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Autore: Black_Eyeliner    23/03/2016    0 recensioni
E se non fossero le stelle, ma la luna a cadere?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“… E niente caffè, dopo le cinque del pomeriggio”.
Se ripenso un attimo al tono professionale, vagamente minaccioso del dottor Smith nell’impormi quell’ennesima limitazione, mi viene quasi da sorridere. Come se la mia insonnia, ormai cronica, potesse davvero dileguarsi con due gocce di melissa in acqua tiepida e rinunciando alla mia adorata miscela di arabica e un po’ più di zucchero del necessario. Già, perché a chi sostiene che il vero caffè nero si gusta soltanto amaro, ribatto sempre che evidentemente nella vita di dolcezza ne ha già abbastanza.
A me, invece, la dolcezza non basta mai.
Magari è una malattia anche questa.

“E’ l’espressione tangibile di un desiderio represso… Un po’ come una forma di diabetismo emotivo.”
Mi ha detto stamattina Luke al corso di Filosofia teoretica. Capelli lunghi e castani legati con un elastico e occhi verdi, arrossati dal troppo studio e da una notte intera passata a giocare ad Assassin’s Creed, aveva parlato col tono saccente e sicuro di chi la sa lunga sulla natura di una cosa così semplice come il desiderio. Forse perché anche il suo di andare a vivere a Varsavia, più che irrealizzato, era rimasto addirittura inespresso quando Piotr si era imbarcato tre mesi prima con Aleksandre sul primo aereo, lasciandolo con un armadio pieno di vestiti di taglia troppo piccola e con una delusione addosso di una taglia fin troppo grande per il suo corpo esile, quasi rachitico.
“E cosa mi consiglia di fare, Dottor-dovevo-fare-Psicologia-ma-mi-sono-iscritto-a-Lettere?”
Ho replicato ad un certo punto io, senza neppure premurarmi di nascondere una certa vena beffarda nel tono di voce.
“Desiderare. E assecondare il desiderio. E’ l’unica via per non avere rimpianti”.
Mi fa alla fine con una scrollata di spalle più eloquente del modo in cui si alza senza neppure guardarmi per andarsi a fumare una sigaretta fuori dall’aula.
Forse ho buttato via troppi soldi in libri e corsi di Hatha yoga, penso mentre lo vedo allontanarsi.
 
Sono le undici meno un quarto.
Scocco un’occhiata rapida all’orologio, ma già il cielo buio fuori dalla finestra basta a ricordarmi che le cinque del pomeriggio sono già passate da un po’. Cerco di concentrarmi invano sul libro rigorosamente fotocopiato di filologia, ma senza nessun successo. Ci sono desideri che, prima di farsi prepotenti, preferiscono languire, proprio come la panna liquida appena versata dalla confezione in una scodella. Poi, appena la agiti, comincia a montare.
Monta proprio come la panna sulle fragole questo desiderio di un caffè, dolce e ristretto, che è tanto più allettante quanto più so che va contro la prescrizione del dottor Smith, segnata sul ricettario con quella sua grafia acuminata e nervosa da essere in se stessa un monito.
Ma poi ripenso a Luke, alla sua camicia di flanella a quadri e alle sue dita sottili che non erano riuscite a trattenere le redini di un desiderio troppo impetuoso, recalcitrante, che gli era sfuggito di mano senza che lui avesse potuto fare nulla per esprimerlo. Guardo il cielo stellato oltre la tenda che un soffio di vento sembra spostare apposta per ricordarmi che le stelle sono lì per esprimerli, i desideri. E mi dico che non c’è niente di male nel tentare di realizzarli, mentre scendo le scale ed esco in strada, senza pensare più a niente.
“Vedi mai una stella cadere e non ricordi cosa desiderare?”
Sembra chiedermi Manuel Agnelli dagli auricolari, mentre Varanasi Baby ricomincia daccapo, più bella che mai.
Ora che ci penso, a Marzo cadono le stelle?
So di San Lorenzo, ma mancano ancora più di quattro mesi.
In fondo, però, posso pure aspettare. Tanto l’insegna luminosa “Coffee” del bar sotto casa è ancora accesa nonostante sia quasi mezzanotte e non c’è bisogno che cada una stella adesso, non per soddisfare il semplice desiderio di un caffè.
Caffè a parte, ora come ora, di desideri non me ne vengono in mente altri.
Quando entro nel caffè “Black Cat”, un odore penetrante di espresso mi invade quasi immediatamente le narici. Forse è perché mi perdo dietro il filo invisibile di quel profumo che non mi accorgo subito di Miss Jolene, seduta da sola al tavolo ad angolo, vicino alla vetrina.
Me ne fa accorgere lei nel momento stesso in cui solleva un indice inanellato a mo’ di saluto, sorridendomi non appena mi siedo a due tavoli di distanza da lei.
Abbozzo un sorriso tirato, di circostanza, prima di distogliere lo sguardo e godermi a piccoli sorsi la voluttà di quel piccolo piacere appagato. Sarà un’altra notte insonne, lo so già, ma questo non mi impedisce di tenere tra le mani quella tazzina fumante che in quel momento rappresenta tutto ciò che voglio al mondo.
“Hai visto quanto stelle, stasera?”
La voce di Miss Jolene è ruvida, rovinata dalle quantità industriali di sigarette e JD che consuma quotidianamente seduta a quel tavolo fino all’ora di chiusura del bar. Sono le sue parole ad essere morbide, dolci di quella dolcezza che capisco mi manca quando apro una seconda bustina di zucchero e la verso nel mio caffè.
“Sono belle, vero?”
Soggiunge sognante.
Ed io, invece, sono quasi tentata di dirle che le stelle non servono a niente, se non cadono, ma così facendo finirei per ucciderle quella stessa dolcezza che permea quella sua evidente e fragile, meravigliosa follia: quindi mi limito solo ad annuire con un cenno della testa, riponendo la tazzina sul piattino di ceramica e realizzando che sì, oltre la vetrina, ci sono proprio tante stelle nel cielo, stasera.
“E se le stelle non cadessero, perché stasera è già caduta la luna?”
Miss Jolene ha sessant’anni, quaranta di pazzia. Aveva vent’anni quando Mr. Kerrington l’aveva abbandonata, non senza lasciarle in banca i soldi sufficienti per vivere di sigarette, JD e la vana speranza di vederlo ritornare, un giorno, in quel caffè. Per questo lei era sempre lì, per concedere la possibilità a quel suo desiderio di realizzarsi prima che la pazzia lo corrodesse del tutto.
Ed è pazzia, probabilmente, quella sensibilità che permette di leggere il pensiero degli altri e di dargli voce, non fosse altro perché lo riconosce come lo stesso pensiero che ha preceduto la follia stessa.
Ho terrore di Miss Jolene, adesso. Ho terrore di me stessa, mentre mi alzo di scatto lasciando pagati sul tavolo il mio caffè e il suo ultimo JD. Evito di guardare il suo viso pallido come la cera scavato di rughe dure, gli occhi di un azzurro opaco che risaltano sul bianco dei suoi capelli e sul nero assoluto dei suoi vestiti, le sue mani sbilenche che tormentano i lembi di un fazzoletto ricamato e ingiallito dal tempo.
Mi fiondo in strada col cuore in gola e finalmente so cosa desidero davvero.
Inciampare per caso in quella luna caduta da qualche parte, solo per raccoglierla e per potergliela portare.
Già.

Penserò di nuovo a lui. E sarà un’altra notte insonne.
   
 
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