – toh, che casualità! - in verità fosse un disgustoso Deviato mutaforma che sembrava attendere il momento giusto per avventarsi su di lei.
C'era qualcosa in lei, anche se ancora non sapeva cosa esattamente.
All'improvviso lo specchio appeso nel muro affianco alla porta si illuminò di un vago bagliore, attirando il suo sguardo, poi si fece come liquido e sbucò un foglietto rettangolare che cadde a terra con un fruscio appena percettibile.
Con un vago movimento della mano quel biglietto planò verso di lui.
Lesse le poche parole scritte con grafia frettolosa disordinata per poi fare una smorfia.
A Ophelia avrebbe pensato in un altro momento, ora aveva altre cose a cui pensare.

  
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