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Autore: Troki_98    27/03/2016    2 recensioni
Tratto dal testo:
"Mia figlia lo seguì ma poi tornò dentro e, abbracciandomi, mi disse:
-La pianta cattiva è di nuovo viva.- sembrava spaventata e io mi precipitai fuori."
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Volevo premettere che questa storia riguarda un OC un po' particolare e diverso dal solito che è nato durante una conversazione abbastanza disagiata su Whatsapp. Ad ogni modo io lo trovo geniale e malvagio e spero vi piaccia :3
Come al solito la storia è un po' lunghetta e scritta col carattere 18 ma abbiate pazienza....




Mi trasferii nella casetta di campagna di mio padre, aveva sempre voluto che vendessi quella casa dopo la sua morte e me ne comprassi una migliore col denaro ricavato ma non potevo farlo.
Quella casa mi ricordava mia madre, c'era ancora il roseto che aveva piantato quando avevo quattro anni e l'enorme salice sotto cui soleva sdraiarsi nelle calde giornate estive. Dopo la lettera che mi aveva informata della morte di mio marito, un militare in missione all'estero, pensavo che quell'ambiente immerso nella natura e pieno di ricordi avrebbe fatto bene sia a me che ai miei due figli. 
Mia figlia aveva sette anni e sembrava entusiasta all'idea di vivere in campagna, mio figlio, di sedici anni, un po' meno ma aveva uno scooter col quale poteva facilmente raggiungere i suoi amici in città.
Dal grande cancello si accedeva a una grande area asfaltata che usavo come parcheggio e dopo di essa si trovava la casa, a destra c'era un altro piccolo edificio che avrei adibito a centro estetico per continuare a rievere le mie clienti abituali.
Il resto era formato da terra e piante: l'enorme salice, le rose rosse, un albero di mandarini e uno di limoni, alcune gardenie bianche e altri fiori rossi e viola di cui non conoscevo il nome. In un angolo c'era la gabbia in cui abitava il cane da caccia di mio padre, era stata la sua unica compagnia dopo la scomparsa di mia madre ma nella vecchiaia era impazzito al punto di attaccare e sbranare mio padre per poi fuggire via. Mi sarei subito liberata di quella gabbia e sperai vivamente che quel vecchio cane non si facesse vivo nei paraggi o lo avrei ucciso con una pala.
I primi mesi passarono tranquillamente, accompagnavo mia figlia a scuola e poi tornavo a casa dove ricevevo due o tre clienti ogni mattina per una ceretta o una manicure. Dopo pranzo ne arrivavano un altro paio, non prendevo troppi appuntamenti perchè dovevo aiutare i ragazzi con lo studio.
Quando arrivò la primavera decisi di dedicarmi al giardinaggio e far tornare le piante di mia madre all'antico splendore. Strappando le erbacce notai che un piccolo cactus era cresciuto vicino alle gardenie e ricordai che mi padre stava estirpando proprio un cactus in quella zona quando il cane lo aveva attaccato. Tagliai via il piccolo cactus con un paio di cesoie e rimescolai la terra con un piccone per togliere anche le radici, avevo intenzione di sostituire quello spiacevole ricordo con una bella pianta colorata, forse dei garofani.
Il giorno dopo indossai di nuovo gli stivali per affrontare la terra del giardino, con un paio di cesoie in mano per potare il roseto. Mio figlio aveva deciso di aiutarmi e teneva tra le braccia il secchio dentro cui buttavo i rami recisi.
Avevo quasi finito la potatura quando mi bloccai, lo sguardo fisso sulle gardenie.
-Che succede?- domandò mio figlio.
-Quel cactus,- dissi indicandolo -L'avevo tagliato ieri ma adesso è ricresciuto e sembra anche più alto di qualche centimetro.-
-Mamma, i cactus non crescono in una notte.- disse lui guardandomi come se fossi un'idiota.
-Beh, questo qui l'ha fatto.- risposi indispettita e mi avvicinai per tagliarlo di nuovo.
-Non farlo,- disse mio figlio -è il cactus della nonna, vero?-
Annuii tristemente, ricordavo che poco prima di sparire mia madre si era presa particolarmente cura di quel cactus selvaggio, allora ero solo una bambina. 
Tornai a potare le rose ignorando quell'intruso, non volevo nel mio giardino qualcosa che mi avrebbe ricordato ogni giorno la scomparsa di mia madre e la morte di mio padre ma non avevo voglia di sentire le lamentele di mio figlio.
Il giorno dopo sembrava ancora più alto e anche mio figlio lo notò.
-Wow, cresce in fretta... è normale?- mi chiese.
-Stanotte ha piovuto, avrà assorbito molta acqua.- non ne ero molto convinta ma quella era l'unica spiegazione.
Mio figlio si affezionò molto a quel cactus, evidentemente lo vedeva in modo completamente opposto rispetto a me; io vedevo quel cactus come una rimembranza di ricordi spiacevoli, lui lo vedeva come un modo per tenere vivi i bei ricordi di suo nonno e le storie che gli avevo raccontato di mia madre.
Tra me e mio figlio nacque un patto silenzioso, io mi sarei presa cura delle rose e degli altri fiori mentre lui avrebbe innaffiato le gardenie dal momento che non volevo avvicinarmi a quel cactus.
Crebbe a vista d'occhio, in modo quasi anomalo, sotto le attenzioni di mio figlio, quando uscivo di casa la mattina e mi sedevo sotto il salice a bere il mio caffè svettava prepotentemente tra i fiori bassi che lo circondavano, irritandomi parecchio. Ai lati crebbero anche due sporgenze, come due braccia, e mio figlio ne fu entusiasta dicendo che così sembrava quasi una persona sebbene per me diventò ancora più grottesco.
Ci fissavamo ogni mattina, io e il cactus, sorseggiando il caffè sotto il salice gli lanciavo occhiate di sfida come se volessi affrontarlo in duello ma lui rimaneva lì, immobile sotto il sole.
Un grido felice di mio figlio mi informò che era arrivato all'altezza di due metri e persi la pazienza, gli dissi che per me quella pianta era come un'entità negativa, un presagio di sfortuna e una fonte di ricordi dolorosi; ciò ci fece litigare finchè lui non si sbattè alle spalle la porta della sua camera e io mi sentii in colpa per avergli urlato contro in quel modo a causa di uno stupido cactus.
La colpa di quel litigio era anche sua, tagliarlo via sarebbe stato meglio per tutti.
Indossai dei guanti, presi una sega e mi diressi a compiere il mio dovere sentendomi sollevata che quel momento fosse finalmente arrivato, niente avrebbe più rovinato la vista delle mie gardenie.
-Mamma, tagli il cactus perchè è cattivo?- domandò mia figlia mentre lo segavo.
-Sì, esattamente.- risposi guardandolo cadere vittoriosa.
-Non lo porti via?-
-No, domani lo trasporterò via con l'aiuto del vicino.- io e mia figlia rientrammo a casa e cenammo, mio figlio non volle uscire a vedere lo scempio che avevo compiuto e non mi parlò per tutta la serata.
Il giorno dopo decisi di fare colazione in cucina per permettergli di uscire e metabolizzare la perdita del suo cactus in solitudine, da come ne aveva parlato il giorno prima era quasi certa che si sarebbe messo a piangere. 
Mia figlia lo seguì ma poi tornò dentro e, abbracciandomi, mi disse:
-La pianta cattiva è di nuovo viva.- sembrava spaventata e io mi precipitai fuori.
Era nuovamente lì, dove era sempre stato, due metri di tronco verde e spinoso con due sporgenze bitorzolute simili a braccia.
Non era possibile.
Mia figlia mi stava ancora abbracciando mentre mio figlio spostava lo sguardo dal cactus a me e viceversa.
-Potevi dirmelo che non lo avevi tagliato.- sussurrò, incerto se essere felice perchè avevo rispettato il suo volere o arrabbiato perchè non glielo avevo detto.
-Ma figurati, non ti farei mai una cosa simile.- dissi meccanicamente e trascinai mia figlia in macchina. Mio figlio uscì con lo scooter e mentre lo seguivo con l'auto mi voltai a guardare il cactus.
Gli avevo rivolto uno sguardo di sfida ogni mattina ma quella volta era lui a guardare me e sentii la malvagità trapelare da quella pianta.
Annullai tutti gli appuntamenti e non tornai a casa, non potevo, sarei impazzita. Tornai solo dopo aver preso mia figlia da scuola, quando i miei pensieri si erano fatti più coerenti e in grado di prendere le decisioni appropriate.
Scesa dall'auto sul vialetto asfaltato però vidi l'orrore.
Vidi lo scooter di mio figlio parcheggiato sotto il salice, era uscito prima da scuola ed era tornato a casa da solo, da solo con lui.
Il cactus malefico continuava a fissarmi e sentii come dello scherno in quello sguardo invisibile. Mi feci quindi prendere dal panico e iniziai a gridare il nome di mio figlio. Lo cercai in tutta la casa e domandai ai vicini se lo avessero visto, in tutto questo non persi mai di vista mia figlia che piangeva capendo la gravità della situazione.
Non lo trovai e nessuno lo aveva visto rientrare o uscire di casa.
Era scomparso.
Scomparso.
Ripensai a mia madre, scomparsa dopo essersi presa cura di quel cactus.
-Che cosa gli hai fatto?- gli urlai contro, avvicinandomi incurante delle gardenie che stavo pestando finchè il mio piede non atterrò su qualcosa di duro. Mi chinai a raccogliere i cellulare di mio figlio, era ai piedi del cactus. Capii all'improvviso perchè mia madre fosse scomparsa, perchè mio padre volesse vendere la casa e non volesse che la usassi, perchè stava estirpando quel cactus, capii con orrore che probabilmente non era stato il cane ad ucciderlo, che non era un caso cse anche il cane fosse sparito e, soprattutto, che non avrei mai più visto mio figlio.
-Tu... TU!- gli urlai contro ancora, mi figlia singhiozzava dietro di me.
Vedevo tutte le sue spine, le formiche che gli camminavano sopra e alcune cacche di uccello che gli imbrattavano le zone più alte dove mio figlio non riusciva a pulire.
Mio figlio.
Il dolore e la rabbia potevano sfogarsi in un solo modo in quel momento.
A mali estremi, estremi rimedi.
L'avrei distrutto.
Mi volta e feci per correre via quando qualcosa di spinoso mi si abbattè alle spalle, facendomi cadere e sbattere violentemente la testa sulle pietre che circondavano l'aiuola di gardenie.
L'ultima cosa che sentii prima di perdere i sensi fu un grido strozzato di mia figlia.
Una leggera pioggia sul viso mi svegliò.
Mi rialzai dolorante, avevo un rivolo di sangue secco sulla tempia e la spalla sinistra mi bruciava in modo allarmante, come se tante piccole lame mi avessero trafitto la pelle. Sputai un po' di saliva mista a terra.
Era il tramonto ma il mondo sembrava grigio sotto la sua ombra, mi sovrastava e dovetti fissarlo dal basso verso l'alto per alcuni secondi prima di ricordare e prima di realizzare che mi figlia non era più lì.
Potevo quasi sentirlo ridere di me, ghignare sotto quella scorza verde e spinosa.
Mi aveva tenuta per ultima per farsi beffe della mia sofferenza.
Prima di agire cercai mia figlia, gli diedi quest'ultima soddisfazione, la chiamai però, proprio come avevo previsto, anche lei era scomparsa.
Andai in cucina, presi una bottiglia di alcool e un accendino prima di tornare da lui.
Lo cosparsi d'alcool, sperando che la lieve pioggia non intralciasse i miei piani, e gli diedi fuoco.
Mentre bruciava un odore nauseabondo mi investì, dal suo interno colava sangue, sangue umano e vestiti che riconobbi con urlo di dolore. Mi sentii soffocare, sul punto di svenire, e corsi via.
Anche il resto del giardino stava prendendo fuoco e i vicini erano corsi in strada, mi gettai su di loro piangendo e poi, senza essere abbastanza lucida da ricordare come, mi ritrovai a vomitare nel loro gabinetto.
Ripresami mi sciacquai la faccia e pensai che bruciarlo era stato inutile, aveva vinto comunque.
Aveva ucciso i miei figli, mia madre, mio padre, forse il suo cane e chissà quanti altri ancora; aveva goduto del mio dolore come aveva sempre voluto, si era divertito, aveva compiuto la sua missione.
Probabilmente non era nemmeno morto.
Uscii barcollando e, difatti, lo vidi lì, tra le margherite dei vicini, alto quanto me in modo che loro, in strada a chiamare i vigili del fuoco e la polizia, non lo vedessero, nascosto dietro un pino.
Vedevo il fumo alzarsi dal mio giardino oltre il muro, il pino dei vicini aveva iniziato a prendere fuoco a sua volta e pure i resti dei miei bambini bruciavano.
Volevo bruciare anch'io con loro ma i vicini non me lo avrebbero permesso.
Mi avvicinai al cactus, consapevole che solo lui avrebbe potuto darmi quel che volevo.
Le sue spine non erano più normali ma taglienti come lame e pronte a lacerarmi la carne come avevano fatto con mio padre.
Mi avvicinai ancora.
Si curvò verso di me emanando un'aura trionfante.
Ed ebbi conferma che avrebbe ucciso anche me.


Riguardo la conversazione su Whatsapp che ha dato origine a tutto ciò sappiate che era più che altro un mio sclero sul cactus ballerino (avete presente l'emoji del cactus su Whatsapp? Ecco, a me sembra un cactus ballerino) u.u
Comunque fatemi sapere che ne pensate di Cactus, l'OC pianta che, ve lo assicuro, è cattivo fino al midollo e *angolo pubblicità* andate a leggere la storia dell'altro mio OC "The Lonely's hug" che trovate sul mio profilo e se vi va recensiete anche quella *fine angolo pubblicità*
Grazie per la lettura!


  
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