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Autore: tyurru_chan    29/03/2016    1 recensioni
[Magna Carta]
[Magna Carta:Tears of Blood]
“Tutto questo è solo un sogno, non è vero?”
Una consapevolezza dettata fra le lacrime, una fanciulla ormai non più ignara, una presa di coscienza che aveva portato via ogni innocenza dal suo sguardo, i lineamenti rigidi e induriti, la voce profonda e bassa.
Era cambiata, ed ora era spaventata da se stessa.
“Non ha importanza ora. Sei qui con me, Reith… non mi interessa altro.”
[Queen Amila Centric] [ALERT SPOILER]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“Se per un solo giorno dimenticassi ciò che sono, lasciando dietro me ogni tormento…  potrei restare al suo fianco senza nutrire futili ripensamenti?”
 
Una notte turbolenta, agitata, la prima di tante che le si prefissava a Epentar, capitale della sua amata patria: Yason-Roven. Un letto a baldacchino finemente decorato, lussuoso, cosparso da eleganti bordature nere di pizzo in cui ella riposava, avvolta in contrasto da sottili lenzuola di lino grigio, candide, vellutate.
Eppure, non vi era conforto alcuno nel loro abbraccio.
Sua eccellenza si sollevò, scostando tale fastidio dal proprio petto prospero, abbandonandone il dolce tepore e volgendo lo sguardo altrove. Tende nere come la pece, - il suo colore - come a rammentare il manto avverso di densa oscurità in cui la sua intera esistenza era avvolta. Una stanza troppo ampia, date le recenti abitudini in cui si era imbattuta.
 
“Ho desiderato così tanto ricordare. Ed ora vorrei non esservi riuscita.”

Un pensiero concepito dal puerile desiderio di poter far ritorno ai giorni spensierati passati con le Lacrime di sangue.
Eonis, che aveva sempre una parola di conforto.
Justina, severa ma affidabile e protettiva nei suoi riguardi.
Ryanna, e la sua inarrestabile tenacia.
Raul, così sciocco, eppure ispirante da sempre fiducia.
Haren, che mal l'aveva sopportata e Chris che fin troppo la lusingava.
E poi tutti gli altri e... Calintz.
Poter sedere al suo fianco sotto i ciliegi come a volte era loro consuetudine, ad ammirarne la loro splendida beltà in boccio, senza bisogno di parole.
 
“Vorrei che mi stringesse a sé nuovamente.”
Un desiderio ricolmo di tormento e pena, di una regina che aveva finalmente ritrovato la sua fatidica vera identità, ma a discapito di colui che amava.
E ciò aveva messo fine a tutto. Gettata al vento ogni promessa, vana speranza, andati perduti insieme a quel frivolo vestito giallo, da lei ora detestato.
Stonava ormai su di sè, che solo il nero concepiva nella sua esistenza.
 
 
“Ti sei divertita nel tuo viaggio ad Efferia?”
“Pfui… Sei gelosa, per caso? Calintz, ora lui è mio.”
Parole cariche di scherno e risentimento verso quella sciocca di sua sorella, così infantile e ingenua da darle pensiero.
Patetica, era il termine adatto.
Non che lei fosse tanto diversa.
 
 
“Maestà.”
Una figura a far capolino nell’oscurità, confondendosi fra la pece scura e densa della notte, distraendola dai suoi pensieri.
Lo riconobbe senza bisogno di presentazioni.
L’unico di cui nutrisse fiducia incontrastata, il solo a cui avrebbe affidato anche la sua stessa vita se necessario.
“Non darti pensiero, è tutto apposto, Ohra.” - rispose a tono, con ritrovata compostezza, nonostante l'ora tarda.
Il fiero generale degli Yason abbandonò la propria postazione in ginocchio ai lati della porta, sollevandosi quel tanto bastava per scorgere i tratti tirati e malinconici della propria Regina.
Inconsolabile, era il termine adatto per definirla.
Priva di maschera il suo viso era liscio e niveo, di una bellezza eterea a cui solo pochi era concesso vedere. E lui, era tra i prediletti.
Alcune ciocche corvine, scompigliate e irregolari, a coprirne la fronte; gli occhi azzurri, un tempo di un colore vivace e acceso, ora spenti, freddi, distanti. Ma ai suoi occhi di leale suddito rifulgeva di uno splendore innegabile.
Tuttavia, da quando aveva fatto ritorno in patria ella era come… sfiorita.
 
“Possibile che l’attaccamento a quell’umano l’abbia irrimediabilmente ridotta in tale pietoso stato?”
 
Alle volte si domandava fino a che punto fosse giunto quell’amore. Ma non era sicuro di voler davvero conoscere la risposta a tale quesito, poichè il solo pensiero lo ricolmava di rabbia e frustrazione. E ciò portava a sé rimorso, nel non essere riuscito prima a strapparla a quegli infimi esseri umani.
Sul comodino intarsiato faceva capolino un piccolo fiore giallo, appassito.
Un mero ricordo, semplicemente.
La regina si portò istintivamente una mano alla tempia, massaggiandole con esasperata pressione per poi congedare il proprio fidato sottoposto.
Desiderava essere lasciata sola.
 
“Reith…”
 
Smetti di chiamarmi in quel modo. Con quel nome fasullo, effimero come il sentimento che aveva nutrito in quei giorni di muta inconsapevolezza.
Lei non esiste più e non era mai esistita.
La donna che amava era mera illusione di una beffa del fato.
Ma anche questa è la guerra, infondo.
 
“Calintz.”
 
Un’altra bugia. La consapevolezza che nemmeno lui era ciò che professava di essere.
Un tempo, era un bambino sperduto che a malapena riusciva a tenere in mano una spada.
Gracile, piagnucoloso, irritante nella sua codardia.
A distanza di anni le loro strade si erano incrociate, e paradossalmente non si erano riconosciuti nei loro reciproci ricordi d’infanzia passati assieme. Ed ora se ne ritrovava terribilmente innamorata.
Tanto da desiderare eternamente di rinnegare se stessa e tornare nei panni della sciocca fanciulla ignara.
Pur di rivederlo, ancora una volta.
Udire la sua voce chiamarla per nome, a poca distanza l’uno dal viso dell’altra.
Professare ciò che in cuor suo provava.
E zittire ogni rimpianto che la stava portando a marcire inesorabilmente dentro.
 
 
Davvero è un addio il nostro?
 
“Reith!”
“Calintz..?”
La stanza ampia e buia era un vago ricordo, un cielo limpido e radioso si ergeva alla sua vista.
Il ciliegio a lei tanto caro, ne ammirava i petali, affascinata.
Una mano calda e rassicurante stringeva la sua, quello sciocco testardo a rimirarla, come se avesse innanzi a sé un gioiello prezioso.
“Tutto questo è solo un sogno, non è vero?”
Una consapevolezza dettata fra le lacrime, una fanciulla ormai non più ignara, una presa di coscienza che aveva portato via ogni innocenza dal suo sguardo, i lineamenti rigidi e induriti, la voce profonda e bassa.
Era cambiata, ed ora era spaventata da se stessa.
“Non ha importanza ora. Sei qui con me, Reith… non mi interessa altro.”
Si lasciò stringere forte da quelle braccia tanto amate, le proprie dita affondarono nella stoffa delle vesti di quell’uomo che non riusciva ad odiare in nessun modo.
Un assassino, che in nome delle sue convinzioni intrise di vendette aveva ucciso barbaricamente tanti Yason suoi sudditi senza rimorso.
Uno stupido che si era smarrito in un sentiero lastricato di infimo odio, ma che lei avrebbe comunque perdonato.
“Non riesci proprio a fare a meno di me, nevvero… Mano?”
A quel nome familiare, intriso di ricordi, la presa si fece più salda; un abbraccio ricercato, un pianto silenzioso da parte di lei, che nascondeva a se stessa una ragazza fragile e sciocca.
“Se fossimo rimasti quelli di un tempo, forse avremmo  potuto stare insieme.”
Una constatazione talmente ingiusta, una dolce utopia da cui non desiderava risvegliarsi. Perché quel letto in cui riposava nei panni della “Regina di ghiaccio” quale nuovamente ella era, era troppo ampio e… vuoto.
La presenza di quel calore provato e che ora le era negato era irrinunciabile.
 
“So che mi stai aspettando, so che vorresti tornare a salvarmi, ma… questo è un addio, mio amato.
Ritrova ciò che hai perduto di te stesso, tu che sei ancora in tempo a redimerti, va avanti anche senza di me. Perché nessuno in questo mondo è davvero solo, e tu più di ogni altro dovresti saperlo.”
  
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