CAPITOLO 1
Il giorno in cui lo vidi per la prima volta, stavo suonando
il pianoforte. Con forza, le mie dita domavano i tasti sottostanti, creando una
sinfonia che mi rallegrava fin dentro l’anima.
Come ogni giorno, ero appena tornato da scuola e la mia
monotona vita si stava rivelando un disastro; i voti non erano mai stati troppo
positivi ma in compenso la mia immensa voglia di scrivere e di suonare non
pareva avere limiti.
Il mio pianoforte, che custodivo gelosamente in un angolo
appartato della piccola saletta della casa in cui vivevo con mia madre, era
l’estensione delle mie dita e potevo suonarlo per ore intere senza minimamente
affaticarmi, mentre i miei arti sfogavano la tensione che avevo accumulato per
l’intera mattinata.
Ero un ragazzo non tanto bello, basso e tarchiato, con spesse
sopracciglia e un volto glabro e quasi da bambino, mentre i miei capelli
castani erano ribelli e irti come gli aculei di un istrice.
Ero sincero all’epoca, forse anche troppo, e di certo non ero
un asso nello studio e nei rapporti sociali. In poche parole, ero il tipico
ragazzo emarginato, il classico soggetto che si mette in disparte e che resta
succube della sua timidezza.
Una timidezza che pareva volermi strozzare a volte, e che non
mi faceva sentire pienamente me stesso.
I tasti del mio pianoforte mi permettevano di alzarmi in volo
e di librarmi come un’aquila, sfruttando le correnti ascensionali dei miei
pensieri, per poi gettarmi nel cuore più vero della musica, lasciando libera la
mia passione e permettendole di far di me tutto ciò che lei avrebbe voluto.
E fu durante uno di quei momenti di esclusione dal mondo e di
estasi che lui entrò nella mia vita.
I tasti continuavano a scivolarmi sotto le dita, mentre
chiudevo gli occhi e ripercorrevo quella melodia tutta mia che avevo composto
tre anni prima, e che da allora era diventata una sorta di inno nazionale del
mio cuore, ma quel giorno non andò come avrei voluto che tutto andasse.
Qualcuno violò la mia intimità, ed entrò nella piccola sala e
si sedette sulla comoda e soffice poltrona che distava solo un paio di passi da
me e che un tempo era stata proprietà esclusiva di mio padre.
Quell’interruzione della mia quiete mi rese nervoso, e fui
costretto ad aprire gli occhi e ad abbandonare il mio mondo, rallentando i
tocchi sui tasti e tornando rapidamente alla realtà.
Quando vidi l’uomo che si era seduto sulla poltrona, in controluce,
per un attimo mi parve di scorgere la sagoma del mio genitore, e una rabbia
cieca mi pervase. Mio padre se n’era andato di casa quando avevo solo nove
anni, e da quel momento in poi si era sempre rifiutato di vedermi e di
rivolgermi la parola.
Non so il perché, ma credevo realmente che lui non mi avesse
mai apprezzato. Alto e burbero, il suo viso era stato solo in grado solo di
esprimere costantemente disprezzo e nervosismo, da quel che mi ricordavo in
quel momento.
Quando era riuscito a trovarsi una nuova compagna, era
fuggito alla prima occasione, piantando in asso me e mia madre, che da quel
momento si era vista costretta ad affittare alcune camere della casa a persone
di passaggio o a turisti, in modo da poter fare qualche soldo con cui potere
tirare avanti la baracca. E visto che mia madre in quel periodo lavorava
saltuariamente ed io dovevo almeno riuscire a concludere le superiori, qualche
soldo in più in tasca non poteva far altro che del bene.
Se non sbagliavo, quel perfetto sconosciuto doveva trattarsi
del nuovo affittuario, che doveva essere arrivato assieme a sua moglie e a suo
figlio quella stessa mattina intanto che ero a scuola, e prontamente aveva
allungato le mani su tutta la casa come solo i maleducati sanno fare,
interrompendo brutalmente il mio momento di sfogo musicale.
Notando il mio sguardo gelido e prolungato, e forse anche la
mia espressione inebetita ed irritata, l’uomo sorrise con calore.
‘’Ho interrotto qualcosa? Mi dispiace. Ma suona pure,
tranquillo, a me non dai alcun fastidio. Anzi, la tua musica mi rilassa’’,
disse il nuovo arrivato, adagiandosi meglio sulla comoda poltrona ed afferrando
un giornale posato sul tavolino che aveva di fronte.
Pareva che si stesse già sentendo il nuovo padrone di casa, ed
io non potevo fargliela passare liscia.
Era vero che pagava una retta settimanale per soggiornare in
casa mia, ma mia madre stabiliva sempre in anticipo che l’ingresso era vietato
in quella piccola stanza, poiché sapeva che se qualcuno violava i miei momenti
liberi poi perdevo le staffe. Ero timido, certo, ma mai quando si trattava di
difendere i miei spazi personali.
E quel tizio pareva davvero maleducato, e lì per lì mi fece
innervosire.
‘’Non ho intenzione di suonare con lei di fronte a me. La
prego, se ne vada; era scritto nel contratto che ha firmato che in questa
stanza non ci sarebbe mai potuto entrare, né lei né i membri della sua
famiglia’’, dissi, trovando un po’ di coraggio e continuando a guardarlo storto.
Lui inforcò gli occhiali da lettura con un gesto rapido, e
per la prima volta da quando era entrato nella stanza mi fissò in modo diretto,
mostrandomi il suo viso e l’ennesimo irriverente sorriso.
Era un uomo sulla cinquantina, il volto contornato da una
corta barba grigia e la testa praticamente calva. Gli occhi scuri come la notte
incutevano un timore reverenziale che entrò subito dentro di me, invitandomi cautamente
ad abbassare la cresta.
Ma la rabbia mi spingeva invece a continuare a lottare per il
rispetto delle regole e dei miei diritti.
‘’Ragazzo, non ti conosco ma mi sembri un tipo a posto. Ti
prego quindi di lasciarmi in pace a leggere il mio giornale e di non aggiungere
altro’’.
Quell’uomo era davvero un maleducato. Se voleva la guerra, doveva
sapere che io avrei combattuto come un leone per di vincerla.
‘’Allora lei non ha proprio capito ciò che le ho detto’’,
mormorai, scuotendo la testa e sillabando tutto con crescente irritazione. Lo
sconosciuto maleducato doveva sparire subito dal mio campo visivo.
L’uomo sospirò, e mentre posava con delicatezza il giornale
sul tavolino, si alzò in piedi e mi venne vicino. Era basso e tarchiato, ma
incuteva comunque soggezione.
Pure io a quel punto mi alzai in piedi, in preda al panico;
mi aveva colto alla sprovvista con quella reazione, e per un attimo temetti che
quel perfetto sconosciuto avrebbe cercato di farmi del male, visto come l’avevo
trattato.
D’altronde, poteva tranquillamente essere un malvivente o un
serial killer, oppure un maniaco, e visto che in quel momento in casa non c’era
neppure mia madre, temetti il peggio.
Ed invece, come per prendersi gioco dei miei folli e
spaventati pensieri, l’uomo mi allungò la mano.
‘’Rilassati, ragazzo. Mica ti mangio!’’, ridacchiò il mio
interlocutore sfacciato, continuando a scuotere la sua mano destra sotto il mio
naso.
‘’Io sono Roberto Arriga, il nuovo inquilino di tua madre.
Sono arrivato questa mattina con mia moglie e mio figlio, che in questo momento
non sono in casa, per cui te li presenterò questa sera’’, continuò a dire
l’uomo, presentandosi.
Mio malgrado, mi vidi costretto a stringerli la mano.
‘’Io sono Antonio Giacomelli, il figlio… della proprietaria
di casa’’, mormorai timidamente, mentre la sua stretta solida e forte mi
passava una certa sicurezza.
C’era qualcosa di quel breve contatto che mi creava
confusione e sospetto, ma che mi dava anche una sensazione tremendamente
piacevole.
‘’Ora che ci siamo presentati, fammi il piacere di darmi del
tu. Ok?’’, tornò a dire Roberto, sciogliendo la stretta di mano e dandomi una
lieve pacca sulla spalla.
Stranamente, a quel punto mi sfuggì un sorriso. Mi sgridai da
solo, perché in quel momento non c’era nulla di cui sorridere e la questione su
cui si stava dibattendo poco prima non era affatto risolta.
Infatti, il nuovo inquilino tornò ad accomodarsi sulla
poltrona, riafferrando il giornale di mia madre e preparandosi a leggere.
‘’C’è qualcosa che lei… che tu non hai capito. Questa è la
stanza dove suono e dove passo la maggior parte del tempo libero, e avere
qualcuno accanto non mi piace affatto. In più, era già stato stabilito…’’.
‘’Sì, so esattamente cosa ho firmato e cosa posso o non posso
fare. Però, adoro leggere con un sottofondo musicale, e tu suonavi così tanto
bene che non ho saputo resistere e sono entrato ugualmente, trovandomi di
fronte ad una magnifica e comoda stanzetta.
‘’Ti prego davvero di essere cortese, e di violare le regole
di casa solo per una volta. E magari di suonare qualcosa mentre leggo. Saresti
così tanto gentile?’’.
Gli occhi di quell’uomo mi parvero estremamente sinceri ed
interessati alla mia musica. Non ebbi il coraggio di aggiungere altro, e con un
immenso sospiro ripresi ad appoggiare le dita sui tasti.
Subito, la mia sinfonia riprese ad aleggiare per tutta la
stanza, anche se non mi sentivo completamente a mio agio. Non avevo mai suonato
con uno sconosciuto a fianco, e neppure con mia madre accanto, ed era la prima
volta che lasciavo che qualcuno violasse il mio magico momento privato.
Alzai un attimo lo sguardo e vidi che Roberto aveva ripreso a
leggere, mentre il suo volto pareva tranquillo e rilassato. Per un istante, mi
parve anche compiaciuto.
Chiusi gli occhi e ripresi vigore.
Le mie dita ricominciarono magicamente a volare sui tasti, e
smisi di seguire ogni misero e stupido spartito.
In quel periodo mi ero ricreato una sinfonia tutta mia nella
mente, composta dal suono ritmico e costante di alcune note basse e dal suono
dolce, e mi piaceva talmente tanto che in quei momenti di pace assoluta mi
lanciavo in una corsa frenetica fino a giungere ad un culmine ritmico che mi
passava un grande senso di soddisfazione. Una sorta di orgasmo musicale.
Dal tanto che ero preso dalla musica, neppure mi accorsi che
il tempo passò molto in fretta, e mi riscossi solo quando capii di essere
osservato.
A quel punto, il fastidio e il nervosismo di poco prima
tornarono a farsi spazio dentro di me, e persi ritmo e voglia di suonare,
mentre le note morivano sulla tastiera e le mie mani sembravano essere diventate
rigide come la pietra. Pareva avessi perso tutte le mie capacità, e alzai lo
sguardo con rabbia crescente.
Roberto mi guardava, ancora seduto sulla poltrona e con gli
occhiali da lettura perfettamente adagiati sul naso lievemente adunco,
fissandomi in un modo strano e rimettendo a posto il giornale che aveva letto
fino a quel momento. Sul mio viso dovette apparire una smorfia di disappunto,
poiché l’uomo sorrise.
Poi, incredibilmente, batté le mani.
‘’Hai un grande talento, Antonio. Non ho mai udito nulla del
genere!’’, mi disse, continuando a sorridere ed alzandosi nuovamente dalla
poltrona.
‘’Mi piace improvvisare e suonare ogni volta qualcosa di
nuovo. Odio limitarmi a seguire gli spartiti’’, mormorai con incertezza.
Roberto mi si avvicinò e mi posò una mano sulla spalla
destra.
‘’Sei davvero bravissimo. Continua così!’’. E dopo aver detto
questo, abbandonò la stanza, lasciandomi solo.
Abbassai lo sguardo, già pronto a riprendere a suonare ma
qualcosa mi bloccò. Pigiai due tasti ma le mie dita non erano più in grado di suonare
e di solcare quella marea musicale che volevo ricreare.
Mi imbronciai e per un attimo non capii.
Quando compresi che ciò che mi mancava era la sua presenza,
sorrisi; ero davvero uno sciocco. Mi chiesi come fosse stato possibile che una
persona appena entrata nella mia vita fosse già riuscita ad influenzarmi e a
lasciare una traccia dentro di me, ma non seppi darmi una risposta. Forse, era
stato per il fatto che mi aveva fatto dei complimenti.
Durante il corso della mia vita, non ne avevo mai ricevuti
prima di quel momento. Per i miei compagni e conoscenti ero solo lo sfigato di
turno, per mia madre solo un peso e i miei parenti neppure sapevano che in un
qualche sfortunato giorno di diciotto anni prima io ero venuto al mondo. Non si
erano mai degnati una volta di cercarmi, ed io avevo fatto lo stesso con loro.
Mio padre aveva sempre detto che per lui ero un fallimento,
un qualcosa di brutto, ma forse solo perché ero il frutto di un suo amore
finito male. O forse perché la mia nascita l’aveva costretto a legarsi con una
donna che non aveva mai realmente amato; mia madre.
I miei genitori non erano mai andati particolarmente
d’accordo, eppure erano riusciti ad avere quel rapporto che mi aveva generato.
E appena aveva potuto, mio padre se n’era andato, abbandonandomi tra i suoi
insulti e il suo disprezzo. Era davvero un uomo spregevole ed infinitamente
perfido, ed in fondo ero contento che se ne fosse andato e che ci avesse
lasciato in pace.
La rabbia riprese a crescere dentro di me, e fui costretto ad
alzarmi e a dirigermi verso la finestra della stanza, ma prima mi soffermai a
bere un sorso d’acqua dal mio bicchiere, posato sul tavolo accanto al giornale
abbandonato lì da poco dal nuovo arrivato.
Con un sospiro, mi passai una mano sulla fronte e tornai a
rivolgere il mio sguardo al pianoforte, ma compresi che per quel giorno non
sarei più riuscito a suonare.
Quando i brutti ricordi riaffioravano dai meandri della mia
mente, non riuscivo più a suonare e a rilassarmi, quindi decisi di andare a
fare una passeggiata al parchetto sotto casa, in modo da distrarmi un po’ e da
prendere un po’ d’aria.
Uscii velocemente all’aria aperta, mentre un sorriso
spontaneo compariva sul mio volto, sorprendendomi.
Solo quando ebbi raggiunto il vicino parchetto mi accorsi che
l’unica cosa che desideravo di più in quel momento era di rivedere quell’uomo
che poco fa aveva voluto entrare forzatamente nella mia vita, concedendomi
qualche complimento e regalandomi un sorriso e una stretta di mano sincera.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti, e grazie per aver letto il primo capitolo di
questo mio nuovo racconto J
La vicenda è strana, non lo nego. Anche il modo in cui ho
deciso di raccontarla lo è. Più avanti nella narrazione scopriremo il perché
delle mie scelte.
Ci tengo a precisare che tutto quanto è frutto della mia
immaginazione.
Spero che la vicenda abbia già iniziato ad incuriosirvi!
Ne approfitto per ringraziarvi nuovamente J a presto J