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Autore: rora02L    23/03/2016    1 recensioni
Raccolta di one shot partecipanti al contest "Segui il sentiero dorato" sul Forum di EFP indetto da Shizue Asahi. Ogni capitolo corrisponde ad un prompt:
-1. Anche gli Hokage hanno paura;
-2. Il colore che preferisco: il blu dei tuoi occhi;
-3. Un cuore freddo come il metallo;
-4. Qual è il posto che chiami "casa"?
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Naruto Uzumaki, Un po' tutti | Coppie: Hinata/Naruto, Minato/Kushina, Sasuke/Sakura
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Anche gli Hokage hanno paura.




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Prompt 2: Il vero coraggio consiste nell’affrontare il pericolo quando si ha paura. Partecipante al contest "Segui il sentiero dorato" indetto sul forum di EFP da Shizue Asahi.

Simba: “… Stavo solo cercando di essere coraggioso come te.”
Mufasa: “Ma io sono coraggioso solo quando devo esserlo. Simba, essere coraggiosi non significa andare in cerca di guai.”
Simba: "Ma tu non hai paura di niente.”
Mufasa:" ...Oggi io ho avuto paura.”
Simba: "Davvero?”
“Mufasa:" Sì. Temevo di poterti perdere.”
Simba: “Allora anche i re hanno paura.”

Boruto guardava ancora le mura che dividevano il villaggio dal bosco. Nessuno passava per di lì, dato che ormai era mezzanotte. Dunque nessuno notò quel bambinetto dalle guance graffiate ed i capelli biondi, che aveva sì e no sei anni. Il piccolo si guardò intorno, alla ricerca della sua amicha.
Dentro di lui si rincorrevano paura ed eccitazione. Non era mai stato fuori da Konoha e l’idea di andarci da solo, anche se terrorizzante, era anche in qualche modo stimolante. Sarada arrivò poco dopo di lui, correndo a zig zag tra i pali della luce e le mura delle abitazioni, fino ad arrivare all’amico. Lo guardò dritto negli occhi, sorpresa che alla fine non fosse un fifone come aveva osato dire quella mattina. O almeno non del tutto, ma il suo valore era ancora da provare.
“Almeno ti sei presentato, dobe” disse la mora, sistemandosi i piccoli occhialetti rossi sul naso. Boruto annuì, come aveva visto fare i grandi quando dicevano qualcosa di solenne: “Certo! Ti faccio vedere io chi è il coniglio, teme!” Infatti i due bambini si trovavano lì perché la giovane Uchiha aveva osato dire al figlio dell’Hokage che era un vigliacco e per questo suo padre non lo avrebbe mai considerato.
Un Hokage non ha paura di niente, mentre invece Boruto era un vero coniglio. A quelle parole, il biondino era scattato e le aveva tirato un pungo in faccia, gridando fuorioso: “Te lo faccio vedere io chi ha paura, teme!” La bambina aveva sorriso sfrontata, scansandolo: “Vedremo: incontriamoci questa notte davanti ai cancelli del villaggio…- aveva poi puntato un dito contro di lui, in un gesto di sfida- vedremo chi durerà di più nel bosco da solo, baka! Il perdente dovrà ammettere di essere un codardo!” Boruto aveva accettato subito, senza riflettere nemmeno per un istante. Nonostante il suo amico Shikadai gli avesse detto che gli pareva una pessima idea e che quella era una prova di coraggio da bambinetti, Boruto non si era certo tirato indietro. Non solo perché detesta darla vinta a quella saccente di una Uchiha, ma anche per una questione di onore e di orgoglio: lui voleva diventare un grande ninja, non avrebbe mai permesso a nessuno di dargli del codardo.
Ma la cosa che, in realtà, lo aveva ferito e spronato maggiormente era quello che Sarada aveva insinuato riguardo a suo padre. Boruto, ripensandoci, strinse i pungi, cercando di scacciare quel pensiero. Non era possibile che suo padre lo ignorasse solo perché lo riteneva un disonore come figlio… giusto? Ma il dubbio gli era rimasto, Sarada aveva mirato bene e centrato il bersaglio per ferire il biondino.
I due bambini, ora davanti al cancello del villaggio, si erano guardati intensamente negli occhi. Poi, con un salto da veri ninja, erano usciti di soppiatto dal villaggio: Boruto a destra e Sarada a sinistra. Il bosco era immerso nel buio e si sentivano rumori sinistri provenire da ogni angolo. Boruto sentì un rumore di ramo spezzato e si girò di scatto, con in mano pronto un kunai rubato alla madre, che li aveva lasciati incustoditi ed inutilizzati, dato che era incinta di due mesi. Si era solo allora accorto che era stato lui a spezzare un rametto. Aveva allora deciso di perlustrare la zona dall’alto, spostandosi di ramo in ramo come aveva visto fare i ninja dei film d’azione. Si arrampicò su un albero che gli era parso molto robusto, fino ad arrivare ad una discreta quota. Da lì, poteva vedere il villaggio in lontananza, i cui abitanti erano ancora nei loro letti. Vedeva addirittura la sala dell’Hokage, la cui luce era ancora accesa.
Il viso del bambino si contrasse in una smorfia di astio per il padre, che non si era nemmeno degnato di tornare a casa. Si immaginò sua madre sola a letto, che aspettava il ritorno del marito. Gli faceva rabbia sapere che Naruto metteva lui e sua madre in secondo piano: prima veniva il “bene del villaggio”. Ma perché non aveva del tempo per pensare anche al suo di bene e per passare del tempo con la mamma? Boruto non riusciva a capirlo, ma sicuramente non voleva diventare come suo padre da grande.
Sentì ancora le parole pungenti di Sarada e si chiese se almeno suo padre avrebbe notato la sua assenza. Magari sarebbe tornato all’alba, molte ore dopo la sua rivale, e avrebbe trovato i suoi genitori ad aspettarlo, orgogliosi del suo coraggio. Allora suo padre, col petto gonfio d’orgoglio, lo avrebbe abbracciato, dicendogli che era fiero di lui e che non lo avrebbe mai più ignorato.
Un sorriso ebete comparve sul volto del biondino, che si immaginava la sua entrata teatrale al villaggio e sentiva già gli applausi degli altri ninja. Ma poi i suoi occhi iniziarono ad appesantirsi ed una grande stanchezza si impadronì del suo corpo. Stava per appisolarsi sul ramo, ma realizzò che era troppo pericoloso e che, mentre dormiva, sarebbe potuto cadere. Scosse così il capo, cercando di scacciare la stanchezza dovuta alla tarda ora e alla corsa. Si stropicciò poi gli occhioni azzurro chiaro, ripetendosi che doveva rimanere sveglio finché non avesse trovato un riparo. Si domandò se Sarada fosse già tornata a casa da sua madre o se fosse ancora dall’altra parte della foresta.
Decise di scendere con cautela dall’albero ed iniziò a mettere i piedi sui tronchi. Ad un certo punto, posizionò male il piede e sentì lo sferzare delle foglie contro il suo viso, insieme al rumore del vento, prima di precipitare a terra. Svenne, a causa di un colpo alla nuca.
Si risvegliò solo quando sentì il calore dei primi raggi del sole: aprì lentamente gli occhi chiari, cercando di abituarsi alla luce solare. Davanti a lui, vide il muso di uno strano animale, che non aveva mai visto prima. Sobbalzò, terrorizzato dalla bestia, che aveva un folto pelo bruno e delle narici ampie. Lo guardava con due occhi neri minacciosi e sbuffava.
Boruto rimase impietrito, sperando che l’animale pensasse che fosse morto. Infatti il cinghiale, dopo qualche minuto, se ne andò correndo, facendo sospirare il bambino per il sollievo. Solo allora sentì il dolore alla nuca e si rese conto che il suo viso e le sue mani erano ricoperte di foglie, graffi e qualche rivoletto di sangue ormai scuro.
Si alzò da terra, cercando di scacciare via la terra e le foglie, quando sentì nuovamente un rumore. Anzi, era un urlo. Riconobbe subito la voce di Sarada e, preoccupato per l’amica, corse verso di lei, brandendo pronta la sua arma. Trovò la giovane a terra e sopra di lei stava un enorme lupo dal pelo nero. Boruto sgranò gli occhi, quando l’animale attaccò la bambina, che si difese urlando e parando il colpo col braccio destro. Boruto vide il sangue dell’amica scendere copioso dalla ferita ed il suo viso rigarsi di lacrime per il dolore e la paura. Non aveva idea di cosa fare, tremava. Voleva salvarla, ma… aveva paura. Se ne vergognò molto, tanto che si mise a piangere per la disperazione. Perché il suo corpo si rifiutava di muoversi? Sarada… stava per essere sbranata!
Fu allora che un lampo arancione mise in fuga il lupo e prese la bambina, portandola in salvo su un albero. Boruto riconobbe subito suo padre. “Stai bene?” chiese l’Hokage alla bambina, che annuì spaurita, mentre si teneva il braccio ferito. Naruto la riprese in braccio e si girò lentamente in direzione del figlio, che aveva scorto a qualche metro dalla bambina. Il giovane era ancora fermo immobile e tremante, ma aveva abbassato il capo per la vergogna.
Continuava a piangere, sentendosi in colpa per ciò che era accaduto alla sua amica. Sobbalzò quando udì la voce del padre chiamarlo e dirgli: “Torniamo a casa. Subito. Parleremo dopo.” Non lo aveva mai sentito così arrabbiato. Avvilito e triste, seguì l’Hokage verso il villaggio, dove sua madre e Sakura aspettavano il loro ritorno.

~

Boruto guardava l’amica dormiente, con il braccio ferito, stesa in quel letto d’ospedale. Sentiva ancora su di sé lo sguardo freddo e pieno di delusione del padre ed anche le urla di dolore di Sarada. Strinse i pugni, sentendosi davvero impotente e debole. Forse la bambina aveva ragione: era un vigliacco. Un vero ninja forte e coraggioso avrebbe scacciato da solo il lupo. Invece , se non fosse intervenuto l’Hokage, lei sarebbe morta sotto il suo sguardo.
Nascose il volto tra le mani, cercando di trattenere le lacrime copiose ed amare. Sentì poi la voce gentile di sua madre ed una amorevole mano sulla sua spalla. Alzò il viso, incontrando il sorriso tenero di Hinata. Le labbra del bambino iniziarono a tremare ed affondò il viso nell’ampia gonna blu della mora, tentando di affogare il suo dolore nel calore materno che la donna gli offriva. Hinata non disse nulla e lo lasciò sfogare, capiva che suo figlio aveva bisogno di un gesto di conforto oltre che di una sgridata. Ma a quella ci avrebbe pensato suo marito.
“Vieni… - disse infatti lei, quando sentì che il figlio si era calmato ed aveva smesso di piangere- … tuo padre vuole parlarti.” Boruto tirò su col naso e, anche se riluttante, seguì la madre verso lo studio dell’Hokage. Naruto, appena entrò, lo guardò con due occhi carichi di rimprovero. Non sembrava nemmeno lui, non lo aveva mai visto tanto furioso. “Hinata, lasciaci da soli per favore…” disse alla moglie, che annuì ed uscì dalla stanza.
Boruto non osava più incrociare lo sguardo severo del padre, che iniziò allora a parlare: “Mi hai deluso molto, Boruto! Oltre ad avermi disobbedito , hai corso un terribile rischio per nulla! Hai messo anche Sarada in serio pericolo! Si può sapere che cosa avevi in mente di fare?!” Il bambino sentì chiaramente la rabbia del padre ed abbassò ancora di più il capo, bisbigliando timidamente la sua risposta e cercando di non piangere davanti a lui: “… stavo solo cercando di essere coraggioso come te.”
Naruto fu molto sorpreso da tale risposta e sobbalzò, calmandosi. Infondo, Boruto era ancora un bambino, non si rendeva conto dei rischi che correva con le sue bravate. Sospirò, ribattendo: “Boruto, io cerco di essere coraggioso solo quando devo esserlo. Essere coraggiosi non vuol dire andare in cerca di guai.”
Il piccolo, sentendo che la rabbia del padre era diminuita, alzò la testa: “Ma tu non hai paura di nulla, sei l’Hokage… se fossi un vigliacco, sarei…” Non riuscì a terminare la frase, se ne vergognava troppo, dato che aveva dato la prova di avere molta paura difronte a quel lupo feroce. Naruto si alzò dalla sua poltrona ed oltrepassò la scrivania, diretto verso il figlio. Si chinò poi per arrivare all’altezza del viso del piccolo e gli confesso con un sospiro: “Boruto… io oggi ho avuto paura. Molta paura.” Gli accarezzò allora i capelli biondi, così simili ai suoi. Il bambino chiese stupito: “Davvero? Ma come, papà? Credevo… che gli Hokage non avessero paura.”
Naruto fece un sorriso amaro, allungando poi una mano ad accarezzare la guancia rigata del piccolo: “Sì… temevo di poterti perdere.” Non si trattenne più e lo abbracciò. Quel bambino era suo figlio e lo amava più di ogni cosa, anche se poche volte aveva avuto modo di dimostrarglielo.
Quando Sakura era entrata nel suo studio a colpi di pugni, seguita a ruota da una Hinata agitatissima, non poteva credere alle sue orecchie. Aveva subito mandato tutti i ninja del villaggio alla ricerca dei due bambini, partendo lui stesso. Non trovandoli dentro le mura, si erano avventurati all’esterno.
Quando aveva visto Sarada a terra e Boruto tremante di paura, si era infuriato coi due. Avevano fatto prendere un colpo sia a lui che ad Hinata e Sakura. Boruto, avvolto in quel abbraccio inatteso, era rimasto esterrefatto ed immobile. Naruto, allora, si staccò da lui e gli mise una mano sulla spalla.
“Allora anche gli Hokage hanno paura ?” domandò il piccolo, ancora stupito da quella rivelazione. Naruto ridacchiò: “Sì sì, Boruto… lascia che ti spieghi una cosa. Sai cos’è il coraggio davvero?” Il bambino ci pensò su alcuni secondi per poi scuotere il capo. Allora l’Hokage riprese dicendo: “Il vero coraggio consiste nell’affrontare il pericolo quando si ha paura, Boruto. Non devi vergognarti se a volte hai paura, ma devi saperla affrontare.”
Da allora, Boruto capì qual era il vero coraggio e promise a sé stesso che non si sarebbe mai più fatto paralizzare dalle sue paure e che non avrebbe mai più abbandonato un amico: avrebbe affrontato tutto, con coraggio. Come gli aveva insegnato suo padre.
Perché anche gli Hokage hanno paura. Ma affrontano le loro paure, perché hanno qualcuno da proteggere.

Diventerò più coraggioso e la prossima volta sarò io a salvare Sarada e mio padre!

  
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