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Autore: ragazza_innamorata    30/03/2009    3 recensioni
Colin. Colin il brillante avvocato. Colin e il suo profumo di dopobarba. Aveva pensato che lui fosse quello giusto. [...] Adesso, seduta su di una scomoda poltroncina nell'attesa che arrivasse il suo volo, Helen non era più sicura di aver compiuto la scelta giusta.
[Questa fanfiction partecipa alla challenge Temporal-mente indetta da Criticoni.net]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa fanfiction partecipa alla challenge Temporal-mente di Criticoni.net *sparge amore sulla challenge*

in fuga dal principe;
Should I bend over?
Should I look older just to be put on your shelf?
(Grace Kelly – MIKA)

Fin da quando aveva quattordici anni, Helen si era abituata a trattare i ragazzi nel modo in cui si aspettava che loro avrebbero trattato lei. Non c'era quindi da meravigliarsi che le sue storie fossero di breve durata: quella più duratura aveva raggiunto a malapena un anno.
Le sue amiche le avevano sempre contestato questo suo modo di porsi verso gli altri. Le donne, le dicevano tutte quante, devono farsi corteggiare, cedere alle lusinghe solo quando sono sicure che ci sia qualcos'altro oltre alla voglia di sesso, non andare semplicemente in cerca di un'avventura e passare da un letto all'altro con tranquillità. Quello era un lavoro da maschi.
Dopo anni si era finalmente decisa a dare loro ascolto. Si era guardata attorno con calma, valutando ogni possibile implicazione di una storia. Aveva provato anche un certo gusto quando, sorseggiando un delicato cocktail, aveva detto a Colin che sì, avrebbe accettato il secondo appuntamento con lui.

Colin. Colin il brillante avvocato. Colin e il suo profumo di dopobarba.
Aveva pensato che lui fosse quello giusto. Era romantico, pieno di sorprese, un intelligente conversatore. E quando dopo un anno e mezzo di relazione lui le aveva chiesto di sposarlo Helen si era convinta ed aveva compiuto quel passo, spinta dalla sua consueta impulsività. Poco importava che avesse alle spalle due divorzi, Helen aveva ceduto a quella parte della sua femminilità che si sentiva lusingata dalle continue attenzioni che Colin le riservava.

Adesso, seduta su di una scomoda poltroncina nell'attesa che arrivasse il suo volo, Helen non era più sicura di aver compiuto la scelta giusta. Tutto aveva assunto un'ottica diversa, la sensazione che aveva avvertito era la stessa che le dava una saponetta bagnata: sfuggente per quanto cercasse di tenerla tra le mani.
Era scappata dalla casa che lei ed il marito condividevano lasciando sul tavolo un biglietto scritto in fretta su un tovagliolo e le carte necessarie al divorzio che teneva pronte da qualche giorno. Karen, la sua adorata e insostituibile Karen, le aveva procurato un biglietto last minute per Londra. Non Parigi, aveva specificato lei al telefono mentre guidava verso l'agenzia di viaggi dell'amica, assolutamente non Parigi. Non la meta del loro viaggio di nozze.
Il volo partiva di notte e la sala d'attesa pressoché deserta le dava la possibilità di prendersi finalmente un momento per pensare. Non era ancora troppo tardi per stracciare il biglietto e tornare all'appartamento di Colin fingendo uno scherzo.
Ma no, non poteva. Non poteva rinchiudersi nuovamente in una vita che le andava troppo stretta, una vita che non avrebbe mai potuto sentire come sua. Non voleva nuovamente tornare ad essere una mogliettina perfetta.
Le prime settimane di matrimonio erano state un vero idillio: Colin la portava fuori a cena, la vezzeggiava, le presentava amici di famiglia e suoi conoscenti. Il tipo di vita che ogni bambina sogna quando da piccola immagina di incontrare il suo perfetto principe azzurro con cui vivere una vita perfetta in un castello perfetto. Il problema era sorto dopo, quando Colin si era rivelato essere un marito fin troppo perfetto che naturalmente pretendeva una moglie altrettanto perfetta.
« Devi crescere. » era diventata a sua frase preferita « Non puoi rimanere sempre una bambina. »
Soltanto che lei, di voglia di crescere, ne aveva veramente poca. Non voleva diventare solamente l'ennesima mogliettina perfetta che Colin avrebbe potuto mostrare agli amici con uno dei suoi sorrisi preparati. Lei era sé stessa, non una bambola da posare sopra una mensola e spolverare quando viene in visita qualcuno.
Quando si era accorta di questo atteggiamento di Colin i due avevano litigato furiosamente. Per una settimana Helen aveva diviso uno stretto letto ad una piazza e mezzo con Karen poi, spinta da bisogno di un materasso più comodo e dalla nostalgia del suo abbraccio odoroso di dopobarba, era tornata indietro ingoiando l'orgoglio e le risposte acide. L'uomo l'aveva accolta come il figliol prodigo della parabola ed aveva immolato per lei la carta di credito nuova portandola a cena nel loro sushi bar preferito. Una cena neanche troppo costosa, vista la gioia che aveva provato o perlomeno finto di provare nel rivederla.
Dopo solamente un mese tutto era ricominciato: Colin aveva cominciato a portarla a cena con importanti membri della società durante le quali la presentava ad austeri avvocati come la sua adorata mogliettina, i loro momenti d'intimità erano sempre più rari e meno passionali ed era apparsa lei, la segretaria, la bella e bionda Laetitia dalle minigonne corte ed il seno rifatto.
Non aveva mai trovato prove che lei fosse l'amante di suo marito ma i suoi rientri sempre più fuori orario e quel profumo leggero che non era il suo dopobarba e che ogni tanto gli sentiva addosso quando lo abbracciava l'avevano fatta mettere sul chi vive. Il triangolo più vecchio del mondo, quello che ogni donna teme: lui, la moglie, la segretaria.
« Devi crescere. » diceva lui quando la vedeva con una macchia sulla camicetta bianca che le aveva regalato lui « Non puoi continuare a sporcarti come una bambina. »
Peccato che Helen amasse mangiare con un libro in mano e con gli occhi ancorati alla pagina, meglio se seduta in modo scomposto sul divano o sul letto, e la forchetta tenuta distrattamente in equilibrio. Era un comportamento che lui, il perfetto-e-sempre-elegante Colin, non contemplava: nella sua scala degli orrori veniva solamente sopra l'uscire con i vestiti macchiati.
Erano molti i lati del carattere di Helen che lui non apprezzava, in effetti, anche se quando l'aveva conosciuta li aveva definiti interessanti modi di vedere la vita da una prospettiva diversa. Li aveva anche amati, o almeno aveva detto di amarli, ed aveva amato il suo essere come una bambina, il suo modo di scoprire ogni cosa come se fosse la prima volta. La mia bimba, la chiamava pizzicandole il naso quando rimanevano a lungo sotto le lenzuola dopo aver fatto l'amore.
Ma quei giorni erano presto scomparsi così come l'affettuoso vezzeggiativo, e lei era diventata l'infantile Helen.
Helen allungò le gambe di fronte a sé interrompendo per un secondo il flusso dei suoi pensieri, stanca anche di pensare il nome dell'ormai ex-marito, e lasciò vagare il proprio sguardo nella sala d'attesa semi-deserta. Poco distante da lei un uomo telefonava camminando avanti e indietro e gesticolando animatamente. Nel vederlo Helen storse le labbra e distolse lo sguardo, riconoscendo in lui un atteggiamento tipico di Colin. Poco distante era seduta una ragazzina con un cagnolino di peluche in braccio, le labbra atteggiate ad una smorfia di noia e fastidio. Le sue gambette corte dondolavano avanti e indietro e nel farlo la piccola canticchiava sottovoce qualcosa, forse una canzoncina, una filastrocca o una serie di parole senza senso.
Spinta dalla curiosità la donna le si avvicinò e si sedette di fianco a lei, aprendo il libro sulle ginocchia ma senza prestarvi attenzione, continuando ad osservare fuggevolmente la bambina con la coda dell'occhio.
« Signora, che leggi? »
Helen sobbalzò nel sentirsi chiamare dalla voce sottile e acuta della bambina. Si voltò verso di lei ed abbozzò un sorriso riponendo contemporaneamente il libro nella borsa che aveva di fianco.
« Nulla, tesoro. E tu che fai, aspetti la mamma? »
« No » lei scosse il capo educatamente, cincischiando con le mani grassocce il bordo dell'abitino azzurro che indossava. « Sono qui con papà » mormorò indicando l'uomo al telefono.
« Signora. » continuò dopo qualche momento, fissandola senza ritegno come solo un bambino può fare « Mi leggi il tuo libro? »
« Non è una favola adatta a te. » rispose lei ritornando con il pensiero al thriller che aveva iniziato a leggere morbosamente solo poche ore prima. « Ma se vuoi posso raccontarti una favola. »
La bambina le rivolse un sorriso ammaliato e si sedette meglio con il visetto paffuto rivolto verso di lei. Helen le accarezzò i sottili capelli neri e cominciò a parlare.
« C'era una volta una principessa che non voleva sposarsi. Un giorno però le sue amiche principesse la convinsero ad accettare l'invito di un ricco ed affascinante principe... »
Mentre la donna parlava June, questo era il nome della bambina, non le tolse gli occhi dal viso neanche per un secondo. Aveva sempre amato le favole e questa, questa era in assoluto la favola più bella che qualcuno le avesse mai raccontato. Una storia d'amore, di tristezza e tradimento - quelle strega bionda che aveva sedotto il bel principe non le piaceva neanche un poco - ed Helen era una narratrice deliziosa da ascoltare, capace di lasciare che le parole fluissero dalle sue labbra come era più naturale per loro. Avrebbe quasi detto, se quell'ipotesi non fosse stata tanto assurda da parere una bella favola anche quella, che la narratrice fosse la protagonista stessa, la bella principessa che viene tradita dal principe che ha chiesto la sua mano.
« ... e così la principessa salì sul suo cavallo bianco e scappò via dal principe cattivo, ed adesso continua a correre per il mondo alla ricerca del vero amore. »
June non poté trattenere una smorfia di disappunto.
« Ma signora! Perché il principe e la principessa non vivono per sempre felici e contenti? »
« Perché lui non la ama e neanche lei è innamorata di lui. » spiegò pazientemente Helen. Lui si è innamorato della strega mentre lei è innamorata della sua libertà e vuole trovare il suo vero principe azzurro. »
« June! Smetti di infastidire la signora! » Il padre della bambina, arrivato in quel momento, la fissò severamente e si rivolse alla donna con un'espressione a metà tra il compatimento ed il dispiacere. « Mi scusi, mia figlia non sa ancora come comportarsi con gli estranei. »
« Scusi signora. » mormorò compunta la bambina abbassando lo sguardo « La ringrazio per avermi raccontato quella bellissima favola. »
« Figurati June. » rispose lei con un sorriso alzandosi e aggiustandosi la gonna con un paio di colpetti.
« Saluta la signora, tesoro. » l'atteggiamento con cui l'uomo trattava la figlia le ricordava quello che Colin aveva sempre tenuto con lei. "Fai questo Helen", "No, non toccare quello", "Saluta che andiamo". « Il nostro aereo è arrivato. »
« Ciao signora. » mormorò la bambina agitando la mano accanto al viso per poi incamminarsi verso il gate assieme al padre. Poi, come se si fosse dimenticata qualcosa, si voltò nuovamente verso la donna rimasta in piedi al centro della sala d'attesa vuota.
« Signora? »
« Sì June? »
« Ma la principessa... » nel formulare la domanda la piccola esitò per un attimo, intimidita dalla presenza del padre come se quella storia dovesse rimanere un segreto suo e di Helen. « ... la principessa troverà mai un principe azzurro con cui vivere felice e contenta? »
La donna sorrise, incapace di rispondere a quella domanda che si era posta molte volte.
« Non lo so neanche io, June. È una storia che deve ancora finire. »
La bambina annuì come se avesse compreso qualcosa di così grande da non poter essere assimilato tutto insieme poi sorrise e agitò nuovamente la manina, incamminandosi a fianco del padre con rinnovata allegria.
Helen rimase immobile sventolando la mano anche lei, godendosi per un secondo l'ebbrezza di fare qualcosa per cui Colin l'avrebbe guardata male se solo fosse stata presente.
Ma lei, l'infantile Helen, Helen la principessa in fuga, poteva permettersi di rimanere ancora qualche minuto a salutare una stanza vuota.
  
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