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Autore: ChiiCat92    21/03/2016    2 recensioni
"Sono speciale.
La mamma me lo dice sempre.
Tutte le sere mi accompagna a letto, mi rimbocca le coperte, e prima di darmi la buonanotte mi dice che sono speciale.
Proprio così.
“Loz”, dice, “Tu sei speciale.”
Poi mi sorride, spegne la luce, socchiude la porta e se ne va.
Rimasto solo al buio penso parecchio a cosa vuol dire “essere speciale”.
È una cosa buona o una cosa cattiva?"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kadaj, Loz, Yazoo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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20/02/2016

 

Faulty

 

Sono speciale.

La mamma me lo dice sempre.

Tutte le sere mi accompagna a letto, mi rimbocca le coperte, e prima di darmi la buonanotte mi dice che sono speciale.

Proprio così.

“Loz”, dice, “Tu sei speciale.”

Poi mi sorride, spegne la luce, socchiude la porta e se ne va.

Rimasto solo al buio penso parecchio a cosa vuol dire “essere speciale”.

È una cosa buona o una cosa cattiva?

Nei film con i supereroi “essere speciale” è una cosa buona, ma non subito, non sin dall'inizio. Di solito il supereroe non sa di esserlo, non sa di essere speciale, e questo gli causa un sacco di problemi. Poi arriva qualcuno che gli dice come stanno le cose e tutto cambia. Allora impara cosa vuol dire essere speciale e se prima non aveva nessun amico con cui parlare e giocare – nossignore, nemmeno uno – si ritrova circondato di persone speciali come lui, ed finalmente felice.

Sto ancora aspettando che qualche dottor X venga a prendermi, ma forse non ho super poteri, non come i mutanti.

Quindi esattamente non so cosa significhi “essere speciale” per me o perché io lo sia.

So che la mamma mi vuole molto bene, perché si prende cura di me ogni giorno – e anche perché me lo dice spesso – e così è per papà – lui non parla molto e lavora tantissimo, ma sono sicuro che è così – ma non credo che questo mi renda speciale, insomma, è normale che una mamma e un papà vogliano bene al figlio, no?

Non è una cosa così sensazionale, quindi non dipende dal fatto che sono speciale per loro.

Deve essere qualcosa che so fare, qualcosa che posso fare, qualcosa che riguarda me e me soltanto.

Non lo so.

Non proverò a buttarmi dalla finestra per vedere se riesco a volare, se mi sbagliassi potrei farmi male, e la mamma mi ha fatto promettere che, in ogni caso, non ci avrei mai provato. Non voglio infrangere una promessa fatta alla mamma.

Se non è qualcosa che riguarda le mie capacità, deve essere per forza nel mio corpo.

Sono forte, nessuno può negarlo, grande e forte, alto, gigantesco. Ho superato la mamma da un pezzo, e papà da poco. Posso prendere i biscotti dalle mensole più alte senza neanche dovermi alzare sulle punte, deve essere per questo che mamma ha smesso di tentare di nasconderli lassù, tanto ci arrivo lo stesso.

Bhe in ogni caso, la mamma dice che sono speciale, anche se non so perché, deve essere sicuramente così.

 

*

 

A mezzogiorno di solito apparecchio la tavola mentre la mamma si mette ai fornelli e comincia a preparare il pranzo. Mi piace sentirla cantare mentre cucina, ogni tanto canto anch'io con lei, anche se non può sentirmi perché lo faccio sottovoce – sono stonato, non è questo il motivo per cui sono speciale – e sistemare la tovaglia e tutte le stoviglie mi fa sentire sereno.

Lo facciamo tutti i giorni. Lei non mi chiede di farlo e non deve, è un compito mio e mi piace che me l'abbia affidato. Anche se qualche volta ho rotto un piatto o un bicchiere. Adesso sto molto più attento quando maneggio la porcellana.

Quando ho finito mi sento soddisfatto. Tre piatti, tre forchette, tre cucchiai, tre coltelli, tre bicchieri: tutto per tre perché siamo solo in tre, io, mamma e papà.

Ah, in realtà siamo in quattro, ma il quarto membro della famiglia non mangia a tavola, ha la sua ciotola e i suoi croccantini. Si chiama Shimai ed è la mia gattina. C'è da dire che non è entusiasta delle regole che ci sono per gli orari e la frequenza dei pasti, è l'unica che può mangiare quando vuole e quello che vuole – anche se mangia quasi sempre croccantini, e qualche cosina che mi “sfugge” volontariamente dal piatto – e un po' la invidio per questo. Io ho sempre il divieto di mangiare questo o quello. La mamma ci tiene che io abbia una corretta alimentazione.

Anche oggi la sento canticchiare dalla cucina. Non conosco la canzone e anche se tentassi di imitarla farei un disastro, per cui mi limito ad ascoltarla per un po', almeno finché non si affaccia sulla sala da pranzo e mi coglie in flagrante.

- Lozzie? -

Non mi sta incolpando di niente, non stavo facendo niente di male d'altronde, però non posso fare a meno di abbassare la testa e scusarmi balbettando.

La mamma è così bella.

Ogni volta che la guardo mi chiedo come sia possibile che io sia suo figlio. È davvero bella, davvero, davvero bella.

I suoi grandi occhi castani non somigliano ai miei verdi, così come i miei corti e spettinati capelli argentei non sono paragonabili ai suoi lunghi e lisci marrone chiaro.

Non sembra che io sia venuto da lei.

- Non scusarti, tesoro. - mi si avvicina per prendermi una mano e sorridermi appena appena, così riesco a farlo anch'io - Mi ascoltavi cantare? -

- Sì. -

Mi accarezza il viso con l'altra mano mentre il sorriso si fa più grande.

Amo quando sorride così, perché quel sorriso ha una luce particolare. La mamma è una scienziata, so che lavora tanto, così tanto da dover lavorare in casa nel laboratorio giù nel seminterrato. È sempre seria quando ha il naso infilato nei suoi appunti, o quando tiene in mano le sue provette, e non è raro vederla scomparire a metà pomeriggio e rispuntare solo la mattina dopo. Ma quando sorride...quando sorride è solo la mia mamma, la stanchezza va via, le rughe di preoccupazione che si formano tra i suoi occhi e agli angoli delle labbra si spianano.

Sono speciale perché la faccio sorridere così? Dovrò pensarci.

Intanto lei mi tira con sé in cucina, così può continuare a preparare il pranzo ma possiamo anche stare insieme.

- Che cosa ne pensi di uscire, Lozzie? -

- Uscire...? -

“Uscire” non è la parola che uso più spesso o che sento usare più spesso. In effetti non esco molto.

Perché dovrei? La mamma e Shimai, che sono le mie uniche amiche, sono tutte e due in casa. Cosa c'è fuori che potrebbe piacermi altrettanto da farmi uscire?

- Sì. Magari per una passeggiata. Ti piacerebbe? -

- Non lo so. A te piacerebbe? -

Forse si è accorta che sto cercando di farmi dare da lei la risposta. È perché non so come rispondere, per questo le ho posto la stessa domanda.

- Non devo dirlo io, devi dirlo tu! -

Allora metto su un broncio, so che è l'inizio di un capriccio, e so che alla mamma non piacciono i capricci. Lo vedo dalla sua espressione, mi sgriderà se comincerò a lamentarmi.

- Penso...penso che va bene uscire, se vieni con me. -

Rispondo quindi, dopo un po' di tempo, non troppo però, per non farla arrabbiare.

- E se invece ti chiedessi di uscire da solo per un'importante missione? -

Queste sono le cose che mi piacciono.

Come i supereroi, mi piacciono le missioni.

Cerco di non saltellare per la curiosità, un supereroe non dovrebbe comportarsi così.

- Forse. - rispondo in tono vago. Guardo i fornelli, i barattoli di zucchero, sale e caffè sulla mensola, i libri di cucina sullo scaffale. Tutto pur di non far capire alla mamma quanto sto morendo di curiosità. - Di che genere di missione si tratta? -

Lo vedo, lo vedo come si trattiene dal ridere. Mi ha scoperto! Sa già che sto morendo dalla voglia di sapere tutto.

- Una missione di rifornimento. -

Fingo di pensarci su, come se non fossi interessato, infilo le mani nelle tasche della tuta e mi guardo i piedi, dondolando un po' da uno all'altro.

- Mettiamo che io sia disposto a fare questa missione di rifornimento. In cosa consisterebbe di preciso? -

- Le unità di cibo ovoidali proteiche, o “uova”, sono terminate. Affinché il pasto di mezzodì vada a buon fine, abbiamo assolutamente bisogno che tu le vada a comprare al centro di dispensa cibo e bevande, il “supermercato”. -

Sento crescere l'adrenalina ad ogni parola.

Una missione vera e posso andarci da solo.

È passato molto tempo dall'ultima volta, ma posso capire la mamma.

Non si trattava di una missione di rifornimento, ma una di ritiro. Sarei dovuto andare al centro di consegna missive per ritirare un pacco con un contenuto molto prezioso, ma nel tornare indietro mi sono distratto...e ho perso la strada di casa. All'inizio ho mantenuto la calma, un supereroe in missione non si fa prendere dal panico, ma poi ha cominciato a fare buio e ho avuto paura. Un poliziotto mi ha riportato a casa, ma la missione è fallita. Per un po' ho temuto che potessero declassarmi, che non fossi più speciale. Ma quella sere la mamma mi ha rimboccato le coperte come al solito e mi ha ripetuto “Loz, tu sei speciale”. Quindi niente è cambiato.

Scatto quindi sull'attenti portando la mano di taglio alla fronte, e annuisco solennemente.

- Signorsi, posso cominciare anche subito la missione. -

- Il mio eroe. - commenta la mamma, sorridendo in quel modo tutto segreto che riserva solo a me - Allora vai, hai solo un'ora di tempo prima del pasto di mezzodì. Ho già preparato la giacca con il materiale e le specifiche della missione. -

Annuisco di nuovo e corro all'ingresso senza aggiungere una parola. Arraffo la giacca dall'appendiabiti e la infilo subito. In tasca c'è tutto quello che mi serve e sono già pronto per uscire...poi però mi ricordo di due cose importanti. La prima è che non mi sono messo le scarpe, così torno indietro di corsa nella mia stanza per infilarmele saltellando. La seconda, e ben più importante, è che non ho salutato come si deve la mamma. Le schiocco un bacio sulla guancia prima di correre verso la porta e uscire.

Super Loz in azione!

 

L'aria è fresca ma non fredda, e il sole scalda, anche se nelle ombre dei palazzi sembra esserci più freddo.

La primavera!

Mi piace la primavera. Cominciano a tornare le rondini, e tutto comincia a diventare un po' più verde, e spuntano i fiori. Anche se i fiori, per la verità, non mi piacciono, o meglio, non piacciono al mio naso. Ogni anno starnutisco fortissimo e ho bisogno di prendere un sacco di medicine ed è tutta colpa dei fiori e di quello che porta il vento. Però per ora sto bene e posso godere del panorama.

Ho ricontrollato ancora una volta il contenuto della giacca, tanto per essere sicuro. C'è il borsellino con quanto mi serve per prendere quello che devo e un foglietto con su scritta una brevissima lista – c'è solo una voce, ah, non starò via molto – nel caso dimenticassi qualcosa.

Il braccialetto ormai lo porto sempre addosso, non lo tolgo neanche se sto a casa, mi fa sentire più sicuro.

Dato che sono speciale, è importante per la mamma che io non mi perda più come la volta che sono andato a fare la missione di ritiro, così, per sicurezza, mi ha messo un braccialetto con su scritto tutto quello che devo sapere in modo che possa tornare a casa, cose che non riesco a tenere a mente. Tanto per cominciare il mio nome, il mio cognome, la data di nascita e il gruppo sanguigno – ma questi me li ricordo, a parte la cosa del sangue – poi i numeri di telefono di mamma e papà – con i numeri ho un po' di difficoltà – l'indirizzo di casa – un po' lungo – l'indirizzo dell'ufficio di papà se a casa non dovesse esserci nessuno – improbabile, non ci sono stato che poche volte in quell'ufficio, quindi è anche un po' inutile – e poi sotto una scritta di cui non ho mai conosciuto il significato: “deficit dello sviluppo cognitivo e socio-relazionale, disabilità intellettiva nel DSM-5”. Il braccialetto è di plastica rigida blu, così non può rompersi, ed è piuttosto visibile, e tutte le cose scritte sopra sono protette da un pezzo di plastica trasparente, posso anche farmici il bagno assieme senza mai rischiare che si rovini.

Se dovesse succedermi qualcosa durante una missione, so che devo stare calmo e che devo parlare con qualcuno mostrando il mio braccialetto, non è bello, ma questo farebbe automaticamente fallire la missione e verrei riportato a casa.

Se potrò evitare di farlo lo farò. Non voglio deludere ancora la mamma, non lo sopporterei.

In ogni caso, per il momento lo tengo nascosto sotto la manica della giacca. È un lascia passare speciale perché io sono speciale, non posso sbandierarlo così, dappertutto, sennò potrei attirare i sospetti della gente.

Devo muovermi in incognito, come tutti i supereroi.

Grazie al braccialetto posso salire sugli autobus e sedermi in un posto speciale, a volte posso non pagare il biglietto se lo mostro al conducente. Insomma, posso fare un sacco di cose che le persone normali generalmente non fanno. Ma d'altronde io sono speciale.

Il “supermercato” – centro di dispensa cibo e bevande – non è molto lontano e sono stato attento alla strada, così non dovrei perdermi. Avrei potuto prendere un autobus per rendere il percorso molto più breve, ma non voglio sbagliare quindi ho preferito andare a piedi. E poi è una giornata così bella, perché non dovrei camminare?

Stare in mezzo alle persone qualche volta mi mette agitazione, non proprio agitazione, non saprei spiegare, ma è come se all'improvviso non potessi più respirare. Ma di solito non succede, e poi ho il mio braccialetto speciale, non può succedermi niente.

L'ultimo pezzetto di strada lo faccio canticchiando la canzone della mamma.

Le porte si aprono subito appena mi vedono.

- Grazie! -

Allora gli dico, rivolgendogli un gesto con la mano. Perché è sempre bene ringraziare qualcuno che ti rivolge una cortesia.

Un signore in giacca e cravatta mi guarda, gli auguro un buongiorno e passo oltre.

Uova!

Per trovarle tengo il naso all'insù, devo leggere attentamente le indicazioni scritte su ogni corridoio, e sono davvero tanti.

7, le uova solo al 7. Quasi corro per raggiungerlo. Ho poco tempo, non voglio far fallire la missione.

Anche se di uova, wow, ce ne sono un'infinità, io ho tutto scritto sulla mia lista e trovo subito quello che cerco, senza neanche dover stare a leggere tutte le etichette sugli scaffali.

È mentre controllo che nel cartone ci siano tutte e sei le uova che sento il primo, strano rumore.

È come nei film nei film che ho visto. È tutto così uguale da farmi girare la testa.

Bang bang bang bang, fortissimo, contro il soffitto, alcune delle lampade saltano via e i frammenti di vetro cadono giù come pioggia. E poi le urla, soprattutto le più stridule di voci femminili.

Giù!” mi dico, e neanche mi rendo conto di essermi buttato a terra, stringendo al petto le uova.

Sono troppo lontano per sentire bene, ma sento una voce che urla ordini e un altro bang risuona tutto intorno, tanto che vorrei mettermi le mani sulle orecchie.

Una rapina. Lo so. È una rapina!

Sento che mi batte fortissimo il cuore e comincio a non riuscire più a respirare, devo stringere le gambe al petto e nascondere la testa tra le braccia. Allora contro la fronte sento la pressione del braccialetto.

Io sono speciale.

Non posso lasciare che qualcuno rapini il “supermercato”.

Lentamente ripongo le uova dove le ho prese e mi rialzo, piano piano, quatto quatto. Come un supereroe.

È così che cominciano, no?

È così che cominciano tutte le storie di persone che non sono mai state normali, di persone speciali che sono diventate dei supereroi.

Cerco di stare bene attento a dove metto i piedi e a quale scaffale devo usare per nascondermi. Da qualche parte qualcuno piange, forse una bambina.

La voce concitata di uno dei rapinatori mi arriva ancora come se nelle orecchie avessi del cotone, sarà colpa del cuore che sembra battermi nelle orecchie?

Poi li vedo, alle casse.

Sono in due. Quello più alto è armato di pistola e tiene sotto tiro il commesso più vicino, mentre altre persone se ne stanno accovacciate, e spaventate, a terra di fronte a lui. Indossa un completo nero completamente di pelle, e sul volto un passamontagna. Come nei film.

Il più piccolo, anche lui vestito di pelle nera, stesso passamontagna sul viso, svuota ad una ad una le casse riempiendo un'enorme borsa con tutti i contanti che riesce ad arraffare. Anche se frettolosamente, i suoi movimenti sono precisi, sembra sapere cosa deve fare e non vuole farlo male nonostante tutto. Non vedo armi addosso a lui, quindi il mio obbiettivo è quello più alto.

Entrambi concentrati come sono, l'uno a tenere sotto tiro gli ostaggi, l'altro a riempire la borsa piena di soldi, non si accorgono che mi sto avvicinando a loro da dietro, un cauto passo alla volta, le mani tese.

Come nei film, come nei film.

Una signorina si volta a guardarmi. Ho sempre desiderato farlo. Porto alla bocca il dito indice per farle capire che deve stare in silenzio e scuoto la testa. Lei allora annuisce e distoglie lo sguardo.

Il cuore mi batte ancora più forte, mi fa quasi male. Ah, avrei solo voglia di saltare addosso a quel malfattore con tutta la mia forza, ma sono ancora lontano. Un altro passo, un altro ancora, ancora uno e...via!

Sono forte, devo averlo già detto, grande e forte, alto, gigantesco. Il rapinatore armato, anche se alto quasi quanto me, è di gran lunga più magro, e per di più non si aspettava un attacco alle spalle.

Crolliamo entrambi a terra tra lo stupore generale.

La botta mi fa venire le vertigini per un attimo, ma riesco a prendergli il polso e portargli il braccio dietro la schiena mentre la pistola rotola via, lontano dalla sua presa.

Non deve aver capito neanche cosa l'ha colpito.

- Rubare è sbagliato, rimetti subito a posto i soldi! -

Cerco di sembrare deciso mentre giro la testa verso il secondo rapinatore – il primo è quasi esanime sotto di me, lo sento agitarsi debolmente ma nulla di più –.

E lui volta lo sguardo nella mia direzione. Posso immaginare la sua espressione di stupore anche se indossa il passamontagna.

Ha dei bellissimi occhi verdi.

L'attimo di stupore dura quel tanto che basta perché io veda di aver appena fatto un errore. Non potevo davvero pensare che ad essere armato sarebbe stato solo uno dei due.

Non so dove la prenda, ma estrae una pistola. Adesso sono io a sgranare gli occhi.

Però qualcuno deve aver chiamato la polizia, perché sento le sirene strillare là fuori.

Ormai è finita. Li prenderanno ed io diventerò un eroe! So già cosa dirò ai giornali e alla televisione: “sapevo di essere speciale, dovevo solo trovare il momento adatto per dimostrarlo”.

La canna della pistola si punta di me e sento un click che non mi piace, per questo rotolo via prima che mi spari addosso, ma anche così sento qualcosa come un sibilo, troppo vicino, che mi fa accapponare la pelle.

Il rapinatore che ho fatto cadere a terra si rialza e recupera la pistola, anche se barcolla e si regge il fianco dolorante.

Non appena può, mi punta la pistola addosso.

E allora so che se muoio non sarò più speciale in niente e per nessuno. Non c'è niente di speciale nel morire sul pavimento del “supermercato”. Non è speciale.

Le lacrime mi salgono agli occhi tanto velocemente che non posso controllarle e i singhiozzi mi scuotono il petto. Non respiro. Non respiro più.

- Andiamocene. La polizia sta arrivando! -

Strilla l'altro rapinatore.

Per un attimo leggo negli occhi di quello che mi punta la pistola contro il desiderio di uccidermi. Non pensavo che l'avrei mai visto, ma è proprio uguale a quelle vignette dei fumetti dove si vedono solo di taglio gli occhi di un cattivo e allora il protagonista sa che vuole ucciderlo e che sta rischiando la vita.

E anche lui ha dei begli occhi verdi.

Chissà se sarà questa l'ultima cosa che vedrò.

- Andiamo! -

La pistola si abbassa, il rapinatore la rinfodera e scappa via, dietro il secondo con la borsa piena di soldi.

E io resto qui, a singhiozzare.

 

- La ringrazio moltissimo agente, davvero. -

- Si figuri signora, è mio dovere. Adesso sta un po' meglio? -

- Sì, sta meglio, ancora scosso a dirla tutta. -

- Posso immaginare signora, posso immaginare. Però è un ragazzo coraggioso, gli altri ostaggi hanno confermato che non ha esitato a buttarsi sopra il rapinatore per tentare di disarmarlo. Era una situazione disperata, e nonostante tutto ha agito, è lodevole...considerate le sue condizioni. - - Grazie agente, grazie di nuovo. -

- Come già detto, è mio dovere signora. Buona serata a lei. -

Sento la porta di ingresso che si chiude. C'è un campanello sullo stipite, tutte le volte che si apre e si chiude trilla allegramente.

I passi della mamma sono secchi sul pavimento mentre raggiunge la mia stanza.

Mi appallottolo di più sotto le coperte, tirandomele sulla testa, così posso nascondermi.

La porta della mia stanza si apre piano piano e la sento entrare. Ha un passo un po' più leggero adesso. Magari non è troppo arrabbiata con me.

Si siede su una sponda del letto, abbastanza vicino perché possa sentire la presenza ma non troppo da toccarmi. Mi stringo di più le gambe al petto cercando di farmi piccolo piccolo, senza riuscirci.

- Lozzie. - mi sfugge uno strano verso dalle labbra e cerco di stringerle per non far scappare altro. Non deve sapere che sto piangendo. Di nuovo. - Lozzie...vuoi parlare con la tua mamma? -

Non ci riesco, è più forte di me. Esplode da dentro e non posso fermarlo.

Praticamente le balzo addosso, abbracciandola piano – non voglio farle male – e riprendo a singhiozzare con più forza contro la sua spalla. Le sue mani si poggiano entrambe sulla mia schiena e mi accarezzano piano, ma mi sento comunque tremare e rabbrividire.

Non mi merito tutto quello. Non solo ho fatto fallire la missione – perché ovviamente non c'è stato modo di recuperare le uova dopo l'arrivo della polizia – ma ho anche rischiato di farmi male, molto male, e soprattutto ho perso il mio braccialetto speciale.

Non so quando è successo, forse quando mi sono buttato addosso al rapinatore la linguetta deve essersi sganciata, e quando i poliziotti sono entrati nel “supermercato” c'è stato un gran trambusto, così non ho potuto cercarlo, magari qualcuno l'ha calciato ed è arrivato sotto uno scaffale, fatto sta che ormai è perso e non posso farci più niente.

E ho avuto così paura quando mi hanno chiesto chi ero e cos'era successo. Tutte quelle domande, tutte quelle persone che volevano risposta, ed io che non riuscivo assolutamente a smettere di piangere...

È stato un bene che uno dei poliziotti fosse stato presente anche alla scorsa missione fallita, è stato sempre lui a riportarmi a casa. Mi ha riconosciuto e anche stavolta mi ha aiutato.

- Mamma... - piango ancora, sento di aver inzuppato tutta la sua maglia, spero che non si arrabbi anche per questo - ...mi dispiace mamma, non sono speciale, non lo sono. -

- Loz. - so cosa vuol dire quando usa quel tono. Non mi sta sgridando, ma vuole che le rivolga tutta la mia attenzione. Quindi mi tiro indietro e lei mi prende il viso tra le mani, forte, così posso guardarla dritta negli occhi. Belli. - Tu sei speciale, e quello che è successo oggi ne è la prova. Sei stato molto coraggioso, avventato forse, ma molto coraggioso. Volevi aiutare quelle persone, e non tutti avrebbero avuto il coraggio di fare quello che hai fatto tu, questo ti fa onore. - tiro su col naso, lei sorride, anche se lo vedo dai suoi occhi che è arrabbiata - Ciò non toglie però che hai corso un rischio enorme. - ecco, lo sapevo. Abbasso la testa e mi sfugge un altro lamento dalle labbra. - Forse non posso farti uscire per altre missioni dopo quello che è successo oggi...non da solo almeno. -

- Mi dispiace, non volevo... - non lo so, non lo so se può capirmi, perché i singhiozzi mi scuotono tutto e la voce è spezzata, sembra un disco rotto - ...non farmi smettere con le missioni, per favore...sarò più bravo la prossima volta! -

Sospira e per un attimo non dice nulla, ma poi scuote la testa e sento il cuore che si stringe il petto. Fa così male.

- Per un po' rimarrai a casa. Per la tua sicurezza. Almeno finché non ti faremo un braccialetto nuovo, va bene? - anche se non voglio, annuisco lo stesso e torno a stendermi a letto, rannicchiato con le gambe al petto. La mamma mi rimboccale coperte pian piano e mi bacia la fronte. Ma sento che è un bacio arrabbiato, non lo so come faccio a saperlo, ma è così, è un bacio arrabbiato.

Aspetto di sentirle dire di nuovo che sono speciale, perché ho bisogno di sentirmelo dire. Ma non lo fa, si alza e sussurra piano piano “buonanotte”, dopo di che spegne la luce ed esce.

 

Non riesco a dormire.

C'è troppo buio, c'è troppo caldo.

Ma non voglio alzarmi.

Ho gli occhi così incollati dalle lacrime che prima di riuscire ad aprirli devo strofinarmeli con la manica del pigiama. Devo aver continuato a piangere molto dopo aver preso sonno e addormentarmi.

Scopro la testa quel tanto che basta per guardare la sveglia luminosa sul comodino. Sono solo le tre del mattino.

Torno ad accucciarmi sotto le coperte e mi rannicchio in cerca di una posizione che sia calda e confortante come un abbraccio. Ma per questo io possa stringermi le gambe, non mi sento abbracciato, non è la stessa cosa.

Sento che sto per ricominciare a piangere e non è buono, per questo mi metto seduto. Cautamente accendo la lampada sul comodino. Shimai ai piedi del letto alza la testolina. Neanche sapevo che fosse venuta a dormire qui.

- Va tutto bene Shimai. -

Le dico allora, e lei sbadiglia e torna a mettere la testina tra le zampe. Almeno lei può dormire.

Cerco di fare piano quando mi alzo, non voglio che sappiano che mi sto alzando, alla mamma non andrebbe bene vedermi gironzolare di notte perdendo ore di sonno, soprattutto dopo quello che è successo.

Esco nel corridoio in punta di piedi, guardando a destra e sinistra più e più volte. Non mi piace il buio, per niente, ma non posso accendere nessuna luce, altrimenti la mamma se ne accorgerebbe.

Vado solo a prendere un bicchiere di latte, solo quello, dopo di che torno di corsa nella mia stanza e non sarà successo niente.

Okay.

Prendo un respiro profondo e cerco di correre silenziosamente verso la cucina. Qui posso accendere la piccola luce sopra i fornelli e finalmente tutto il buio si dissipa. Bhe, non tutto il buio ma è già qualcosa. Mi sento meglio!

Preso un bicchiere dalla credenza lo riempio subito con un po' di latte e poi lo infilo nel microonde, 40 secondi andranno benissimo, e il latte caldo mi aiuterà a dormire. Meno male che ho imparato a usare il microonde, è così utile e veloce.

Aspetto che il timer raggiunga lo zero quasi con il cuore in gola. Non mi piace l'oscurità che c'è appena fuori dalla cucina, che si affaccia dal corridoio, mi sembra quasi che...sia viva, che si muova.

Un brivido di freddo mi corre lungo la schiena e devo stringermi le braccia al petto.

Non c'è niente in questa casa, mi dico, che può spaventarmi. È casa mia, non può succedere niente. È spaventosa perché è buio, perché sono triste per quello che è successo al “supermercato”, perché la mamma mi ha sgridato e tutto il resto. Non è la casa in sé. E poi la luce sopra i fornelli è confortante.

Quando il contatore arriva a 39 schiaccio “stop”, così la campanella del forno non suona. Il bicchiere è tiepido ed è quasi più confortante della luce accesa. Dal mobile alto prendo un paio di biscotti, uno lo infilo in bocca per sgranocchiarlo subito. Il dolce del cioccolato mi fa tirare un sospiro di sollievo.

Spengo la luce solo quando sono assolutamente convinto di poter tornare alla mia stanza senza avere paura.

Sono un po' più tranquillo, e di tanto in tanto inzuppo il biscotto nel bicchiere e continuo a mangiucchiarlo.

Sono quasi arrivato alla mia stanza quando sento clack e tump al piano di sopra. Ci vuole poco perché capisca che non è un rumore normale.

La mia stanza da letto e quella di mamma e papà sono al piano di sotto, sopra c'è quella degli ospiti, vuota, un bagno e uno studio. Non può esserci nessuno a quest'ora di notte.

Appoggio biscotti e latte su un mobile e vado a controllare la mia stanza. Shimai è ancora appallottolata ai piedi del letto, non c'è nessun altro. Non voglio pensare che ci sia qualcuno in casa, ma non voglio neanche che lei corra rischi, per questo chiudo bene la porta. Controllo anche la stanza di mamma e papà, e loro dormono tutti e due della grossa, sento il respiro stanco di papà e vedo a malapena il suo viso rilassato nascosto dalle coperte. La mamma sta rannicchiata su un fianco, le vedo solo la schiena. Ma sono tutti e due qui.

Tump tump tump.

Sono passi, non c'è dubbio, passi al piano di sopra.

Chiudo bene anche questa porta e comincio a sentirmi come stamattina al “supermercato”: il cuore che batte fortissimo, le orecchie che si riempiono di cotone.

Dovrei tornarmene nel mio letto mentre qualcuno gira liberamente in casa nostra?

Non sarei né un eroe né speciale se lasciassi accadere una cosa del genere.

Salgo le scale e cerco di fare finta che il buio non mi spaventi più della misteriosa persona a cui appartengono i passi. Riesco a vedere denti affilati, artigli taglienti e una bocca enorme nella mia mente. Un mostro. E se fosse un mostro? Magari sono speciale perché posso sconfiggere i mostri, magari sono quel tipo di supereroe. Il tipo di supereroe che mi piace meno.

Inghiotto la saliva a fatica, mi sembra che la gola si schiacciata da una mano invisibile e spero, spero, che non sia davvero così. Non so se il mostro è invisibile!
Man mano che salgo le scale comincio anche a sentire dei bisbigli. La persona a cui appartengono i passi parla da sola? Deve esserci qualcun altro.

Colgo, nel silenzio, rimanendo immobile dietro un angolo, almeno due tipi di sussurri diversi. Non riesco a capire cosa si dicono, ma li sento.

Quindi ci sono due persone.

Da quello che riesco a capire, ora che sono più vicino, è che quanto meno non si tratta di mostri o, se sono mostri, devono essere piccoli perché i rumori dei loro passi sono leggeri e ovattati. Per quanto possano fare attenzione a muoversi se fossero stati enormi avrebbero comunque fatto rumore.

Sono nella stanza degli ospiti e io non ho nessuna arma se non le mie mani con cui difendermi o attaccare. Nonostante questo non riesco a non andare avanti, un piede alla volta, sfruttando il buio – che adesso non mi fa più così paura – per poter sbirciare oltre lo stipite della soglia.

Due sagome scure. Forse alla fin fine sono mostri! Hanno la pelle tutta nera che si confonde con l'oscurità. Riesco a vedere bene solo la testa perché non è coperta da quella pelle nera. Uno, quello più alto, ha lunghi, lunghissimi capelli argentei che nonostante il buio sembrano lucidi e brillanti, l'altro, il più piccolo, li ha dello stesso colore, ma sono più corti, portati su un lato a coprirgli parte del viso. Non si voltano mai del tutto nella mia direzione e per questo non riesco a vederli bene in volto, ma ho visto che entrambi hanno occhi verdi.

E allora realizzo chi sono. Sono i due rapinatori del “supermercato”.

Anche se sento il cuore battermi fortissimo in petto e la paura che comincia a farmi venire le lacrime agli occhi, cerco di mantenere la calma. Mi ritraggo e mi prendo per un attimo la testa tra le mani.

Calma. Niente panico. Sei più forte di loro. E tra l'altro questa è casa tua, loro non sanno neanche che sei qui, puoi coglierli entrambi di sorpresa.

Sì, posso farlo. Ma non riesco a smettere di chiedermi come abbiano fatto a sapere che vivo qui, perché sono sicuro che siano qui per me. Vogliono vendicarsi per quello che ho fatto! E se sono qui vuol dire che la polizia non è riuscita a prenderli, o forse sono scappati.

Mi rendo conto di stare tremando quando mi affaccio di nuovo a sbirciare, giusto per controllare che cosa stanno facendo.

L'alto sta frugando in un cassetto, svogliatamente, il piccolo controlla dentro l'armadio.

Cosa stanno cercando? È la prima stanza che controllano? Vogliono soldi o gioielli? Cosa vogliono?

Poi il piccolo si volta, all'improvviso, e per un attimo i nostri sguardi rimangono incrociati.

Riesco a pensare, prima che lui sibili qualcosa all'alto – qualcosa che non riesco a capire – che è piuttosto carino. Ma è solo un ragazzino! Niente di più, perché subito dopo l'impellente bisogno di scappare mi prende lo stomaco con forza e posso solo girare i tacchi e correre.

Sto per urlare “mamma, papà!” più forte che posso, con tutto il fiato che ho, quando qualcosa di orribilmente doloroso mi colpisce la schiena. È come un ago, un ago che supera la stoffa del pigiama e mi trapassa la schiena, e subito dopo la puntura rischio quasi di ingoiarmi la lingua per il dolore. Deve essere una scarica elettrica quella che mi attraversa tutto il corpo facendomi crollare a terra di colpo. Braccia e gambe non rispondono più, non riesco neanche ad urlare, non ho fiato sufficiente.

Prima di perdere i sensi riesco a vedere il piccolo che si piega accanto a me, sento vagamente che mi scosta i capelli dalla fronte. Il suo sorriso è l'ultima cosa che vedo.

 

*

 

Mi costringono a scegliere tra: un mantello rosso, un enorme martello, artigli d'acciaio, una tuta da combattimento, uno scudo rotondo con una stella al centro, una lanterna verde e un vestito nero che mi ricorda vagamente un pipistrello.

Scegli, Loz!” mi dicono “Scegli che genere di supereroe vuoi essere!”

Io non lo so che supereroe voglio essere, ma loro mi fanno tanta pressione. Mi sembra di impazzire. Prendo il mantello rosso, ma il martello scintilla, e oh il vestito nero deve essere così comodo!

Scegli, scegli! Non c'è più tempo!”

Non lo so, per favore, ho bisogno di pensarci attentamente, non so ancora cosa potrebbe essermi utile!

Forse allora non sei speciale. Non servi a niente. Non sei adatto a fare il supereroe.”

No! Ho solo bisogno di pensarci, davvero, sono speciale! Sono speciale!

 

- Sono...speciale... -

È la mia stessa voce farfugliata e impastata dal sonno a svegliarmi.

Un sogno, è stato tutto un sogno.

Apro gli occhi pianissimo perché mi sembra di essere fatto di vetro. Mi fa male tutto, mi fa male qualsiasi cosa.

La testa mi scoppia e la lingua è così asciutta in bocca che mi sembra di aver mangiato sabbia. Ma la sabbia non si può mangiare, e poi l'ho fatto solo una volta quando avevo sei anni.

Finalmente riesco a mettere a fuoco la mia stanza ma...che strano, non è la mia stanza. Sul soffitto non ci sono le stelline fosforescenti e la luna di plastica al centro, e contro il muro non c'è nessuna mensola. Non sono neanche le mie coperte quelle che ho addosso, troppo ruvide, e hanno un odore che non riconosco.

Dove sono?

Provo a mettermi seduto il braccio destro non si muove. Mi hanno ammanettato al letto!

Provo a strattonare un po' per vedere se le manette cedono ma ovviamente mi faccio solo male.

Calma Loz. È la tua storia, è il tuo film. Ci siamo, è arrivato il momento.

La mamma ha sempre detto che sei speciale, e diamine, hai quasi sventato una rapina! Ma era ovvio che i cattivi venissero a prenderti, si saranno accorti anche loro di quanto sei speciale, e di conseguenza hanno deciso di catturarti. Non eliminarti, solo catturarti, prima devono capire perché sei speciale, e devono provare a convincerti a stare dalla loro parte, dopo di che arriveranno i buoni e potrai combattere con loro.

È così che funziona, no?

Però mi fa male il polso.

Il cigolio di una porta che si apre mi fa alzare di scatto la testa. Sono i due rapinatori. Non indossano più quelle tute di pelle, ma abiti di tutti i giorni, e sembrano...normali, dei ragazzi normali, o almeno credo, non ho mai visto dei ragazzi normali starmi così vicino volontariamente. Sarà per questo che mi viene naturale ritrarmi verso la testiera del letto, mentre il piccolo si accomoda su una sponda. L'altro rimane in piedi, le braccia incrociate. Lo vedo sotto la maglia che indossa che ha una pistola infilata nell'elastico dei pantaloni, e in ogni caso era così scontato che non avrei neanche dovuto guardare per accertarmene. È un classico!

- Ciao Loz. -

Comincia il piccolo, e allora abbasso lo sguardo su di lui. Penso di nuovo che sia carino, e che sia davvero molto piccolo.

- Come conosci il mio nome? -

Lo so già, ancora prima che si infili la mano in tasca e tiri fuori il mio braccialetto di plastica blu. Sono stati loro a raccoglierlo allora. Ed ecco anche come sapevano dove trovarmi!

Sono venuti a prendermi appositamente.

- Ci hai molto colpiti ieri al supermercato. - continua lui, rigirandosi tra le mani il braccialetto. Oh, sembra davvero come gli antagonisti dei miei film. Provo a immaginare che nome possa essersi dato, il nome da supercattivo. Deve essere qualcosa ad impatto. - Soprattutto a Yazoo. - indica il ragazzo alto. Yazoo. Che fa una smorfia. Eh, devo avergli fatto male cadendogli addosso con tutto il mio peso. Devo confessare che non mi dispiace averlo fatto. - Sei stato davvero coraggioso a sfidarci così, completamente disarmato...non ce lo aspettavamo. Quindi ci siamo detti: “ehi, magari quel ragazzo può essere utile alla nostra organizzazione.” -

Ecco, adesso mi propongono di schierarmi dalla loro parte. Io non sono così stupido.

- Non farò parte di nessuna organizzazione. -

Dovrei sputargli in faccia. Sì, dovrei proprio. Mi passo la lingua sui denti e in bocca succhiando tutto quanto riesco a trovare per poter creare uno sputo degno di nota ma...è tutto così secco, è ancora come se avessi mangiato sabbia.

Gli sputerò in faccia quando mi avranno dato da bere, perché di certo non hanno intenzione di uccidermi, altrimenti due cosini piccoli come loro non si sarebbero impegnati tanto per stordirmi e portarmi, visto che sono tranquillamente il doppio di entrambi.

- Loz. - la voce del piccolo si è fatta più dolce - Quello che hai visto ieri potrà averti confuso ma devi sapere che la nostra è un'organizzazione benefica. -

- Rubare nei supermercati non mi sembra un'azione da organizzazione benefica. -

Lui annuisce, ovvio, cos'altro può fare.

- Ti è sembrato che stessimo rubando. -

Un piccolo campanello di interesse mi risuona in testa.

- Che vuoi dire...? -

Chiedo, cautamente. Non voglio che capisca che mi ha interessato. Ma deve averlo capito comunque perché si sistema meglio sul letto e mi si avvicina. È talmente vicino che potrei prenderlo per il colletto con la mano libera, ma il fatto che Yazoo tenga ben in vista la pistola che ha nella cintura e sia pronto ad estrarla mi dice che non è una buona idea.

I supereroi non fanno gesti avventati, o almeno, non quelli intelligenti.

Il piccolo si prende ancora un po' di tempo prima di riprendere a parlare. Mi solleva la mano con gentilezza e fa scattare al polso il braccialetto, rimettendolo al suo posto originale.

- A volte siamo costretti a fare...cose che non sembrano proprio legali per poter salvare il mondo. -

- Salvare il mondo? -

Quella cosa che mi manga lo stomaco e si agita e scalcia e cerca di uscire è curiosità. Mi sento bruciare tutto dalla voglia di fargli altre domande, e vorrei scuoterlo perché mi rispondesse più in fretta ma mi trattengo, devo farlo.

- Certo. - annuisce solennemente - Vedi, la nostra organizzazione ha scoperto che un gruppo di malviventi davvero molto, molto pericolosi avevano immesso sul mercato delle banconote contraffatte, ma non nel modo “consueto”. -

- ...e in che modo erano contraffatte? -

La sua espressione si fa grave, gli occhi pieni di qualcosa di qualcosa simile a preoccupazione. Annuisce tra sé e sé come se avesse preso una qualche importante decisione e poi torna a guardarmi fisso negli occhi.

Quando parla, il tono della voce si è dimezzato, è solo un sussurro.

- Erano state stampate con un inchiostro altamente radioattivo. -

Mi scappa un verso di sorpresa dalle labbra mentre gli occhi si sgranano. Mi viene quasi naturale abbassare la voce tanto quanto ha fatto lui.

- Possono farlo? Posso rendere radioattive le banconote? -

- Sì, possono. - sento lo stomaco stringersi in una morsa mentre lui mi guarda con solennità - Capirai anche tu che nessuno poteva andare dal proprietario del supermercato e dire soltanto “datetici tutti i vostri soldi, siete in pericolo”, non ci avrebbero creduto, neanche se gli avessimo mostrato i nostri distintivi. - certo, certo, ha senso, ha tutto un senso. Mi ritrovo ad annuisce, lentamente, mentre lui continua. - Per questo il governo ha assunto la nostra organizzazione per fare il lavoro sporco al suo posto. Con una rapina avremmo potuto portare via tutti i soldi contraffatti senza però mettere al corrente la popolazione del pericolo effettivo che stava per correre. È un lavoro orribile, ma va fatto. - ancora, mi ritrovo ad annuire. Comincio davvero a desiderare un bicchiere d'acqua, ho la bocca sempre più secca. - Non trovi strano che non siamo in prigione? Ovviamente la polizia sapeva tutto quanto, erano nostri complici, l'organizzazione per cui lavoriamo è un ben al di sopra delle normali forze dell'ordine. -

- Quindi...stavo per impedirvi di salvare quelle persone... -

Mi esce fuori con un mormorio mentre abbasso la testa, colpevole.

Il piccolo allora si sporge quel tanto che basta per aprire le manette che mi tengono fermo al letto, in automatico mi porto il polso al petto per massaggiarlo. C'è giusto un segno rossastro sulla pelle, anche se è indolenzito dalla posizione assunta tutta la notte.

- Quasi. - sento quella risposta come se fosse un'ammissione di colpa e allora mi si stringe il cuore. Che stupido sono stato, che avventato. Nelle storie di supereroi c'è sempre un'organizzazione governativa che agisce per il bene del paese anche usando mezzi non ortodossi. E io ci sono finito proprio in mezzo! - Però alla fine è stato un bene che tu abbia aggredito Yazoo. - che vedo sbuffare e alzare gli occhi al cielo - Così abbiamo potuto identificarti, Loz. Stavamo cercando da molto tempo qualcuno come te. -

Mi sento come se il cuore dovesse scoppiarmi di gioia, riesco a malapena a respirare. Cerco in tutti i modi di ingoiare il groppo che ho in gola ma...non ci riesco, potrei soffocare.

Mi serve un lungo istante per chiedere solo:

- Perché? -

- Perché tu sei speciale. -

 

Mi hanno portato nel loro appartamento. Kadaj mi ha detto che non è stato per niente facile farlo mentre ero svenuto perché sono enorme. Per qualche motivo ci ha tenuto davvero a rimarcare che sono enorme e che hanno fatto parecchia fatica a trasportarmi. Deve essere uno dei miei pregi, per questo cammino a petto in fuori, mento in su e schiena dritta mentre mi mostra il resto della casa.

Si sono scusati per aver usato contro di me il taser, e per giunta ad un voltaggio così alto, ma dovevano in tutti i modi evitare che gridassi, e probabilmente hanno ragione a dire che se avessero cercato di parlarmi in quel momento non avrei creduto ad una sola parola.

Oh, giusto, Kadaj è il “piccolo”, ma ho smesso di definirlo così, non è carino e a quanto pare ha un grado molto elevato all'interno dell'organizzazione.

L'appartamento è abbastanza grande e mi è bastata quella prima visita per capire che Kadaj e Yazoo lavorano con cose molto pericolose. Ho intravisto delle armi, zaini pieni di munizioni, diversi computer dall'aria fragile e costosa: tutte strumentazioni che persone normali non avrebbero in casa, fanno sul serio.

C'è anche la borsa con i soldi contaminati, ma a quanto mi ha detto Kadaj è stata fabbricata con un materiale in grado di trattenere le radiazioni, per questo è meglio che non tenti neanche di aprirla: potrei morire.

Non avrei mai pensato di essere scelto per lavorare in incognito per un'organizzazione segreta e mi è stato ribadito più e più volte di non andarlo a sbandierare in giro. Ma davvero pensano che potrei farlo? Sarei un pessimo eroe.

Non ho potuto chiamare a casa per avvertire che sto bene, anche perché è probabile che a quest'ora casa mia pulluli di poliziotti e che la linea telefonica sia controllata. A tutti gli effetti sono sparito la notte scorsa e risulto scomparso al momento, i miei saranno preoccupatissimi e staranno facendo di tutto per trovarmi. Ma io ho importanti missioni da svolgere per l'organizzazione adesso, e Kadaj e Yazoo mi hanno promesso che faranno arrivare ai miei genitori dei biglietti in cui confermano che sto bene, così dovrebbero tranquillizzarsi.

- Allora, qual è la prossima missione? -

Chiedo, e anche se la domanda è rivolta ad entrambi, parlo praticamente solo con Kadaj. Non ho sentito Yazoo spiccicare una sola parola da quando mi sono svegliato. Devo avergli fatto piuttosto male cadendogli addosso per renderlo così rancoroso nei miei confronti.

Che schizzinoso, non dovrebbe trattare così qualcuno che è speciale come me. Ma sono un eroe umile, non glielo farò notare, farò finta di niente.

Mi piace osservare come Kadaj si prende tempo prima di parlare. Si prende sempre tempo, pesa ogni parola, sceglie accuratamente anche l'espressione sul suo volto. È un leader nato. Più lo guardo, più capisco quanto sia forte e quanto mi intimorisce, nonostante la minuscola statura.

Oh, non dovrei pensare a lui come “minuscolo”, si arrabbierebbe.

- Bhe, tanto per cominciare hai bisogno di un ricambio di vestiti. - mi rendo conto solo dalla sua occhiata che, in effetti, sono ancora in pigiama e non ho niente altro da mettermi. Improvvisamente trovo la cosa molto imbarazzante e cerco di coprirmi di più tirando verso il basso la maglia. - E di quello può occuparsi Yazoo, per il momento non devi fare altro che rimanere in attesa di istruzioni. -

Per un attimo Yazoo alza la testa verso Kadaj e sembra stare per dire qualcosa, ma basta un'occhiata di lui perché taccia. Mi piace il suo carisma. È come quei personaggi dei miei film che appaiono in un modo e invece poi, sorprendentemente, sono in tutt'altro e nascondono un sacco di sorprese.

Chissà quale altro segreto tiene nascosto Kadaj.

- Va bene. - rispondo in ogni caso - Posso guardare quello che fai al computer? -

- Certo. -

Con una manina da un colpetto alla sedia accanto a lui come per dirmi “accomodati”. Non potrei sentirmi più felice. Alla destra del capo, mentre lavora a preziosissimi file segreti di cui nessuno conosce l'esistenza.

Se questo non mi rende speciale non so cos'altro lo possa fare.

 

Yazoo è fuori da diverse ore. Non dovrei dirlo, ma mi annoio.

Non c'è molto da fare e ho finito col mettermi a dondolare sulla sedia.

Kadaj continua a lavorare al computer, non stacca un attimo, e capisco davvero poco di quello che fa. Anche se all'inizio è stato emozionante mettermi a guardarlo, adesso è piuttosto noioso.

La vera azione è sul campo, ma non potevo aspettarmi che come novellino dell'organizzazione mi mettessero subito a fare qualcosa di importante. Quindi tutto sommato ero preparato all'eventualità che dovessi solo starmene buono buono in attesa di tempi migliori. Ma non ero preparato alla noia.

Che noia!

La sedia cigola un po' sotto il mio peso mentre faccio avanti e indietro sul pavimento. È tipo chick chick chick come il verso di qualche strano animale.

Chick chick chick chick

Chick chick chick chick

Chick chick chick chick

- Potresti smetterla? -

Sobbalzo tanto che lì per lì non so neanche chi è che ha parlando.

Kadaj, con i suoi occhioni verdi puntati su di me, le sopracciglia argentee strette l'una all'altra in un'espressione infastidita e arrabbiata insieme.

- Scusa. -

Mi affretto a dire. Allora lui torna al suo computer, anche se riesco quasi a sentire che continua a sbirciarmi con la coda dell'occhio.

Cerco di fare pianissimo mentre sistemo la sedia di nuovo accanto alla sua, ma il chick è quasi inevitabile, e lui torna a guardarmi.

- Non sai stare fermo? -

Mi sento sgridato, anche se il suo tono non è quello di qualcuno che sgrida, quindi abbasso la testa e mi sfugge un altro tiepido, piccolo “scusa”.

Allora lui sospira, e lo vedo mentre alza gli occhi al cielo.

- Dimmi Loz, qual è il problema? -

Mi arrischio a guardarlo ma non a parlare. Mi mordicchio le labbra indeciso, ma la sua espressione è così...gentile, vuole davvero sapere qual è il problema, e magari risolverlo insieme.

- È che mi annoio. -

- Capisco. - un piccolo sorrisino si apre sulle sue labbra - Bhe, purtroppo questo è il brutto del mestiere, salvare il mondo non è solo disarmare una bomba o sparare ai cattivi, è anche attesa e tempi morti, devi essere paziente. - mi agito sulla sedia, mugolando senza potermelo impedire. Fa di nuovo chick. - Facciamo così - chiude quasi tutti i programmi al pc con cui stava lavorando e accende la fotocamera interna - registriamo un video per i tuoi genitori, vuoi? Così glielo faremo avere questa sera. -

- Mi sembra un'ottima idea. -

Anche se quello che vorrei dire è “okay, sì, fantastico, yee!” ma devo darmi il contegno che si addice ad un supereroe.

Mi piazzo da solo davanti alla telecamera, e Kadaj mi mostra entrambi i pollici in su, così posso cominciare a parlare.

- Ciao mamma, ciao papà! Sono io, sto bene! Non preoccupatevi per me, tornerò presto a casa, però dovete essere pazienti, okay? Sto facendo qualcosa di molto importante. - agito la mano immaginando di averli davanti e mando un bacio alla mamma, poi cerco lo sguardo di Kadaj - Va bene così? -

Lui ha un sorriso che va da orecchio a orecchio.

- Sì, va benissimo, sei bravo. -

Mi viene automatico sorridere di rimando.

- Adesso che facciamo? -

- Decidi tu, che fai normalmente quando sei a casa? -

Mi stringo nelle spalle.

- Guardo la tv, gioco con Shimai, aiuto la mamma se ha bisogno, e apparecchio la tavola per il pranzo a mezzogiorno, tutti i giorni. -

Lui piega di lato la testa, il sorriso che diventa un po' più...piccolo, meno felice. Forse ho detto qualcosa che l'ha offeso in qualche modo?

- Non esci molto, vero? -

Prima di rispondere cerco di capire se potrei offenderlo di nuovo, non voglio vederlo smettere di sorridere, non so perché, ma è così.

- Io...no, non esco molto. - alla fine posso solo dirgli la verità, la verità non fa male, è giusta - Qualche volta esco per delle missioni, sai, come ieri al supermercato, ma non capita molto spesso... -

Evito di aggiungere che ogni volta che esco combino qualche disastro e che è maggiormente per questo che la mamma non mi lascia uscire. Non voglio che pensi che sono inutile o addirittura pericoloso per l'organizzazione e di conseguenza mi tagli fuori.

Anche stavolta per parlare Kadaj si prende del tempo, forse sta pesando le parole come prima ho fatto io con lui? O forse l'ho offeso in maniera definitiva e sta per dirmi che sono fuori e che devo andarmene?

Mi batte forte il cuore un po' di più ogni secondo che passa senza dire niente.

- Non hai nessun amico? -

- Sì, certo che ho qualche amico. - lui sembra rilassarsi e allora riesco a sorridere un pochino - C'è Shimai, la mia gattina, e la mamma, e poi adesso ci siete tu e Yazoo. -

Vedo i suoi occhi farsi di ghiaccio all'improvviso e penso che stia per mettersi ad urlarmi contro, per questo mi stringo nelle spalle pronto ad incassare.

Però non lo fa. Torna a guardare lo schermo del computer e cerca qualcosa su internet. Non ho il permesso di usare internet a casa, ed è comunque una noia quando lo uso, è sempre bloccato da password che non conosco e mi fanno perdere la pazienza.

Una schermata colorata prende tutto lo spazio disponibile e parte una musichetta in sottofondo.

- Ti piacciono i videogiochi? -

- Sì...certo. -

Rispondo, titubante, ma lui abbandona quell'espressione di ghiaccio per tornare a sorridermi.

- Facciamo una partita. -

Allora gli sorrido di nuovo anch'io. La sedia fa di nuovo chick quando mi avvicino alla scrivania, però nessuno dei due ci fa caso.

 

*

 

- Abbiamo ricevuto risposta? -

- Sì, vogliono sapere quali sono le nostre richieste. -

- Il ritardato ci farà fare un sacco di soldi, questo è il nostro colpo grosso. -

- Non chiamarlo così. -

- Così come? Ritardato? Ma è... -

Sento un rumore, qualcosa di simile ad un slap, forse è quello più delle voci ovattate a svegliarmi.

Faccio fatica a capire dove mi trovo e mi stringo le coperte addosso.

Poi realizzo e quando apro gli occhi ricordo tutto.

È il mio secondo giorno come agente dell'organizzazione.

Mi metto seduto strusciandomi gli occhi e sbadiglio. Vorrei poter dare il buongiorno a mamma, papà e Shimai, ma non potendolo fare lo mormoro tra me e me e in qualche maniera mi sento confortato.

Quando Yazoo è tornato ieri sera mi ha portato un ricambio d'abiti, un pigiama nuovo e persino un paio di pantofole. È strano indossarle perché sono nuove e dure, non hanno la forma del mio piede, per questo faccio un po' di pressione per fare in modo di imprimerla e stare più comodo. Bhe, tra qualche giorno andranno bene, anche se una parte di me tra qualche giorno vorrebbe essere a casa. Devo essere paziente, tornerò da eroe.

Kadaj e Yazoo sono in cucina. Yazoo sorseggia del caffè e ha l'aria risentita di prima mattina. Non c'è proprio modo di vederlo sorridere sereno, non è come Kadaj che appena mi vede mi rivolge un caloroso sorriso.

- Buongiorno Loz, hai dormito bene? -

- Si dorme meglio senza manette. -

Insinuo al fatto che la scorsa notte ero rimasto ammanettato al letto, dopo che mi hanno portato qui. Mentre Kadaj da in una risatina, Yazoo fa una smorfia.

Mi siedo a tavola, un po' a disagio. Ho fame, ma non voglio sembrare scortese.

- Vuoi qualcosa per colazione? Abbiamo tutto quello che vuoi, offre l'organizzazione. -

Sembra quasi che Kadaj mi legga nel pensiero, o forse ha solo sentito il mio stomaco gorgogliare. In ogni caso annuisco, forte. Ormai non sembrare entusiasta per ogni cosa ha smesso di essere una priorità.

- Latte e biscotti? -

Chiedo come se non mi importasse ma davvero davvero vorrei latte e biscotti. Non posso fare a meno di agitarmi sulla sedia mentre Kadaj prende il latte dal frigo e mi mette davanti un pacco di biscotti e una tazza vuota.

- Servito. -

Yazoo alza gli occhi al cielo e svuota in un sorso la sua tazza, per poi sbatterla nel lavandino e lasciare la cucina.

Lo osservo andare via con aria critica. Che cosa mai gli ho fatto per meritarmi questo atteggiamento? La storia che gli sono caduto addosso al supermercato ormai è vecchia.

Non sarà per caso...geloso della mia presenza? Oh, avrebbe un senso, nei film c'è sempre un veterano che si ingelosisce per il nuovo arrivato, soprattutto quando il capo – Kadaj – si mostra tanto gentile e accomodante nei suoi riguardi.

Non voglio insinuare niente, e non voglio permettermi di gongolare – non si fa, è irriguardoso nei confronti di Yazoo – però tanto vale chiedere.

- Ho fatto qualcosa a Yazoo? -

Anche stavolta, come per i biscotti e il latte, fingo che non mi importi, invece muoio dalla voglia di sapere la risposta di Kadaj. Che arriva pensata e lavorata con cura come ogni volta.

Io non perdo mai così tanto tempo per rispondere, sono troppo impulsivo. Deve essere una qualità da leader il saper scegliere con cura cosa e quando rispondere, riflettendo a lungo su ogni possibilità.

- No, Yazoo è sempre così. È scontroso di natura ma ha un cuore d'oro. - quindi lui sarebbe il compagno d'armi veterano che non vuole arrendersi all'inevitabile e lasciare il campo al novellino per non dover ammettere che gli si è affezionato. Ho capito. Però non dico a Kadaj nessuno dei miei pensieri. - E credo che ce l'abbia con te perché gli hai incrinato due costole durante il nostro primo incontro. -

Quasi mi soffoco con un biscotto, lo lascio a metà e devo battermi un pugno sul petto per non morire.

- Io gli ho...cosa? -

- Incrinato due costole. - ripete, ridendo appena - Sei davvero un bel po' pesante, sai. - dalle labbra mi esce fuori un brontolio. Non volevo di certo incrinargli due costole apposta, è successo! E avevo tutti i diritti di farlo, da quello che sembrava stavano commettendo un crimine, stavo solo cercando di fare la cosa giusta. Non può avercela con me per questo, non è colpa mia! - Stai tranquillo Loz, non è colpa tua. - alzo di scatto la testa e trovo Kadaj a sorridermi. Come ha fatto a sapere esattamente quello che pensavo? - Ti si legge tutto in faccia, sai, dovresti migliorare il controllo che hai sulle tue espressioni facciali, sennò ti beccheranno subito. - sento un calore poco familiare prendermi la faccia. L'ultima volta che è successo ero davvero molto piccolo, però mi ricorda qualcosa di brutto e vergognoso, per cui abbasso di nuovo la testa e metto su un broncio.

- Non volevo fargli male, mi dispiace. -

- Ah ma lo sa non preoccuparti, è solo invidioso perché non ha la tua stessa prestanza fisica. - una bassa risatina, fa ridere anche me, ma non alzo la testa - Ti alleni molto? -

- La mamma ci tiene che io sia in salute, per questo ha fatto costruire una palestra per me, visto che non posso uscire spesso, ci passo molto tempo. -

- Capisco. - un attimo di silenzio. Sbircio la sua espressione visto che non mi sta più guardando. Sembra preoccupato, ma per cosa? Quando torna a guardarmi io sto già bevendo il latte. - Ti va di registrare un altro messaggio per i tuoi genitori? -

- Sì, certo. -

Mentre Kadaj sistema il computer lo osservo un po' distante. Ha sempre quella strana espressione sul volto e...non so, mi sembra di esserne io la causa.

Anche se penso e ripenso a quello che ci siamo detti non trovo nulla che possa averlo offeso o disturbato, non riesco proprio a capire.

- C'è qualcosa che non va? -

Finisco col chiedergli. Lui lì per lì neanche alza la testa dallo schermo del pc, ma quando lo fa il suo sguardo è ancora più turbato di prima, anche se non posso esserne sicuro dato che cambia un attimo dopo e mi sorride.

- No, è tutto okay, sono solo pensieroso. -

- Pensi alla prossima missione? -

Il suo sorriso si fa più largo, come se si forzasse. Intanto mi siedo accanto a lui.

- Una cosa del genere, non mi piace far andare Yazoo da solo. -

- Forse dovremmo accompagnarlo... -

Non riesco neanche a finire la frase che lui mi interrompe. È solo con un'occhiataccia che mi zittisce.

- Non è il caso, non sei ancora pronto per andare in missione. Dobbiamo aspettare...nuovi ordini dall'organizzazione. -

- Okay. - lo osservo mentre digita furiosamente qualcosa, gli occhi fissi sullo schermo. È carino anche così. - Tu e Yazoo siete fratelli, vero? -

- Sì. -

Sembra un po' più rilassato. Forse preferisce che parli di qualcos'altro?

- Vivete insieme qui da tanto tempo? -

- Abbastanza. -

Si è sciolto un altro po'. Cerco di sforzarmi di sorridere.

- Io lo volevo un fratellino, ma la mamma mi ha detto che ero tanto speciale da non farle desiderare avere nessun altro figlio. Forse ha ragione, però mi sarebbe piaciuto averne uno. -

Lui allora si ferma e si volta a guardarmi. Mi squadra per un attimo e mi sembra di avere qualcosa in faccia per come mi guarda, tanto che vorrei toccarmi e accertarmene. Però non oso muovere un solo muscolo.

- Possiamo essere noi i tuoi fratelli, per un po', che ne pensi? -

Trattengo il respiro per non urlare, e devo anche mordermi forte la lingua. Quando sono sicuro di poter controllare la voce mi esce solo un sottilissimo:

- Davvero? -

- Davvero. -

Kadaj, Loz, Yazoo. Suonano bene insieme, no? Io penso che suonino bene insieme!

Volevo un fratello, e invece ne ho avuti due.

 

*

 

So che dovrei sentirmi in colpa per questo, o che dovrebbe in qualche modo dispiacermi, ma il momento che aspetto con più ansia della giornata è quando Yazoo esce di casa.

Ormai è una settimana che vivo con i miei fratelli e la routine è più o meno sempre la stessa: la mattina mi alzo, faccio colazione, registro il video con i saluti da mandare a mamma e papà con tutte le assicurazioni del caso – sto bene, mangio abbastanza, dormo, faccio poca ginnastica ma cercherò di recuperare –, mi cambio – se ne sento la necessità faccio una doccia – e aspetto. Aspetto che Yazoo esca di casa così posso rimanere solo con Kadaj – e in minima parte aspetto che l'organizzazione si faccia viva così da darmi da fare qualcosa di più concreto di questo, visto che comincio a stancarmi –.

Non appena la porta di ingresso si è chiusa alle spalle di Yazoo qualcosa in Kadaj cambia. Abbandona quell'espressione seria e pensierosa – quasi arrabbiata – che tiene su tutto il tempo quando lui è nei paraggi e comincia a sorridere, tanto che ho cominciato a pensare che il problema fosse la presenza di Yazoo e non qualcosa nelle mie parole a far scendere quelle brutte ombre sul suo bel viso.

Ogni giorno facciamo qualcosa di nuovo, e non importa cosa sia purché lo facciamo insieme.

Ieri, ad esempio, abbiamo giocato a battaglia navale, l'altro ieri abbiamo costruito un fortino con lenzuola e cuscini nella stanza di Kadaj.

Sono tutte cose nuove per me, non avevo mai avuto un amico con cui farle, né tanto meno un fratello.

Kadaj mi parla tanto di quando erano bambini, quel tipo di giochi li preparava sempre Yazoo per lui, prima di...

Prima di non so cosa, perché quando arriva a parlarne si zittisce o cambia argomento. Però fin quando non ci avviciniamo a quello mi piace sentirlo parlare.

Mi ha presentato un'immagine di Yazoo che non avrei mai potuto creare dal suo comportamento attuale.

Chissà se com'è adesso dipende da quello di cui Kadaj non vuole dirmi nulla.

In ogni caso non posso fare a meno di agitarmi sulla sedia quando Yazoo sbatte – come sempre – la porta di ingresso come se volesse dire al mondo “me ne sono andato perché non sopportavo più la vostra presenza non perché ho realmente qualcosa da fare”.

Non appena siamo rimasti soli volto la testa verso Kadaj ed è bello trovarlo sorridente, un sorriso complice che mi suggerisce quello che ha in mente per oggi.

- Hai paura del buio? -

Me lo sussurra con fare cospiratorio e io scuoto subito la testa. I supereroi non hanno paura. E anche se io ho paura, non dirò di avere paura, perché è così che si deve fare. Allora lui annuisce, soddisfatto.

- Non mi dici come si chiama il gioco...? -

Anch'io mormoro, non si sa mai, potrebbe esserci qualcuno in ascolto.

- “Mezzanotte scoccata”. -

Sento un brivido attraversarmi tutto il corpo, e so che si tratta dell'eccitazione che precede qualcosa di nuovo. Come tutte le altre cose che mi ha proposto di fare, non ho mai giocato a “Mezzanotte scoccata”, non so neanche in cosa consiste.

Quindi lo guardo mentre prepara il nostro “terreno di gioco”, in questo caso la mia stanza da letto che è la più grande. Abbassa le serrande e tira le tende finché non raggiungiamo il buio assoluto – cosa che mi fa tremare appena ma non glielo dirò – e prima di chiudere la porta e spegnere tutte le luci mi spiega in cosa consiste il gioco.

- Io conterò fino a dodici, come se fossero i rintocchi delle campane a mezzanotte, e mentre conto devi trovare un posto dove nasconderti e rimanere in silenzio. Ovviamente mentre ti cerco puoi anche muoverti, lo scopo del gioco è non farsi trovare scappando al buio, capito? -

- Capito. -

E mi fa un po' paura.

Lui sorride e, come la prima volta che ci siamo incontrati, il suo sorriso è l'ultima cosa che vedo, perché subito dopo si fa buio.

È un gioco orribilmente spaventoso da fare, o almeno è quello che penso dopo la prima partita – che a proposito Kadaj ha vinto senza neanche doversi sforzare – però una volta che ci si prende la mano non si può fare a meno di giocarci. Non so per quanto tempo siamo andati avanti, forse un'eternità, è difficile capire lo scorrere del tempo quando tutto intorno a te c'è solo buio, buio denso e infinito.

Vagando nel buio con le mani tese spero di non sbattere contro qualcosa, perché già mi fa male lo stinco per quando prima sono andato a picchiare contro il comodino. Sento un fruscio in movimento alle mie spalle e allora mi giro. È solo con l'istinto che chiudo le braccia intorno al corpicino di Kadaj che sento sobbalzare per la sorpresa.

- Preso! -

Strillo e lui scoppia a ridere. Per poi fare qualcosa che nessuno aveva mai fatto. Mi abbraccia. Sento che mi stringe con forza e appoggia la testa sul mio petto, piano piano, il suo respiro si sincronizza al mio. Lì per lì ho paura, non riesco a vederlo con tutto quello buio e vorrei dare una forma a quella sensazione di...immenso calore che provo. Presto però mi lascio andare e ricambio come posso. Ricordo quando avevo tentato di abbracciare me stesso stando rannicchiato sotto le coperte...questo è totalmente diverso. È bello, è caldo, è confortante. È qualcosa che non avevo mai avuto.

La mamma mi vuole bene, mi rimbocca le coperte, mi da il bacio della buonanotte, ma non mi abbraccia mai, non l'ho mai vista abbracciare neanche papà, o viceversa.

Nessuno mi ha mai abbracciato prima d'ora e non so perché constatarlo mi fa venire le lacrime agli occhi. Sono contento che sia buio adesso, così Kadaj non può vedermi piangere.

Rimaniamo abbracciati finché non sentiamo la serratura della porta di casa che scatta: Yazoo deve essere tornato.

Kadaj rimane ancora un po' ancorato a me, sento la sua indecisione a lasciarmi andare e...oh, non vorrei, non vorrei che lo facesse, non vorrei mai più sciogliere quell'abbraccio e so che se volessi potrei farlo: sono abbastanza forte. Però lentamente lascio la presa e lui si allontana, va ad aprire la luce, scosta velocemente le tende, rialza la serranda e fa per uscire dalla stanza. Prima di farlo però mi rivolge un altro sorriso.

Penso di volere bene al mio fratellino. Il pensiero mi...mi...non riesco a trovare una parola adatta, non la conosco, ma mi smuove qualcosa dentro e mi sento sopraffatto, è come se avessi un peso sullo stomaco ma non fosse una cosa negativa, è una cosa bella, ma è anche una cosa brutta.

Sobbalzo quando Yazoo sbatte rabbiosamente la porta – più del solito, il che è tutto dire –. Kadaj gli è subito vicino. Non so se sia invidia quella che provo quando li guardo scambiarsi quelle occhiate così cariche di significato, forse sì, ma non ne sono sicuro, so solo che possono parlare tra di loro senza dire una parola e che è quello che stanno facendo adesso.

Kadaj annuisce e mi rivolge un mezzo sorriso. Niente di eclatante, giusto un angolo delle labbra che si piega all'insù.

- Noi dobbiamo parlare, Loz. Puoi rimanere qui un attimo? -

- Sì. -

Muoio dalla voglia di sapere cos'è successo, perché Yazoo è tanto arrabbiato e agitato, e perché soprattutto non possono mettermi a conoscenza dei fatti. Forse finalmente l'organizzazione si è mossa, magari mi manderanno in missione!

Chissà se Kadaj si arrabbierebbe se mi mettessi ad origliare la loro conversazione e...oh, sono così tentato. Mi basterebbe ascoltarne giusto un pezzetto...solo un po'.

Sto quasi per alzarmi quando Yazoo spalanca la porta della stanza e sobbalzo, di nuovo.

- Non sono d'accordo, è un suicidio. -

Ringhia, ma neanche lo guarda, tira dritto verso di me.

- Per fortuna non decidi tu. - invece la voce di Kadaj è gentile e insinuante - Loz? - distolgo lo sguardo da Yazoo – a cui avevo già dato poco conto prima, figurarsi adesso – e mi concentro su Kadaj. Mi sudano le mani. Lo so che cosa sta per succedere. - Abbiamo bisogno del tuo aiuto per una missione domani, che cosa ne pensi? -

- Penso che era ora. - sì, un'occhiata, giusto un'occhiata, a Yazoo la lancio, e mi riempie d'orgoglio che il mio fratellino abbia bisogno di me. - E che sono pronto. Cosa devo fare? -

Mentre Kadaj mi sorride sento Yazoo sbuffare.

 

Non so se mi emozionino di più i preparativi o la missione in sé. Probabilmente tutte e due, ma mi batte troppo forte il cuore perché riesca a ragionarci su lucidamente.

Anche il fatto di essere totalmente vestito di nero come i miei due fratelli mi causa una scarica di adrenalina enorme, è come se qualcuno me la iniettasse direttamente nel sangue. Sento le mani formicolare e non faccio che aprirle e chiuderle, aprirle e chiudere.

Il furgone lo guida Yazoo, che è l'unico che sia in grado di farlo, mentre io e Kadaj stiamo sul retro. Lui mi ripete ancora e ancora, fino alla nausea, tutto quello che devo fare, tanto che ormai non solo lo so a memoria, ma potrei ripetere parola per parola tutto il discorso. So che lo fa per motivi di sicurezza, e capisco che sono solo un novellino, ma non sono così stupido da non ricordarmi che cosa dobbiamo fare.

Mentre Yazoo ci guarda le spalle, io e Kadaj dobbiamo entrare in un altro “supermercato” in cui sono state rilevate tracce di banconote contaminate. Devo stare attento a maneggiarle – se mai mi capitasse di farlo – e devo infilarle nel borsone speciale di Kadaj immediatamente. In teoria non arriverò a toccare il denaro, il mio compito è solo quello di stendere tutte le guardie all'ingresso: sono stati assoldati dai malviventi che hanno contaminato le banconote e vanno resi innocui. Sono nato per questo genere di lavoro.

Dovesse andare qualcosa storto – se per caso uno dei due venisse catturato – niente atti eroici, finiremmo col metterci in pericolo inutilmente. Sarà l'organizzazione a tirarci fuori dai guai, siamo assicurati.

Kadaj mi porge un passamontagna e mi sento quasi fremere, ma nonostante tutto avrei quasi preferito avere il viso scoperto.

Ho trovato un bel nome per il nostro trio in uno slancio di creatività. Tutti e tre abbiamo capelli argentei, e siamo tutti e tre dei maschi, perché non “Silver Haired Men”? A me sembra che sia bellissimo. Dovrò dirlo a Kadaj quando tutto questo è finito. Potrebbe essere il nostro nome in codice, come “i Vendicatori” o cose del genere, i cattivi tremerebbero solo a sentirlo mentre la popolazione ci acclamerebbe.

Però per il momento siamo MIB – Men in Black, non è bellissimo anche questo? – e tutto sommato va bene anche così.

- Pronto? -

Annuisco soltanto, non vorrei che la mia voce risultasse...tremolante come sento che potrebbe essere.

Yazoo ferma il furgone ma lascia il motore in moto. Si volta a guardarci e ha un'espressione tutt'altro che felice.

- Continuo a pensare che sia un suicidio. -

- Pensala come vuoi. - Kadaj carica la pistola – ma mi ha assicurato che non sono proiettili veri, li usa tanto per intimidire – e la infila nella fondina. Io non ho un'arma, ma non ne ho bisogno, non sarò mai sotto tiro e comunque la mia specialità è il corpo a corpo - Vedi solo di tenere tutto pronto per la fuga. -

Lui non ribatte, ma so che sta pensando a qualcosa di acido e scontroso, perché Yazoo è così: acido e scontroso. Ancora non ho trovato in lui quel cuore d'oro di cui parla tanto Kadaj, forse devo cercare meglio.

Anche se non ho armi, tutti e tre abbiamo degli auricolari che ci tengono in perenne contatto, Kadaj accende il suo e nell'orecchio destro sento un basso bzzzrt di elettricità statica.

- Dentro e fuori in massimo quaranta minuti, di più rischiamo di mettere in mezzo le forze dell'ordine, chiaro? -

Sia io che Yazoo annuiamo. Ora più che mai mi sento agitato. Potrebbe scoppiarmi il cuore!

Ti prego, fa' che non mi scoppi il cuore proprio adesso, ne ho ancora bisogno per fare questa cosa...magari dopo?

Cerco di ingoiare l'ansia respirando a fondo, ma l'unica cosa che ottengo è un'ondata di nausea che mi fa quasi vomitare lì, nel furgone, addosso a Kadaj. Fortuna che riesco a sigillare le labbra appena in tempo.

Mi hanno spiegato che normalmente questo genere di missioni possono farlo anche solo in due, come la prima volta che li ho visti, ma in tre, con qualcuno pronto sul furgone per la fuga, le probabilità di successo salgono in maniera esponenziale. E poi Yazoo è un ottimo tiratore libero – a detta di Kadaj – e può darci supporto da lontano.

In ogni caso, tengo gli occhi fissi sulle dita di Kadaj che fanno il conto alla rovescia.

Cinque.

Quattro.

Tre.

Due.

Uno.

Via!

Salto fuori dal furgone inseguendo la bassa figura di Kadaj, veloce e scattante come un piccolo felino.

Balza in un lato quando arriviamo davanti alla porta d'ingresso e...da quel momento in poi io non sono più lì.

È strano, ma è come se stessi guardando uno dei miei film. Io sono da qualche parte in sala, gli occhi puntati sullo schermo, e il mio eroe preferito apre la porta con una spallata, il vetro va in frantumi con un crash, un uomo salta su terrorizzato e urla “Fermi!” e lui gli tira un pugno sul muso tanto forte che non solo sento il crack di ossa che si spezzano, ma vedo anche un fiotto di sangue sprizzargli addosso. Esaltato dal combattimento, il mio eroe copre le spalle al fratello come se non facesse altro da tutta una vita. Quando un altro uomo gli si para davanti, lui lo carica come un toro, lo ribalta quasi, e da lontano sento la risatina estasiata di Kadaj. “Mani in alto!” un agente di polizia in divisa, ma il mio eroe sa che è un imbroglio. Si piega per non essere nella traiettoria della pistola e con una gomitata gli fa saltare via la pistola. Bam crash stump il corpo è esanime sul pavimento. Il mio eroe è una vera furia. Da lontano la figura di Kadaj appare quasi sfocata, e anche se il viso è coperto dal passamontagna il mio eroe cerca i suoi occhi e quando li trova sa che stanno sorridendo.

Sono passati solo dieci minuti e Kadaj sta riempiendo il borsone con tutte le banconote che può, come la prima volta che gliel'ho visto fare è preciso e veloce, sa esattamente quello che deve fare e come. C'è qualcuno che piange in lontananza, il mio eroe vorrebbe vuotare il sacco e dire a tutti che stanno agendo per il loro bene, ma si morde la lingua e pensa che fare l'eroe è davvero dura.

- Fatto. -

Urla poi Kadaj e allora il mio eroe gli corre dietro, l'adrenalina è per lui come la benzina per un'auto.

E all'improvviso non sono più al cinema, non sono più seduto in sala, sono di nuovo io, sono l'eroe che ho visto agire solo un attimo prima. E fa male. La spalla urla di dolore per la botta data per aprire la porta, le nocche della mano destra sono scorticate e coperte di sangue che sono sicuro non sia solo mio. Di questo gli eroi raramente parlano, del dolore intendo. Sì, magari nei film ce lo fanno vedere, ma sentirlo è davvero tutta un'altra cosa.

Il tessuto del passamontagna è zuppo, e so che si tratta di lacrime, sto piangendo da non so neanch'io quanto tempo. Non riesco a sentirmi singhiozzare ma sono sicuro che Kadaj può. Per questo non mi stupido quando mi viene vicino e mi prende per un braccio, trascinandomi nella fuga. Il borsone pieno di banconote lo tiene saldamente con l'altra mano.

Allora ce l'ho fatta, ho aiutato a salvare il mondo!

Mi esalta così tanto l'idea che non sento, né vedo, l'uomo armato che punta contro di me una pistola. Però il bang...quello mi arriva forte e chiaro. Il dolore lo aspetto più o meno alla gamba, e chiudo gli occhi così forte che non mi rendo conto che non arriva mai. Perché qualcosa si è messa tra me è il proiettile.

- KADAJ! -

Il borsone con le banconote era semiaperto, svolazzano dappertutto come le foglie in autunno. Sento qualcuno urlarmi nelle orecchie e realizzo molto dopo che si tratta di Yazoo.

Le sirene della polizia coprono le parole di mio fratello, si stanno avvicinando.

Mi tremano le gambe e mi sento venire meno. È sangue, vero sangue quello che esce dalla ferita al fianco di Kadaj. Riesco solo a prenderlo in braccio e correre, correre prima che l'uomo armato spari di nuovo.

Le urla di Yazoo mi confondono. Non l'avevo mai sentito così.

Un sibilo acuto quasi mi fa scoppiare un timpano, lo spostamento d'aria che ne consegue precede di pochissimo il risuonare di uno sparo.

Deve essere stato Yazoo a colpire l'uomo armato alle mie spalle con il fucile di precisione dal furgone.

Trovo lo sportello aperto e quando mi ci fiondo dentro le ruota sgommano sull'asfalto. L'odore acre di copertone bruciato mi prende alla gola e quasi mi soffoca, o forse sono i singhiozzi che non riesco in alcun modo a calmare?

Sfilo il passamontagna a Kadaj e quasi urlo di gioia quando vedo che ha gli occhi aperti. È pallido, sofferente, ma...vivo!

- Kadaj, Kadaj...Kadaj... -

Gli piango addosso e finisco con lo stringermelo contro più che posso, provocando un debole lamento di insofferenza da parte sua. Non riesco a chiedergli scusa.

Le sue manine passano a togliermi il passamontagna e poi si appoggiano sul mio viso.

- Non piangere, Loz. -

Però ottiene esattamente l'effetto contrario. Piango tutte le mie lacrime, o quasi tutte, su di lui, senza riuscire a dire una sola parola di senso compiuto, senza riuscire neanche a vedere la sua espressione...finché non mi arriva uno schiaffo, tanto forte che mi mozza il fiato in gola.

Qualcuno che non riesco a mettere a fuoco attraverso il velo di lacrime che mi copre la vista, mi strappa via dalle braccia il corpo di Kadaj. Solo dopo diversi tentativi riesco a capire cosa stia succedendo.

Yazoo ha fermato il furgone in una stradina secondaria, e non appena ha potuto è corso sul retro.

- IDIOTA! Guarda cosa hai fatto! -

- N-non... -

Singhiozzo. Non lo vedo, non vedo né lui né Kadaj. Vedo solo capelli argentei...Silver Haired Men.

- Non osare dire una sola parola! Se muore ti ammazzo, hai capito?! Se mio fratello muore io ti ammazzo. -

- Yazoo smettila! - anche se debole, la vocina di Kadaj riesce comunque ad essere piuttosto decisa e autoritaria. Attraverso le lacrime vedo Yazoo sobbalzare come se fosse stato colpito da una scossa elettrica. - Sto bene, mi ha solo preso di striscio. - però non si muove, anzi, riesco a vedere la smorfia di dolore sul suo visetto mentre le mani corrono alla ferita.

- Non avremmo dovuto farlo. - ringhia Yazoo - Non avremmo dovuto rapire quel ritardato. -

- Yazoo... -

Tento. Non capisco cosa stia succedendo.

- No, sta' zitto! - mi sento colpire come se mi avesse di nuovo dato uno schiaffo, perché è stato lui prima a colpirmi - Sei stato una palla al piede fin dal primo giorno, non so neanche da dove ci è venuta questa brillante idea del rapimento! Per il denaro? Bhe, i tuoi genitori non devono amarti molto visto che dopo una settimana non ancora intenzione di sganciare un quattrino. -

- ...di cosa... -

Non riesco a dire altro, il respiro grosso me lo impedisce. Ho di nuovo la sensazione in bocca di aver mangiato sabbia. Perché non riesco a smettere di pensare a quando l'ho fatto davvero da bambino? “No Loz, no!” e lo schiaffo della mamma sul viso.

- Yazoo, sta' zitto. -

Ma Kadaj non ha più alcun potere su di lui. Ora lo vedo, ora lo vedo cosa si nasconde dietro la maschera silenziosa, scostante e insensibile di Yazoo: rancore, rabbia, odio, cattiveria. Non c'è nessun “cuore d'oro”.

- Sei così stupido, non ti è venuto neanche un dubbio su di noi? Non hai pensato neanche per un istante che ti stessimo prendendo in giro? E sai perché, perché sei solo un ritardato. Hai una vaga idea di cosa significhi quella scritta in basso sul tuo braccialetto? - in automatico porto una mano sul polso a sfiorare la plastica blu. Mi ha sempre dato conforto, ora sembra che mi bruci la pelle - “deficit dello sviluppo cognitivo e socio-relazionale, disabilità intellettiva nel DSM-5”, significa che sei difettoso, Loz. Non sei speciale, sei solo difettoso. Sei difettoso qui. - con l'indice mi picchietta la tempia, non riesco a tirarmi indietro e un verso strozzato mi esce dalle labbra - Non esiste nessuna organizzazione, è solo una stupida storia che ci siamo inventati per convincerti a seguirci senza fare storie. Ti sembra possibile? Hai creduto ad una balla così grossa come a delle banconote radioattive. Quanti anni hai? Cinque? Molto probabilmente il suo cervello rotto sì. Sai perché siamo venuti a cercarti quella notte? Perché dopo aver trovato il tuo braccialetto abbiamo fatto una ricerca e abbiamo capito che bersaglio semplice fossi. Il figlio scemo di due scienziati ricchi da far schifo: perché avremmo dovuto tirarci indietro. E invece, sai cosa? Non abbiamo visto neanche l'ombra del denaro della tua amata mamma e del tuo amato papà, perché a loro di te non importa nulla. Magari non vedevano l'ora che tu scomparissi misteriosamente o che qualcuno ti portasse via, così avrebbero potuto smetterla di vivere nella vergogna di avere un figlio ventenne ritardato. Proprio loro che sono due grandi menti. Chissà quanto schifo devi fargli. E quei video che ci hai permesso di girare? Sei così stupido che hai praticamente chiesto da solo il riscatto ai tuoi genitori e non te ne sei mai accorto. -

- Bugie. - mi scivola fuori dalle labbra - Sono tutte bugie. E tu sei cattivo. - la mia voce è così sottile che non so se possono sentirmi - Perché vuoi farmi male? Siamo fratelli... -

- Non siamo un bel niente, idiota. - incasso il colpo con un gemito di dolore - Ti tenevamo buono solo perché aspettavamo che arrivassero i soldi, e poi ti avremmo ucciso e buttato in qualche fosso. Inutile come sei forse come concime avresti fatto qualcosa di buono. -

- Kadaj... -

Mi strozzo con il suo nome, è l'unica e ultima cosa che riesco a dire prima di incrociare il suo sguardo. Non sorride. Non sorride più. Non è il mio fratellino.

Qualcosa dentro di me si rompe, ne sento chiaramente il suono. È una colonna che va in frantumi portando dietro di sé tutta la struttura che aveva sostenuto fino a quel momento.

È il mio corpo che si muove, che mi obbliga a scappare, a correre, a mettere più distanza possibile tra me e loro.

Eppure non riesco a smettere di mormorare “Kadaj” neanche quando sono fuori dal furgone, neanche quando mi tolgo furiosamente la giacca nera di pelle, neanche quando le gambe cominciano a farmi male, neanche quando arrivo tanto lontano da non riconoscere più le strade, gli edifici, o il cielo sopra di me.

Mi accascio a terra e scoppio in lacrime ma non serve a niente. Il dolore è così forte...e le lacrime non lo alleviano, anzi, mi sembra che brucino come acido. Mi prendo la testa tra le mani, vorrei schiacciarla, vorrei avere la forza sufficiente per aprirla, vorrei poter guardare dentro.

Difettoso.

Non sono difettoso. Sono speciale. La mamma me lo dice sempre. Sono speciale. Tutte le sere mi accompagna a letto, mi rimbocca le coperte, e prima di darmi la buonanotte mi dice che sono speciale.

Proprio così.

“Loz”, dice, “Tu sei speciale.”

Non sono difettoso. Non sono difettoso.

Perché mi avrebbero preso in giro? Perché avrebbero dovuto?

Sono solo bugie! Sono tutte bugie.

Io sono un supereroe, sono speciale, ho aiutato a salvare il mondo, sono...

- ...ancora scomparso Loz Crescent, il figlio dei due scienziati della Shinra Lucrezia e Hojo Crescent. Il ragazzo, vent'anni, presenta un deficit mentale che potrebbe renderlo pericoloso per sé stesso e per gli altri. I rapitori hanno richiesto ai due coniugi un altissimo riscatto che per ora non intendono ancora pagare. La polizia sta facendo del suo meglio per ritrovarlo prima che sia troppo tardi. Ma ricordate, il ragazzo non è mentalmente normale, potrebbe essere... -

L'uomo seduto al tavolino del bar spegne la radio e mi guarda.

- Che brutta storia, non è vero? - mi chiede, incrociando le mani sull'addome e fissando la radio spenta come se potesse dirgli qualcos'altro - Quel povero ragazzo ritardato in mano a dei malviventi. Chissà che sevizie gli staranno facendo. Spero che lo trovino presto, e che i suoi genitori lo tengano più sotto controllo. Sai che lo facevano uscire da solo per fare delle commissioni? Con quel deficit mentale che ha! Puoi immaginare? -

Sì, posso immaginare.

Riprendo a camminare superando l'uomo seduto al tavolino.

Allora è tutto vero. Non mi ha mentito, almeno, non in quel momento. In quel momento era sincero, ha detto tutta la verità.

Sono difettoso.

Come ho potuto credere a quella stupida storia? Come ho potuto credere che non fossero dei criminali?

Come ho potuto credere alla mamma tutte le volte che mi diceva che sono speciale?

È ovvio, perché non lo sono, non lo sono affatto. Sono difettoso.

Continuo a camminare finché non mi sento più le gambe, dopo di che mi lascio cadere dove capita. Non mi importa.

Le persone passano, qualcuno mi guarda, qualcuno mi lancia delle monete. Nessuno si ferma.

Sono tutti normali, loro, con le loro menti perfettamente funzionanti. Sono tutti normali, nessuno è speciale certo, ma non sono difettosi come lo sono io.

Non so cosa voglia dire essere normale, non so neanche perché dovrebbe farmi tanto male non esserlo. Sono sempre stato così, e così è sempre andato bene. Almeno, pensavo che andasse bene.

Perché qualcuno dovrebbe essere scontento di quello che è se non sa come sono gli altri? Può solo vederli da fuori, ma non sapere come sono dentro.

Finché non si fermano a guardarmi io sono normale come tutti.

Non c'è niente di male ad essere quello che si è, no?

E anche se ci fosse, io non l'ho potuto scegliere, non ho potuto scegliere di essere difettoso. Se avessi potuto avrei scelto di essere speciale, non speciale come un supereroe magari – quello è davvero troppo speciale – ma speciale come una persona normale. Speciale abbastanza da avere qualcuno da cui essere amato.

Forse in fondo sapevo che le storie dei miei fratelli erano tutte menzogne, ma non ho voluto crederci fino in fondo.

Mi piaceva di più credere di essere speciale per qualcuno, e mi piaceva volergli bene. È una bella sensazione.

Slaccio il braccialetto e lo appoggio per terra, poi mi alzo e riprendo a camminare.

E cammino, cammino, cammino. 


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The Corner 

Esattamente non so come mi sento.
Ci ho messo più di un mese per scrivere questa shot
e ci ho pensato e ripensato tante di quelle volte...
Loz è stato il più difficile a cui dare voce, per diverse ragioni
a cominciare dal fatto che mi sento tanto vicina a lui emotivamente.
Il finale non doveva essere quello che avete letto, 
almeno nella mia testa avevo progettato un finale diverso, 
ma per qualche ragione questa è la strada che ha scelto Loz 
e se per lui va bene va bene per me 
anche se mi ha lasciato con un terribile gusto amaro in bocca.
Ringrazio Vichan per essersi messa ad ascoltarmi quando non avevo idee per la storia, 
come fa sempre, dato che è l'unica a cui posso fare spoiler sulle shot.
Bestie, non so che dirti, non mi sento di aver fatto un buon lavoro,
mi rimetto al tuo giudizio e spero di non averti deluso.

Chii
 

 

   
 
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