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Autore: Amor31    01/04/2016    2 recensioni
Sono trascorsi quindici anni da quando Jo ha partecipato alla Vendetta dell'Isola.
Quindici anni in cui ha terminato gli studi, ha trovato un lavoro e ha comprato casa, rendendosi totalmente indipendente.
La vita sembra scorrere tranquilla, ma l'arrivo di un invito è destinato a sconvolgere l'equilibrio raggiunto.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brick, Jo, Mike, Zoey
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale, A tutto reality - La vendetta dell'isola
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Quando te ne vai

Anche quella stancante giornata era finita e finalmente avrebbe potuto stendersi sul letto e smettere di pensare.
La ragazza scese dal taxi e salì i primi gradini di ingresso; armeggiò per alcuni secondi con la chiave, recuperata da un angolo imprecisato della borsa, ed entrò in casa accendendo la luce.
Si avvicinò al grande specchio che sua madre aveva insistito ad acquistare e fissò il proprio riflesso: l’aria stanca gravava sulla sua espressione, rimasta orgogliosa nel corso degli anni. Certo, si era accorta di quelle tremende occhiaie che non era riuscita a nascondere nemmeno con una tripla passata di fondotinta, ma poteva ritenersi comunque soddisfatta: il suo era un lavoro che spesso non le permetteva di fare un sonno decente. Anzi, tantissime volte era stata costretta a passare le nottate lontana da casa, aspettando fuori da ospedali, stadi o svariate abitazioni.
“Cosa non si fa per qualcosa che ci piace?”, pensò la ragazza, esaminando più attentamente un capillare che aveva improvvisamente fatto capolino sotto l’occhio destro.
Si voltò verso la porta e notò alcune buste per terra: c’era parecchia posta per lei. Perfino arretrata.
“D’altronde l’ultima volta che sono tornata è stata una settimana fa”, rifletté, avvicinandosi alla corrispondenza e inginocchiandosi per raccogliere il tutto.
“Vediamo un po’… Assicurazione, raccomandata, pubblicità… Il rinnovo dell’abbonamento al giornale… Non credo che confermerò la consegna delle copie: non ho mai tempo per leggere ciò che desidero! Mah… Altra raccomandata, avviso dalla banca e… Questo cos’è?”.
Stringeva tra le mani quella che sembrava la busta più recente. Sul retro era riportato solo il suo indirizzo: il mittente era, per il momento, sconosciuto.
“Che maniere! Almeno potevano mostrare la decenza di scrivere un nome, un cognome, qualsiasi cosa per farsi riconoscere!”.
Strappò senza troppa gentilezza la carta ed estrasse un foglio ripiegato con cura; lo spiegò e iniziò a leggere, sgranando gli occhi man mano che raggiungeva la fine del messaggio.
 

Alla cortese attenzione della Sig.na Jones

Carissima Jo,
perdona l’introduzione fin troppo formale di questa breve lettera, ma credimi, non sapevo proprio da dove iniziare.
Spero che tu ti ricordi di me: sono Zoey Mash, una vecchia compagna di viaggio.
Non hai l’aria perplessa, vero? Non mi hai dimenticata, no?
Be’, se rammenti la nostra esperienza al reality Total Drama, non posso non comparire nella tua memoria.
Ti starai chiedendo come mai, a distanza di anni, ti invio questa lettera. È semplice: sono rimasta in contatto con alcuni dei concorrenti e ho deciso di allestire una cena per ricordare i bei tempi.
Sei invitata, naturalmente; la riunione si terrà il prossimo 22 settembre presso il ristorante “Atelier” di Ottawa alle 20.30.
Spero che non mancherai a questo appuntamento. Ti aspetto,

Zoey
 

“Una cena? Dopo tutto questo tempo? Ah no, te lo puoi scordare: mi rifiuto di prendervi parte!”.
Lesse di nuovo le poche righe scritte a mano dall’ex compagna di squadra e fu tentata di accartocciare il foglio, ma poi ci ripensò.
“La lettera è datata 11 settembre; oggi è il 15… L’appuntamento sarebbe sabato prossimo! Mi pare di essere in trasferta, però. Sarà meglio che controlli l’agenda”.
Frugò nuovamente nella borsa e afferrò un piccolo diario zeppo di biglietti, mappe e foglietti contenenti appunti. Sfogliò in fretta le pagine e si fermò alla settimana successiva.
“No, mi sono sbagliata. Giornata libera, a quanto pare. Peccato, dovrò inventare una scusa per non andare”.
Pensò ad una miriade di sciocchezze, ma nessuna le parve abbastanza plausibile. E dopo essersi spremuta le meningi per una decina di minuti, decise di rinunciare.
“Al diavolo!”, si disse. “Una cena non ha mai fatto male a nessuno… O no?”.
Riflettendo ancora, si diresse in camera da letto e si stese, chiudendo gli occhi per un solo momento: come un flash comparve nella sua testa l’immagine dell’avventura sulla tremenda isola di Wawanakwa e quella dell’eliminazione subita da uno scricciolo di ragazzo. Che alla fine si era portato a casa un bel milione di dollari.
“Ma pensa… Erano anni che non prestavo più attenzione a certe stupidaggini. Eravamo dei ragazzi davvero idioti, non c’è che dire”.
Ricordò le sfide vinte dalla sua squadra, le mosse strategiche adoperate per arrivare a tutti i costi al successo, le finte alleanze con un altro compagno che non aveva mai smesso di scambiarla per un maschio.
“Se dovesse venire alla cena, sarò curiosa di vedere se riuscirà a riconoscermi”.
E poco alla volta le tornarono in mente anche i nomi di quei concorrenti: Cameron, Lightning, un tale di nome Mike dalle personalità multiple – “Quello sì che era un fenomeno da baraccone!” –  Zoey.
Ce n’erano altri, Jo lo sapeva bene. Ora ricordava tutto. Ma era sicura che a sfuggirle ci fosse qualcos’altro. O qualcun altro.
“Chi manca all’appello? Mi sembra di averli detti tutti… Oh, stavo dimenticando quella Staci. Ma è stata insieme a noi per una mezza giornata; non era importante. Pensa, ragazza, pensa: c’è altro che stai scordando”.
Ricapitolò mentalmente i nomi dei compagni, associando a loro un particolare momento. E poi si mosse una corda silente dentro di lei che aveva sempre messo a tacere.
“C’era anche quel ragazzo… Diamine, aveva un nome assurdo! Ma qual era?”.
Si sforzò di ricordare, ma senza nessun risultato. Perfino il volto dello “sconosciuto” era sfuocato tra le sue memorie.
“Pazienza. Lo incontrerò sabato prossimo”.
In fretta si infilò una camicia da notte e si sistemò al tepore delle lenzuola. Si girò su un fianco e finalmente riuscì a prendere sonno, dormendo per buone sei ore filate.
La nottata fu relativamente tranquilla, ma i pensieri non smettevano di tormentarla. Così, alle cinque e trenta di quella mattina di metà settembre, svegliandosi di soprassalto chiamò a gran voce: -BRICK!-.

 

***

 

Passò la settimana che la separava dall’incontro con gli altri tra scartoffie e trasferte da uno stadio all’altro. La stagione del basket era ricominciata già da alcune settimane e il campionato si era fatto subito interessante. Fu quindi normale, per lei, preparare i bagagli per soggiornare in diversi hotel di volta in volta. Ciò che temeva era di non riuscire a tornare a casa in tempo per affrontare al meglio la cena di cui era stata avvisata qualche giorno prima.
“Devo assolutamente trovare qualcosa di adatto da indossare”: questo era stato il suo primo pensiero. “Non posso di certo presentarmi in tuta e scarpe da ginnastica. Ormai quello è il passato”.
Quando finalmente fu libera dagli impegni, si fiondò non molto entusiasticamente nell’odiato shopping. Si fermò davanti alle vetrine, entrò in disparati negozi per vedere se ci fosse qualcosa di “giusto per lei”, provò vestiti su vestiti. Ma niente si rivelò all’altezza delle sue aspettative. E delle sue esigenze.
“Possibile che sia sempre uno shock fare spese?”, si stava chiedendo mentre tornava a casa dopo l’ennesimo buco nell’acqua. “Se mi vedesse mia madre mi prenderebbe ancora per una ragazzina!”.
Entrò nell’appartamento e si rifugiò nella sua camera. Spalancò l’armadio e tirò fuori alcuni capi poggiandoli sul letto.
“Questo vestito è datato, quest’altro è semplicemente inguardabile. Uhm, questo potrebbe andare bene… Ah, c’è uno strappo dietro alle gambe! Ecco perché non l’ho più messo”.
Selezionò e riprovò, divertendosi ad immaginare addirittura una “sfida tra abiti”.
“E in semifinale vanno la gonna nera lunga fino al ginocchio, la camicetta blu, il completo giacca e pantaloni, il vestito che mi ha regalato mamma per Natale! Diamo il via alla prima gara: lotteranno per un posto in finale la gonna ed il completo!”.
Dopo aver trascorso altri venti minuti chiedendosi se fosse più opportuno scartare il tailleur o il vestito, si decise per il primo dei due.
“Avrei risparmiato tempo se non mi fossi catapultata nei negozi”, si disse, Jo ammirando giacca e pantaloni di un bellissimo grigio perlato. “Questo è il completo che ho indossato al matrimonio di mio fratello. Potevo pensarci subito!”.
Guardò l’orologio che teneva al polso e si spaventò per l’ora: era già in ritardo sulla tabella di marcia.
“Devo darmi una mossa con i preparativi! Tra trenta minuti dovrò uscire di casa”.
Si chiuse in bagno, concedendosi una rapidissima doccia, poi mise il tailleur e recuperò da una scatola chiusa un paio di scarpe dal tacco non troppo alto; si avvicinò allo specchio sistemato nell’ingresso, prese una piccola trousse risalente ai suoi diciotto anni e si colorò lievemente le guance con una leggera tonalità di rosa.
“Mi sembra che possa bastare. Sono già abbastanza irriconoscibile”.
Ultimo tocco fu un lucidalabbra color ciliegia che le stravolse completamente l’espressione.
“Uhm, fa abbastanza pena. Ma adesso ho fretta e non posso restarmene per un’altra mezz’ora davanti allo specchio!”.
Prese una pochette che sua madre le aveva regalato per il suo ultimo compleanno e uscì di casa, fermando immediatamente un taxi.
-Dove la porto?-, chiese l’uomo al volante.
-All’”Atelier Restaurant”. Il prima possibile-, rispose, sedendosi in macchina e chiudendo lo sportello.
Il silenzioso viaggio di autista e passeggera durò non meno di venti minuti; quando la macchina si fermò, Jo pagò la corsa e con difficoltà entrò nel ristorante.
“Maledetti tacchi!”, pensò, sentendo le piante dei piedi andare a fuoco. “Me la pagherete, un giorno!”.
Si avvicinò alla reception e ricevette le informazioni di cui aveva bisogno; un cameriere la scortò fino ad una sala non molto distante, quella sera riservata esclusivamente agli ex concorrenti del famoso reality.
-Prego, signorina-, la invitò ad entrare il cameriere. -Le auguro una buona serata-.
La bionda, presa da un’improvvisa quanto inspiegabile agitazione, fece il suo ingresso nella stanza e prima che se ne potesse accorgere venne abbracciata calorosamente dalla mittente dell’invito.
-Jo! Che piacere vederti! Ti trovo in gran forma!-, la salutò Zoey, senza mollare la presa sull’amica.
-P-Piacere mio. Sei rimasta la stessa, eh?-.
-Oh, scusami! Sai com’è, l’emozione mi ha presa totalmente! Vieni, ci sono anche gli altri!-.
Le due si avvicinarono ad una lunga tavolata e Jo riconobbe i profili di Cameron e Mike.
-Guarda chi si vede! Ciao, Jo!-, la chiamò l’occhialuto, andandole incontro.
-Sono contento di rivederti, dopo tutto questo tempo-, aggiunse Mike, stringendole la mano.
-Sì, be’… Sono contenta anch’io, ragazzi-.
-No, non ci credo! Il mio amico è venuto a farci visita!-.
Jo si voltò, ritrovandosi davanti un ancor più muscoloso Lightning.
“Pieno e strapieno di steroidi… E il cervello è andato via via bruciandosi”, pensò la ragazza.
-Amico, non sapevo che fossi diventato un travestito! Al Fulmine non sono mai piaciuti i…-.
-Lightning, va tutto bene. Vedi di calmarti-, disse innervosita la bionda, soffermandosi sull’espressione sconvolta del giovane.
-Ehi, stanno arrivando Dakota, Sam e Ann Maria-, li interruppe Cameron, affacciandosi dalla grande finestra alle loro spalle.
-Non sono cambiati per niente-, notò Mike, sorridendo. -Sembra che il tempo non sia trascorso!-.
-Ci sono anche Dawn e Beverly… Ma quello non è Scott?-, domandò Zoey, affiancando i due ragazzi.
-Già. Adesso si è fatto crescere il pizzetto… Ha un’aria più sinistra del solito-, affermò convinto Cameron.
-Andiamo a dare il benvenuto a tutti! Ormai a mancare sono solo due di noi-, esortò la rossa, uscendo dalla stanza seguita dagli altri.
Jo salutò i nuovi arrivati con leggero distacco: in fondo erano passati anni dall’ultima volta che li aveva visti e ritrovarseli di fronte dopo tutto quel tempo la imbarazzava non poco.
-Vogliamo entrare? Così iniziamo ad ordinare-, propose Zoey, facendo strada.
Ognuno prese posto al tavolo. Jo si ritrovò stretta tra Lightning e Cameron, mentre Dawn, Beverly e Sam sedevano davanti a loro. C’erano solo due posti vuoti e Mike volle sapere il motivo del ritardo.
-Ho sentito Staci, qualche giorno fa, e mi ha detto di aver già preso un impegno. Secondo quanto mi ha raccontato, doveva recitare all’Opera il ruolo di Odette del “Lago dei Cigni”-, spiegò brevemente Zoey. La tavolata fu scossa da una leggera e sommessa risatina di scherno.
-E Brick? Ti ha chiamata?-, domandò Dawn.
Jo, che stava addentando una fetta di pane, sentì il boccone prendere la via della trachea e non dell’esofago. Tossì e bevve un gran bicchiere d’acqua, battendosi leggermente il petto e lacrimando.
-Sì. Non era sicuro di venire perché avrebbe potuto fare tardi. Mi ha detto che ultimamente il suo lavoro lo sta stressando fin troppo-.
-È rimasto in Accademia?-, chiese Cameron.
-Esatto. Non so che grado ricopra, ma deve essere qualcosa di importante-.
Nessuno parlò per un paio di minuti; il silenzio venne interrotto solo dall’ordinazione presa dallo stesso cameriere che aveva accompagnato Jo nella sala.
I ragazzi parlarono di quanto accaduto in quel lungo periodo di distanza. Dawn raccontò di essere stata in Africa per la salvaguardia della savana; Ann Maria disse di aver aperto la propria attività di parrucchiera e distribuì alle altre ragazze un bigliettino di presentazione.
-Mi raccomando-, disse, strizzando l’occhio, -venite a trovarmi. Avrei già una bella idea per i vostri capelli-.
Fu poi il turno di Cameron: con i soldi vinti si era pagato delle ottime cure per risolvere quei piccoli problemi di salute che lo avevano afflitto fin dalla nascita e poi si era dedicato all’Università; Scott confermò di aver terminato le superiori e di aver lavorato per un brevissimo periodo come benzinaio.
Jo seguì in silenzio i discorsi dei compagni, pensando a tutto quello che le era successo. Ciò che più la colpì fu il fatto che ognuno degli altri avesse in qualche modo incontrato una persona tanto speciale da fargli battere il cuore, mentre lei non aveva avuto questa fortuna. O forse aveva soltanto cercato di evitare quei sentimenti che le provocavano la perdita del controllo.
C’era qualcosa, in lei, che tentava di uscire fuori, ma che inevitabilmente veniva represso dalla volontà stessa di Jo. Da tempo desiderava provare sensazioni diverse, piacevoli, ma se ne vergognava profondamente. Credeva di non essere più lei.
-Scusate il ritardo. Un superiore ha prolungato la riunione più del dovuto-.
La bionda venne riportata alla realtà da quelle poche parole. E sentì il cuore accelerare, agitato, in preda al panico.
-Brick! Che bello, alla fine ce l’hai fatta!-, esclamò Zoey, alzandosi dal tavolo e abbracciando il ragazzo.
-Mi sarebbe dispiaciuto mancare a questa riunione. Buonasera a tutti, compagni-.
Anche gli altri commensali lo raggiunsero; tutti tranne Scott, che tranquillamente si passava uno stuzzicadenti tra le labbra, e Jo, pietrificata sulla sua sedia.
-Ciao, Scott. Jo-.
Il soldato la salutò con un gesto della testa e la ragazza si sentì sprofondare. Quanto poteva essere sciocca?
“Potevi almeno andare a stringergli la mano… Sono anni che non lo vedi e poi fai questa figura?”, si disse, pentendosi di non aver fatto nulla.
-Allora, ragazzi: come ve la passate?-, chiese sorridente Brick, prendendo posto accanto a Dakota.
-Oh, abbastanza bene. Stavamo discutendo di quello che abbiamo fatto in questi quindici anni-, riepilogò Zoey, prendendo una bottiglia e versandosi dell’acqua.
-Bene. Raccontate anche a me. Sam, che ci dici?-, domandò il ragazzo, sporgendosi per vedere il nerd.
-Sono andato all’Università insieme a Cameron e mi sono specializzato ulteriormente in campo informatico. Adesso lavoro in una grande azienda vicino a Toronto. E vivo con Dakota-, rispose felice.
-Già, io e Sam conviviamo già da quattro anni. Da quando ci siamo trasferiti ho iniziato a lavorare per un’emittente televisiva: adoro fare la showgirl, era il mio sogno fin da bambina!-, trillò la bionda, guardando il suo ragazzo.
-E voi due? State ancora insieme?-, chiese ancora Brick, rivolgendosi a Zoey e Mike.
-Certamente. Non ci siamo più lasciati, da quando ci siamo conosciuti. Il nostro è stato un colpo di fulmine-, disse il ragazzo, prendendo per mano la rossa.
-Dawn, che cosa fai adesso?-.
-Sono una fortunata veterinaria. Recentemente ho salvato un piccolo cagnolino da una fine terribile; ma la cosa di cui vado più fiera è l’essere riuscita a vincere la causa contro Chris McLean per lo scandalo radiazioni a Wawanakwa-.
Beverly batté le mani in segno d’approvazione e la bionda tradusse per tutti: -B dice di essere molto contento di stare con tutti noi, stasera. E ci informa di essere diventato un richiestissimo DJ-.
-Bravo, ragazzone! Ma fate i complimenti anche a me, ragazzi: avete di fronte un grande campione di basket!-, si intromise Lightning, gonfiando il petto.
-Grande campione non direi; se lo fossi davvero, non staresti ancora militando nel campionato di Seconda Divisione-, lo provocò Jo.
-Seconda Divisione? Mi avevi detto di guadagnare milioni!-, esclamò Ann Maria, delusa per la menzogna del palestrato.
-Eh, io… Cioè…-.
Brick rise e commentò: -Dai, si scherza! Conosciamo bene le tue qualità tecniche-.
Il soldato tese la mano per prendere la bottiglia dell’acqua e lanciò una fugace occhiata a Jo, che non aveva smesso di guardarlo fin dalla sua entrata in scena. La bionda, accorgendosi di quella improvvisa attenzione, si voltò dall’altra parte, sentendosi arrossire.
-Scott, invece? Dove lavori?-.
-Ho aperto un’officina tutta mia. Sono un provetto meccanico, modestamente-, replicò il rosso, abbandonandosi allo schienale della sedia e portandosi le braccia dietro alla testa.
-Ben fatto. Hai trovato qualcosa di adatto a te. E… Jo?-.
La ragazza, che stava cercando di distrarsi guardando la parete affrescata alla sua destra, fu costretta a rivolgersi al resto della tavolata. Vedere Brick così attento nell’esaminarla la fece sentire ulteriormente a disagio, ma fu sicura che anche lui provasse qualcosa di simile.
-Per qualche anno mi sono data alla carriera atletica, diventando capitano della squadra regionale di corsa campestre; poi ho deciso di dedicarmi al giornalismo. Attualmente faccio parte della redazione del “Weekly Sport”-.
-Wow, amico, devi assolutamente venire ad intervistarmi!-, la interruppe Lightning, dandole una gomitata tra le costole. -Il campionato di seconda fascia è terribilmente…-.
-Noioso-, tagliò corto lei. -Da quando lavoro per il giornale non ho mai messo piede in un vostro campo; mi hanno immediatamente inviata negli stadi di Prima Divisione. Un motivo ci dovrà pure essere, no?-.
Il viso già arrossato della ragazza si fece quasi paonazzo quando, spostando lo sguardo su Brick, lo vide intento ad ammirarla con uno strano sorriso stampato sulla faccia. E Jo si sentì presa dall’ansia ancora di più.
“Ma perché fa così?”, si chiese preoccupata. “Mi sembra di essere tornata ai tempi del reality…”.
-Ehi, Sir Piscione, tu cosa stai facendo?-.
Quella domanda, sgarbata e infantile allo stesso tempo, le era scivolata via dalle labbra come se niente fosse, naturale e innocua. Peccato, però, che gli occhi di tutti vennero puntati su di lei, imbarazzandola ulteriormente.
Il soldato non rispose subito: era rimasto sorpreso dall’intervento di Jo. Soprattutto dal suo modo di fare. Poi le sorrise come mai aveva fatto prima e rispose: -Sono ancora in Accademia. E sto per partire-.
La bionda sentì una corda del cuore lacerarsi. Provò un forte dolore al petto e fu costretta a passarsi una mano intorno al collo.
-Partire? E per dove?-, domandò Zoey spalancando gli occhi.
-Andrò in missione. Probabilmente rimarrò fuori dal Canada per buoni sei mesi-.
Il silenzio calò gelido sulla tavolata. Nessuno aveva il coraggio di guardarsi negli occhi, nessuno aveva il coraggio di incontrare lo sguardo di Brick. E Jo si sentì sprofondare, mentre il cuore le prendeva fuoco.
-Perché?-, chiese dopo un paio di minuti.
-Uhm?-.
-Perché devi andartene?-.
-Ve l’ho detto, sarò in missione-.
-Ma perché?-.
-Perché la guerra è guerra. E le alleanze tra Paesi non possono essere messe in discussione-.
-Quindi è giusto mandare a morire migliaia di giovani per cause ingiuste?-, si infiammò Jo.
-Nessuno ha detto questo-.
-Allora perché parti?-.
-Perché è il mio lavoro-.
La bionda non trovò le parole giuste per replicare a quell’ultima risposta. Sentendosi accaldata, si alzò da tavola e si diresse in bagno tra gli sguardi sorpresi dei presenti.
Aprì la porta della toilette e si specchiò: il riflesso le apparve stravolto, preoccupato. E si accorse di avere gli occhi lucidi, arrossati, pronti a versare lacrime per qualcosa che ancora non riusciva a comprendere del tutto.
“Ma che cosa sto facendo?”, si chiese. “Perché mi sento tanto a terra?”.

“Si chiama affetto, Jo. Si chiama amore”.
“No, non è possibile. Non ho mai provato niente del genere”.
“O forse non ti ricordi di averlo provato”.
“Cosa vuol dire?”.
“Che non vuoi vedere il soldato andarsene”.
“Erano quindici anni che non avevo sue notizie; lo avevo perfino dimenticato. Che me ne importa di lui?”.
“Il tuo cuore dice altro. Sai che è così. Non commettere due volte lo stesso errore”.
Una nuova consapevolezza si fece strada nella sua testa. Si bagnò il viso per scacciare via i pensieri e tornò in sala con l’animo gonfio di sentimenti contrastanti ed apparentemente mai provati prima.
Sedette al tavolo, riprendendo il suo posto, e Zoey le chiese se andasse tutto bene.
-Non preoccuparti, meglio di così non potrebbe andare-.
Per tutto il tempo evitò accuratamente lo sguardo di Brick, che invece non poté fare a meno di lanciarle occhiate per l’intera serata. Quando finalmente vennero serviti i primi piatti, la discussione ricadde inevitabilmente sul futuro del soldato.
-Via per sei mesi… Sono davvero tanti-, notò con rammarico Cameron.
-Passeranno in fretta, ne sono sicuro. A porsi il problema sono quei militari che lasciano a casa parenti molto cari-.
-E questo non è il tuo caso?-, domandò Ann Maria con la solita aria pettegola, mentre Jo tendeva l’orecchio per sentire la risposta.
-No, in effetti. Oltre ai miei genitori non ho nessun altro al mondo-.
-Ma che dici, amico? Possibile che tu non abbia nemmeno una ragazza?-, chiese Lightning, masticando la sua bistecca al sangue con la bocca aperta.
-Già. Ho preferito non mettere su famiglia: la situazione sarebbe stata troppo complicata-.
-Questo significa che vivi…-, iniziò Dawn, guardando orripilata il palestrato e il suo pasto.
-Solo per il dovere. Esatto-, sentenziò Brick con un ultimo sorriso, oscurato subito dopo da chissà quali pensieri.
Jo, che stava tagliando la propria carne nel piatto, si costrinse a mandare già qualche boccone pur non avendo appetito: la conversazione non aveva fatto altro che provocarle uno strano dolore all’altezza dello stomaco.
-Quando partirai?-, domandò ancora Mike all’amico.
-Lunedì mattina alle sei in punto-.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Jo posò le posate, che risuonarono nella ceramica del piatto riccamente decorato, si alzò di scatto e disse, prendendo la borsa che aveva poggiato ai suoi piedi: -Scusate, ragazzi. Mi sono ricordata di avere una riunione con il Caporedattore-.
-Cosa? Ma… Jo, non puoi andartene così! Finisci almeno di mangiare!-, la pregò Zoey.
-Non ho fame. Mi dispiace, sono di fretta-.
Si catapultò fuori dalla sala sentendo gli occhi pruderle, bruciati da lacrime che voleva nascondere a tutti i costi; raggiunse la reception e chiese che fosse chiamato un taxi, poi uscì all’aria aperta.
Il leggero vento della sera le soffiò sul viso, mitigando il dolore che la faceva star male; passò una mano tra i capelli, ravvivandoli, e pensò intensamente alle ultime parole di Brick.
“Non se ne può andare”, rifletté senza darsi pace, “non può farsi comandare così. Non deve partire. Dice di avere solo i suoi genitori: e allora? Crede che non soffrirebbero, sapendolo così lontano e per tanto tempo? Vivere di dovere, poi… Saranno passati anche quindici anni, ma è rimasto il solito!”.
-Jo?-.
La ragazza si voltò lentamente. Sapeva bene di chi fosse quella voce e temeva che sarebbe scoppiata in un pianto disperato al solo vedere il viso del suo interlocutore.
-Che vuoi, Capitan Piscina? Tornatene dentro o ti si fredderà la cena-.
-Ho mangiato anche troppo, per i miei gusti. Mi chiedevo che cosa avessi-, disse Brick, sorvolando sull’iniziale appellativo usato dalla bionda. Si avvicinò pian piano e rimase fermo a pochi passi di distanza, in attesa di una spiegazione.
-Niente di niente. Sto solo aspettando il taxi: mi ero completamente scordata dell’appuntamento in ufficio-.
-E ti aspetti che io creda a quanto dici?-.
-Perché dovrei mentire? Che interesse avrei?-.
-Ah, questo non lo so. Ma sono sicuro che la tua sia una bugia bella e buona-.
-Come fai a esserne tanto certo?-.
Il soldato si prese qualche secondo per rispondere: -Sai, in Accademia mi hanno insegnato a valutare i comportamenti e le emozioni che provano le persone sottoposte ad interrogatorio. Dalla tua reazione si capisce bene che qualcosa non quadra. Sbaglio, forse?-.
“Ci hai preso in pieno, stupido”, pensò Jo, stizzita ed ammirata allo stesso tempo.
-Anche se fosse? A te cosa importa?-.
-Mi preoccupa vederti fuggire in questo modo, senza neanche salutare. Ma il bello è che, dopo tutto questo tempo, sei rimasta esattamente uguale a come ti ricordavo-.
Un momento di imbarazzo li fece allontanare.
-Vale la stessa cosa per te-, replicò la ragazza, abbassando lo sguardo.
-No, ti sbagli. Forse esternamente avrai questa impressione, ma se avessi l’opportunità di conoscermi meglio ti accorgeresti che non è così-.
-Hai detto bene: se avessi-.
Brick si bloccò per un attimo e soppesò le parole appena udite, chiedendo un secondo dopo: -Che cosa stai cercando di dirmi?-.
-Nulla di importante-.
-Stai mentendo di nuovo-.
-Oh, e va bene!-, esclamò spazientita Jo. -Saresti in grado di spiegarmi come pensi che io possa conoscerti se partirai tra due giorni appena?-.
-È questo il problema, allora-, disse compiaciuto il ragazzo.
-Che? Ehi, hai sicuramente capito male…-.
-Vai pure avanti-, la esortò Brick.
-Tu… Stai per andartene-, riprese a stento la bionda. -Rimarrai lontano per sei mesi, in missione e… Non hai paura che possa succederti qualcosa?-.
-No, affatto-.
-Ma come puoi essere così tranquillo?-.
-Perché so che, qualsiasi cosa accada, avrò compiuto il mio dovere-.
-Quale dovere? Quale? Andare di spontanea volontà a farti uccidere?-.
-È una questione d’onore, Jo. Sai che fine fanno i disertori?-.
-Non ti sto chiedendo di disertare, ma di rifiutare l’incarico-.
-Per quale motivo dovrei farlo?-.
-Perché sono preoccupata per te!-.
Il vento portò via la motivazione che tanto stava agitando Jo. Brick la guardò e le sorrise.
-Forse non sei poi tanto uguale a come ricordavo-.
-Questo è tutto quello che hai da dire?-, domandò quasi in lacrime la ragazza.
-Potrei dirti molto altro…-.
-Allora fallo! Stai dimostrando di essere solo un egoista! Non ti importa se le persone che ti conoscono e ti vogliono bene soffrano? Non ti importa se si piangerà per te?-.
-Tu lo faresti?-.
-Come?-.
-Piangeresti… Per me?-.
Stavolta fu Jo a rimanere paralizzata. Sentiva che qualcosa stava cambiando, nel loro rapporto appena riaperto. E desiderava ardentemente che si arrivasse ad una svolta.
-Sì-, sussurrò debolmente. -E ho paura che lo farò anche quando sarò certa della tua partenza-.
Brick le si avvicinò e allargò le braccia: aveva ancora paura che la ragazza potesse respingerlo con una mossa di karate o simili. Perciò aspettò pazientemente che fosse lei a compiere la prima mossa.
Dal canto suo, Jo non resistette a quel gesto: calde lacrime iniziarono a scorrerle lungo le guance e lei nascose il volto appoggiandosi delicatamente contro il petto e la spalla del soldato, che la strinse dolcemente a sé, accarezzandole la schiena.
-Perché, Jo? Perché piangi, adesso?-.
-Perché ti odio quando te ne vai-.
Brick sorrise ascoltandola parlare. Sorrise e fu felice di non essere stato visto dalla ragazza, che senza staccarsi disse: -Promettimi che non partirai-.
-Non posso. Sai che non mi è permesso-.
-Allora giura che tornerai presto da me-.
-Hai la mia parola-.
Jo lo fissò negli occhi e sentì una scarica elettrica attraversarla dalla punta dei capelli alle dita dei piedi, certa che anche il soldato avesse provato la stessa sensazione.
-Sono stata cieca per così tanto tempo… E ora sarò costretta a vederti mentre vai via-.
-No; ma ci dovrai essere quando verrò a bussare alla tua porta. Per quindici anni ho aspettato questo momento; ci sono stati periodi in cui ho temuto di averti persa per sempre, perché sapevo che tu non avevi nemmeno intenzione di incontrarmi. Ma quando Zoey mi ha chiamato per questa cena, dicendomi che ci saremmo stati tutti, ho subito pensato a te e all’irripetibile opportunità di parlarti-.
-Soldato, ora sei tu a dovermi dire esattamente quello che vuoi-.
Brick prese il respiro e rispose: -Non ho voluto una famiglia perché non avrei mai potuto con una donna diversa da te-.
Jo, imbarazzata, ma entusiasta, ammirò il proprio riflesso nei profondi occhi neri del soldato e si convinse della veridicità delle sue parole.
-Guarda dove ti ha portato la tua assurda fedeltà-, lo punzecchiò lei.
-Mi ha condotto esattamente dove desideravo andare-, replicò Brick.
Le accarezzò una guancia e rimosse le lacrime che le rigavano ancora il viso, poi accorciò ancor di più la distanza che separava le loro bocche e posò le labbra su quelle della bionda, che si abbandonò finalmente a quel sentimento che aveva represso per quindici lunghi anni, cercando perfino di rimuoverlo dalla propria testa.
-Starai con me, Jo? Staremo insieme quando tornerò?-.
-Per sempre-, rispose la ragazza, stringendosi ancora al soldato.
L’aria fresca li abbracciò, catturando il fermo immagine di quel loro momento. Niente faceva più paura: avrebbero affrontato ogni cosa stando fianco a fianco, lottando come sapevano fare, accettando la nuova sfida che la vita aveva riservato loro.

   
 
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