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Autore: Kamala_Jackson    29/03/2016    1 recensioni
Song-fic ispirata all'omonima canzone degli Of Monsters And Men, che consiglio a tutti di ascoltare.
Diciamo che è una raccolta di quelli che possono essere stati i pensieri di San (secondo me, obv) durante il film.
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Dal testo:
"Fu quando due mani la afferrarono per le spalle e la scossero leggermente che un brivido le attraversò la spina dorsale, mentre la pelle a contatto con quei polpastrelli sconosciuti sembrava andare a fuoco.
«Apri gli occhi».
Quella voce… quando San lo fece davvero non rimase stupita nel ritrovarsi quell’umano davanti. Di nuovo. Digrignò i denti, come sua madre le aveva insegnato a fare, e scattò in avanti, colpendolo alla guancia con il pugnale. Un rivolo di sangue schizzò nell’aria, mentre lei si sentiva avvolgere da rabbia sempre più crescente.
Non gli avrebbe permesso di distrarla dal suo obiettivo.
And these fingertips
Will never run through your skin"
Genere: Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: San, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Love Love Love
 
 
 
 
Well, maybe I’m a crock for stealing your heart away
Yeah, maybe I’m a crock for not caring for it

 
 
Aveva sentito sua madre ringhiare appena, dolorante, e si era voltata di scatto. Gli orecchini di osso avevano tintinnato nel vento, così come la collana che le teneva su la morbida e calda pelliccia bianca.
San aveva incrociato subito i suoi occhi,  che spiccavano tra le radici secche come pietre dure, con la bocca ancora piena del sangue avvelenato di Moro. Lo sputò nell’acqua limpida del fiume e si pulì il viso con una mano insanguinata.  L’umano, con uno slancio di coraggio che aveva visto di rado, si issò sul tronco caduto e si scoprì la bocca, rivelando un viso giovane e  maturo al tempo stesso.
«Sono il principe Ashitaka, vengo da un luogo molto, molto lontano. Siete forse delle divinità? Sono infine giunto nella foresta del Dio Cervo?» chiese a gran voce.
Straniero. Quella parola scivolò veloce nella mente di San, mentre stringeva gli occhi senza smettere di fissarlo. Il ragazzo le restituì lo sguardo, impassibile, e lo strano mantello di paglia che indossava si sollevò al vento, frusciando appena. Moro, dietro di lei, decise di ignorarlo e si alzò, senza degnarlo di un’occhiata, San la guardò sparire nella vegetazione, poi salì in groppa ad uno dei suoi fratelli e affondò le mani ancora sporche nel folto pelo candido.
«Andiamo.» fu l’unica cosa che uscì dalla sua bocca. Gli lanciò un’ultima e veloce occhiata, prima che gli alberi rigogliosi le nascondessero la sua figura.
 
 
Yeah, maybe I’m a bad, bad, bad, bad person
Well, baby, I know.
 
 
San crollò a terra, mentre la maschera rossa si frantumava in mille pezzi. Non osava immaginare cosa sarebbe successo se non l’avesse avuto addosso.
Il dolore al viso era così forte, e il ronzio nelle orecchie così lancinante che per un attimo perse conoscenza. Poi un rumore improvviso le risuonò intorno, e  lei si impose di aprire gli occhi, di continuare a lottare per la sua foresta. Eppure non riuscì a muovere un muscolo.
Fu quando due mani la afferrarono per le spalle e la scossero leggermente che un brivido caldo le attraversò la spina dorsale, mentre la pelle  a contatto con quei polpastrelli sconosciuti sembrava andare a fuoco.
«Apri gli occhi».
Quella voce… quando San lo fece davvero non rimase stupita nel ritrovarsi quell’umano davanti. Di nuovo.  Digrignò i denti, come sua madre le aveva insegnato a fare, e scattò in avanti, colpendolo alla guancia con il suo pugnale. Un rivolo di sangue schizzò nell’aria, mentre lei si sentiva avvolgere da rabbia sempre più crescente.
Non gli avrebbe permesso di distrarla dal suo obbiettivo.
 
And these fingertips
Will never run through your skin
 
 
Era piacevole il tepore che l’avvolgeva, San si sentiva al sicuro in quella stretta forte e salda. Rimase in balia di quell’odore, allo stesso tempo conosciuto e senza nome, per un tempo interminabile. Se solo si fosse sforzata un po’ con la memoria avrebbe capito a chi apparteneva, ma si sentiva fin troppo debole.
Poi però iniziò a riprendere conoscenza. Il modo cadenzato in cui sobbalzava e la stretta rassicurante che si allentava sempre di più le fecero aprire gli occhi. Fu quando capì di trovarsi tra le braccia dello straniero che quest’ultimo scivolò via dalla groppa della sua cavalcatura. San si voltò di scatto, e un capogiro la colse appena, mentre il corpo debole e insanguinato del ragazzo rotolava tra le rocce, sbattendo violentemente sul terreno. Uno dei suoi fratelli si fermò e con un balzo gli fu addosso, prendendo tra le fauci il capo dell’umano inerme.
«No, aspetta!» urlò, mentre Yakul scalpitava e cercava di disarcionarla. «Lascialo, è mio!».
 Scese con un salto, mentre lo stambecco scappava qualche metro più avanti e poi si fermava, raschiando nervosamente il terreno con uno zoccolo. San si tastò l’addome dolorante, laddove il ragazzo l’aveva colpita con l’elsa della katana. Gli si avvicinò con le sopracciglia corrucciate.
«La tua gente ti ha sparato.» osservò, mentre suo fratello sfregava il grande muso contro il suo fianco, mugugnando appena. L’umano non rispose.
«Non sarai morto?» chiese allora la ragazza lupo, con una punta di panico che le stringeva la bocca dello stomaco. Il viso del ragazzo si contorse appena in una smorfia di dolore.
 
 
And those bright blue eyes
Can only meet mine across the room filled with people
 
 
«Non dovevi impedirmi di ucciderla, perché lo hai fatto?» gli chiese, chinandosi su di lui. Il ragazzo deglutì.
«Perché poi loro… avrebbero ucciso te.» mormorò a fatica.
San strinse le labbra prima di rispondere. «Non avrei paura di morire se servisse a liberare la foresta dagli umani». Era vero. Avrebbe fatto di tutto per vendicare sua madre e salvare la sua amata foresta.
«Questo l’ho capito appena ti ho vista» fu il suo sussurro rassegnato.
«Ma la pagherai, morirai per aver salvato quella donna!» ringhiò lei, afferrandolo per la casacca e voltandolo sulla schiena. Sfilò l’arma dello straniero dal fodero e gliela puntò alla gola, inginocchiandosi accanto al suo viso.
 
 
That are less important than you.
 
 
«Quella donna è malvagia e nessuno potrà impedirmi di ucciderla.» disse con ferocia, avvicinando la punta affilata al collo del ragazzo.
«Ti trovo…» sussurrò lui appena.
«Chiudi la bocca! Non mi interessa quello che dici!»  sbottò San. Lo avrebbe ucciso. Aveva mandato all’aria i suoi piani,  si era messo in mezzo e forse aveva persino condannato la foresta. Non l’avrebbe passata liscia.
In quel preciso istante Ashitaka aprì gli occhi, e lei si sentì affogare da quel blu così profondo. «…bellissima, Mononoke».
San balzò indietro, sbalordita, mentre il cuore iniziava a correrle infuriato nel petto. Si scontrò contro la pelliccia di suo fratello, mentre boccheggiava appena.
 Nessuno le aveva mai detto una cosa del genere.
 
 
All  ‘cause you love, love, love
When you know I can’t love
 You love, love, love
When you know I  can’t love
You love, love, love
When you know I can’t love you.
 
 
San saltò sulla riva rapidamente, mentre gli orecchini le tintinnavano ad ogni movimento. Posò una mano sul morbido muso dello stambecco e guardò Ashitaka.
«Vedo che sei sveglio. Ringrazia Yakul, non ti ha lasciato un solo momento.» sorrise, stando ben attenta a non farsi vedere dal ragazzo.
Lui aprì gli occhi e la fissò con uno sguardo vacuo. «Come conosci il suo nome?»
Il sorriso di San si allargò e non riuscì più a nasconderlo, mentre grattava il mento al dolce animale. «Me lo ha detto lui» spiegò. «E mi ha raccontato anche delle vicende del tuo villaggio e di tutto quello che è accaduto.» spostò nuovamente lo sguardo sullo straniero.«Poiché il Dio della foresta ti ha risanato, vuole che tu viva».
Sorpassò lo stambecco e si chinò accanto all’umano, che aveva ripreso a parlare.
«Ho sognato di vedere una creatura immensa…» mormorò piano. San lo ascoltò distrattamente mentre staccava un pezzo di carne secca e gliela metteva delicatamente tra le labbra.
«Mastica.» ordinò soltanto, osservandolo incuriosita. Il Dio Cervo aveva guarito la sua ferita, ma sulla guancia aveva lasciato ben visibile la cicatrice della ferita che gli aveva inferto la notte prima.
Il cuore le balzava in gola ogni volta che gli si avvicinava, facendola sentire impacciata come non mai.
Ashitaka morse la carne, svogliato, e cercò di ingoiarla senza riuscirci.
«Avanti.» lo incitò la ragazza lupo. Lo straniero finì col tossire e lasciò scivolare il cibo fuori dalla sua bocca. San  prese il pezzo di carne e lo masticò piano, senza staccare lo sguardo dai suoi occhi chiusi.
Mentre si chinava su di lui sentì le guance pizzicare e il cuore battere all’impazzata. Posò le proprie labbra su quelle del ragazzo, mentre quel profumo di umano le solleticava le narici e la avvolgeva, quasi chiamandola a sé. Lo sentì sobbalzare sotto di lei, quasi spaventato, ma riuscì a fargli mangiare la carne.
Lo fece un altro paio di volte, quando notò che Ashitaka stava piangendo. Osservò le grosse lacrime scivolare giù dalle sue guance e sparire nel colletto della casacca che indossava, smarrita. Perché stava piangendo? Gli aveva forse fatto male? Aveva fatto qualcosa di sbagliato?
Si chinò un’ultima volta su di lui, cercando di ignorare le proprie labbra che sembravano implorarle di restare ancora e ancora su quelle screpolate del ragazzo.
 
 
So I think it’s best we both forget before we dwell on it
 
 
San stava dormendo profondamente, avvolta nella sua morbida pelliccia, quando le era parso di sentire sua madre ringhiare. Non si era posta molti problemi e si era accoccolata meglio nel suo giaciglio, cercando di non disperdere troppo calore.
«Attento, umano! Non ti permettere di usare quel tono con me!».
Aveva aperto gli occhi piano, cercando di mettere a fuoco la tana e il luogo dove riposava Ashitaka. Vuoto.
«I suoi genitori hanno violato la foresta e  io li ho assaliti, e per la fretta di scappare hanno abbandonato la bambina! Invece di mangiarla io l’ho allevata e cresciuta, quindi purtroppo San non è né umana, né lupo. Dove potrebbe andare a trovare rifugio?!».
La ragazza deglutì un boccone amaro e smise di respirare, mentre sentiva gli occhi pizzicare. Si strinse nella pelliccia e nascose il viso nel pelo candido, ordinandosi di non piangere.
La voce di Ashitaka la raggiunse fioca ma sicura. «Non lo so. Ma io potrei restarle accanto».
Quella frase le scaldò appena il cuore, quando la grossa risata di Moro squarciò l’aria.
«Per restare accanto a lei dovresti essere pronto ad attaccare gli umani al suo fianco». La voce di sua madre era carica di scherno, e San strinse gli occhi cercando di ritrovare il sonno perduto. Non voleva più ascoltare ciò che quei due si stavano dicendo. Né la verità che sua madre non le aveva mai celato, ma che lei aveva da sempre rifiutato, né le vane speranze di Ashitaka, che in così poco tempo era diventato un tassello fisso dei suoi pensieri, come un parassita che si nutre della vita del suo ospite, tanto da non lasciarlo quasi respirare, ma che continua a tenerlo in vita per non morire.
«Cercherei di allontanarla da tutto questo odio».
Non ci riusciresti, fu il suo amaro pensiero, mentre pregava al sonno di ritornare.
«Sei sincero, ma ormai la tua piaga sta per ucciderti, umano. Lascia questa foresta prima del sorgere del sole e non tornare, o dovrò ucciderti».
San fece finta di dormire, distrutta da quello scorcio di conversazione che non aveva potuto evitare di ascoltare. Quando però sentì le foglie frusciare non riuscì ad impedire che i suoi occhi si schiudessero. Ashitaka si sedette  a gambe incrociate sul proprio giaciglio, con lo sguardo preoccupato e perso nel vuoto.
Le ossa della sua collana tintinnarono, mentre alzava di poco il capo e gli rivolgeva un’occhiata assonnata.«Hai ripreso le forze?» non riuscì ad impedirsi di chiedere.
Il ragazzo si voltò verso di lei e sorrise con dolcezza. «Sì, grazie al tuo aiuto e allo Spirito della foresta.» le rispose gentilmente.
 Sul viso della ragazza spuntò un piccolo sorriso storto, mentre tornava ad avvolgersi nella pelliccia, alla ricerca del sonno. Poco prima di ripiombare nei propri sogni sentì il ragazzo coprirla con la calda coperta che aveva utilizzato per dormire. San si lasciò avvolgere da quell’odore così particolare che lo caratterizzava, e, nonostante tutto, si sentì più al sicuro che mai.
Oppure sì, Ashitaka. Forse riusciresti a farmi cambiare idea, ed è una delle cose che più mi spaventano di te.
 
The way you held me so tight
All through the night
 
 
La maledizione che aveva preso possesso di Okkoto la stava soffocando. San scalciava e si dimenava, disperata, mentre urlava nuovamente il nome di Ashitaka. La pelle le bruciava terribilmente e il corpo era in preda a dolori lancinanti, mentre il cinghiale albino non fermava la sua folle corsa verso la sorgente del Dio Cervo, inseguito dai cacciatori.
La ragazza sentì le forze venire meno, quando qualcosa di mosse sopra di lei. Aprì gli occhi e pensò di avere le allucinazioni quando vide il volto di Ashitaka davanti al proprio, immerso nella maledizione come lei.
«San!» urlò, prendendole il volto tra le mani. Lei sbarrò gli occhi.
«Ashitaka!» il cuore le balzò in gola, ma prima ancora che il pensiero di essere salva le passasse per la testa Okkoto prese a scrollarsi. In preda al panico, afferrò le braccia del ragazzo, che fece di tutto per non perdere la presa su di lei. Ma la pelle era piena della maledizione, che, viscida, le fece scivolare via dalle mani il giovane. Lo vide sparire tra il rosso sanguigno del demone, e scalciò ancora, urlando il suo nome.
«Ashitaka!».
Poi, venne solo il buio.
 
 
‘Til it was near morning
 
 
Era un incubo. San avrebbe davvero desiderato che lo fosse. Il corpo privo di vita di sua madre giaceva sulla sponda opposta del fiume, insieme a quello di Okkoto. Il corpo del Dio aveva iniziato a mutare e tutto ciò che veniva toccato da esso bruciava e seccava. I kodama piovevano giù dai loro alberi emettendo suoni spaventati e Ashitaka aveva tra le braccia quella maledetta Eboshi.
San si sentì più tradita che mai. Avrebbe tanto voluto piangere, e nascondersi nella pelliccia di Moro come quando era piccola e nella foresta risuonavano tuoni e lampi, ma Moro ora non c’era più. Il dolore si trasformò presto in rabbia e voglia di vendetta e con uno scatto d’ira si staccò lo stiletto di cristallo che il ragazzo le aveva donato. Gli corse incontro.
«Finalmente potrò tagliarle la gola!» esclamò, mentre l’adrenalina le scorreva nelle vene e aumentava il suo desiderio di vendetta. Ashitaka la guardò severamente.
«Moro è già vendicata, ora basta uccidere.» lo vide togliersi la casacca e avvolgere la donna ferita con attenzione, mentre l’umano dietro di loro si avvicinava, timoroso e preoccupato.
«La mia povera padrona.» mormorò.
Avrebbe tagliato la gola anche a lui.
«Aiutami.» sbottò invece Ashitaka, continuando ad occuparsi di Eboshi. San digrignò i denti, mentre il cuore le veniva squarciato ancora una volta.
«Perché mi stai soccorrendo?» chiese con voce strozzata la donna.
«Ho promesso a Toki di portarti indietro.» spiegò il ragazzo, annodando la casacca in una fasciatura di fortuna. Poi si voltò verso ciò che restava del Dio Cervo, che distrusse altri alberi sull’altra sponda.
«Sta cercando la sua testa. Bisogna andare via.» poi si voltò verso di lei. «San» la chiamò. La ragazza lupo fece un paio di passi indietro, mentre il vento le faceva ondeggiare la gonna blu, strappata in più punti.
«Devi aiutarci.» disse.
Ma lei scosse la testa. «Traditore! Sei sempre stato dalla loro parte. Prendi Eboshi e vattene, non voglio più vederti!» ringhiò. Ashitaka parve ferito dalle sue parole, ma non poteva mai esserlo più di lei. Si era fidata così tanto... di un umano! Non avrebbe mai, mai dovuto cascare così facilmente nella sua trappola.
«San.» mormorò stupito, avvicinandosi.
La ragazza lupo fece un altro passo indietro, mentre gli occhi le bruciavano per le lacrime che stava trattenendo. «Va’ via. Ho orrore di voi umani.» esclamò.
Ashitaka strinse le labbra, poi si avvicinò ancora. «Hai ragione, sono umano. Ma lo sei anche tu.»
«Umana?!» sbottò San, mentre cercava di allontanarsi dalle braccia tese del giovane. «Ti sbagli, sono un lupo!».
Vedendo che il ragazzo non se ne andava, si fece prendere ancora di più dal rancore e dalla disperazione.«Sta’ lontano!» esclamò infatti, colpendolo al petto con lo stiletto. Ashitaka non fece una piega, e San si rese conto che non aveva senso. Nulla di tutto quello ne aveva. Aveva sbagliato, aveva cercato una guerra che avrebbe distrutto la foresta, e proprio per quel motivo il Dio Cervo era morto e si era tramutato in un mostro. Si lasciò avvolgere da Ashitaka, desiderando sparire tra le sue braccia e affondò il viso nel suo petto, mentre le lacrime che aveva trattenuto troppo a lungo le scivolavano rapide sulle guance.
«Scusami» sentì mormorare il ragazzo contro il suo orecchio. «Non posso starti lontano».
Altri alberi crollarono intorno a loro, e San si ritrovò a singhiozzare. «È finita. È finita. La foresta morirà.» chiuse gli occhi con forza, mentre Ashitaka la stringeva di più tra le sue braccia, quasi facendole male. Poi la prese per le spalle e incatenò i loro sguardi.
«Non è finita. Non finché noi due avremo vita. Ti chiedo di aiutarmi».
San pensò che avrebbe preferito morire al suo fianco anche mille volte, piuttosto che vivere senza di lui.
 
 
‘Cause you love, love, love
When you know I can’t love
You love, love, love
When you know I  can’t love
You love, love, love
When you know I can’t love you
 
 
San chiuse gli occhi quando il Dio della Foresta piombò su di loro, inondandoli di una luce accecante. Sentì il braccio di Ashitaka stringersi intorno alla sua vita con più forza e ancorarla saldamente contro il suo petto. La ragazza lupo sentiva di poter essere spazzata via come la più leggera delle foglie, in quel momento.
Tutto finì in una baleno, così com’era iniziato. 
Si sentì scuotere delicatamente per le spalle e la voce di Ashitaka le risuonò, dolce, nelle orecchie.
«San. San, apri gli occhi».
Sbatté piano le palpebre, mettendo a fuoco gli occhi blu del ragazzo, che sorrideva. Era ancora avvolta nel suo caldo abbraccio e si stiracchiò piano, restituendogli il sorriso.
 
All  ‘cause you love, love, love
When you know i can’t love
You love, love, love
 
 
Il terreno continuava a dare nuovi germogli, tutt’intorno a loro, e San riusciva a sentire l’odore di cambiamento nell’aria tersa del mattino. Guardò Ashitaka, in groppa al suo fedele fratello lupo.
«Non posso perdonare agli umani le cose terribili che hanno fatto.» gli disse, seria. Ashitaka si limitò ad annuire.
«È comprensibile. Torna pure nella tua foresta. Io resterò qui, per starti accanto. Verrò a trovarti.» promise.
San si perse nei suoi occhi, dicendosi che sì, poteva anche permetterselo. Non sapeva per quanto non l’avrebbe rivisto, ma una cosa era sicura: lui sarebbe tornato. Ashitaka sarebbe tornato da lei. Sempre.
Lasciò che quel blu così profondo le scrutasse nel profondo del cuore, lì dove quasi nessuno era riuscito ad arrivare. Lasciò che un sorriso prendesse possesso del suo viso candido, e lui ricambiò dolcemente.
E poi lasciò che suo fratello si voltasse e scomparisse tra i germogli e i tronchi secchi, conservando con gelosia quel colore così bello, simile a quello che il cielo assume quando il sole è tramontato da poco. E aspettando il giorno in cui si sarebbero visti di nuovo.
Lo stiletto di cristallo sul suo petto brillò leggermente, e San sorrise ancora, guardando davanti a sé.
I lupi non si guardano mai indietro, quando scelgono una nuova vita. Ma gli umani conservano il ricordo di quella vecchia per sempre.
 
 
When you know i can’t love
You love, love, love, love
When you know I can’t love you.



 
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Kamala's Corner


Dunquo. Ciao gente, sono tornata. Come avevo accennato l'altra volta, adoro impelagarmi in robe assurde, quindi ho passato mezza giornata a rivedere Princess Mononoke e a trascrivermi le battute. E a scrivere la fic, ovvio. Volevo fare una song-fic con Love Love Love dal primo momento in cui ho visto il film, praticamente, solo che sono assai pigra e ho fatto passare secoli, come sempre.
*Saluta* Ciao gente che mi vuole uccidere perché non aggiorno mai un caspio.
Okay, ho un po' da dire prima di sparire di nuovo in un universo parallelo. Innanzitutto : sì, quello di San sveglia nella caverna è un mio personalissimo headcanon. Sarà che io ho il sonno leggero e mi sveglio anche con lo starnuto di un moscerino, ma per me Moro ha urlacchiato un po' troppo là fuori, quindi San si è svegliata e ha sentito ciò che dicevano. Ovviamente questa mia visione dei fatti può essere condivisa come può non esserlo, quindi paceh.
Non ho mai scritto delle vere e proprie song-fics, quindi spero che il risultato non sia una cacca e che vi piaccia. Se sono caduta nell'OOC, perfavore, ditemelo che metto l'avvertimento.
So che è uscita più lunga della via Appia, quindi shame on me. All'inizo volevo tagliare alcune parti per questo motivo, ma poi mi sono detta che avrebbe rovinato tutta la fanfiction nel complesso, quindi ho postato la storia così com'è.
Uhm...c'è altro? Non mi pare...allora ci vediamo alla prossima, giovani fanciulli.
Un abbraccio,
Kam.


 
   
 
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