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Autore: Chaike    23/03/2016    2 recensioni
"Lui mi ama. Ed è per lui che io faccio questo, che concedo il mio corpo a lui, anche se contro la volontà.
Ma io lo amo?"
Ho stravolto il mondo della ship Bennoda. Li abbiamo sempre immaginati sposati e segretamente innamorati. Ma se fosse stato tutto il contrario? Dear fangirls, non odiatemi.
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Chester Bennington, Mike Shinoda
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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NOTE: WE, sono resuscitata dalle ceneri. Sono anni che non pubblico qualcosa qui e volevo farlo con una bella entrata toliend queste 27594837 fic het che sono nate nell'ultimo periodo *brividi*
Nulla contro le scrittrici het eh solo ribrezzo ma un po' di Benoda fa bene alla salute.
Allora, questa fic è datata 2013, mai pubblicata e mai completata fino ad ora. L'ho riaperta 30 minuti fa, ho aggiunto le frasi finali un po' a cazzo e ora la pubblico, non volevo lasciarla a prendere polvere nella cartelletta dei lavori in corso. (Giusto per tenervi aggiornate anche su Ritorno, non so se la continuerò... sto per finire il capitolo, ma mi sono resa conto di aver creato una storia con inevitabile finale dramatico.)
Da come avete capito è tutto l'inverso, non si tratta di loro che tradiscono le mogli ma il contrario... *musichetta tragica* Non odiatemi. Ve ne prego. Fatemi sapere quanto vi ho fatto incazzare :'3
Enjoy

Dovrebbero essere cose normali queste, movimenti che vengono spontanei, piacevoli e lussuriosi.
Dovrebbero essere fatti perché troppo desiderosi di unirsi al proprio compagno per l’ennesima volta. Come se non lo si facesse da anni.
Tutto questo non dovrebbe essere forzato. Odiato. Ripudiato, fatto solo perché è come se fosse un dovere. Verso di chi poi?
Verso Dio?
No, non esiste Dio che ci accetti per quello che siamo, per quello che abbiamo scoperto di essere.
Omosessuali.
Okay, io e lui ci siamo innamorati quasi quindici anni fa, ci siamo sposati, e nonostante fosse rischioso per la nostra vita e per il gruppo siamo andati avanti con il lavoro.
Lui mi ama. Ed è per lui che io faccio questo, che concedo il mio corpo a lui, anche se contro la volontà.
Ma io lo amo?
È questo la mia ferita aperta e mai cicatrizzata nonostante gli anni. Io lo amo?
Amo il suo corpo tatuato? I suoi dilatatori? Il suo corpo magro? Il suo profumo? La sua voce? Il suo sguardo?
No.
Ogni giorno, quando lo vedo, è come se mi buttassero dell’acido in faccia, che mi corrode la visione e la capacità di vedere ciò che vorrei. E non voglio lui.
Non so nemmeno che razza di pazzia mi abbia portato a questo punto, cosa diavolo mi abbia detto la mia mente malata di quegli anni.
Forse il fumo passivo delle sue canne e della sua erba ha avuto effetto pure su di me, vittima della situazione.
Non ricordo più cosa fece scattare quella scintilla tra di noi, quella piccola fiamma che divenne un focolare ardente e scottante, che bruciò via tutti i progetti programmati nel passato.
Lasciare tutto per un uomo conosciuto fino in profondità anche se in pochissimo tempo. E lo capii che ero speciale per lui, lo capii quando mi accorsi che fui l’unico a guardarlo fino alle ossa.
La diffidenza era troppa in lui per potersi aprire alla gente. Ma dopotutto io sarei diventato un compagno della band a cui era stato ingaggiato come vocalist, quindi prima o poi avrebbe dovuto farlo.
Ma non lo fece con Dave o con Rob o con Joe o con Brad. Lo fece con me.
E non se ne pentì mai. Fui la nuova curva della sua strada, quella che lo portò verso un posto migliore, non verso la solita merda che percorreva da quando era piccolo.
Conoscerlo fu come riaprire un libro impregnato di sangue, e nel girare ogni singola pagina c’era sempre un urlo atroce che ti gridava la paura, la tristezza e l’angoscia di un bambino oppresso dalla cattiva sorte.
Ma non m’innamorai di lui per compassione. M’innamorai di lui per …
Per …
Non lo so perché.
E adesso, dopo anni che ci siamo promessi il nostro amore, finché la morte non ci strappi via l’uno dalle braccia dell’altro, io sono qui, a pregare un Dio che mi vede come un eretico affinché mi dia la grazia e mi aiuti a scampare a tutto ciò.
Non è alcuna pena dell’inferno, dolorosa e atroce. Sono solo i miei doveri di marito nei confronti del mio compagno.
E questo dovere è consumare il matrimonio, ovvero avere un rapporto con lui, il milionesimo da quando ci siamo sposati e anche prima.
Il sesso è bello, ti libera, ti da piacere e soddisfazione. Ti fa sentire bene, ti manda via tutto lo stress e ti rende felice.
Ma tutto ciò accade quando questo lo fai con la persona che ami o a cui per lo meno vuoi bene, o provi qualcosa anche se minima.
Non ha senso fare l’amore se l’amore non c’è.
E lui lo sa, è a conoscenza della mancanza di questo fattore fondamentale che completa l’atto del sesso da parte mia.
E nonostante tutto, mi obbliga, giorno dopo giorno, ad usare il mio corpo per soddisfare i suoi bisogni che reputa primari.
Lo fa come se fosse un suo diritto. Ma lo fa anche per ricordarmi che io sono suo e soltanto suo, finché morte non ci separi.
Secondo il suo pensiero, serve per distrarmi dai miei sentimenti più profondi, per cercare di sotterrarli sempre più nell’abisso.
Serve per non farmi provare il vero amore. Ovvero cioè che provo verso un’altra persona e non  lui, non più.
Ed è così, come ogni giorno, che mi porta in camera da letto della nostra grande casa vuota, mi prende per il colletto della mia camicia, avvicinando il mio viso al suo, e mi fissa.
Mi guarda negli occhi con la sua solita freddezza, perché odia me ed il mio mancato amore.
Non capisco perché si ostini a stare con me nonostante tutto. Dovrebbe lasciarmi, cercare qualcun altro a cui riporre tutto l’affetto che da a me ma che non ne riceve in cambio.
Dio, mi sento una merda …
E lui mi guarda, con i suoi occhi di un colore perfetto, con uno sguardo profondo che ogni volta mi uccide. Mi fa sentire colpevole, una merda.
Ovvero quello che sono.
Ma io non lo faccio apposta. Potrei far finta di amarlo, che vada tutto bene tra di noi e che io provi ancora un sentimento positivo verso di lui. Ma non sono in grado di mentire, non ci sono riuscito nemmeno da bambino, come posso farlo adesso?
Mi attira a sé con forza, aprendomi le labbra contro la mia volontà con la sua lingua e facendosi strada con essa e aggredendomi così. Perché può.
Chiude gli occhi ma la sua espressione sempre contratta non se ne va mai. Non se ne mai andata da quando gli ho detto che non provavo più niente.
Quando abbiamo litigato, quando ha scoperto i messaggi che inviavo alla persona che veramente amo.
Lei.
Il giorno dopo sono dovuto andare a comprare un iPhone nuovo per colpa sua e della sua concezione che deve sapere tutto ciò che faccio, con chi ho parlato e cosa ho detto a tutti.
E non sa cosa sia la privacy, così invade la mia, ritenendo che sia suo diritto prendere il mio cellulare e guardare tutto ciò che ho dentro, messaggi, telefonate, foto, video …
E un giorno, prese il mio telefono nel sentirlo suonare per un messaggio inviato. Mi chiedo ancora dove diavolo fossi in quel momento.
Lesse un messaggio inviato da un numero salvato sotto ad un nome femminile, che mi diceva ‘Anche per me è diverso, non è una semplice cotta. È di più’.
E da lì, salendo con lo sguardo sulla parte precedente della conversazione, lesse anche il messaggio che scrissi prima io a lei. Dove le dissi che … Beh, mi piaceva.
Non che si trattasse di una cotta adolescenziale verso una ragazza che nemmeno ti degna di uno sguardo. Io quella donna la conoscevo, ci sono uscito un’infinità di volte.
E dopo una di quelle sere, quando sotto al portone di casa sua, non riuscì a trattenermi e la baciai. Oh sì, la baciai. E fu come sfiorare le labbra di un angelo.
Letto questo, ringhiò lanciando il mio iPhone al muro, che immediatamente si sfracellò con un rumore assordante.
Quando corsi per vedere cosa fosse successo, ebbi una paura così forte, che so già che non la proverò mai più. Bastava guardarlo in faccia per capire che da un momento all’altro avrebbe avuto la sfrontatezza di strangolarmi.
Ma grazie a Dio si limitò a sbraitarmi addosso.
Quella fu la litigata che ci divise definitivamente, e con diviso non intendo separati.
Perché anche se gli dissi tutto ciò, lui non volle mai andarsene e tanto meno smettere di avere rapporti con me. Necessita del mio corpo perché è innamorato perso e non riesce, non sa smettere di esserlo.
Ma non so mai se è innamorato di me o solamente del mio corpo.
In un attimo mi ritrovo sdraiato sul letto a pancia in giù, sempre con i vestiti addosso ma con i pantaloni slacciati e abbassati fino a sotto i glutei, abbastanza per lasciargli l’accesso alla mia entrata.
Ecco come noi facciamo ‘l’amore’.
Non ha più ritegno per me. Credo che non gl’interessi nemmeno del dolore o del piacere che provo. Forse lo usa come per punirmi per non amarlo più.
Non lo amo. Ma non mi lascia …
Entra senza farsi problemi, facendomi premere il viso sul materasso dal dolore. Posso urlare, contorcermi e piangere, ma lui deve avere ciò che vuole, quello che gli appartiene, quello che gli spetta di diritto.
Deve ricordarmi continuamente che sono suo, di sua proprietà.
E io non posso oppormi, sono troppo impotente per reagire ed impedirglielo.
È come se glielo dovessi.
Lo faccio soffrire ogni giorno, quando esco di casa e lui mi guarda con il suo consuetudinario sguardo passivo. Ma lo so, lo conosco bene. Non mi dice niente perché è troppo orgoglioso, e quando non sono più a casa piange, urla, si dispera.
Spacca qualcosa e nasconde i resti prima che io torni, sperando che non lo noti, come se fossi realmente così idiota.
Perché sa dove vado, sa cosa faccio, e lui non lo può sopportare.
E non vuole cedere. Non cederà mai, nemmeno quando lo farò io e intraprenderò il divorzio.
La sua voce melodiosa geme, ed io invece piagnucolo per la sua troppa velocità.
Non lo voglio, ma non posso fare nient’altro che subire.
Ed è nel momento di pieno dolore, quando affonda troppo in profondità e mi colpisce gli argini del mio interno, che strizzo gli occhi e cerco di pensare a lei, al suo sorriso, ai suoi occhi, alle sue labbra.
Occhi marroni come la terra, capelli scuri e perennemente profumati.
Labbra sottili e rosee, perfette quando sorridono.
Il sollievo mi accoglie tra le sue braccia, l’insensibilità fa capolinea nella mia apertura torturata.
E lui lo sa che sto pensando a lei. Ma non gliene importa niente.
Il bruciore attorno alla mia cavità scompare, i miei limiti diventano impassibili di fronte alle sue spinte, ed il mio viso passa da corrugato a in estasi.
Non sento veramente piacere, ma il conforto giunge in mio aiuto al solo pensiero di lei.
In questi momenti posso pensare solo a lei, a quando, dopo aver finito di soddisfarlo, la vedrò, l’abbraccerò. E la bacerò.
E finalmente farò l’amore, quello che con lui non faccio più da anni.
Gemo di piacere al solo pensiero di farlo, perché sarà bello e fottutamente piacevole come al solito.
Lui ovviamente, come sempre, fraintende e va ancora più veloce, sempre più affondo, scopandomi come un dannato, fino ad arrivare al picco.
Non posso odiarlo per questo, non posso permettermi di odiarlo. È lui che deve odiare me, perché anche lui è una vittima per colpa mia, l’ho portato io a questa situazione, sono io che l’ho sposato senza amarlo veramente.
E mi chiedo ancora perché l’abbia fatto.
Le spinte finali sono sempre le più dolorose per me e le più piacevoli per lui, perché ha un modo di venire tutto suo, tipico della sua rudezza ed egoismo.
Mi da i suoi soliti colpi culminanti, affondando così tanto da prendermi le pareti interne che non cedono solo perché Dio ha pietà di me. Ma ovviamente il dolore e le mie urla, per quanto mi voglia bene, non può toglierli.
E forse lui gode nel sentirmi urlare in questo modo per colpa sua.
Mi viene dentro sospirando e gemendo, non il mio nome come faceva una volta, quando ancora riuscivo a fingere che mi piaceva.
Il caldo mi inonda ed è l’unica cosa che mi da quel poco di piacere che non mi fa pentire di averlo fatto con lui per la milionesima volta in tutti questi anni.
Perché non mi lasci Chester? Perché non capisci che così ci facciamo del male?
Manda a quel paese il gruppo ed il tuo orgoglio, fai quello che è meglio per te. Non renderti schiavo di un amore che non avrai mai.
Ha il fiatone per la fatica e quel poco di stanchezza per il sesso e i suoi movimenti lo assalgono, imponendogli di sdraiarsi affianco a me, facendosi accogliere dal fresco delle lenzuola che gli da sollievo per il sudore che gli bagna la maglia e la fronte in quel modo affascinante che solo su di lui ha effetto.
Respira in cerca di pace, chiude gli occhi attendendo che le ultime pulsazioni dell’eccitazione svaniscano del tutto.
Ma aspetta altro.
Aspetta che io faccia la mia mossa, che come sempre è quella sbagliata secondo lui ma migliore per me.
Sta aspettando che io faccia lo stronzo, l’egoista ed il bastardo.
Bastardo, ecco cosa sono per lui. Un bastardo che però deve sempre usato e riusato come una bambola gonfiabile, perché gli anelli che abbiamo al dito e le promesse che ci siamo fatti sposandoci gli permettono questo, no?
L’anello mi ricorda che sono suo, un suo oggetto. Un giocattolo per il sesso, un buco da scopare.
E ciò che sto per fare, lo faccio ogni volta che si impossessa di me, perché ho bisogno di sfogare il mio odio represso e quella poca eccitazione che mi viene nel farlo con lui, solo che lui non riesce a procurarmi un orgasmo, o per lo meno non più.
Non devo andare in bagno, non mi serve la mia mano e un po’ di carta igienica. Mi serve solo affetto e amore, cosa che lui non è in grado di darmi. E se anche fosse capace, lo rifiuterei.
La mia apertura però continua a bruciare, sento uscire un po’ del suo seme ed il ciò mi schifa leggermente. Fa male, brucia, è doloroso … Perché continuo a farmi sottomettere da lui?
Lui può lasciarmi, ma lo posso fare anche io. Perché non mi ribello allora? Perché non lo lascio?
Perché è come se glielo dovessi. Gliel’ho promesso quando ci siamo sposati …
Datemi la forza per alzarmi e scappare da qui. Dio ascoltami ti prego, angeli aiutatemi e datemi la forza vi supplico.
Fa male, dannatamente male quando tutto finisce.
E mi tocca solamente stringere i denti come ogni sacrosanta volta che succede questo, che lui mi prende e mi fa suo. E perché io lo sono dopotutto, no? Mi ha sposato, sono legalmente suo.
Li digrigno proprio, i denti, nell’alzarmi stringendo involontariamente i muscoli dei glutei. Gemo dal dolore lancinante e dal bruciore che mi logora l’apertura. Dio, datemi ago e filo che la cucio …
Lui se ne frega, gode nel vedermi soffrire, come se ogni volta lo facesse apposta solo per vedermi ridurre in questo stato. Se io facessi come vorrebbe non succederebbe tutto questo. È una punizione, il dolore che provo.
Perché soffro nell’alzarmi, e se mi alzo io andrò dal mio vero amore. Così mi punisce, mi fa soffrire. Voglio andare dall’amante? Che ci vada pure, ma devo soffrire nell’andarci.
Mi sistemo i pantaloni e la camicia stropicciata dal peso che mi premeva sul letto. Che la sistemo a fare, se fra poco me la devo togliere e devo sperare che la donna che mi darà conforto non mi faccia saltare per l’ennesima volta i bottoni, troppo presa dalla foga?
Lui mi guarda con i suoi occhi sottili, mi accusano di essere quel bastardo che ha rovinato tutto. Ha rovinato un matrimonio ed è riuscito a rovinare una futura famiglia.
Già, perché lui in un ultimo atto disperato nel tentativo di farmi rimanere o trovare almeno un pretesto per non divorziare, ha inserito i nostri nomi in un’associazione dedita alle adozioni.
Voleva mettere in mezzo un povero bambino pur di farmi rimanere.
E quel bambino avrebbe preferito rimanere in un orfanotrofio ad aspettare qualcuno da poter chiamare mamma o papà, piuttosto di assistere a scene del genere.
Ma ancora non lo sa, che a breve avrò una famiglia tutta mia, con la donna che amo.
Distolgo lo sguardo per non vedere il suo e cammino lentamente e in malo modo, per il dolore, verso le scale.
E lì, in cima ai gradini scorgo la porta, la mia salvezza. Uscito da lì non ci sarà più lui, ma solo lei.
Mi sento già più sollevato fin dal primo gradino, perché già penso al torpore dopo aver fatto l’amore. E magari senza tornare a casa, sta sera … Casa. Come posso ancora definirla tale? È solo il mio inferno. E il diavolo è lui, quello che chiamo marito ma è solo fonte di sofferenza e frustrazione.
Gli volevo bene, una volta. Quando era solo il mio migliore amico.
Poi ho fatto il più grande errore di confondere l’affetto di un’amicizia con l’amore. Ma l’amore è sacro, non va confuso.
Arrivo in fondo alle scale dopo aver sceso piano piano gradino per gradino, uno alla volta per non sentire troppo dolore.
Ma quando afferro la giacca e sento già di essere in salvo, una voce da in cima le scale mi fa sussultare. Sia dal tono che usa, sia per cosa dice.
« Alla prossima. » la sua voce rimbomba nell’atrio e lo fisso per un attimo scosso.
Intende che da ora sono libero e non ci rivedremo mai più perché ha deciso di farla finita con me?
E con questa domanda in testa esco di casa velocemente, salendo sulla nostra macchina.
O per lo meno quella che era nostra, fino a pochi secondi fa.
Ma se invece quella piccola frase intendesse che la prossima volta sarà per esempio domani e dovrò subire di nuovo questo supplizio?
Una scossa lancinante alla mia cavità mi ricorda che dolore patirei in quel modo.
No, piuttosto abbandono tutte le mie cose lì e me ne vado. Mi trasferisco da Anna direttamente e vaffanculo tutto.
Vaffanculo lui e il suo amore non corrisposto, il suo odio che sfocia in violenza a discapito del mio corpo.
Non posso rifarlo un’altra volta con lui, una che fosse una.
Lo so, mi sento stupido a pensarlo perché non è la prima volta che lo faccio … Miriadi di volte ci ho provato a lasciarlo, ma niente.
Sarà il suo sguardo supplichevole che usa in quei momenti dove la violenza non riesce ad uscire, troppo vulnerabile.
Ma ora non ci devo pensare, ora devo liberare la mente da tutti questi pensieri che corrodo all’interno. Per colpa sua, o meglio, mia.
Ora devo solo pensare a ciò che succederà appena arriverò da lei.
Ed è quello che faccio non appena imbocco la via dove alloggia, scorgendo in fondo al primo isolato la sua casetta color panna dal tetto rossiccio. Subito mi sento avvolgere dalla sensazione di sollievo, con le farfalle nello stomaco, finalmente.
Mi fermo davanti a casa sua e subito lei corre alla porta, con il suo solito sorriso emozionato, come se fossimo dei ragazzini in preda al loro primo amore. Ma per me si tratta realmente del mio vero ed unico amore.
E so già che ora, mentre mi avvicino a lei e la bacio come solo un amante può baciare la sua donna amata, lui sarà la, nel letto.
Forse starà piangendo col viso contro il cuscino. O forse sarà da tutt’altra parte, a distruggere qualcosa urlando tra le lacrime che sono un bastardo.
Ormai, non mi rimane solo pensare che mi dispiace. Mi dispiace lasciarlo soffrire così, mentre io stringo le mani delicate della donna che ho davanti e sussurro con convinzione senza realmente pensare a cosa dico.
« Domani chiedo il divorzio. »
   
 
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