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Autore: HolyBlackSpear    28/03/2016    4 recensioni
Come può sentirsi Shinya, nel vivere la sua vita? Privato dell'infanzia, dell'amore familiare, dell'unica ragione di vita che si è concrentrizzata con il tempo in Mahiru?
E ancora di più, come può sentirsi nel sapere che quest'ultima, la più importante, gli è stata portata via dall'unica persona che può prenderne il posto?
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Conoscerlo era stata all'inizio la più grande disgrazia di tutte. Non era semplice ritrovarsi, di punto in bianco, faccia a faccia con la persona che gli aveva tolto la sua unica ragione di vita fin da quando era stato adottato dagli Hīragi.
Eppure si era fatto spazio nel suo cuore come un uragano. Quell'ammasso di riccioli neri e sottili occhi scuri era entrato nella sua vita con prepotenza, soltanto per avvinghiarglisi al petto come una malattia.
Una malattia dalla quale, doveva ammetterlo, difficilmente avrebbe voluto guarire.
Una malattia alla quale, purtroppo, era obbligato ad essere immune.

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GureShin | Accenni alle Novel
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Guren Ichinose, Shinya Hīragi
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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issho Note: Gureshin {Guren x Shinya} | R-Giallo
Parole: 2149

Issho.
{Never alone again.}
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Shibuya un tempo pullulava di vita, pulsante nella sua bellezza e nei cuori della gente che in essa viveva. Uccidendo, comprando cose futili, ridendo e facendo l'amore.
Pochissimi, però, avrebbero sospettato di cosa stesse accadendo sia sopra alle loro teste che sotto ai loro piedi.
L'apocalisse era arrivata come uno schiaffo in faccia. Lì, come nel resto del mondo, la popolazione umana era stata decimata, straziata da un virus alieno e letale per la gran parte. Quasi tutti i sopravissuti erano stati ridotti in schiavitù, al servizio di una civiltà fisicamente superiore e spietata.
Non era stato sufficiente. Nelle strade erano comparsi i Cavalieri di Giovanni, mostri orribili atti solo a spazzare via qualsiasi forma di vita umana. Quasi volessero punirla, la gente, per essere stata avara, lasciva, crudele e vanesia.
Come sperare di sognare, in un mondo così orribilmente dilaniato?

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Shinya Hiragi, personalmente, non aveva mai davvero potuto sognare.
Venduto per una somma di denaro di tutto riguardo alla famiglia Hīragi dai suoi genitori, coloro che teoricamente avrebbero dovuto amarlo e proteggerlo, si era visto allontanare dalla stessa madre cui si era disperatamente stretto quando erano venuti a prenderlo.
"È un onore, figlio mio. Sei valso così tanto..." - Quelle parole gli avevano fatto salire le lacrime agli occhi, e aveva pianto per davvero per la prima volta nella sua vita. A ripensarci nel presente, però, l'unica cosa che gli saliva era il vomito.
Ci era voluto poco perchè iniziasse l'amorevole competizione per la quale era stato scelto: combattere per diventare il promesso sposo di Mahiru.
Chi era questa Mahiru?, si era chiesto, mentre gli venivano tagliati i capelli e tolti i ricordi della sua vecchia famiglia, così come, parallelamente, il cognome. All'epoca Shinya non lo sapeva.
Ma se poteva dargli amore, aveva senso combattere per lei.

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No, non aveva avuto senso. Tagliare tante gole e aprire tanti petti al punto da poter riempire una piscina con il sangue delle vittime non aveva avuto senso.
Era stato scartato con una facilità immensa, come se cinque anni interi passati a sforzarsi, a cercare di sopravvivere fossero stati cancellati con un colpo di spugna. La ragione? L'amore.
Ah, l'amore. Aveva incominciato ad odiare quel sentimento che gli era tanto avverso, quello stesso disgustoso rimorso che lo aveva fatto tremare, ogni qual volta uccideva un suo compagno.
Era il biondo dei suoi capelli, troppo poco tale, a non andare bene? I suoi occhi azzurri avevano una scintilla sbagliata, il suo viso era ripugnante o il suo carattere insopportabile? Cos'era, quella cosa che allontanava tutti? Era forse maledetto, punito per qualcosa che nemmeno lui conosceva, obbligato a non vedersi mai amato?
Shinya pregava vivamente di no.
Ma le preghiere, in un mondo sull'orlo della rovina, non servono a niente.

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Conoscerlo era stata all'inizio la più grande disgrazia di tutte. Non era semplice ritrovarsi, di punto in bianco, faccia a faccia con la persona che gli aveva tolto la sua unica ragione di vita fin da quando era stato adottato dagli Hīragi.
Eppure si era fatto spazio nel suo cuore come un uragano. Quell'ammasso di riccioli neri e sottili occhi scuri era entrato nella sua vita con prepotenza, soltanto per avvinghiarglisi al petto come una malattia.
Una malattia dalla quale, doveva ammetterlo, difficilmente avrebbe voluto guarire.
Una malattia alla quale, purtroppo, era obbligato ad essere immune.

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Quel giorno la brezza sapeva di mare. Non sapeva esattamente come fosse possibile, ma c'era una punta salmastra nell'aria che gli accarezzava il corpo, lambendolo gentilmente. Avrebbe dovuto aver freddo, così poco vestito, invece si sentiva vivo, pronto a bere la vita fino all'ultimo sorso.
Che triste peccato che fosse lui, in quel momento, sul punto di rompere prematuramente il bicchiere.
Dondolò appena con le gambe, sentendo per un momento il senso di vertigine che gli provocò il movimento. In piedi sul bordo del piccolo palazzo, era così più o meno da mezz'ora. Continuava il suo ipnotico altalenarsi, avanti e indietro, come forse a decidersi, come a trovare il coraggio.
Aveva letto dei libri, Shinya, in cui le persone sul punto di suicidarsi si ponevano domande come "verrà qualcuno a salvarmi?" oppure "se mi buttassi, qualcuno mi prenderebbe?".
Lui invece non pensava a nulla di simile. Stava solo pensando di voler morire con il viso verso il cielo, per poter guardare l'arancione e l'oro di quel bellissimo tramonto. E di voler essere finalmente libero, libero da tutto e da tutti.
E chissà, magari, rivedere un'ultima volta il suo sorriso tanto raro.

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Arrivò il momento in cui accadde. Nemmeno lo volle, ad essere sinceri. Il suo piede perse aderenza contro al suo appoggio e scivolò all'indietro. Libero come un uccello, incatenato però al suo destino per le ali.
Sentì l'aria sferzargli la nuca e la schiena, premendogli i vestiti contro la pelle, e avrebbe quasi riso, nella dolcezza di quella sensazione, se solo il suo stomaco non si fosse stretto di colpo di fronte a ciò che gli era apparso davanti agli occhi, al posto del cielo.
I due occhi scuri di Guren, spalancati nel terrore.
Shinya non voleva morire.

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Non sapeva cosa fosse successo. Sapeva soltanto che a un certo punto un'illusione di Norito lo aveva agguantato, diversi piani più in basso, rallentando drasticamente la sua caduta. Quando si era schiantato al suolo aveva sentito l'aria uscirgli di colpo dai polmoni, con la stessa prepotenza di un pugno in faccia.
Eppure non aveva smesso di respirare. Nonostante il caldo che si stava spanendo sotto alla sua testa e il formicolio doloroso delle ossa rotte, Shinya sentiva ancora il suo cuore battere, mentre osservava gli occhi di Guren sparire, nel suo disperato precipitarsi.
La chioma bionda di Norito invece rimase lì, a chiamarlo una, due, troppe volte. Avrebbe tanto voluto rispondergli. L'unica cosa che riuscì a fare, però, fu singhiozzare e ridere allo stesso tempo, improvvisamente colto dal terrore e da una gioia difficilmente quantificabile.
Era ancora vivo.

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Aveva perso conoscenza pochi istanti dopo, poco prima che il moro gli precipitasse addosso, scuotendolo e chiamando aiuto con tutta la voce che aveva.
Aveva ricordi saltuari, flash improvvisi nella memoria. Immagini di un gruppo di medici che gli si accalcava addosso, una barella, le pareti maleodoranti di un ospedale e i conati di vomito che gli erano saliti alla gola. In ognuna di esse, però, c'era sempre lui. E la sua bocca che mimava due semplici parole.
"Non mollare."

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Risvegliarsi dal coma due giorni dopo era stata come una doccia fredda. Non aveva visto nessun tunnel scuro o profezie inquietanti, ma aveva sentito molte voci. Amici occasionali. Norito, Mito, perfino Seishiro. Solo Mahiru non era mai passata, nemmeno una volta. Sostituita, però, da una voce che non se n'era mai andata. Una voce dal tono colpevole, che continuava a chiedersi cosa fosse successo e perchè.
In Shinya si stavano mischiando tante sensazioni contrastanti, le stesse che tenevano le sue palpebre ostinatamente incollate nonostante la coscienza forse tornata. Perchè ora c'era una grande battaglia in lui. La grande felicità di avere un'altra possibilità, di non aver commesso un errore imperdonabile, contrapposta però ... al grave senso di paura.
Quando avrebbe aperto gli occhi il mondo sarebbe stato lì, ad aspettarlo così come lo avrebbe lasciato. Non ci sarebbero state soluzioni ai problemi che lo avevano tormentato fino al suo gesto, non cure sufficienti a far guarire le ferite che aveva dentro e che, silenziosamente, si lasciava spalancare nell'anima.
Come confessare a quella voce appena rotta dal tremolio di un singhiozzo che era lui, il problema?
Come dirgli che era lui, ciò da cui voleva scappare?

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Se era riuscito a mentire per qualche giorno ai suoi compagni non era riuscito a farlo con i medici. I segnali di risposta a livello cerebrale erano evidenti, e si era visto costretto ad aprire, alla fine, gli occhi, rivelando come in realtà fosse in salute.
Inutile frenarli dal dire agli altri che era tornato in superficie. La gente aveva fatto per riversarglisi nella stanza, un'ondata arginata da un primario che li teneva prepotentemente fuori, facendo notare loro che dovevano attendere l'orario di visita, e che dovevano entrare uno alla volta per non stressarlo.
La chioma scura di Guren, però, era scivolata senza esitazioni sotto al suo braccio. E l'unica cosa che Shinya riuscì a fare, quando si trovò di fronte i suoi occhi, fu scoppiare in singhiozzi come non faceva da quando, quel giorno di undici anni prima, aveva perso tutto quello che aveva sperando di poter ricevere qualcosa di nuovo.
Lui non voleva più perdere niente.

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Il tempo era passato. Paziente, taciturno, era scivolato fra le loro dita e fra i loro capelli come sabbia, sfiorando solo in parte le loro membra ma mutandole di giorno in giorno. Il trauma cranico era stato sistemato, le ossa si stavano lentamente riassemblando, preparandolo ad una nuova sfida all'ultimo sangue con quello che c'era fuori, oltre le pareti verde acqua dell'ospedale.
La sua fortuna era stata non perdere la schiena. Qualcosa si era dislocato, ne era certo, ma era stato prontamente aggiustato. Era come se tutti, medici, corpo e destino stesso volessero dirgli che non era quella la soluzione.
Peccato, però, che nessuno gli stesse mostrando un'alternativa.

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La chiacchierata tanto temuta alla fine era arrivata. Era sul balcone, Shinya, le mani congiunte in grembo, mentre stava seduto sulla sedia a rotelle con entrambe le gambe fasciate, oltre che una spalla bendata e diversi altri medicamenti in giro.
Guren era scivolato lentamente al suo fianco, guardando per qualche tempo assieme a lui il tramonto dorato e arancione, uguale a quello che entrambi avevano visto quando aveva deciso di farla finita.
Poi, lentamente, la sua bocca aveva iniziato a parlare. E un po' incerta aveva domandato.
«Perchè lo hai fatto, Shinya?»
Non rispose subito, il ragazzo dai capelli argentati. Si perse a chiudere gli occhi, sentendo la brezza calda passargli fra i capelli, accarezzando il suo viso come potrebbe fare una madre amorevole o un amante dolce e premuroso. A poco a poco, però, la sua mente riuscì a formulare una frase.
E la faringe diede voce a ciò che aveva sulla punta della lingua.
«Avevo paura di restare da solo.»

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Il moro aveva probabilmente capito. A giudicare dal rossore colpevole che aveva visto imperlargli le guance, doveva aver colto ciò che intendeva dire.
Guren sapeva delle difficoltà che aveva con la propria famiglia. Guren sapeva che Mahiru era l'unica ragione che aveva differenziato la sua vita da quella misera del resto del globo.
Guren sapeva anche di essere stato quello che l'aveva portata via. E che lo stesse realizzando solo ora o ci avesse già pensato su, quello che aveva sul viso era distillato di senso di colpa.
Non si erano detti altro a lungo, quel giorno. Il ragazzo dagli occhi viola si era sporto lentamente dalla sua sedia, allungando prima una mano a sfiorare la sua, poi l'intero corpo ad abbracciarlo, forte per quanto potesse permettersi con tutto il gesso e le bende che aveva addosso.
Erano rimasti stretti per tanto, forse troppo tempo. Il cellulare di entrambi aveva suonato tante volte, nessuno dei due se ne era curato. La sera era calata, sostituendosi al sole, ancora tinta di viola, di lilla e di indaco.
Solo quando le prime stelle avevano iniziato a brillare sul serio entrambi avevano alzato il viso dalla spalla dell'altro, quello di Guren appena umido di lacrime.
«Io non voglio più lasciarti solo, Shinya. Mai più, per nessuno.»

__

Le cose erano peggiorate velocemente. La sua bocca pallida non aveva resistito oltre e si era avventata su quella più scura del compagno, in un moto al tempo stesso timido e violento.
Entrambi avevano chiuso gli occhi con un sospiro, le mani di uno che erano corse nei capelli dell'altro, le gemelle che invece accarezzavano un braccio. Di chi fosse cosa, però, impossibile ricordarlo.
Si erano staccati a respirare più volte, ma il vero ossigeno era quello che si produceva al contatto delle loro labbra.
Fra i tanti baci, però, Shinya era riuscito a sussarrargli qualcosa, sentendo l'angolo degli occhi pizzicare ma rifiutandosi di dargli ascolto.
«Fosse anche solo per stasera, ti prego, resta con me.»

__

Quel che accadde dopo fu nuovo a entrambi eppure già conosciuto, forse copione ormai monotono dell'umanità, forse sintonia intrinseca di due anime che si rincorrono e basta, nel corso dei secoli, riacciuffandosi ogni volta come se fosse la prima.
Quando il sole era arrivato di nuovo, a salutarli, i loro occhi erano ancora chiusi, le ciglia strette assieme come i loro corpi nudi. Che fosse stata una promessa o solo un momento, a Shinya non era dato saperlo.
Le parole che Guren gli sussurrò all'orecchio, però, qualche tempo dopo, furono sufficienti a farlo assopire di nuovo, con un piccolo sorriso sulle labbra.
E non servirono altre spiegazioni. Perchè sarebbero stati soltanto loro, da quel momento. Insieme.
«La luna era davvero bella ieri sera, non credi?»



{Post Scriptum:

Non credo di aver molto da dire in questa postfazione.
Vorrei solo precisare che l'ultima frase di Guren deriva da una piccola cosetta giapponese... se siete incuriositi dal suo significato, andate a dare un'occhiata~
Il titolo è in giapponese e significa "insieme".
Come al solito, spero che la storia vi sia piaciuta. Un bacio e alla prossima, babes~
   
 
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