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Autore: Katnip_GirlOnFire    24/03/2016    1 recensioni
La storia di una principessa fuggitiva e di un pirata.
Le loro strade si incontreranno per pura coincidenza, e i due continueranno su un cammino comune, lui per salvare la sua ciurma, lei per riprendersi il regno.
Disclaimer! TRADUZIONE.
Genere: Avventura, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Abigail Griffin, Bellamy Blake, Clarke Griffin, Finn Collins, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO PRIMO.
Clarke percorreva senza fretta il molo, in direzione della nave che le era stata indicata quella mattina per l'acquisto di alcuni marinai. Secondi le sue fonti, la nave verso la quale si stava dirigendo era una nave da crociera che si apprestava a dirigersi lontano dal regno - esattamente dove lei doveva essere. Quell'informazione le era costata un bel pò di denaro, e Clarke lo stava per esaurire, il suo bel denaro. Era una cosa da idioti portarsi appresso tutto quell’oro, come stava facendo lei in quel momento, ma Clarke non voleva rischiare di doversi mettere a fare l'elemosina o rubare per i suoi bisogni primari. Era già un miracolo il fatto che nessuno la avesse ancora riconosciuta, non le sarebbe stato utile diventare diventare una fuorilegge quando era già una fuggitiva. Tentando di reprimere un sussulto, Clarke ignoró il dolore pungente nel suo addome e mantenne una perfetta postura, come le era stato insegnato in anni e anni di lezioni di etichetta. Non le importava se era ferita: era una reale, e da tale avrebbe camminato.
«È questa la Fenice?» chiese Clarke a un membro dell'equipaggio mentre si avvicinava alla nave. L'uomo stava caricando un carro di casse sulla nave, aiutato da alcuni altri marinai. Indossava un'elegante uniforme bianca, e aveva una pistola assicurata alla gamba. Clarke adocchió la pistola, circospetta, ma indossó prontamente il suo “sorriso da principessa”, quello che le era stato insegnato ad usare in presenza di nobili o altre persone altamente stimate.
«Sissignora» rispose l'uomo, facendo scorrere uno sguardo di approvazione sul suo abito. «Come posso aiutarla?»              
Clarke resistette all'impulso di stringersi ulteriormente nel suo mantello, sorridendo all'uomo.
«Mi chiedevo se fosse possibile per me comprare un passaggio sul vostro vascello. Ho saputo che vi dirigete verso i Regni del Sud, e mi piacerebbe unirmi a voi.» disse Clarke dolcemente.
«Molto bene, signora. Non so per certo se vi sia una cabina libera a disposizione, ma posso portarla dal capitano.» rispose il marinaio con circospezione. Clarke si produsse in una riverenza, lasciandosi sfuggire un piccolo gemito di dolore all'azione, e tornando nuovamente a sorridere.
«Sarebbe meraviglioso, se non le dispiace.» Il marinaio le fece cenno di seguirlo, e Clarke obbedì, camminando sulla passerella fino alla grande nave. La borsa le rimbalzava sulla coscia mentre arrancava sulla tavola di legno. Quella borsa mediamente piccola era l'unica cosa che aveva portato con sé, conteneva qualche medicinale di scorta e alcuni indumenti extra, ma niente di più. Clarke si sentì un tantino in soggezione, mentre ammirava la grandezza della nave. Era una delle più grandi navi da crociera che Clarke avesse mai visto, grande quasi quanto una nave da combattimento reale. Il marinaio la guidò a una cabina e bussò alla porta, sulla quale c’era un’etichetta che recitava “Alloggi del Capitano”. La porta si aprì rivelando un uomo che doveva avere almeno cinquant’anni, secondo la stima di Clarke, e che indossava un’austera uniforme bianca e blu con striature dorate sulle spalline. Portava una barba molto curata, una chiara indicazione di quanto valutasse altamente l’ordine e la pulizia.
 
«Cosa c’è?» chiese in tono burbero, guardando Clarke dall’alto al basso.
 
«Signore! Questa dama vorrebbe comprare un passaggio sulla vostra nave.» Disse il marinaio scattando sull’attenti. Il capitano annuì e gli fece cenno di tornare al lavoro. Il marinaio si allontanò senza voltarsi indietro. Clarke deglutì nervosamente e si rivolse al Capitano con il sorriso più affascinante di tutto il suo repertorio.
 
«Che cosa vi porta a voler partire per i Regni del Sud con tale urgenza, signorina?» Chiese il capitano.
 
«Temo che la mia prozia sia caduta in malattia. È Duchessa in uno dei regni, e mi è stato chiesto di farle visita nei suoi ultimi attimi e di prendere il suo posto nell’amministrazione della sua dimora.» recitò Clarke. Si prodigò nell’abbassare gli occhi e nell’unire le mani in grembo con contrizione. Si era esercitata nella recitazione della sua storia nei giorni prima della fuga, e sapeva esattamente cosa dire e come per convincere il Capitano di una nave da crociera.
 
«Capisco. Che evento sfortunato. Mi dispiace molto. Credo saremo in grado di ospitarvi durante il nostro viaggio. Io sono il Capitano Ward, e questa è la mia nave, la Fenice. Posso chiedervi quel’è il vostro nome?» Chiese il Capitano Ward, inchinandosi rispettosamente.
 
«Certamente, il mio nome è Francesca. Francesa De Moines. È un piacere fare la vostra conoscenza, Capitano Ward. Sono davvero molto grata per l’assistenza che mi state offrendo. Potrei sapere quale sarebbe il costo per il mio soggiorno?» Rispose Clarke prontamente.
 
«Ah si, certamente. Da qui ai Regni del Sud è un lungo viaggio, circa un mese e mezzo. Il prezzo include una cabina, cibo e acqua, e protezione. Ci sono stati frequenti attacchi di pirati recentemente, ma non vi preoccupate, mia cara. Siamo ben muniti per affrontare tale minaccia. Potete pagare la metà adesso, e l’altra metà quando raggiungerete la vostra destinazione. Il primo pagamento sarà dunque di cento pezzi d’argento.»
 
Cento pezzi d’argento?! Era il corrispettivo di dieci monte d’oro! Anche per una nave come quella, era un prezzo molto alto. Clarke  però non poteva mostrare al Capitano alcuna esitazione, dal momento che credeva che lei facesse parte di una ricca famiglia nobile.
 
«Ma certo, ecco a voi.» Disse Clarke con un sorriso, estraendo le dieci monete d’oro dalla sua pochette come se niente fosse. Il capitano prese le monete con un largo sorriso stampato in volto, e le diede il benvenuto nella sua nuova abitazione. Beh, almeno per il prossimo mese e mezzo. Quando Clarke si chiuse finalmente nella sua nuova cabina, si appoggiò alla porta con un gemito. La stanza era di dimensioni accettabili, grande abbastanza perché un persona ci potesse vivere senza sentirsi troppo ristretta. C’era un piccolo letto nell’angolo sotto a un oblò, e una porta che probabilmente portava al bagno. Non era male, ma di certo non valeva cento dannate monete d’oro. Sospirando, Clarke scivolò fuori dai pesanti strati di stoffa che componevano il suo abito e si trascinò fino al bagno. Rosso macchiava la stoffa della leggera sottoveste bianca che Clarke stava indossando. Imprecando, Clarke sollevò il vestito, rivelando le sue bende impregnate di sangue. A quanto pareva, era riuscita a far riaprire la ferita per via di tutto il tempo che aveva speso camminando in giro. Clarke sciolse la graza che aveva legata al torso per ispezionare la ferita, con il ricordo di come le era stata inflitta che le scorreva davanti agli occhi.
 
Clarke era riuscita ad arrivare al di fuori del muro esterno, e correva per le strade affollate della città. Il panico e l’adrenalina erano le uniche cose che la tenevano in movimento, e sapeva di dover trovare un posto dove nascondersi prima che la prendessero, o che collassasse. Clarke deviò in una strada meno affollata e rallentò fino a una camminata veloce, con il vestito che la rallentava e le gonne che ondeggiavano insopportabilmente impedendole di muoversi liberamente. Respirò profondamente e contò fino a sessanta, nel tenativo di calmarsi un pochino. Forse era riuscita a seminare le guardie. Proprio nel momento in cui aveva formulato quel pensiero, Clarke udì delle urla dietro di sè.
 
Guardandosi velocemente alle spalle vide alcuni membri della Guardia che la indicavano e correvano verso di lei. Clarke strinse i denti e ricominciò a correre. Vedeva gli abitanti della città che la guardavano curiosi. Veder correre una ragazza con addosso il vestito più costoso che si fosse mai visto era certamente una cosa che poteva causare stupore. Ma gli sguardi erano l’ultima cosa di cui Clarke si preoccupava, al momento. Sentì altre grida, e il rumore di uno sparo che riecheggiava per la strada, spaventando sia Clarke che i cittadini. Si abbassò istintivamente e poi si voltò: un uomo della Guardia aveva estratto la pistola e gliela stava puntando contro. Il suo cuore venne pervaso dal terrore quando realizzò che, per via di quello che sapeva, sua madre era disposta a farla uccidere.
 
«Levatevi di mezzo! Correte!» Gridò Clarke, agitando le braccia cercando di  allontanare le persone per strada. La Guardia approfittò della posizione di Clarke e sparò un altro colpo, questa volta colpendo il suo bersaglio. Il proiettile trapassò il fianco di Clarke, attraversando parte del suo inestino. Clarke urlò per il dolore, ma si costrinse a continuare ad arrancare per la strada verso una folla di persone, dove riuscì a confondersi nella fiumana di gente. La fortuna era finalmente dalla sua parte, e le guardie le passarono proprio accanto senza accorgersi di lei. Sussultando, Clarke si trascinò fino alla bancarella di un mercante e afferrò un mantello dal tavolo. Si sentì in colpa per aver rubato, ma aveva bisogno di un indumento che la nascondesse. Clarke si infilò in una via secondaria e si tolse lo strato superiore del vestito che, fortunatamente, non era ancora stato macchiato di sangue. Si tastò le ferita, sia davanti che dietro, sollevata nello scoprire che il proiettile l’aveva trapassata da parte a parte e che non fosse rimasto all’interno.
 

Clarke strappò una striscia di stoffa da uno dei molti strati del suo vestito, e se lo infilò in bocca. Quello che stava per fare sarebbe stato molto doloroso. Non si allontanava mai dal castello senza un qualche equipaggiamento medico, una lezione che aveva imparato dal suo precettore, e estrasse dalla sua borsa ago e filo. Con una smorfia di dolore si assicurò che non ci fosse nessuno nei paraggi prima di affondare l’ago nella sua pelle. Il rudimentale bavaglio soffocò le sue urla mentre suturava impacciata le sue ferite.
 

Quando la nave cominciò a muoversi, Clarke venne distolta dai suoi pensieri. Incespicando, barcollò fino all’oblò e vide la figura del porto che sbiadiva lentamente. Rimase a guardare fuori finchè la terra ferma non svanì completamente dietro l’orizzonte. Allora si permise un sospiro di sollievo. Ce l’aveva fatta. Era finalmente riuscita a sfuggire dall’Arca, e ora avrebbe potuto cominciare a escogitare un piano per rendere giustizia all’omicidio di suo padre. Sorridendo, Clarke estrasse di nuovo l’ago macchiato di sangue e si infilò nuovamente della stoffa in bocca. Era il momento di ripetere l’operazione. Sforzandosi di respirare, Clarke si ricucì senza emettere suono.
 
Dopo aver mangiato qualcosa per cena nella sua cabina, Clarke si era finalmente addormentata. Ma improvvismente il suono d’allarme della campana fendette l’aria. Clarke si alzò di scatto e, pentendosi dell’azione affrettata quando il dolore la attraverso da capo a piedi, si affrettò verso l’oblò e si sforzò di vedere qualcosa nel nero della notte. Si accorse che una forma scura stava nascondendo la luce delle stelle e parte dell’oceano. Stringendo gli occhi cercò di capire cosa fosse. Improvvisamente, un raggio di luna rischiarò la notte, rivelando l’imponente figura di una nave. Non una nave qualsiasi. Clarke rabbrividì alla vista di una bandiera pirata che si agitava nel vento. La fortuna non era davvero dalla sua parte. Clarke rimase davanti all’oblò, strofinandosi gli occhi stanchi nel tentativo di convincersi che fosse solo un sogno, o una terribile allucinazione. Ma la nave continuava a fluttuare all’orizzonte, dirigendosi lenta ma sicura verso la nave da crociera. Imprecando, Clarke barcollò fino alla sua borsa, sperando di aver portato con sè un vestito più semplice. Magari sarebbe potuta passare per un’inserviente della nave, se solo fosse riuscita a togliersi quello stupido vestito di dosso.
 
Clarke gemette quando tutto il movimento che stava facendo si fece sentire, casuando una dolorosa protesta da parte della sua ferita. Stringendo i denti, Clarke ignorò il dolore per raccogliere le sue cose. Strappò un altro pezzo di stoffa e se lo legò coscia. Prese il suo borsellino di monete e lo infilò tra la stoffa e la coscia, poi ci avvolse intorno altra stoffa per assicurarlo. Se lo sarebbe infilato nel corsetto, ma se la nave stava per essere abbordata da pirati, non sarebbe sato al sicuro lì. Clarke si spogliò rimanendo solo nella sua sottoveste, che era comunque fatta di stoffe piuttosto pregiate, ma non vistose come di quelle cui erano fatti gli altri strati del suo vestito. Si mise il mantello e infilò in una delle sue tasche interne il suo kit medico. Clarke si guardò intorno, alla ricerca di un qualche tipo di arma, dandosi della stupida per aver lasciato il palazzo senza nemmeno un misero coltello, o anche una pistola. Una pistola sarebbe stata perfetta. Incespicò per la cabina, con la vista appannata e la testa che girava.
 
«…Troppo sangue, mi serve qualcosa di ferro…» Mormorò tra sè. Afferò impacciata la sua borsa e tirò fuori una piccolo contenitore di erbe. Vi frugò all’interno e prese un’erba che veniva usata dai soldati per durare di più sul campo di battaglia. Era stata studiata in un laboratorio durante la Grande Guerra, e Clarke era stata tanto fortunata da riuscire a rubarne un po’. Ne strappò un pezzo e se lo infilò in bocca. Le foglie erano amare e Clarke quasi rigettò quello che aveva mangiato per cena. Poi frugò ancora nella borsa in cerca della capsacina, un antidolorifico. Ne prese un pochino, non volendo sprecarlo tutto troppo presto, e ingoiò in fretta la pianta macinata.
 
Clarke si sentì un po’ meglio, man mano che i medicinali facevano il loro effetto, ma le si contorsero le budella quando sentì il rumore di un cannone. Urla echeggiarono per la nave, e Clarke guardò di nuovo fuori dall’oblò. La nave pirata era arpionata proprio al finaco della Fenice. Poteva sentire le grida dei pirati che dilaniavano la nave e il sudore le imperlò la fronte. Sentì un altro sparo di cannone, che questa volta colpì la nave. Clarke si sforzò di mantenere l’equilibrio mentre la nave ondeggiava senza sosta. A giudicare dal suono e dal movimento, la palla di cannone doveva avre colpito la nave in un punto vicino alla sua cabina. Clarke si affrettò fuori dai suoi alloggi e per il corrido caotico. Le donne, nelle loro gonne da notte di stoffe pregiate e ciabattine, gridavano spaventate e gli uomini borbottavano, ma avevano un’espressione preoccupata sul volto. Se il capitano o qualcun altro non avesse fatto qualcosa a breve, si sarebbe scatenato il panico e il caos.
 
Clarke ci sperava, in parte, così sarebbe riuscita a sgattaiolare via senza farsi notare e a nascondersi da qualche parte. Forti tonfi rimbombarono sopra le loro teste, seguiti urla e spari. I pirati li avevano abbordati.
 
Clarke cercò di farsi strada tra la folla e di correre nella direzione opposta rispetto ai rumori della battaglia. Grugnendo, si spinse tra donne nel panico e uomini frenetici. La borsetta di monete le scivolò lungo la coscia, e Clarke allungò le braccia sotto la gonna per stringere la stoffa che la teneva ferma. Una gomitata la colpì dritta sulla ferita, facendola cadere in ginocchio. Le lacrime le bruciavano negli occhi, ma Clarke gattonò fino al muro cercando di levarsi dal mezzo della mischia di passeggeri. Borse e arti agitati le sbattevano contro, creando un ininterrotto flusso di dolore. Clarke aprì lentamente gli occhi quando tutto il clamore cessò. Tutti i ricchi passeggeri erano immobili nella sala. Clarke udì delle grida di vittoria provenire dal ponte, e capì che tutto era perduto. Allontanò la mano – che fino a quel momento aveva tenuto sulla ferita nel vano tentativo di ripararsi - dal petto e sussultò. Era appiccicosa e sporca di sangue, e la stoffa del suo vestito vi rimase appiccicata sopra.
 
Ansimando, Clarke si tirò su contro il muro, usandolo come supporto per il suo corpo dolorante. Sentì i singhiozzi spaventati dei passeggeri e poi dei pesanti tonfi sulle scale che portavano dal ponte alla sala. I passi battevano in tempo con il suo cuore, thump-thump-thump. Clarke intravide l’uomo che scendeva le scale, ma la folla di passeggeri le bloccò la vista. Tutto quello che colse fu un ciuffo di ricci scuri e un sorrisetto compiaciuto. Fantastico, un arrogante bastardo, fu il primo pensiero di Clarke.
 
«Bene, bene, bene. Che abbiamo qui?» l’uomo ridacchiò sarcastico. «Mi par di capire, ragazzi, che siamo capitati su una lussuosa nave da crociera!»
 
Altre risate giunsero dalle spalle dell’uomo, mentre altri pirati riempirono la sala già affollata. Clarke si guardò intorno e vide che erano tutti circondati da pirati – un paio di loro a bloccare ogni uscita.
 
«Ora, tutto ciò che vi chiedo, da umile uomo d’affari quale sono, è che tutti voi cediate i vostri oggetti di valore senza opporre resistenza. Sono qui solo per svolgere il mio onesto lavoro.» Dichiarò l’uomo, e la suo voce profonda riecheggiò per i corridoi desolati. I suoi complici risero di nuovo.
 
«Chi ti credi di essere, pirata?» Sputò un uomo.
Idiota, pensò Clarke. Non provocare il pistolero maniaco.
«Credo di essere quello che è ora a comando del vascello, e che mi dobbiate ubbidire.» Constatò semplicemente il pirata. Clarke sentì il suono di una spada che veniva sguainata e il sangue le si gelò nelle vene. Un grido acuto attraversò la nave, e Clarke sentì il tonfo di un corpo che colpiva il pavimento. Non riusciva a vedere attraverso la folla, ma le era bastato sentire. Oltre al pianto disperato di una donna, la nave era immersa in un silenzio mortale.
 
«Altre obiezioni?» Chiese la voce, e a rispondergli fu solo il silenzio.
 
I pirati spinsero i passeggeri sul ponte, esponendoli alla fresca aria notturna. Per Clarke, il vento freddo contro la sua pelle bollente fu un sollievo, e respirò a pieni polmoni. Forti urla e tonfi provenivano da sottocoperta, dove i pirati stavano saccheggiando la nave. Ogni tanto qualche pirata emergeva all’aperto portando sacchi pieni di oggetti di valore. Clarke riusciva a vedere l’equipaggio della Fenice legato ai vari alberi della nave, ogni membro privato di possibili armi. Questi pirati erano ben organizzati, senza dubbio.
 
«Avanti signore e signori. È il momento di togliervi tutte le cose luccicanti di dosso.» Disse un pirata con un sorriso diabolico. Portava degli strani occhiali appoggiati sulla testa, ed era seguito in giro da un giovane ragazzo asiatico che sorrideva allegramente. Il pirata occhialuto passava a rassegna di tutti i passeggeri portandondosi dietro un sacco, i passeggeri si levavano di dosso i loro anelli e orologi, bracciali e collane, e li lasciavano scivolare con riluttanza dentro il sacco.
 
«E tu, bella signorina? Hai qualcosa di luccicante per noi?» Chiese Occhialoni fermandosi di fronte a Clarke. Clarke guardò il pirata di traverso e tirò la mano fuori dal mantello per mostrare a Occhialoni il dito medio.
«Wow, ne abbiamo beccata una focosa.» L’asiatico lanciò un fischio. Entrambi i pirati la osservarono da capo a piedi, e i loro sguardi si fecero sospettosi.
 
«Cosa ci fa una bella ragazza come te su una nave come questa senza niente di luccicante?» Chiese Occhialoni.
 
«Una dama da compagnia che cerca semplicemente di guadagnarsi da vivere. Proprio come voi.» Sputò Clarke. Ridacchiando Occhialoni lanciò uno sguardo al suo amico, che annuì.
 
«Hey Capitano! Credo dovresti venire qui un secondo!» Gridò Occhialoni. Panico e adrenalina si fecero strada nelle vene di Clarke. Merda. Non avrebbe dovuto mandare Occhialoni a fanculo, avrebbe solo dovuto volare basso e dargli la sua collana, o qualcosa del genere. Poi si ricordò che inciso sul suo medaglione c’era il sigillo della sua famiglia. Il sigillo reale. L’adrenalina era l’unica cosa che stava impedendo a Clarke di svenire, e anzi, ne aveva abbastanza in circolo da riuscire a stare ritta e fiera.
 
«Che c’è, Jasper?» Chiese una voce profonda. La folla di passeggeri si divise, rivelando un uomo alto che stava camminando tranquillamente nella sua direzione. Aveva dei ricci scuri, e Clarke giurò di aver visto delle lentiggini che puntellavano il suo viso, alla luce della luna. La superava in altezza di più di una spanna, e aveva una spada legata alla cintura. I suoi stivali di pelle facevano un rumore agghiacciante contro il ponte di legno, e la giacca si agitava intorno ai suoi polpacci. Clarke prese mentalmente nota della pistola assicurata al suo fianco. Le pistole erano difficili da trovare. Anche nell’esercito reale era raro che un soldato ne possedesse una. Clarke alzò il mento e guardò il capitano con aria di sfida.
 
«Questa signorina qua afferma di esse una dama da compagnia. E non ha niente di luccicante.» Disse Occhialoni, o meglio, Jasper.
 
«Ah davvero? E cosa ti rende così speciale, principessa?» Disse il capitano. Il cuore di Clarke perse un colpo nell’udire il soprannome, finchè non realizzò che stava solo cercando di insultarla. Clarke alzò un sopracciglio con un sorrisetto è guardò l’uomo dall’alto in basso.
 
«Niente, cerco solo di arrivare al Sud.» Disse. Respirare cominciava a causarle qualche problema, e Clarke sapeva che nella sua condizione attuale non sarebbe durata a lungo. Il capitano rise e diede a Jasper una pacca sulle spalle.
 
«Trovi sempre quelle più interessanti, eh?» Disse. Clarke stava faticando a tenere gli occhi aperti, ma li puntò comunque sul capitano.
 
«Non ti preoccupare, Capitano, sta sicuramente nascondendo qualcosa» Disse il ragazzo asiatico con una scrollata di spalle. «Dame da compagnia non viaggerebbero su navi come questa.»
 
«Hai ragione, Monty. Cosa ci stai nascondendo, eh principessa?» Chiese il capitano. Si avvicinò lentamente a Clarke, fino a quando il loro piedi quasi si toccarono, torreggiando sopra la sua figura tremante.
 
«Non ho niente da nascondere.» sibilò Clarke. Il capitano sorrise con falsa comprensione e afferrò la sua collana, strappandogliela dal collo con uno scatto. Guardò il sigillo, poi di nuovo lei. Clarke serrò la mascella e resistette all’impulso di raggomitolarsi per terra e urlare. Il capitano doveva aver visto qualcosa nella sua espressione, perché strinse gli occhi e lanciò un’occhiata al suo petto. Clarke strinse i pugni così forte da ferirsi i palmi, pur di distrarsi dal dolore che le dilaniava il fianco. L’effetto delle erbe stava terminando, o forse non ne aveva presa una quantità sufficiente da risultare utile. Una goccia a di sudore le scivolò sul sopracciglio, e gli occhi del capitano si spalancarono quando realizzò cosa stava succedendo. Prese i lembi del suo mantello e li aprì lentamente, ignorando le risatine della sua ciurma, che si era raccolta lì intorno per vedere a cosa fosse dovuto tutto quel trambusto.
 
Clarke udì il capitano trattenere il fiato quando vide il suo vestito impregnato di sangue.
 
«Beh cazzo.» Mormorò.
 
Clarke sentì Jasper mormorare a sua volta da dietro il capitano. «Merda, ma che diavolo-»
 
«Portatela alla nave! Prendete tutto quelo che potete, salpiamo!» Gridò il capitano.
 
«Cosa? Ma non abbiamo ancora preso tutto! Perché dobbiamo prendere lei? Lasciamola qui a morire e basta!» Urlò Jasper in risposta. Il capitano guardò di nuovo il sigillo, poi Jasper, che impallidì sotto il suo sguardo.
 
«Ho detto, sgomberate. Salpiamo.» Ripetè lentamente il capitano. Jasper annuì e fece cenno agli altri pirati di cominciare a caricare i sacchi d’oro sulla nave pirata. Clarke ansimò, tentando di voltarsi e darsi alla fuga, ma riuscì solo a cadere per terra con un gemito.
 
«Oh no che non lo farai, dolcezza. Tu vieni con noi. Abbiamo tanto di cui discutere.» Disse il capitano, tirandola su e caricandosela su una spalla. Clarke gridò per il dolore, e l’ultima cosa che percepì furono le onde che si infrangevano sulle due navi e che la stavano portando su una nave pirata.
 
Clarke oscillava tra coscienza e incoscienza, mentre immagini di un bellissimo, iroso, lentigginoso viso fluttuavano nella sua mente. Riprese lentamente conoscenza e percepì il caldo del sole sulla sua faccia. Aprì pigramente gli occhi, che incontrarono il legno scuro di un soffitto sopra di lei, e gemette. Tutto il suo corpo doleva. Voltò la testa per capire da dove venisse la luce e vide un oblò attraversato dalla luce del sole mattutino. Strizzando gli occhi, Clarke si mise lentamente a sedere, sibilando per via del dolore pungente causato dalla ferita. Sollevò le coperte che le giacevano addosso per dare un’occhiata al suo petto ora fasciato. Sfiorò con delicatezza le bende, ammirando le doti del suo guaritore. Si tirò su completamente, voltandosi dal lato opposto rispetto all’oblò e poggiando i piedi sul freddo pavimento di legno. Si mosse per alzarsi dal letto, ma incespicò all’indietro, strattonata da qualcosa che tratteneva la sua mano sinistra.
 
«Ma cosa-» Borbottò Clarke, guardando cos’era stato. Il suo polso pallido era cinto da una manetta di metallo, a sua volta legato a una specie di catena, che era legata alla testiera del letto. Ringhiando, Clarke frogò nei suoi capelli con la mano libera, ghignando trionfante quando trovò una forcina che era rimasta nella sua capigliatura.
 
-
 
«Capitano, dove stai andando?» Chiese Jasper, seguendo la figura imponenete del suo capitano.
 
«Ho sentito un rumore dalla cabina della ragazaa.» Replicò lui burbero. Alzando gli occhi al cielo, Jasper accellerò cercando di restare al passo con le lunge falcate del capitano.
 
«Certo che hai sentito qualcosa. Cos’altro potrebbe mai fare una ragazza che si sveglia trovandosi ammanettata al letto che non è il suo, se non urlare? Tu non lo faresti?» Gli gridò dietro Jasper. Il capitano si voltò per guardarlo di traverso. Si fermò davanti a una delle porte nel corridoio e tirò fuori la chiave da una delle sue tante tasche. Fece cenno a Jasper di stare indietro, e bussò mentre apriva la porta.
 
«Principessa? Sei sveg- oww! Ma che caz-» Quando Jasper sentì il trambusto da fuori la porta si affrettò a entrare, una mano già sull’elsa della spada, ma si bloccò quando vide cosa stava succedendo nella stanza.
 
«Questo, questo è- non ti permetterò mai di dimenticare questa cosa, verrà tramandata ai posteri, capitano.» Jasper rise. Quando il capitano aveva aperto la porta, Clarke si era appostata, in attesa, e lo aveva colpito in testa con un ceppo di legno che un tempo costituiva uno dei supporti del letto. Quando era caduto, Clarke gli era saltata addosso stringendolo in una presa strangolatrice con la catena, per poi mettergli la manetta e legarlo al telaio del letto.
 
«Chiudi la bocca Jasper, e toglimi questa cosa.» Ordinò il capitano, rifiutandosi di guardare Jasper negli occhi.
 
«Chi siete? Dove sono? Che sta succedendo? Non ti avvicinare!» Esclamò Clarke. Sollevò la sua clava improvvisata agitandola contro Jasper, che lazò le mani in segno di resa.
 
«Sta’ calma, Principessa.» Disse il capitano da seduto sul pavimento.
 
«Non chiamarmi così!» Sputò Clarke, puntandogli contro la clava. Indietreggiò finchè la sua schiena non sbattè contro il muro. Ansimando, si strinse una braccio intorno allo stomaco.
 
«Hey, hai bisogno di riposare. Sdraiati un attimo, poi possiamo parlare, d’accordo?» Disse Jasper pacato. Il capitano stava biascicando una creativa sequela di imprecazioni mentre si liberava dalla manetta con la chiave che Jasper gli aveva lanciato.
 
«Ora ascoltami, principessa. Non siamo qui per farti sentire comoda e al sicuro. Siamo pirati e abbiamo appena saccheggiato la nave su cui viaggiavi! Indossi una collana interessante, e io voglio sapere chi sei. Quindi. Metti giù la testiera, e siediti!» Urlò il capitano, avvicinandosi sempre di più a Clarke mentre parlava, finchè non si trovò, ancora una volta, faccia a faccia con lei. Clarke letteralmente ringhiò all’uomo, e si avvicinò in modo che i loro nasi quasi si toccassero.
 
«Costringimi.» Disse minacciosa prima di svenire, per la seconda volta, nelle sue (molto muscolose) braccia.
 
-
 
Clarke si svegliò, un’altra volta ammanettata a un letto che non conosceva. La differenza era che questa volta aveva entrambi i polsi ammanettati alla testiera del letto. Sospirando, si mise seduta trovandosi davanti al volto severo del capitano della nave. Era seduto su una sedia proprio davanti al letto.
 
«Beh. Potrei quasi abituarmi. Comincia a piacermi questa atmosfera un po’ bdsm*.» Sputò Clarke sarcasticamente. Le labbra del capitano si contrassero e il capitano fece un respiro profondo, tentando di non perdere la pazienza.
 
«Molto divertente. Hai intenzione di parlare, ora?» Chiese semplicemente. Clarke alzò il mento con impertinenza rifiutandosi di abbassare lo sguardo. Lui mantenne lo sguardo, e rimasero seduti a fissarsi, soppesandosi per un paio di minuti.
 
«L’ho rubato.» Disse Clarke alla fine.
 
«Il medaglione? Certo, come no.» La schernì il capitano. «Ha il sigillo reale.»
 
«E quindi? L’ho rubato comunque. Lo trovato in una cabina di una nave in un porto.»
 
«Davvero? Ti sei imbattuta giusto giusto in una nave di un reale abbastanza importante da possedere un medaglione con il sigillo reale inciso sopra?»
 
«Sono una ragazza fortunata.»
 
«Nessuno è così fortunato.» Il capitano si sedette di nuovo sulla sedia e fissò il soffitto per un attimo.
 
«Mettiamo che io ti creda, il che è improbabile. Che cosa pensi di fare, ora che sei sulla mia nave?» Chiese. Clarke guardò fuori dall’oblò, osservando la posizione del sole.
 
«Sopravvivere.» Replicò piano, voltando la testa per guardarlo di nuovo negli occhi. Il capitano si alzò e le liberò i polsi. Massaggiandosi la pelle delicata, Clarke si alzò e lanciò all’uomo uno sguardo interrogativo. Lui le fece cenno di seguirlo e uscì dalla stanza. Clarke si affrettò a seguirlo. Camminarono per diverse sale e poi salirono una scala. Clarke tirò un sospiro di sollievo quando sentì la fresca aria marina su volto. La brezza fresca le carezzava la pelle, e Clarke sorrise.
 
«Benvenuta sulla mia nave. Abbiamo bisogno di un nuovo membro per la ciurma, se credi di essere all’altezza, si intende.» Disse il capitano, mostrandole il ponte con un gesto delle braccia.
 
«E io cosa ci guadagno?» Chiese Clarke.
 
«Già pensi come un pirata. Bene, avrai cibo, rifugio, e un lavoro. Non che tu abbia una vasta scelta: dove altro andresti? Cos’altro faresti?» Chiese retoricamente il capitano, facendo un cenno del capo verso l’oceano, all’apparenza infinito, che circondava la nave. Aveva ragione, Clarke non aveva molta scelta. Stava per diventare un pirata, a quanto pareva. Il che era comunque una prospettiva più rosea di quella che le si sarebbe prospettata in caso fosse stata scoperta e riportata a palazzo. Fece un cenno affermativo al capitano con la testa, e cammino fino al parapetto, la ferita che ancora protestava. Il capitano sorrise e spalancò le braccia.
 
«Benvenuta nella ciurma. Noi siamo i 100, e io sono il capitano. Puoi chiamarmi Bellamy.»
 
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*Dopo l'uscita di 50 sfumature di grigio non credo esista nessuno che non ne sia al corrente -.- ma la definizione di wikipedia per bdsm è: ambito di pratiche sessuali rientranti nel Bondage, Dominazione, SadoMaso e fetish. Eccovi istruiti ahahaha. 

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Buonasera ciurma (?)
Ogni volta che traduco, dico che è perché non so concludere una storia mia. Il che è fondamentalmente, banalmente, bellarkamente vero.
Questa è una meravigliosa fanfiction AU di cui mi sono innamorata, in cui Bellamy è un pirata super charming e swagger e Clarke è una ragazza fuggitiva.
Non dirò del motivo per cui ho bisogno di leggere/tradurre bellarke per non fare spoiler, ma chi ha già visto i nuovi episodi capirà la mia necessità, dal momento che la mia altra ship è letteralmente affondata :’(
E niente.
Qui c'è l'originale e lei è l'autrice.
Se siete fluenti con l’inglese leggetevela, perché nella lingua originale è tutta un’altra storia. Se vedete degli errori (probabile, tradurre è una faticaccia) fatemelo sapere e correggerò subito.
Ciaoooo :)
E.
  
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