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Autore: Fionnula    30/03/2016    2 recensioni
Athos e Milady quando erano Olivier e Anne.
Un loro momento felice, il primo anniversario di matrimonio.
Li ho voluti vedere felici, dentro il loro amore. Almeno per una volta.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Athos, Milady De Winter
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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L'inverno di Parigi era particolarmente gelido quell’anno, forse il più gelido di cui egli avesse recente memoria.
L'uomo si stringeva nella sua giacca di pelle troppo sottile per quel rigido clima, camminando accanto ad un moschettiere dalla pelle scura, il quale continuava a lamentarsi di quanto avrebbe voluto che arrivasse in fretta la primavera.
Ma in realtà non lo stava ascoltando veramente, il suo pensiero era perso nel passato, come spesso gli capitava in quel periodo della stagione fredda.
Non era mai stato un sentimentale lui, ma quel mese, febbraio, era da molto tempo come una spina nel fianco, una piccola traccia di un fugace istante che a volte però lo feriva nella carne come un pugnale dalla lunga lama.
Quanti inverni erano passati da quel lontano momento? Sei? Sette? Non lo rammentava nemmeno, gli pareva un'altra vita, di uno che non fosse lui.
La vita di qualcuno che era stato una volta, e che ora non era più.
Eppure il ricordo lo tormentava, il calar del sole del giorno precedente con il suo cielo infuocato sembrava aver voluto ricordargli che l'alba di quello seguente lo avrebbe avvolto nell'ennesimo stato di angoscia, il peggiore dell'anno, probabilmente.
Il colore del tramonto era lo stesso di quel pomeriggio.

Quello del primo anniversario di matrimonio.
Lei era stata così strana nelle due settimane che lo avevano preceduto, si aggirava per la casa indaffarata tentando di mascherare un sorriso che pareva nascondere chissà quale segreto importante. Si era recata più volte ad Anizy-le-Chateau, il paese vicino, dicendo che aveva delle commissioni importanti da sbrigare, e lui non le aveva chiesto nulla, gli piaceva vederla tanto allegra e spensierata, lo appagava il saperla così serena.
Quel giorno lei lo stupì nel soleggiato pomeriggio che volgeva ormai verso sera.
Lui stava osservando il tramonto fermo sull'uscio di casa, la giornata era trascorsa tranquilla e senza particolari problemi nella tenuta; il cielo aveva mutato colore, diventando prima arancione e poi rosa, e le rare nuvole si muovevano disegnando delle strane figure rossastre.
Il tiepido calore degli ultimi raggi gli accarezzava il volto; quieto e raccolto nel suo mantello scuro, respirava l'aria pungente di febbraio e ripercorreva nella sua mente quelle stesse ore di dodici mesi prima. Rammentava ogni cosa: il silenzio che avvolgeva tutto, il profumo della neve... Era caduta copiosa, il sole splendente di quel freddo mattino si rifletteva sulla distesa bianca a perdita d'occhio, e incorniciava perfettamente in controluce il camminare di lei che, avvolta nel suo vestito di lana, con quel meraviglioso cappuccio bianco e i capelli che le cadevano morbidi sulle spalle, avanzava radiosa verso la piccola chiesa appena fuori Pinon che avevano scelto per celebrare le loro nozze. Un luogo appartato, che a loro era però sembrato perfetto, lei lo aveva adorato dal primo momento in cui lo aveva visto, e lui le avrebbe dato il mondo pur di renderla felice.

Quell’immagine, per un momento, parve soffocarlo. Quasi rallentò la sua camminata spedita verso il palazzo del Louvre, tanto che il compagno al suo fianco si fermò per chiedergli cosa ci fosse, ma lui andò avanti senza dargli risposta.

"Olivier vieni, ho bisogno del tuo aiuto!" sentì gridare dalle scale del piano superiore.
Venne interrotto bruscamente nel suo pensiero e si mosse subito, velocemente, la voce di lei sembrava preoccupata. Appena entrò trafelato nel primo corridoio, notò che le luminarie alle pareti avevano le candele spente, mentre ve ne erano di accese sul pavimento, in ordine, come a voler formare una linea che lo guidasse verso le loro stanze. Incuriosito rallentò, e aprì lentamente la porta della camera in fondo, quasi dimenticandosi che era accorso per quella che sembrava essere una necessità. Anche qui nulla offriva luce, e nella penombra vide la figura di lei che, con un piccolo sacchetto adagiato sul palmo della mano, gli disse piano: "Buon anniversario amore mio!".
Sebbene nei giorni precedenti potesse aver vagamente intuito qualcosa, rimase senza parole.
"Lo so, lo so, non ho potuto resistere, volevo che il nostro primo anniversario fosse speciale... La miglior occasione per fare un regalo a mio marito!".
Lui si ritrovò con un sorriso inebetito stampato in volto, e non poté non apprezzare immensamente quel gesto di lei, preparato con tanto amore; notò come fosse bellissima, con quell'espressione fulgente e quei grandi occhi verdi pieni di gioia e soddisfazione per la sorpresa così ben riuscita.
Anne gli porse il suo dono, e Olivier si vergognò di non averle fatto nulla a sua volta. Osservò il sacchetto di raso bianco, era cucito con cura, con un nastro di organza color crema a chiuderlo; lo allentò con calma, quasi a voler immortalare nella sua mente la sensazione che gli dava il tessuto che gli scorreva tra le dita. Ne estrasse una lunga collana d'oro, con un pendente alla fine in cui era incastonato un fiore, un piccolo fiore, azzurro, fuori stagione per febbraio, e non facile da procurarsi in quel mese, realizzò tra sé. Lo conosceva bene, era il preferito di sua madre, poiché tra i tanti nomi con cui era chiamato vi era anche il suo, Véronique.
Paralizzato dallo stupore, le uniche parole che riuscì a pronunciare furono: "Come mai hai scelto proprio il Non ti scordar di me?"; lei chinò la testa di lato abbozzando con le labbra una lieve smorfia, e rispose: "Speravo me lo chiedessi; ho domandato ad Isabeau, volevo per te un fiore che fosse speciale, e lei mi ha raccontato una storia...". Olivier pensò che Isabeau avrebbe meritato di essere più di una semplice cuoca, mentre Anne gli spiegava: "Non si sa quanto tempo fa... Due giovani innamorati si stavano dichiarando i loro sentimenti sulla riva di un fiume, offrendosi reciprocamente questo fiore, quando lui scivolò e cadde in acqua, e prima di annegare le gridò: “Non ti scordar di me!” come promessa eterna d'amore. Lei, osservando smarrita ciò che aveva tra le mani, ritenne nel suo immenso dolore che non sarebbe potuto esistere un nome migliore per un fiore tanto bello e delicato... Come l'amore", e abbassando il capo, con una voce flebile e dolce aggiunse: "Voglio che anche per noi sia così, voglio che tu tenga questo mio dono sempre con te, per ricordarti in ogni attimo la nostra promessa".
Olivier, mentre il sole andava a dormire, abbracciò stretto la sua Anne e avvertì nel profondo della sua anima che tutto quello che voleva era in quel momento lì con lui. Non desiderava niente altro.
Si sentiva un uomo fortunato, indossò il suo prezioso monile e lo strinse con una mano, mentre nell'altra prese quella di lei. Quasi commosso, la avvicinò a sé e le sussurrò dolcemente una frase, che tante volte era risuonata in quella casa quando era bambino: "Je suis déjà d'amour tanné, ma très douce Valentine" ***. La ricordava bene, suo padre la rivolgeva spesso alla madre; si inginocchiava, le prendeva delicatamente la mano e ne baciava più volte il dorso, e lei dapprima rideva rumorosamente, poi, chinandosi su di lui, all’orecchio gli mormorava con malizia: "Conte de la Fère… Non davanti ai ragazzi…".

Ma col passare del tempo quel ciondolo sembrava pesare sempre più come un macigno, soprattutto in quel freddo giorno di ogni anno.
Mentre camminava in mezzo a grossi cumuli di neve, l'uomo rifletteva su come tutte le volte provasse la stessa sensazione di delusione, dolore, mancanza, e pensò che forse, se si fosse liberato di quel minuscolo oggetto, sarebbe stato meglio, si sarebbe sentito sollevato. Avrebbe potuto gettarlo nella Senna, lanciandolo lontano, e osservarlo sparire nell'acqua, insieme ai suoi ricordi.
Ma non ne era capace, questa era la verità. Lo teneva lì, sotto strati di vestiti, come a dormire, ma sempre vicino al suo cuore. Esattamente come lei gli aveva chiesto anni prima. Lei, Milady.
"Hei amico... Athos!" Porthos richiamò la sua attenzione per l'ennesima volta alzando la voce, fermandosi di scatto e allargando sconsolato le braccia, "è tutta la mattina che ti parlo e non mi ascolti, si può sapere cosa succede?"
"Niente!" rispose Athos cercando di non tradire alcuna emozione, e l’amico senza credergli sul serio proseguì nel suo cammino scrollando la testa.
Immobile in mezzo alla strada, istintivamente mise la mano destra sul petto, lì dove portava il pendente, e non poté fare a meno di constatare con amarezza a quanto certe cose, nonostante i cambiamenti e le numerose sbornie, non fossero mutate di nulla. Non gli era servito allontanarsi, abbandonare tutto, rinunciare persino al suo nome e diventare qualcun altro; tutta la sua vita era e sarebbe sempre stata lì, dentro a quel ciondolo, in quel fiore. Lo sapeva bene, lo aveva sempre saputo.
Dopo alcuni istanti che gli sembrarono eterni prese un respiro profondo, si aggiustò svogliatamente il cappello, e continuò a camminare dietro a Porthos, che ormai lo precedeva di molti passi.
In un debole tentativo di autoconvincimento si disse che, in fondo, mancavano poche ore alla sera, come sempre avrebbe trascinato sé stesso in una taverna, e il vino avrebbe fatto il resto.
Per qualche ora, forse, avrebbe avuto pace.

 

 

*** Lett. “Sono già malato d’amore, mia dolcissima Valentine”.  Questa espressione viene generalmente attribuita a Carlo D’Orleans che, fatto prigioniero dagli inglesi, scrisse nel 1415 alla moglie quello che viene considerato come il più antico biglietto di san Valentino di cui si abbia conoscenza.

   
 
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