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Autore: Kazaha87    21/03/2016    0 recensioni
[Shinou/Murata Ken][accenni a Shinou/Daikenja nel passato a discrezione del lettore] - Post Canon anime. - Lieto fine.
Quando l'idealista Yuuri, davanti a un gelato, prova a convincere il suo migliore amico Murata Ken a non 'svendersi così', viene fuori l'animo cinico e disilluso del Daikenja, che aveva deciso di non tornare nello Shin Makoku bensì di continuare la sua vita sulla Terra...
Ma qualcosa gli farà cambiare idea...
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avrebbe potuto tornare nella sua stanza al tempio, che probabilmente era stata mandata a rassettare non appena si era saputo del suo ritorno, ma Ken doveva prima fare qualcosa...

Aveva mandato via Yuuri e gli altri prima dei saluti di rito a Shinou perché voleva essere da solo nel momento in cui l’avesse incontrato di nuovo dopo tanto tempo – almeno per rispetto verso il primo re, dato che sulla Terra non erano passati che pochi mesi soltanto…

Ma, in fondo, cos'erano undici anni rispetto ai ben più di quattromila che erano trascorsi dal loro primo incontro?

Andò nella sala centrale, dov'erano custodite, affianco alla Cascata, le quattro scatole che avevano imprigionato il Soushu per circa quattromila anni, ormai vuoti e innocui contenitori.

Lasciò la porta aperta e rimase in piedi in mezzo alla grande sala, in attesa.

“Mio Daikenja: sei tornato, infine.”, sentì una voce e quel tono di inequivocabile rimprovero in essa provenire dalle sue spalle dopo qualche minuto di silenzio e solitudine e, quando si voltò, Murata vide Shinou appoggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate e uno sguardo indecifrabile, specchio anch'esso di tutto il fastidio per quella lunga attesa.

Dopo un istante infinito in cui i suoi occhi color ametista lanciarono fiamme di puro e acceso risentimento verso il moro, l'antico sovrano si allontanò infine dall'uscio per dirigersi verso di lui e, alle sue spalle, la porta si chiuse con un tonfo sordo.

Ken non disse nulla e si limitò a fissarlo di rimando mentre si avvicinava.

“…pareva non saresti tornato, a dire del Maoh.”, continuò, gelido, sperando così di convincere il suo Daikenja a parlare, a tentare, almeno, di giustificarsi davanti a lui, ma nemmeno così Murata aprì bocca.

Sempre più irritato, Shinou - che dopo undici anni di attesa aveva recuperato tutto il suo Maryoku e ora poteva mantenere tranquillamente la forma umana delle dimensioni giuste senza problemi non solo più nel tempio ma anche nel castello - gli si accostò e, quando fu abbastanza vicino, gli afferrò il mento tra le dita con forza.

“Dopo tutto questo tempo, dovresti essere tu a spiegare a me la tua lunga assenza immotivata e non io a parlare!”, sibilò minaccioso.

Il giovane antico gli sorrise senza allegria: era il suo migliore scudo e funzionava sempre senza eccezioni per mantenere a distanza le persone, per non far loro capire cosa si celava dietro, dentro di lui.

Ed era anche la cosa che più faceva irritare Shinou…

PARLA!”, gli gridò a pochi centimetri dalla faccia, fedele a se stesso, stringendo più forte la sua presa sul mento dell'altro, ma, quando Ken seguitò nel suo silenzio, il primo re, sempre più fuori di testa dalla rabbia, mollò la presa e lo spinse via con frustrazione per poi percorrere a grandi passi, avanti e indietro, la vasta sala.

Poi si fermò di colpo e si voltò nella sua direzione.

Cosa devo fare! Spiegami che cosa devo fare!!”, urlò.

“Wilhelm…”

E Shinou, sentendosi chiamare così, congelò sul posto.

Erano più di quattro millenni che non sentiva qualcuno rivolgersi a lui con quel nome...

“Ormai è troppo tardi: come fai a non rendertene conto?”

“Sigmund...”, sussurrò il primo re accostandosi poi rapido al suo stratega, e alzò una mano nel tentativo di accarezzargli una guancia; ma il giovane gliela bloccò a mezz'aria afferrandogli il polso in una stretta salda.

“Non sono più Sigmund.”, replicò il moro con tono solenne. “Ora sono Murata Ken, e tra queste due esistenze sono stato molti altri, e molte altre persone diverse.”

“Ma…”, cercò di interromperlo Shinou, ma Ken gli pose un indice sulle labbra in un cenno di tacere.

“T’ho sempre amato più del necessario.", continuò, affranto ma imperterrito, il moro. "E anche tu, Wilhelm, hai sempre fatto lo stesso. Rufus ha sempre invidiato il mio posto nel tuo cuore, tanto quanto io ho sempre invidiato il suo nella tua vita.”

Ma Sigmund, tu sei…”

“Sh. Non ho finito.”, lo zittì ancora una volta, e se pure Shinou tacque, i suoi occhi mostravano che avrebbe voluto dire molte, molte cose, e non certo stare muto davanti a parole che non voleva sentire.

“In quattromiladuecentotrentanove anni e sessantasette reincarnazioni posso dirti di aver amato una sola persona, dal primo istante. Da quando mi hai teso la mano e mi hai detto che il nero, un colore da tutti temuto e deprecato, era bellissimo. Da quando mi chiedesti di essere il tuo stratega. Da prima che sapessi chi eri e che mi avevi cancellato la memoria.", aggiunse non celando l'amarezza che provò a quell'ammissione, e a Shinou, per un attimo, mancò il respiro.

Quindi lui sapeva! Sapeva perché aveva sposato un'altra e non lui... sapeva che erano fratelli...

Da quando?, fu la domanda che gli si formò nella testa, ma non osò chiedere.

"Tu sei stato il primo che non mi ha temuto.", continuò il saggio. "Sei stato il primo che mi abbia accettato. E sei anche stato il primo che mi abbia mai amato."

Fece una breve pausa e sospirò profondamente prima di riuscire a proseguire.

"Non sei stato l’unico, però", constatò quel dato di fatto che non poteva ignorare. "In fondo ho vissuto a lungo, molto, troppo a lungo... eppure tu sei sempre stato, purtroppo per me, l’unico che per me abbia mai contato.”

“Ma allora spiegami perché?!”, si intromise Shinou a quel punto, non sopportando più di tacere. Non davanti a quelle parole. Non davanti a quella prima e unica confessione che l’uomo più importante della sua vita gli avesse mai fatto!

Ken, a quel punto, gli posò una mano sul viso e gli sorrise triste mentre lo accarezzava dolcemente.

“Wilhelm…”, sussurrò ancora una volta quel nome da tutti gli altri ormai dimenticato, “Non può funzionare perché non ha mai funzionato.”

“Come puoi dire questo! Dopo quello che hai passato… dopo quello che abbiamo passato!”, protestò l'altro.

“Non è più il nostro tempo. Né il mio, né il tuo. Siamo ombre del passato che camminano, e il ricordo della breve felicità dei tempi andati è l’unica cosa che ci rimane.", sentenziò. "Sono stato troppe cose, troppe persone, e ho sempre sofferto. Tutte le volte. Non credo più nella felicità.”, confessò infine.

Shinou lo fissò serio, ma affranto.

“Quando hai smesso, mio Daikenja, di credere in noi?”, chiese.

Murata lo guardò a sua volta e, dopo un lungo silenzio di riflessione, gli rispose: “Non lo ricordo. Forse dopo essere stato Geneus.", ammise.
"Credo, durante quella vita, di aver sofferto la lontananza e di aver rivissuto quella sensazione di impotenza forse addirittura più intensamente di come l’abbia vissuta dopo averti perso la prima volta. Con una sola, colossale differenza", aggiunse poi, esausto da quella conversazione. Ma sapeva di doverla concludere una volta per tutte... "La prima volta", spiegò, "avevo la speranza a sostenermi. Dopo duemila anni, quella speranza era svanita nella paura di non poter trovare una soluzione e di perdere non solo te, ma anche quello che avevamo creato insieme.”

“Ma non vedi? Il nuovo Maoh, quello che tu hai guidato e sostenuto, quello che abbiamo creato insieme, non solo ha sconfitto il Soushu, ma ha compiuto un miracolo che forse nessuno dei due credeva possibile sin dall'inizio!", protestò ancora una volta Shinou, che non poteva accettare quel verdetto del tutto unilaterale! "Ora sono qui: sono tornato. E siamo qui insieme, per l’ultima volta con i nostri ricordi a sostenerci! Perché non vuoi che la tua ultima vita prima di tornare nell'oblio ritrovi la felicità della tua prima e anche di più?", gli chiese senza capire.

Ma, in fondo, nemmeno Shinou, che pure era il più vicino a comprendere quanto lunghi fossero quattro millenni, poteva capire...

"Tu sei per me quello che io sono per te: l’unico vero amore della mia – lunghissima – esistenza!", confessò il biondo a sua volta. "Come puoi anche solo sperare che, a questo punto, con un finale molto più roseo di quanto abbiamo anche solo sognato in questi ultimi quattro millenni, io sprechi l’ultima occasione che ho per stare con te?”, gli chiese, incredulo che il suo Daikenja non la pensasse allo stesso modo.

“…il nuovo Maoh…", sospirò Ken a quelle parole e uno stanco sorriso si dipinse sul suo volto. "Mi domando a cosa sia servito continuare a vivere e a soffrire per quattro lunghissimi millenni, quando l’unica cosa che abbiamo potuto fare alla fine è stato sperare che le cose andassero per il meglio in qualche modo…”

Ecco! Ecco qual era il vero nocciolo di tutta quella questione!

...come aveva fatto a non rendersene conto prima?

In un impeto guidato dalla sua accumulata frustrazione, Shinou, a quel punto, gli afferrò il volto tra le mani e lo baciò dolcemente per un lungo istante sulle labbra.

“Se in tutto questo tempo non avessi saputo che c’eri tu ad attendermi, a sperare che tutto andasse per il meglio, a cercare una soluzione, probabilmente non avrei combattuto così a lungo contro il male che voleva impadronirsi di me. Non ce l’avrei fatta perché non avrei avuto un motivo per resistere…”, gli confessò, comprensivo per la prima volta dacché quella discussione era cominciata, e quel tono, così diverso da quello saccente e intransigente che aveva avuto fino ad un attimo prima, fece infine crollare Ken.

“Non speravamo di riuscire a salvare più della tua anima, Wilhelm!", replicò stranamente e incomprensibilmente affannato. "Era per salvare il mondo, e il regno che avevamo creato insieme! Era per la pace, ciò che hai sempre desiderato! Per i tuoi ideali, che sono diventati anche i miei!", gli disse. "Non puoi proclamare adesso che fosse per qualcos'altro!", si difese con tutte le sue forze. "E solo per convincermi di non essere stato del tutto inutile in questi quattromila anni di sofferenze per nulla!”, protestò, ammettendo per la prima volta apertamente ciò che lo opprimeva al punto da sentirsi soffocare tanto si era reso conto di aver vissuto con un fardello troppo pesante, troppo a lungo e praticamente per niente.

Ma Shinou, a quel punto, lo fissò dritto negli occhi, serio: ametiste che si persero in quei due buchi neri, profondi come l'infinito e antichi più di quanto un essere vivente fosse giusto sopportasse.

“Se non fosse stato per te", ripeté, "sarei probabilmente morto allora e il mio spirito non avrebbe fatto altro che soccombere sotto il potere del Soushu.", gli disse, e Ken sapeva che era sincero, che non era una menzogna atta solo ad indorargli l'amara pillola... Shinou lo pensava davvero...

E Ken sapeva che era così! E tuttavia quella consapevolezza non era ancora abbastanza...

"Non avrei combattuto tanto, altrimenti.", continuò il biondo spirito. "I miei ideali e i miei sogni sono stati sempre quelli che hanno mosso le mie azioni, ma tu", gli disse, "sei sempre stato quello che ha portato avanti me e che ha reso ogni sogno possibile.
Sigmund, mio dolce Sigmund…” e quando il giovane protestò con lo sguardo nel sentirsi chiamare col suo antico nome ancora una volta, Shinou riprese, rapido: “Lo so che ora sei Ken, ma sei anche, e rimarrai sempre fino al termine di questa vita, il mio Sigmund. Mio fratello. Il mio Daikenja…", fece una pausa e sospirò: "Il mio unico, vero amore", confessò, "e non puoi cambiare ciò che sei, anche se ora sei anche qualcun altro insieme. Così come io non posso cambiare ciò che sei diventato.", affermò, deciso a non cedere. "Ma non mi interessa…", aggiunse anche. "Io ti voglio così, tutto quello che sei, perché non posso smettere di amarti dopo quattromilacentoventisei anni dal giorno in cui ti ho visto la prima volta. E dovessi rinchiuderti nel tempio e legarti ad una sedia, giuro solennemente che ti impedirò di abbandonarmi ancora una volta!", gli promise. "Non ti ho ancora perdonato questi ultimi undici anni di attesa! Hai capito?!”

Rimasero a fissarsi a lungo, in silenzio, immobili, dopo quell'ultima promessa e il saggio, infine, per la prima volta dopo secoli e secoli, crollò e cedette alla tentazione di in un pianto liberatorio, indugiando in singulti e gemiti improvvisamente incapace di trattenersi oltre. E lo fece tra le braccia dell’unico uomo che avesse mai amato davvero.

 

...forse, stavolta, sarebbe rimasto...

 

   
 
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