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Autore: Hanaya    28/03/2016    0 recensioni
2091 il mondo come lo conosciamo oggi è istinto. La terra sta attraversando la fase terribile che gli scienziati e studiosi avevano predetto già da tempo. Le risorse scarseggiano, l'aria è altamente inquinata e il clima impazzito. Ormai irrecuperabilmente impazzito. Come sarebbe la nostra società se i piani alti decidessero per noi? Togliendoci la libertà di scelta, la libertà di sognare e la libertà di decidere cos’è meglio per noi? L’essere umano se l’è andata a cercare... con l’obiettivo di vivere al meglio sulla terra ha finito per distruggerla e ormai è troppo tardi. Non è più in grado di decidere per sé stesso, è un lusso che non si può più permettere. E ciò che è ancora più macabro è che la nuova generazione non ha la minima idea di come fosse prima, tutti vivono nella spensieratezza. La formazione di ogni individuo avviene presso l’Accademia dove al termine degli studi, dopo aver superato faticose prove fisiche e mentali, si deciderà quale sarà il proprio ruolo nella società. Medico? Trainer presso l’Accademia? Oppure membro dei Vertici? E com’è possibile recuperare quel poco che resta del Pianeta Terra? È ovvio: eliminando gli esseri deboli.
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sarah.

Sono le undici e quaranta. Sono vestita, pettinata e pronta per accogliere Jane. Scendo al piano terra e mi dirigo in cucina. Apro la finestra per arieggiare un po’ la casa, il vento fresco fa oscillare le tende bianche della stanza. È quasi primavera e fra due settimane dovrò lasciare la mia amata città.
Qualcuno sta bussando all’ingresso, socchiudo la finestra e mi affretto ad andare ad aprire: è Jane. Mi sorride e mi abbraccia talmente forte da togliermi il fiato. È sorprendentemente carina: indossa un abito color pesca che le scende fino al ginocchio. I suoi capelli neri sono mossi dal vento, a parte la frangetta che ha fermato con un fermaglio a forma di fiore. Questa mattina i suoi occhi blu appaiono più chiari del solito, forse per via della luce.
«Jane, entra.» la invito a entrare e chiudo la porta alle nostre spalle. Si guarda un po’ in giro con aria pensierosa e si dirige in cucina lasciando la sua borsetta bianca in salotto. È sempre così ordinata, non ha mai nulla fuori posto, è estremamente attenta a qualsiasi particolare; forse è questa sua caratteristica che ha fatto innamorare mio fratello.
« Avete visto il messaggio del prefetto? Inquietante eh?» mi domanda mentre si lava le mani. Prendo uno strofinaccio dalla madia accanto al lavello e glielo porgo, Jane lo afferra e mi ringrazia dolcemente.
«Sì. Sembra aspettarsi grandi cose da noi. Fino a questa mattina ero abbastanza tranquilla, ora incomincio ad avvertire  la tensione.» le rivelo abbassando lo sguardo. Jane si dirige verso il frigorifero e incomincia a tirare fuori gli ingredienti che serviranno per preparare il pranzo.
«A chi lo dici. Cerco di non pensarci. Ma dov’è Sam?» mi chiede mentre affetta le carote. Incomincio a tagliare il formaggio a cubetti e lo sistemo in un piattino. Prendo le zucchine e le melanzane e le taglio a rondelle. Jane prende una teglia di ceramica abbastanza capiente e vi posiziona le verdure al suo interno.
«Credo stia facendo il bagno.» replico mentre spargo i cubetti di formaggio sulle verdure.
«Bene, sono pronte per andare in forno.» Jane solleva la teglia e la mette in forno.
La osservo ai fornelli e penso che sarebbe proprio una brava moglie e chissà, un giorno anche una brava madre. Non ho idea di come siano le madri, io non ne ho una. Tuttavia, Jane è molto affettuosa e penso che mio fratello sia davvero un ragazzo fortunato ad averla al suo fianco, sono certa che un giorno avranno una splendida famiglia.
Sentiamo dei passi provenire dall’ingresso, deve essere mio padre che fa ritorno dalla fattoria degli Smith.
«Che buon profumino.» dice papà entrando in cucina.
«Ciao papà.» gli corro incontro e lo aiuto ad appoggiare una grossa damigiana sul tavolo.
«Salve signor St.James.» aggiunge Jane con un grande sorriso stampato sulle labbra.
«Cosa cucinate di buono?» papà è amante della buna cucina, tuttavia è sempre stato negato ai fornelli. Io e Sam abbiamo imparato ad arrangiarci da soli con il cibo, anche se la zia Matilde c’è stata di grande aiuto. È solo grazie a lei se mio fratello sa  cuocere un ottimo uovo al tegamino.
«Qualcosa di molto semplice. Verdure e formaggio al forno, sai Sarah dovremmo dare un nome a questa ricetta. » suggerisce Jane.
«Uhm, ricetta dell’ultimo secondo?» propongo alzando le spalle.
«Ottima scelta.» Il timer scatta e Jane si affretta a raggiungere il forno. Nel frattempo papà si è lavato le mani e si è cambiato con indumenti più comodi. Sam ci ha raggiunto in salotto e sta apparecchiando la tavola. È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che abbiamo pranzato tutti e quattro assieme. Per la prima volta, mi sembra di avere una vera famiglia.
«Sai papà, mentre eri impegnato con il tuo lavoro dagli Smith, è arrivato un video messaggio da parte del prefetto. Il tredici marzo partiamo per New Town.» dice Sam con la bocca piena. Jane afferra la caraffa dell’acqua  e me ne versa un po’ nel bicchiere, fa la stessa cosa con Sam seduto accanto a lei.
«Quindi è giunto il momento» papà si pulisce la bocca con il tovagliolo e  lo adagia sul piatto. Poi ci guarda sorridendo, non è un sorriso colmo di felicità, piuttosto un sorriso affettuoso.
«Com’è stata la sua esperienza in Accademia signor St.James?» gli domanda Jane. Lei non sa dell’amnesia, ma papà non sembra essere a disagio dopo la sua domanda e cerca di raccontarle quel poco che si ricorda, o meglio, quello che gli dissero una volta tornato a Old town.
«Purtroppo non ricordo molto. Pare sia stato vittima di un terribile incidente che mi ha procurato un’amnesia parziale poco prima di affrontare i test finali. Una volta tornato a casa, i Vertici mi dissero che per non sottopormi ad ulteriori stress, sia fisici che psichici, era saggio affidarmi un lavoro che non mi avrebbe allontanato da Old town. Ed ecco che mi ritrovo a fare il lavoro che faccio ora. L’ultima cosa che ricordo, è il giorno della mia partenza per la capitale.»
«Deve essere stata proprio dura. È strano che non si ricorda più nulla dal giorno della partenza. » replica Jane con aria triste. Papà risponde facendo trapelare un velo di emozione nella sua voce, non l’aveva mai raccontato a nessuno fino ad ora, a parte a me e a mio fratello.
«Bé, sì. Non ho mai indagato a lungo sulla faccenda. I Vertici supponevano che, visto il mio percorso all’Accademia fino a quel momento, i risultati degli esami finali avrebbero comunque affermato il mio attuale incarico. Ero felice di essere sano e salvo, e anche il lavoro che mi avevano affidato mi andava a genio. Sarei rimasto a Old town, nella casa dove ero cresciuto, non potevo desiderare di meglio.» mi guarda accennando un sorriso, mi sfiora il dorso della mano, poi rivolge lo sguardo verso Sam. «poi sono nati i miei gemelli, e non avrei potuto desiderare di meglio nella vita..»
«Per fortuna tutto è andato per il meglio. E i suoi amici? Sono riusciti ad ottenere l’incarico che desideravano?» gli chiede Jane. Moriamo dalla voglia di sapere tutto ciò che riguarda la vita  all’Accademia, ma purtroppo papà non è  il soggetto migliore a cui chiedere in proposito. Tuttavia, ammiro il suo impegno nel cercare di soddisfare Jane e la sua sete di curiosità.
«Alcuni lavorano con me. Altri sono medici, lavorano al Saint Peter’s Hospital. Altri purtroppo non li ho più visti. Mentre qualche allievo con cui feci amicizia in accademia è riuscito a raggiungere la meta più ambita.» fa una breve pausa e continua. Nel frattempo rivolgo lo sguardo a Jane che fissa mio padre a bocca spalancata. «la sede della C.P.U.  E ovviamente con loro non ho più avuto alcun tipo di contatto.» la C.P.U. è il comitato per la protezione dell’umanità ovvero; la sede del governo, dove i Vertici esercitano il loro lavoro.
«Quindi qualcuno del tuo anno è riuscito a farsi ingaggiare?» domanda Sam.
«Bé si. Sono sicuro che succederà anche a voi di fare conoscenza con qualcuno che diventerà membro di quella stretta cerchia dei Vertici.» pronuncia l’ultima parole con tono di disprezzo. «Oppure chi può dirlo? Magari uno di voi tre potrà diventarlo.» alza gli occhi al cielo e congiunge le mani come se stesse pregando a qualche dio improbabile che questo non possa mai accadere. Non capisco perché mio padre nutra tanto disprezzo verso i Vertici dopo l’atto di clemenza che ricevette da loro. «Comunque ragazzi, se volete un consiglio per affrontare al meglio la vostra partenza per New Town; vi consiglio di organizzare un’uscita con i vostri futuri compagni qui di Old Town. Che ne pensate? Potete invitarli a cena qui da noi.»  suggerisce papà alzandosi da tavola. Non mi pare una cattiva idea, anche se io e Sam non abbiamo tanti amici da invitare. Jane ha molte più conoscenze; lavorando come baby-sitter ha fatto amicizia con molti fratelli e sorelle dei bimbi a cui faceva da tata. Ci scambiamo qualche sguardo, e quando incrocio quello di mio fratello, comprendo che la cosa è fattibile.
«Per te Jane va bene? » le domando.
«Ci pensi tu a contattare qualcuno, vero?» aggiunge Sam massaggiandole una spalla. Lei gli afferra la mano e gli sorride facendo l’occhiolino.
«D’accordo. Ci penso io. Ma invece di farlo a casa St.James potremmo organizzare una sorta di pic-nic al chiaro di luna a Greatfalls. Come vi sembra? »
«Gran bel posto.» Sam sembra soddisfatto della scelta. Greatfalls è un parco al confine con la contea di Eastside, è famoso per i suoi numerosi torrenti e le sue numerose cascate. Ricordo con piacere le domenica passate lì con papà e Sam; mi è sembrato di cogliere una luce speciale provenire dagli occhi di mio padre nel momento in cui Jane ha proposto Greatfalls come luogo di ritrovo.
«Bene allora. È deciso.» papà e Sam si alzano per primi da tavola e si dirigono verso la stalla degli Smith per controllare che vada tutto bene con il vitellino appena nato. Io e Jane ci affrettiamo a sparecchiare la tavola e mentre lei lava i piatti, io l’aiuto ad asciugarli.
»»»»
Una volta completato tutto il lavoro, Jane si appresta a tornare a casa e mi saluta dandomi un fragoroso bacio sulla guancia. Aspetto  qualche secondo prima di chiudere la porta dell’ingresso; il vento soffia impetuoso, il cielo scuro è il preludio della tempesta. Socchiudo gli occhi e prendo ad inspirare e ad espirare. Non so il perché, ma sento dentro di me una bella sensazione, assaporo quel momento di tranquillità come se fosse l’ultima cosa che avrei fatto nella vita. Mancano ancora dodici giorni alla partenza, ma in quell’istante non sembra un dettaglio importante. Chiudo  la porta alle sue spalle e mi dirigo al piano di sopra. Entro nella mia stanza, e appena varco la porta, alzo gli occhi e faccio un giro completo su me stessa. Cerco di imprimere nella memoria le fattezze della mia stanza. E se una volta arrivata all’Accademia mi dimenticassi com’è fatta la mia  camera da letto a Old Town?  No, impossibile. Troppe volte mi sono chiusa qui dentro, sbattendo la porta, tagliando ogni contatto con il mondo esterno. Accarezzo le pareti bianche e le schermate si attivano; sullo sfondo appare l’immagine mia e diSam a cinque anni nel giardino della casa di zia Matilde. Ecco cosa dobbiamo fare prima di partire, salutare zia Matilde.
E devo anche controllare di avere abbastanza vestiti decenti da poter indossare nell’arco di un anno.
Non mi potrò mica mettere sempre i soliti.
O forse non abbiamo bisogno di vestiti, insomma, potrebbero darci loro delle divise. Ecco cosa mi sono dimenticata di chiedere a papà: se all’Accademia forniscono delle divise.
Che sbadata, papà non se lo ricorda.
E se invece non ci dividessero per sesso? Insomma non posso condividere la  stessa stanza con un ragazzo.
E se non ci fosse permesso frequentare ragazzi?
Non se ne parla. Non posso separarmi da Sam. Mai e poi mai.

Il mio cervello è in preda ad una crisi di nervi. Troppe domanda alle quali, per il momento, non sono in grado di rispondere. Per fortuna qualcuno bussa alla porta, e il mio cervello ritrova il normale equilibrio.
«Avanti.» dico alzando un po’ la voce.
Sam apre la porta esitante, come se prima volesse accertarsi che sia vestita.
«Posso?»
«Certo.»  Spengo le schermate e mi siedo sul letto. Mio fratello socchiude la porta e mi raggiunge. Prendo  il cuscino appoggiato alla testata dal letto e me lo metto sull’addome, abbasso gli occhi e comincio a giocare con gli angoli del guanciale. Sam sembra scrutarmi con aria pensierosa, aveva qualcosa da chiedermi; ha la tipica espressione che assume quando vuole sapere qualcosa che mi riguarda nel profondo.
«Dai, spara. Lo so che vuoi chiedermi qualcosa.» gli dico francamente.
«So che c’è qualcosa che non va. Deve esserti successo qualcosa stamattina.»
«Che cosa te lo farebbe pensare?» gli chiedo continuando a stringere il cuscino. Sam si sistema dritto e incrocia le gambe.
«Ti sei precipitata giù per le scale tanto in fretta che mi sei venuta a sbattere senza nemmeno accorgertene. Quindi, presumo che tu ti sia svegliata bruscamente... e non darei la colpa alla info-sveglia» fa una breve pausa e allunga il busto per farsi più vicino a me che nel frattempo mantengo basso lo sguardo. «hai avuto un’altra di quelle allucinazioni durante il sonno, vero? Com’è che si chiamano? Ah sì, sogni.» temo di incrociare il suo sguardo, continuo a giocherella con il cuscino tenendo il broncio. A dire la verità, non sono nemmeno tanto sorpresa che Sam abbia indovinato quale sia esattamente la situazione. Sapere di essere l’ultimo essere umano rimasto sulla terra in grado di sognare mi angosciava.
«Che cosa hai visto questa volta?» mi chiede Sam facendosi più serio.
sospiro e sollevo la testa che prima reggevo con una mano. Descrivo il sogno a Sam per filo e per segno; gli racconto della donna che chiamava il mio nome sulla cima di una scogliera, e di come il corpo di questa mi passò attraverso quando tentai di afferrare la sua mano.
«E una volta sparita, sento chiamare il mio nome da lontano. Mi faccio più vicina al dirupo, e la vedo. Il suo cadavere che penzola nel vuoto. »
«Sei riuscita a riconoscere la donna?» mi chiede  Sam strizzando leggermente gli occhi come per aumentare la sua capacità di concentrazione.
«No. Lì per lì mi sembrava tutto reale. Come se stesse succedendo per davvero. Ma una volta sveglia, le immagini hanno cominciato a sfumare e i ricordi a svanire. Sam, che cosa mi sta succedendo?» mi alzo dal letto e getto il mio sguardo al cielo. Sam si fa più vicino e mi gira davanti a sé afferrandomi per le spalle.
«Non so perché tu sia l’unico essere umano sulla terra a cui è rimasta questa facoltà di sognare. Ma dobbiamo avere delle risposte in merito.»
«E chi vorresti interpellare? » non sono affatto d’accordo che quella possa essere una buona idea. Se i Vertici fossero venuti a conoscenza di un tale prodigio, mi avrebbero posta a chissà quanti esperimenti e test.
«A papà per cominciare.» sbotta Sam.
«Non se ne parla. Papà ha già troppi problemi, non posso dargli altri pensieri.»
«E se la tua compagnia,o le tue compagnie di stanza, si accorgessero che sei in grado di fare questa cosa
«E come pensi che possa aiutarmi dicendolo a qualcuno?» ribatto evidentemente in collera. Sono  cosciente del fatto che Sam vuole solo aiutarmi, ma quando si tratta delle mia allucinazioni notturne, nessuno è in grado di tranquillizzarla.
«Non so come aiutarti da solo, Sarah.» Sam si alza e si avvicina alla porta. «voglio solo capirci qualcosa.»
«A chi lo dici.» aggiungo gettandomi di nuovo sul letto. Mi accomodo supina fissando il soffitto con sguardo assente. Sam apre lentamente la porta tenendo la testa bassa, poi si gira verso di me e mi rivolge un sorriso.
«Non temere sorellina, prima o poi ne verremo a capo.»
Sam se ne va lasciandomi sola, immersa nei miei pensieri. Rimango immobile sul letto, fissando il vuoto. Di tanto in tanto sbatto le palpebre, l’unico segno di vita che trapela dal mio volto. Mi chiedo se quei sogni siano ricordi insiti nelle zone più remote del mio cervello, o se siano semplicemente privi di significato. Eppure c’è qualcosa in quella donna; la sua voce; i suoi capelli; hanno qualcosa di vagamente familiare. Qualcosa dentro di me mi spinge a credere che quei frammenti di vita che vedo durante il sonno, rivelino molto di più che una semplice illusione. Mi convinco che è  inutile arrovellarsi il cervello a quel modo, non avrei mai trovato delle risposte interpellando solo la mia coscienza. Congiungo le mani sul ventre, chiudo gli occhi e mi addormento.



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