There's no hate,
There's no love
Only dark skies that hang
above
I call your
name as I walk alone
Send a signal to guide me home
Light the night up, you're my dark star
And now you're
falling away
( https://www.youtube.com/watch?v=r-kCm6gpu2A)
Parte
Prima: To Drown
Capitolo Quinto.
Dodici
anni prima
Miami
Dade
Laboratori
della Scientifica .
Melrose
non era abituata a fallire.
Per quello, una volta sbagliata
completamente l’interpretazione delle prove su un caso all’apparenza semplice,
si era chiusa in stessa, arrabbiata con le sue abilità.
Poteva fare di meglio.
Doveva fare di meglio.
Suo padre sembrava tranquillo, non
tanto perché l’analisi era sommaria e l’indagine preliminare, ma soprattutto
perché era seriamente convinto che fosse solo frutto di una banale svista.
Quando però le aveva caldamente
consigliato di farsi un giro e mangiare qualcosa prima di tornare in
laboratorio, si era decisamente scaldata.
Non era più una bambina, poteva
lavorare dieci ore filate sorretta solo dallo spirito forte del caffè nero.
Seduta davanti alla centrale, sul
bordo del marciapiede, non si era
nemmeno accorta di Speed. Si era avvicinato con le
mani nelle tasche dei jeans sgualciti e si era seduto accanto a lei “Ho una domanda.”
“Se è riguardo al caso Parker no,
non ho ancora avuto il piacere di ricomporre la vetrata visto che papà mi ha
praticamente cacciata dal laboratorio.”
“A dire il vero, la domanda centra
con noi due.”
La rossa alzò gli occhi nei suoi
“Spara.”
“Hai parlato della nostra storia con
Callight, per caso?”
Mel
scrollò le spalle “Non so, è possibile.” si lasciò sfuggire un sospiro
nervoso mentre parava in dietro i lunghi capelli “Senti, siamo dei criminologi,
no? Tutti sanno tutto di noi ormai. Papà da per scontato che sono da te se non
rientro e mi chiede sempre come stai quasi come se lui non avesse mai a che
fare con te. Eric ci prende sempre in giro. Alex mi ha chiesto perché, il
natale scorso non abbiamo fatto la cartolina di auguri insieme.” fece una pausa
“Non credi sia ora di lasciar stare tutto e uscire allo scoperto? Sai, non mi
dispiacerebbe uscire qualche volta con i colleghi e comportarci come quando
siamo nascosti dalle pareti di casa tua.”
“Per te è facile parlare, chi ci
rimette la faccia sono io.” disse l’uomo ovvio, facendola infuriare ancora di
più. “Sei la figlia del capo, Mel!”
“Ti vergogni di me, quindi??”
“Non travisare la mie parole.”
Rispose cautamente l’uomo “ Solo che sono più grande di te e non di poco, sei
la figlia di Horatio Caine,
quindi tutti potrebbero additarmi come un arrampicatore sociale.”
Melrose
si alzò di scatto “Senti, fino a che non sarai in grado di capire cosa vuoi
davvero e finalmente deciderai di non trattarmi come se volessi solo venire a
letto con me, beh... Vieni a cercarmi, Speedle.”
“Melly…”
“No, col cavolo! Tutti pensano che
io sia una sorta di scopa-collega per te. E io sono stanca…”
“Melrose,
ma io-”
Non fece nemmeno in tempo a comporre
una frase sensata che la ragazza era sparita, tornando dentro ai laboratori.
Tim portò le mani al viso,
soffocando in esse un urlo esasperato.
Era complicata, quella ragazza.
July,
12 2013.
Luogo e ore
sconosciuti.
Quando Melrose aprì gli occhi, non realizzò per bene cosa stava
succedendo .
Si trovava
in un cubicolo buio e a giudicare dalle vibrazioni era in movimento.
Tentò di
muoversi ma le mani e i piedi erano bloccati da delle corde e del nastro
adesivo sulla bocca le impediva di emettere anche il più piccolo suono. Non che
volesse farlo, dopotutto.
Se il
lavoro le aveva insegnato qualcosa, era ad essere un minimo astuta.
Decise di
rimanere in silenzio fino a che quel veicolo, presumibilmente il bagagliaio di
una furgone, avrebbe finito la sua corsa e poi avrebbe provato a scappare.
Esso si
arrestò dopo quelle che le sembravano ore, tempo che passò rimuginando sul
possibile motivo per il quale si trovava in quel casino, e, appena sentì
qualcuno intento ad aprire il bagagliaio chiuse gli occhi, fingendosi ancora
svenuta.
Un paio di
voci distinti la colpivano mentre notava il cambiamento di luce nonostante le
palpebre abbassate “Guarda, sta ancora dormendo” disse la prima voce,
ridacchiando “Appena il signor Mardock la vedrà ci
pagherà a potremo squagliarcela prima di trovarci addosso Caine
e la sua squadra.”
Il secondo
sospirò prendendo Mel per le spalle e girandola per poterla prendere in braccio
“Non vedo l’ora di tornare in Florida, qui non mi piace per nulla.”
Melrose ascoltava, sempre fingendosi
incosciente, tremando internamente.
Non era più
in Florida?!
Dove
l’avevano portata?!
A giudicare
da quello che quei due avevano detto conoscevano molto bene anche la fama di
suo padre, quindi loro erano senza dubbio dei mercenari assordati da un certo Mardock….
Si fece
trasportare sempre a occhi chiusi e attese il momento propizio per tentare la
fuga.
Esso arrivò
nell’esatto momento in cui uno dei due si allontanò, e l’altro la appoggiò a
terra prima di uscire a sua volta.
Solo a quel
punto Melrose aprì gli occhi, appena la porta venne
agganciata, e si guardò attorno.
Sembrava un
ripostiglio o comunque una stanza di deposito, tutta in cemento con solo una
microscopica finestrella e una porta di ferro a tenuta stagna.
Mentre
osservava quel luogo vide qualcosa, nella penombra.
Anzi,
qualcuno.
Stesa a
terra dall’altra parte della stanza rispetto a lei c’era una giovane ragazza,
con lunghi capelli castani scuri.
Anche lei
era legata e imbavagliata esattamente come lei, ma si trovava ancora in uno
stato di totale incoscienza.
Ringraziando
gli anni di danza riuscì a passare le braccia da dietro a davanti e a strappare
il nastro adesivo dalle labbra. Si mise poi sulle ginocchia e gattonò verso la
mora, appoggiandole una mano alla gola e sentendone nitido il battito cardiaco.
“Signorina
mi, sente?”
La scosse
piano per una spalla, mentre si guardava attorno per cercare qualcosa con cui
tagliare le corde e liberarsi così i polsi, ma non vide nulla.
Appena
riabbassò gli occhi li scontrò con quelli della giovane, grandi e luminosi. La
ragazza si guardò attorno nel panico, muovendo freneticamente il collo.
“Si calmi.”
disse la rossa strappando il nastro adesivo dalla bocca dell’altra “Io sono Melrose Caine, polizia
scientifica di Miami.” a quelle parole la morsa sgranò gli occhi aprendo appena
la bocca “Le garantisco che andrà tutto bene. Sa dirmi il suo nome?”
“Sì io sono
Andrea di Maio, sono un detective della Omicidi di
New York, trentaduesimo distretto.” a quel punto fu il turno della rossa, di
stupirsi.
“New York? Siamo a New York quindi?”
La mora scosse
piano il capo “Prima ero legata e imbavagliata in quello che dal suono sembrava
un piccolo elivelivolo. Forse un volo charter. Poi mi
hanno sedata di nuovo.”
La rossa si
appoggiò con la schiena contro una parete, guardando con apprensione le corde.
Si lasciò prendere dallo sconforto per alcuni minuti e poi si rialzò di scatto
“Voltati, ti slego le corde…”
La mora
annuì e la lasciò fare, ma la rossa con entrambi i polsi legati trovò un po’ di
difficoltà nell’impresa.
Stava per
riuscirci quando la porta si aprì e dentro entrarono un paio di uomini con in
mano dei panni imbevuti di quello che certamente era cloroformio.
Le due
ragazze si scambiarono uno sguardo, sicure che qualsiasi tentativo avrebbero
potuto fare sarebbe miseramente fallito.
Dodici anni anni e mezzo prima,
Las Vegas,
Nevada
Harper
rientrò alla scientifica con in mano tre buste di reperti da analizzare.
Trovare la scena del crimine primaria era stata
davvero un’impresa, ma grazie alle ottime competenze di Archie
e ad un cellulare perso dalla vittima era riuscita nel suo intento.
Passando per la centrale di polizia fu
intercettata da Brass che le si affiancò “Il sospettato si chiama Albert Priscol…” lesse velocemente dal suo taccuino “Era il
fidanzato della vittima. È andato al Desert Palm
questa mattina per far controllare un taglio e applicare qualche punto, ma poi
si è sentito male e l’hanno trattenuto.”
“Male?” chiese la giovane fermandosi davanti
all’ascensore che, gentilmente, il Capitano chiamò per lei “Grazie, Jim”
Lui fece un cenno col capo “Ho mandato un agente
a prelevarlo visto che a quanto pare aveva fretta di firmare le carte per
essere dimesso. Visti i suoi precedenti è stato facile ottenere un mandato per
un campione di DNA.”
“Precedenti?” chiese la bionda, incuriosita.
“Percosse.” Disse l’uomo, con tono quasi ovvio
“Ha preso un tubo e ha rotto i fanali ad un cameriere che a suo avviso si era
comportato sgarbatamente, prima di riservare lo stretto trattamento alle sue
gambe”
“Contando che la vittima è stata trovata col viso
ridotto ad una polpetta…” riflettè
pensierosa la giovane, mentre le porte si aprivano “Ci sono buone probabilità
che sia stato lui. Interroghiamolo e
mandiamo il DNA a Greg, ma prima analizzo questi vestiti e cerco qualcosa dal
contenuto di un cestino.”
“Lavori sola al caso?” domandò Brass.
“Si sono sola!” riuscì a rispondere lei, prima
che ascensore ripartisse verso i piani alti della scientifica. Una volta
arrivata consegnò i referti all’addetto perché li annotasse e si raccomandò di
farglieli avere subito per poter iniziare a lavorarci su.
Una pausa caffè nell’attesa non era male come
idea.
Entrò nella sala ricreativa dove Nick stava
parlando al telefono. Le lanciò un saluto e un sorrisetto prima di tornare ad
inveire contro Dio solo sa chi, voltando le spalle alla ragazza che intanto si
stava versando un po’ di caffè in una tazza del dipartimento.
Hodges scivolò nella stanza con in mano una cartellina “Non
indovinerai mai cosa ho trovato nel sistema circolatorio della vittima” disse
con una certa soddisfazione.
“Valium” rilanciò lei, prendendo un sorso di
caffè. Lui ci rimase male, e le passò stizzito il foglio “Non prendertela, D…. c’era la casa piena di flacconi
vuoti!”
“Anche lei ne era piena.” Decretò lui,
incrociando le braccia “Il livello nel sangue era così alto che penso sia
questa la causa della morte, non i colpi in testa”
“Interessante” fu il solo commento della bionda,
mentre osservava Greg avvicinarsi dall’altra parte del muro di plexiglass
“Secondo te Sanders ha già lavorato sui i miei
campioni?”
“Sei positiva” commentò acidamente Hodges, prima di sorridere ruffiano “Solo io sono zelante.”
Greg li raggiunse salutando con un cenno Stokes “Devi venire con me” disse poi alla bionda “Grissom ci aspetta nel suo ufficio” disse tentennante,
ignorando il collega che lo stava guardando male.
“Ci?” domandò stupita Harper prima di prenderlo a
braccetto e incamminarsi con lui fino all’ufficio del capo, lasciando David con
in mano la tazza del caffè.
Greg rimase in silenzio durante tutto il tragitto,
così la bionda lo bloccò prima di entrare “Hey.” gli
accarezzò il braccio, spostandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio “Ho
fatto qualcosa di sbagliato, per caso?”
Lui sgranò gli occhi “Cosa- No! Assolutamente no…. Solo.” si morse le labbra “Meglio parlarne con Grissom,.” disse guardandola negli occhi, prima di chinarsi
su di lei a lasciarle un bacio veloce sulle labbra.
Entrarono uno dopo l’altra nell’ufficio del capo.
Gil alzò gli occhi, schermati dagli occhialetti, su di loro,
invitandoli a sedersi davanti a lui.
Sembrava molto concentrato su delle carte.
Entrambi presero posto su due sedie, posizionate
davanti alla scrivania. “Ho fatto qualcosa di sbagliato?” chiese titubante la
ragazza, ma Grissom scrollò il capo.
“Vorrei parlarti di una cosa, per avere delle
rassicurazioni. Ora non c’entra il lavoro.”
Lei ascoltò con attenzione, ma senza capire.
Greg invece si limitò a fissare gli occhi sul
pavimento.
Gil si sfilò gli occhiali, prima di puntare gli occhi in quelli
della bionda.
“Vorrei conoscere la natura del tuo rapporto con
Heather Kessler.”
Harper tirò un pallido sorriso, come se se lo
aspettasse. Se lo aspettava va tempo, dopotutto.
“Lei è, sfortunatamente, mia madre.”
July 12 , 2013.
Ore
10.00 am.
Las
Vegas,
Laboratori
della polizia scientifica.
Aubree era silenziosa quanto il padre e
con lui condivideva anche lo stesso cipiglio pensieroso.
Nonostante i
divanetti della sala relax non fossero di certo comodi, la bambina aveva
dormito tutta la notte. Era stata la sola a trovare riposo.
Gli altri
avevano lavorato incessantemente e nell’andirivieni continuo di persone, Lady
Heather non aveva trovato riposo.
Anzi, si
era dannata più che mai, domandandosi cosa stesse succedendo a sua figlia.
La sua
unica figlia, ormai.
Ancora ricordava
quando era morta Zoe. La sua piccola Zoe.
Era stato
tremendo, aveva rischiato di perdere se stessa e Harper, allora. E adesso,
rischiava di rivivere nuovamente una situazione simile.
Non avrebbe
retto alla tensione, ma avere vicina la giovane nipotina la aiutava a mantenere
i nervi saldi.
“Nonna?”
La donna,
ancora bellissima, si voltò verso le piccola, scostandole una ciocca di capelli
chiari dal viso, per poterlo accarezzare “Dimmi, tesoro mio.”
“La mamma è
stata rapita, vero?”
Heather non
rispose subito, perché si prese del tempo per pensare al motivo per cui Bree fosse così recettiva. Così sveglia.
Aveva due
genitori a cui era impossibile nascondere qualcosa e lei sembrava aver
ereditato un certo acume. Le accarezzò i capelli, prima di passare il braccio
attorno alla sua spalla, lanciando un’occhiata al disegno che stava facendo “Sì,
tesoro.” Le rispose, con tono carezzevole.
La bambina
abbassò gli occhi sui pastelli a cera, stringendo fra le mani quello verde,
prima di rialzare le iridi color miele in quelle chiarissime della donna “Papà
la troverà.”
Heather sorrise
“Ne sono sicura…” le disse, prima di alzarsi “Rimani
qui, la nonna deve chiamare un vecchio amico.”
Bree annuì, tornando a dedicarsi al suo
lavoro e consentendole di alzarsi.
Heather prese
il telefono dalla tasca dei pantaloni neri, uscendo dalla stanza, ma rimanendo
davanti alle vetrate per non perdere di vista la bambina.
Non l’avrebbe
persa d’occhio nemmeno un istante, non sapevano chi aveva preso Harper, né perché.
La donna
iniziò a scorrere la rubrica e solo quando trovò il numero, portò il telefono
all’orecchio.
Non aveva
parlato a Greg di quell’idea.
Quell’uomo,
che non riusciva a decifrare, che trattava sua figlia come una principessa e
poi la abbandonava, non avrebbe tenuto per sé la cosa e c’è chi si sarebbe
sentito scavalcato.
Ma necessità
faceva virtù in quel caso, e lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per riportare a
casa Harper.
Al quarto
squillo,una voce rispose.
E Heather
si sentì già più tranquilla.
“Gil?”
-…Heather.-