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Autore: Chemical Lady    21/03/2016    2 recensioni
Crossover delle tre serie CSI: Las Vegas, Miami e New York.
La stanza era silenziosa, totalmente scura se fatta eccezione per una lamina di luce che sembrava provenire da sotto ad una porta.
Le faceva male la testa, ogni osso del suo corpo come se si fosse improvvisamente presa una brutta influenza.
Era confusa, spaventata, ma non sola.
Sentiva qualcuno muoversi accanto a lei di tanto in tanto e, a quei fruscii, seguiva un mugugno acuto, femminile e sofferente. Non poteva scoprire chi ci fosse lì, con lei, poiché i polsi e le caviglie legati le impedivano di spostarsi, ma quella persona non doveva passasela meglio di lei.
In un certo senso, il pensiero di avere qualcuno accanto la rinfrancò. Almeno non era sola, aveva una speranza di scappare. Solo, come?
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Greg Sanders, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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There's no hate,

There's no love

Only dark skies that hang above

I call your name as I walk alone

Send a signal to guide me home

Light the night up, you're my dark star

And now you're falling away
https://www.youtube.com/watch?v=r-kCm6gpu2A)

 

 

Parte Prima: To Drown 
Capitolo Quinto. 

 

 

 

 

Dodici anni prima

Miami Dade

Laboratori della Scientifica .

 

Melrose non era abituata a fallire.

Per quello, una volta sbagliata completamente l’interpretazione delle prove su un caso all’apparenza semplice, si era chiusa in stessa, arrabbiata con le sue abilità.

Poteva fare di meglio.

Doveva fare di meglio.

Suo padre sembrava tranquillo, non tanto perché l’analisi era sommaria e l’indagine preliminare, ma soprattutto perché era seriamente convinto che fosse solo frutto di una banale svista.

Quando però le aveva caldamente consigliato di farsi un giro e mangiare qualcosa prima di tornare in laboratorio, si era decisamente scaldata.

Non era più una bambina, poteva lavorare dieci ore filate sorretta solo dallo spirito forte del caffè nero.

Seduta davanti alla centrale, sul bordo del marciapiede,  non si era nemmeno accorta di Speed. Si era avvicinato con le mani nelle tasche dei jeans sgualciti e si era seduto accanto a lei “Ho una domanda.”

“Se è riguardo al caso Parker no, non ho ancora avuto il piacere di ricomporre la vetrata visto che papà mi ha praticamente cacciata  dal laboratorio.”

“A dire il vero, la domanda centra con noi due.”

La rossa alzò gli occhi nei suoi “Spara.”

“Hai parlato della nostra storia con Callight, per caso?”

Mel  scrollò le spalle “Non so, è possibile.” si lasciò sfuggire un sospiro nervoso mentre parava in dietro i lunghi capelli “Senti, siamo dei criminologi, no? Tutti sanno tutto di noi ormai. Papà da per scontato che sono da te se non rientro e mi chiede sempre come stai quasi come se lui non avesse mai a che fare con te. Eric ci prende sempre in giro. Alex mi ha chiesto perché, il natale scorso non abbiamo fatto la cartolina di auguri insieme.” fece una pausa “Non credi sia ora di lasciar stare tutto e uscire allo scoperto? Sai, non mi dispiacerebbe uscire qualche volta con i colleghi e comportarci come quando siamo nascosti dalle pareti di casa tua.”

“Per te è facile parlare, chi ci rimette la faccia sono io.” disse l’uomo ovvio, facendola infuriare ancora di più. “Sei la figlia del capo, Mel!”

“Ti vergogni di me, quindi??”

“Non travisare la mie parole.” Rispose cautamente l’uomo “ Solo che sono più grande di te e non di poco, sei la figlia di Horatio Caine, quindi tutti potrebbero additarmi come un arrampicatore sociale.”

Melrose si alzò di scatto “Senti, fino a che non sarai in grado di capire cosa vuoi davvero e finalmente deciderai di non trattarmi come se volessi solo venire a letto con me, beh... Vieni a cercarmi, Speedle.”

Melly…

“No, col cavolo! Tutti pensano che io sia una sorta di scopa-collega per te. E io sono stanca…

Melrose, ma io-”

Non fece nemmeno in tempo a comporre una frase sensata che la ragazza era sparita, tornando dentro ai laboratori.

Tim portò le mani al viso, soffocando in esse un urlo esasperato.

Era complicata, quella ragazza.

 

 

 

 

July, 12 2013.

Luogo e ore sconosciuti.

 

 

Quando Melrose aprì gli occhi, non realizzò per bene cosa stava succedendo .

Si trovava in un cubicolo buio e a giudicare dalle vibrazioni era in movimento.

Tentò di muoversi ma le mani e i piedi erano bloccati da delle corde e del nastro adesivo sulla bocca le impediva di emettere anche il più piccolo suono. Non che volesse farlo, dopotutto.

Se il lavoro le aveva insegnato qualcosa, era ad essere un minimo astuta.

Decise di rimanere in silenzio fino a che quel veicolo, presumibilmente il bagagliaio di una furgone, avrebbe finito la sua corsa e poi avrebbe provato a scappare.

Esso si arrestò dopo quelle che le sembravano ore, tempo che passò rimuginando sul possibile motivo per il quale si trovava in quel casino, e, appena sentì qualcuno intento ad aprire il bagagliaio chiuse gli occhi, fingendosi ancora svenuta.

Un paio di voci distinti la colpivano mentre notava il cambiamento di luce nonostante le palpebre abbassate “Guarda, sta ancora dormendo” disse la prima voce, ridacchiando “Appena il signor Mardock la vedrà ci pagherà a potremo squagliarcela prima di trovarci addosso Caine e la sua squadra.”

Il secondo sospirò prendendo Mel per le spalle e girandola per poterla prendere in braccio “Non vedo l’ora di tornare in Florida, qui non mi piace per nulla.”

Melrose ascoltava, sempre fingendosi incosciente, tremando internamente.

Non era più in Florida?!

Dove l’avevano portata?!

A giudicare da quello che quei due avevano detto conoscevano molto bene anche la fama di suo padre, quindi loro erano senza dubbio dei mercenari assordati da un certo Mardock….

Si fece trasportare sempre a occhi chiusi e attese il momento propizio per tentare la fuga.

Esso arrivò nell’esatto momento in cui uno dei due si allontanò, e l’altro la appoggiò a terra prima di uscire a sua volta.

Solo a quel punto Melrose aprì gli occhi, appena la porta venne agganciata, e si guardò attorno.

Sembrava un ripostiglio o comunque una stanza di deposito, tutta in cemento con solo una microscopica finestrella e una porta di ferro a tenuta stagna.

Mentre osservava quel luogo vide qualcosa, nella penombra.

Anzi, qualcuno.

Stesa a terra dall’altra parte della stanza rispetto a lei c’era una giovane ragazza, con lunghi capelli castani scuri.

Anche lei era legata e imbavagliata esattamente come lei, ma si trovava ancora in uno stato di totale incoscienza. 

Ringraziando gli anni di danza riuscì a passare le braccia da dietro a davanti e a strappare il nastro adesivo dalle labbra. Si mise poi sulle ginocchia e gattonò verso la mora, appoggiandole una mano alla gola e sentendone nitido il battito cardiaco.

“Signorina mi, sente?”

La scosse piano per una spalla, mentre si guardava attorno per cercare qualcosa con cui tagliare le corde e liberarsi così i polsi, ma non vide nulla.

Appena riabbassò gli occhi li scontrò con quelli della giovane, grandi e luminosi. La ragazza si guardò attorno nel panico, muovendo freneticamente il collo.

“Si calmi.” disse la rossa strappando il nastro adesivo dalla bocca dell’altra “Io sono Melrose Caine, polizia scientifica di Miami.” a quelle parole la morsa sgranò gli occhi aprendo appena la bocca “Le garantisco che andrà tutto bene. Sa dirmi il suo nome?”

“Sì io sono Andrea di Maio, sono un detective della Omicidi di New York, trentaduesimo distretto.” a quel punto fu il turno della rossa, di stupirsi.

“New York? Siamo a New York quindi?”

La mora scosse piano il capo “Prima ero legata e imbavagliata in quello che dal suono sembrava un piccolo elivelivolo. Forse un volo charter. Poi mi hanno sedata di nuovo.”

La rossa si appoggiò con la schiena contro una parete, guardando con apprensione le corde. Si lasciò prendere dallo sconforto per alcuni minuti e poi si rialzò di scatto “Voltati, ti slego le corde…

La mora annuì e la lasciò fare, ma la rossa con entrambi i polsi legati trovò un po’ di difficoltà nell’impresa.

Stava per riuscirci quando la porta si aprì e dentro entrarono un paio di uomini con in mano dei panni imbevuti di quello che certamente era cloroformio.

Le due ragazze si scambiarono uno sguardo, sicure che qualsiasi tentativo avrebbero potuto fare sarebbe miseramente fallito.

 

 

 

Dodici anni anni e mezzo prima,

Las Vegas,

Nevada

 

 

 

Harper  rientrò alla scientifica con in mano tre buste di reperti da analizzare.

Trovare la scena del crimine primaria era stata davvero un’impresa, ma grazie alle ottime competenze di Archie e ad un cellulare perso dalla vittima era riuscita nel suo intento.

Passando per la centrale di polizia fu intercettata da Brass che le si affiancò “Il sospettato si chiama Albert Priscol…” lesse velocemente dal suo taccuino “Era il fidanzato della vittima. È andato al Desert Palm questa mattina per far controllare un taglio e applicare qualche punto, ma poi si è sentito male e l’hanno trattenuto.”

“Male?” chiese la giovane fermandosi davanti all’ascensore che, gentilmente, il Capitano chiamò per lei “Grazie, Jim”

Lui fece un cenno col capo “Ho mandato un agente a prelevarlo visto che a quanto pare aveva fretta di firmare le carte per essere dimesso. Visti i suoi precedenti è stato facile ottenere un mandato per un campione di DNA.”

“Precedenti?” chiese la bionda, incuriosita.

“Percosse.” Disse l’uomo, con tono quasi ovvio “Ha preso un tubo e ha rotto i fanali ad un cameriere che a suo avviso si era comportato sgarbatamente, prima di riservare lo stretto trattamento alle sue gambe”

“Contando che la vittima è stata trovata col viso ridotto ad una polpetta…riflettè pensierosa la giovane, mentre le porte si aprivano “Ci sono buone probabilità che sia stato lui. Interroghiamolo  e mandiamo il DNA a Greg, ma prima analizzo questi vestiti e cerco qualcosa dal contenuto di un cestino.”

“Lavori sola al caso?” domandò Brass.

“Si sono sola!” riuscì a rispondere lei, prima che ascensore ripartisse verso i piani alti della scientifica. Una volta arrivata consegnò i referti all’addetto perché li annotasse e si raccomandò di farglieli avere subito per poter iniziare a lavorarci su.

Una pausa caffè nell’attesa non era male come idea.

Entrò nella sala ricreativa dove Nick stava parlando al telefono. Le lanciò un saluto e un sorrisetto prima di tornare ad inveire contro Dio solo sa chi, voltando le spalle alla ragazza che intanto si stava versando un po’ di caffè in una tazza del dipartimento.

Hodges scivolò nella stanza con in mano una cartellina “Non indovinerai mai cosa ho trovato nel sistema circolatorio della vittima” disse con una certa soddisfazione.

“Valium” rilanciò lei, prendendo un sorso di caffè. Lui ci rimase male, e le passò stizzito il foglio “Non prendertela, D…. c’era la casa piena di flacconi vuoti!”

“Anche lei ne era piena.” Decretò lui, incrociando le braccia “Il livello nel sangue era così alto che penso sia questa la causa della morte, non i colpi in testa”

“Interessante” fu il solo commento della bionda, mentre osservava Greg avvicinarsi dall’altra parte del muro di plexiglass “Secondo te Sanders ha già lavorato sui i miei campioni?”

“Sei positiva” commentò acidamente Hodges, prima di sorridere ruffiano “Solo io sono zelante.”

Greg li raggiunse salutando con un cenno Stokes “Devi venire con me” disse poi alla bionda “Grissom ci aspetta nel suo ufficio” disse tentennante, ignorando il collega che lo stava guardando male.

“Ci?” domandò stupita Harper prima di prenderlo a braccetto e incamminarsi con lui fino all’ufficio del capo, lasciando David con in mano la tazza del caffè.

Greg rimase in silenzio durante tutto il tragitto, così la bionda lo bloccò prima di entrare “Hey.” gli accarezzò il braccio, spostandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio “Ho fatto qualcosa di sbagliato, per caso?”

Lui sgranò gli occhi “Cosa- No! Assolutamente no…. Solo.” si morse le labbra “Meglio parlarne con Grissom,.” disse guardandola negli occhi, prima di chinarsi su di lei a lasciarle un bacio veloce sulle labbra.

Entrarono uno dopo l’altra nell’ufficio del capo.

Gil alzò gli occhi, schermati dagli occhialetti, su di loro, invitandoli a sedersi davanti a lui.

Sembrava molto concentrato su delle carte.

Entrambi presero posto su due sedie, posizionate davanti alla scrivania. “Ho fatto qualcosa di sbagliato?” chiese titubante la ragazza, ma Grissom scrollò il capo.

“Vorrei parlarti di una cosa, per avere delle rassicurazioni. Ora non c’entra il lavoro.”

Lei ascoltò con attenzione, ma senza capire.

Greg invece si limitò a fissare gli occhi sul pavimento.

Gil si sfilò gli occhiali, prima di puntare gli occhi in quelli della bionda.

“Vorrei conoscere la natura del tuo rapporto con Heather Kessler.”

Harper tirò un pallido sorriso, come se se lo aspettasse. Se lo aspettava va tempo, dopotutto.

“Lei è, sfortunatamente, mia madre.”

 

July 12 , 2013.

Ore 10.00 am.

Las Vegas,

Laboratori della polizia scientifica.

 

 

 

Aubree era silenziosa quanto il padre e con lui condivideva anche lo stesso cipiglio pensieroso.

Nonostante i divanetti della sala relax non fossero di certo comodi, la bambina aveva dormito tutta la notte. Era stata la sola a trovare riposo.

Gli altri avevano lavorato incessantemente e nell’andirivieni continuo di persone, Lady Heather non aveva trovato riposo.

Anzi, si era dannata più che mai, domandandosi cosa stesse succedendo a sua figlia.

La sua unica figlia, ormai.

Ancora ricordava quando era morta Zoe. La sua piccola Zoe.

Era stato tremendo, aveva rischiato di perdere se stessa e Harper, allora. E adesso, rischiava di rivivere nuovamente una situazione simile.

Non avrebbe retto alla tensione, ma avere vicina la giovane nipotina la aiutava a mantenere i nervi saldi.

“Nonna?”

La donna, ancora bellissima, si voltò verso le piccola, scostandole una ciocca di capelli chiari dal viso, per poterlo accarezzare “Dimmi, tesoro mio.”

“La mamma è stata rapita, vero?”

Heather non rispose subito, perché si prese del tempo per pensare al motivo per cui Bree fosse così recettiva. Così sveglia.

Aveva due genitori a cui era impossibile nascondere qualcosa e lei sembrava aver ereditato un certo acume. Le accarezzò i capelli, prima di passare il braccio attorno alla sua spalla, lanciando un’occhiata al disegno che stava facendo “Sì, tesoro.” Le rispose, con tono carezzevole.

La bambina abbassò gli occhi sui pastelli a cera, stringendo fra le mani quello verde, prima di rialzare le iridi color miele in quelle chiarissime della donna “Papà la troverà.”

Heather sorrise “Ne sono sicura…” le disse, prima di alzarsi “Rimani qui, la nonna deve chiamare un vecchio amico.”

Bree annuì, tornando a dedicarsi al suo lavoro e consentendole di alzarsi.

Heather prese il telefono dalla tasca dei pantaloni neri, uscendo dalla stanza, ma rimanendo davanti alle vetrate per non perdere di vista la bambina.

Non l’avrebbe persa d’occhio nemmeno un istante, non sapevano chi aveva preso Harper, né perché.

La donna iniziò a scorrere la rubrica e solo quando trovò il numero, portò il telefono all’orecchio.

Non aveva parlato a Greg di quell’idea.

Quell’uomo, che non riusciva a decifrare, che trattava sua figlia come una principessa e poi la abbandonava, non avrebbe tenuto per sé la cosa e c’è chi si sarebbe sentito scavalcato.

Ma necessità faceva virtù in quel caso, e lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per riportare a casa Harper.

Al quarto squillo,una voce rispose.

E Heather si sentì già più tranquilla.

Gil?”

-…Heather.-

 

 

  
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