Quando te ne vai
Anche
quella stancante giornata era finita e finalmente avrebbe potuto
stendersi sul
letto e smettere di pensare.
La
ragazza scese dal taxi e salì i primi gradini di ingresso;
armeggiò per alcuni
secondi con la chiave, recuperata da un angolo imprecisato della borsa,
ed
entrò in casa accendendo la luce.
Si
avvicinò al grande specchio che sua madre aveva insistito ad
acquistare e fissò
il proprio riflesso: l’aria stanca gravava sulla sua
espressione, rimasta
orgogliosa nel corso degli anni. Certo, si era accorta di quelle
tremende
occhiaie che non era riuscita a nascondere nemmeno con una tripla
passata di
fondotinta, ma poteva ritenersi comunque soddisfatta: il suo era un
lavoro che
spesso non le permetteva di fare un sonno decente. Anzi, tantissime
volte era
stata costretta a passare le nottate lontana da casa, aspettando fuori
da
ospedali, stadi o svariate abitazioni.
“Cosa
non si fa per qualcosa che ci piace?”, pensò la
ragazza, esaminando più
attentamente un capillare che aveva improvvisamente fatto capolino
sotto
l’occhio destro.
Si
voltò verso la porta e notò alcune buste per
terra: c’era parecchia posta per
lei. Perfino arretrata.
“D’altronde
l’ultima volta che sono tornata è stata una
settimana fa”, rifletté,
avvicinandosi alla corrispondenza e inginocchiandosi per raccogliere il
tutto.
“Vediamo
un po’… Assicurazione, raccomandata,
pubblicità… Il rinnovo dell’abbonamento
al
giornale… Non credo che confermerò la consegna
delle copie: non ho mai tempo
per leggere ciò che desidero! Mah… Altra
raccomandata, avviso dalla banca e…
Questo cos’è?”.
Stringeva
tra le mani quella che sembrava la busta più recente. Sul
retro era riportato
solo il suo indirizzo: il mittente era, per il momento, sconosciuto.
“Che
maniere! Almeno potevano mostrare la decenza di scrivere un nome, un
cognome,
qualsiasi cosa per farsi riconoscere!”.
Strappò
senza troppa gentilezza la carta ed estrasse un foglio ripiegato con
cura; lo
spiegò e iniziò a leggere, sgranando gli occhi
man mano che raggiungeva la fine
del messaggio.
Alla cortese attenzione
della Sig.na Jones
Carissima Jo,
perdona l’introduzione fin
troppo formale di questa breve lettera, ma credimi, non sapevo proprio
da dove
iniziare.
Spero che tu ti ricordi di
me: sono Zoey Mash, una vecchia compagna di viaggio.
Non hai l’aria perplessa,
vero? Non mi hai dimenticata, no?
Be’, se rammenti la nostra
esperienza al reality Total Drama, non posso non comparire nella tua
memoria.
Ti starai chiedendo come
mai, a distanza di anni, ti invio questa lettera. È
semplice: sono rimasta in
contatto con alcuni dei concorrenti e ho deciso di allestire una cena
per
ricordare i bei tempi.
Sei invitata,
naturalmente; la riunione si terrà il prossimo 22 settembre
presso il
ristorante “Atelier” di Ottawa alle 20.30.
Spero che non mancherai a
questo appuntamento. Ti aspetto,
Zoey
“Una
cena? Dopo
tutto questo tempo? Ah no, te lo puoi scordare: mi rifiuto di prendervi
parte!”.
Lesse di nuovo le
poche righe scritte a mano dall’ex compagna di squadra e fu
tentata di
accartocciare il foglio, ma poi ci ripensò.
“La lettera è
datata 11 settembre; oggi è il 15…
L’appuntamento sarebbe sabato prossimo! Mi
pare di essere in trasferta, però. Sarà meglio
che controlli l’agenda”.
Frugò nuovamente
nella borsa e afferrò un piccolo diario zeppo di biglietti,
mappe e foglietti
contenenti appunti. Sfogliò in fretta le pagine e si
fermò alla settimana
successiva.
“No, mi sono
sbagliata. Giornata libera, a quanto pare. Peccato, dovrò
inventare una scusa
per non andare”.
Pensò ad una
miriade di sciocchezze, ma nessuna le parve abbastanza plausibile. E
dopo
essersi spremuta le meningi per una decina di minuti, decise di
rinunciare.
“Al diavolo!”, si
disse. “Una cena non ha mai fatto male a nessuno…
O no?”.
Riflettendo ancora,
si diresse in camera da letto e si stese, chiudendo gli occhi per un
solo
momento: come un flash comparve nella sua testa l’immagine
dell’avventura sulla
tremenda isola di Wawanakwa e quella dell’eliminazione subita
da uno scricciolo
di ragazzo. Che alla fine si era portato a casa un bel milione di
dollari.
“Ma pensa… Erano
anni che non prestavo più attenzione a certe stupidaggini.
Eravamo dei ragazzi
davvero idioti, non c’è che dire”.
Ricordò le sfide
vinte dalla sua squadra, le mosse strategiche adoperate per arrivare a
tutti i
costi al successo, le finte alleanze con un altro compagno che non
aveva mai
smesso di scambiarla per un maschio.
“Se dovesse
venire alla cena, sarò curiosa di vedere se
riuscirà a riconoscermi”.
E poco alla volta
le tornarono in mente anche i nomi di quei concorrenti: Cameron,
Lightning, un
tale di nome Mike dalle personalità multiple –
“Quello sì che era un fenomeno
da baraccone!” – Zoey.
Ce n’erano altri,
Jo lo sapeva bene. Ora ricordava tutto. Ma era sicura che a sfuggirle
ci fosse
qualcos’altro. O qualcun altro.
“Chi manca
all’appello? Mi sembra di averli detti tutti… Oh,
stavo dimenticando quella
Staci. Ma è stata insieme a noi per una mezza giornata; non
era importante.
Pensa, ragazza, pensa: c’è altro che stai
scordando”.
Ricapitolò
mentalmente i nomi dei compagni, associando a loro un particolare
momento. E
poi si mosse una corda silente dentro di lei che aveva sempre messo a
tacere.
“C’era anche quel
ragazzo… Diamine, aveva un nome assurdo! Ma qual
era?”.
Si sforzò di ricordare,
ma senza nessun risultato. Perfino il volto dello
“sconosciuto” era sfuocato
tra le sue memorie.
“Pazienza. Lo
incontrerò sabato prossimo”.
In fretta si
infilò una camicia da notte e si sistemò al
tepore delle lenzuola. Si girò su
un fianco e finalmente riuscì a prendere sonno, dormendo per
buone sei ore
filate.
La nottata fu
relativamente tranquilla, ma i pensieri non smettevano di tormentarla.
Così,
alle cinque e trenta di quella mattina di metà settembre,
svegliandosi di
soprassalto chiamò a gran voce: -BRICK!-.
***
Passò la
settimana che la separava dall’incontro con gli altri tra
scartoffie e
trasferte da uno stadio all’altro. La stagione del basket era
ricominciata già
da alcune settimane e il campionato si era fatto subito interessante.
Fu quindi
normale, per lei, preparare i bagagli per soggiornare in diversi hotel
di volta
in volta. Ciò che temeva era di non riuscire a tornare a
casa in tempo per
affrontare al meglio la cena di cui era stata avvisata qualche giorno
prima.
“Devo
assolutamente trovare qualcosa di adatto da indossare”:
questo era stato il suo
primo pensiero. “Non posso di certo presentarmi in tuta e
scarpe da ginnastica.
Ormai quello è il passato”.
Quando finalmente
fu libera dagli impegni, si fiondò non molto
entusiasticamente nell’odiato
shopping. Si fermò davanti alle vetrine, entrò in
disparati negozi per vedere
se ci fosse qualcosa di “giusto per lei”,
provò vestiti su vestiti. Ma niente
si rivelò all’altezza delle sue aspettative. E
delle sue esigenze.
“Possibile che
sia sempre uno shock fare spese?”, si stava chiedendo mentre
tornava a casa
dopo l’ennesimo buco nell’acqua. “Se mi
vedesse mia madre mi prenderebbe ancora
per una ragazzina!”.
Entrò
nell’appartamento e si rifugiò nella sua camera.
Spalancò l’armadio e tirò
fuori alcuni capi poggiandoli sul letto.
“Questo vestito è
datato, quest’altro è semplicemente inguardabile.
Uhm, questo potrebbe andare
bene… Ah, c’è uno strappo dietro alle
gambe! Ecco perché non l’ho più
messo”.
Selezionò e
riprovò, divertendosi ad immaginare addirittura una
“sfida tra abiti”.
“E in semifinale
vanno la gonna nera lunga fino al ginocchio, la camicetta blu, il
completo
giacca e pantaloni, il vestito che mi ha regalato mamma per Natale!
Diamo il
via alla prima gara: lotteranno per un posto in finale la gonna ed il
completo!”.
Dopo aver
trascorso altri venti minuti chiedendosi se fosse più
opportuno scartare il
tailleur o il vestito, si decise per il primo dei due.
“Avrei
risparmiato tempo se non mi fossi catapultata nei negozi”, si
disse, Jo
ammirando giacca e pantaloni di un bellissimo grigio perlato.
“Questo è il
completo che ho indossato al matrimonio di mio fratello. Potevo
pensarci
subito!”.
Guardò l’orologio
che teneva al polso e si spaventò per l’ora: era
già in ritardo sulla tabella
di marcia.
“Devo darmi una
mossa con i preparativi! Tra trenta minuti dovrò uscire di
casa”.
Si chiuse in
bagno, concedendosi una rapidissima doccia, poi mise il tailleur e
recuperò da
una scatola chiusa un paio di scarpe dal tacco non troppo alto; si
avvicinò
allo specchio sistemato nell’ingresso, prese una piccola
trousse risalente ai
suoi diciotto anni e si colorò lievemente le guance con una
leggera tonalità di
rosa.
“Mi sembra che
possa bastare. Sono già abbastanza
irriconoscibile”.
Ultimo tocco fu
un lucidalabbra color ciliegia che le stravolse completamente
l’espressione.
“Uhm, fa
abbastanza pena. Ma adesso ho fretta e non posso restarmene per
un’altra
mezz’ora davanti allo specchio!”.
Prese una
pochette che sua madre le aveva regalato per il suo ultimo compleanno e
uscì di
casa, fermando immediatamente un taxi.
-Dove la porto?-,
chiese l’uomo al volante.
-All’”Atelier
Restaurant”. Il prima possibile-, rispose, sedendosi in
macchina e chiudendo lo
sportello.
Il silenzioso
viaggio di autista e passeggera durò non meno di venti
minuti; quando la
macchina si fermò, Jo pagò la corsa e con
difficoltà entrò nel ristorante.
“Maledetti
tacchi!”, pensò, sentendo le piante dei piedi
andare a fuoco. “Me la pagherete,
un giorno!”.
Si avvicinò alla
reception e ricevette le informazioni di cui aveva bisogno; un
cameriere la
scortò fino ad una sala non molto distante, quella sera
riservata
esclusivamente agli ex concorrenti del famoso reality.
-Prego,
signorina-, la invitò ad entrare il cameriere. -Le auguro
una buona serata-.
La bionda, presa
da un’improvvisa quanto inspiegabile agitazione, fece il suo
ingresso nella
stanza e prima che se ne potesse accorgere venne abbracciata
calorosamente
dalla mittente dell’invito.
-Jo! Che piacere
vederti! Ti trovo in gran forma!-, la salutò Zoey, senza
mollare la presa
sull’amica.
-P-Piacere mio.
Sei rimasta la stessa, eh?-.
-Oh, scusami! Sai
com’è, l’emozione mi ha presa
totalmente! Vieni, ci sono anche gli altri!-.
Le due si
avvicinarono ad una lunga tavolata e Jo riconobbe i profili di Cameron
e Mike.
-Guarda chi si
vede! Ciao, Jo!-, la chiamò l’occhialuto,
andandole incontro.
-Sono contento di
rivederti, dopo tutto questo tempo-, aggiunse Mike, stringendole la
mano.
-Sì, be’… Sono
contenta anch’io, ragazzi-.
-No, non ci
credo! Il mio amico è venuto a farci visita!-.
Jo si voltò,
ritrovandosi davanti un ancor più muscoloso Lightning.
“Pieno e
strapieno di steroidi… E il cervello è andato via
via bruciandosi”, pensò la
ragazza.
-Amico, non sapevo
che fossi diventato un travestito! Al Fulmine non sono mai piaciuti
i…-.
-Lightning, va
tutto bene. Vedi di calmarti-, disse innervosita la bionda,
soffermandosi
sull’espressione sconvolta del giovane.
-Ehi, stanno
arrivando Dakota, Sam e Ann Maria-, li interruppe Cameron,
affacciandosi dalla
grande finestra alle loro spalle.
-Non sono
cambiati per niente-, notò Mike, sorridendo. -Sembra che il
tempo non sia
trascorso!-.
-Ci sono anche
Dawn e Beverly… Ma quello non è Scott?-,
domandò Zoey, affiancando i due
ragazzi.
-Già. Adesso si è
fatto crescere il pizzetto… Ha un’aria
più sinistra del solito-, affermò
convinto Cameron.
-Andiamo a dare
il benvenuto a tutti! Ormai a mancare sono solo due di noi-,
esortò la rossa,
uscendo dalla stanza seguita dagli altri.
Jo salutò i nuovi
arrivati con leggero distacco: in fondo erano passati anni
dall’ultima volta
che li aveva visti e ritrovarseli di fronte dopo tutto quel tempo la
imbarazzava non poco.
-Vogliamo
entrare? Così iniziamo ad ordinare-, propose Zoey, facendo
strada.
Ognuno prese
posto al tavolo. Jo si ritrovò stretta tra Lightning e
Cameron, mentre Dawn,
Beverly e Sam sedevano davanti a loro. C’erano solo due posti
vuoti e Mike
volle sapere il motivo del ritardo.
-Ho sentito
Staci, qualche giorno fa, e mi ha detto di aver già preso un
impegno. Secondo
quanto mi ha raccontato, doveva recitare all’Opera il ruolo
di Odette del “Lago
dei Cigni”-, spiegò brevemente Zoey. La tavolata
fu scossa da una leggera e
sommessa risatina di scherno.
-E Brick? Ti ha
chiamata?-, domandò Dawn.
Jo, che stava
addentando una fetta di pane, sentì il boccone prendere la
via della trachea e
non dell’esofago. Tossì e bevve un gran bicchiere
d’acqua, battendosi
leggermente il petto e lacrimando.
-Sì. Non era
sicuro di venire perché avrebbe potuto fare tardi. Mi ha
detto che ultimamente
il suo lavoro lo sta stressando fin troppo-.
-È rimasto in Accademia?-,
chiese Cameron.
-Esatto. Non so
che grado ricopra, ma deve essere qualcosa di importante-.
Nessuno parlò per
un paio di minuti; il silenzio venne interrotto solo
dall’ordinazione presa
dallo stesso cameriere che aveva accompagnato Jo nella sala.
I ragazzi
parlarono di quanto accaduto in quel lungo periodo di distanza. Dawn
raccontò
di essere stata in Africa per la salvaguardia della savana; Ann Maria
disse di
aver aperto la propria attività di parrucchiera e
distribuì alle altre ragazze
un bigliettino di presentazione.
-Mi raccomando-,
disse, strizzando l’occhio, -venite a trovarmi. Avrei
già una bella idea per i
vostri capelli-.
Fu poi il turno
di Cameron: con i soldi vinti si era pagato delle ottime cure per
risolvere
quei piccoli problemi di salute che lo avevano afflitto fin dalla
nascita e poi
si era dedicato all’Università; Scott
confermò di aver terminato le superiori e
di aver lavorato per un brevissimo periodo come benzinaio.
Jo seguì in silenzio
i discorsi dei compagni, pensando a tutto quello che le era successo.
Ciò che
più la colpì fu il fatto che ognuno degli altri
avesse in qualche modo incontrato
una persona tanto speciale da fargli battere il cuore, mentre lei non
aveva
avuto questa fortuna. O forse aveva soltanto cercato di evitare quei
sentimenti
che le provocavano la perdita del controllo.
C’era qualcosa,
in lei, che tentava di uscire fuori, ma che inevitabilmente veniva
represso
dalla volontà stessa di Jo. Da tempo desiderava provare
sensazioni diverse,
piacevoli, ma se ne vergognava profondamente. Credeva di non essere
più lei.
-Scusate il
ritardo. Un superiore ha prolungato la riunione più del
dovuto-.
La bionda venne
riportata alla realtà da quelle poche parole. E
sentì il cuore accelerare,
agitato, in preda al panico.
-Brick! Che
bello, alla fine ce l’hai fatta!-, esclamò Zoey,
alzandosi dal tavolo e
abbracciando il ragazzo.
-Mi sarebbe
dispiaciuto mancare a questa riunione. Buonasera a tutti, compagni-.
Anche gli altri
commensali lo raggiunsero; tutti tranne Scott, che tranquillamente si
passava
uno stuzzicadenti tra le labbra, e Jo, pietrificata sulla sua sedia.
-Ciao, Scott.
Jo-.
Il soldato la
salutò con un gesto della testa e la ragazza si
sentì sprofondare. Quanto
poteva essere sciocca?
“Potevi almeno
andare a stringergli la mano… Sono anni che non lo vedi e
poi fai questa
figura?”, si disse, pentendosi di non aver fatto nulla.
-Allora, ragazzi:
come ve la passate?-, chiese sorridente Brick, prendendo posto accanto
a
Dakota.
-Oh, abbastanza
bene. Stavamo discutendo di quello che abbiamo fatto in questi quindici
anni-,
riepilogò Zoey, prendendo una bottiglia e versandosi
dell’acqua.
-Bene. Raccontate
anche a me. Sam, che ci dici?-, domandò il ragazzo,
sporgendosi per vedere il
nerd.
-Sono andato
all’Università insieme a Cameron e mi sono
specializzato ulteriormente in campo
informatico. Adesso lavoro in una grande azienda vicino a Toronto. E
vivo con
Dakota-, rispose felice.
-Già, io e Sam
conviviamo già da quattro anni. Da quando ci siamo
trasferiti ho iniziato a
lavorare per un’emittente televisiva: adoro fare la showgirl,
era il mio sogno
fin da bambina!-, trillò la bionda, guardando il suo ragazzo.
-E voi due? State
ancora insieme?-, chiese ancora Brick, rivolgendosi a Zoey e Mike.
-Certamente. Non
ci siamo più lasciati, da quando ci siamo conosciuti. Il
nostro è stato un
colpo di fulmine-, disse il ragazzo, prendendo per mano la rossa.
-Dawn, che cosa
fai adesso?-.
-Sono una
fortunata veterinaria. Recentemente ho salvato un piccolo cagnolino da
una fine
terribile; ma la cosa di cui vado più fiera è
l’essere riuscita a vincere la
causa contro Chris McLean per lo scandalo radiazioni a Wawanakwa-.
Beverly batté le
mani in segno d’approvazione e la bionda tradusse per tutti:
-B dice di essere
molto contento di stare con tutti noi, stasera. E ci informa di essere
diventato un richiestissimo DJ-.
-Bravo,
ragazzone! Ma fate i complimenti anche a me, ragazzi: avete di fronte
un grande
campione di basket!-, si intromise Lightning, gonfiando il petto.
-Grande campione
non direi; se lo fossi davvero, non staresti ancora militando nel
campionato di
Seconda Divisione-, lo provocò Jo.
-Seconda Divisione?
Mi avevi detto di guadagnare milioni!-, esclamò Ann Maria,
delusa per la
menzogna del palestrato.
-Eh, io… Cioè…-.
Brick rise e
commentò: -Dai, si scherza! Conosciamo bene le tue
qualità tecniche-.
Il soldato tese
la mano per prendere la bottiglia dell’acqua e
lanciò una fugace occhiata a Jo,
che non aveva smesso di guardarlo fin dalla sua entrata in scena. La
bionda,
accorgendosi di quella improvvisa attenzione, si voltò
dall’altra parte,
sentendosi arrossire.
-Scott, invece?
Dove lavori?-.
-Ho aperto
un’officina tutta mia. Sono un provetto meccanico,
modestamente-, replicò il
rosso, abbandonandosi allo schienale della sedia e portandosi le
braccia dietro
alla testa.
-Ben fatto. Hai
trovato qualcosa di adatto a te. E… Jo?-.
La ragazza, che
stava cercando di distrarsi guardando la parete affrescata alla sua
destra, fu
costretta a rivolgersi al resto della tavolata. Vedere Brick
così attento
nell’esaminarla la fece sentire ulteriormente a disagio, ma
fu sicura che anche
lui provasse qualcosa di simile.
-Per qualche anno
mi sono data alla carriera atletica, diventando capitano della squadra
regionale di corsa campestre; poi ho deciso di dedicarmi al
giornalismo.
Attualmente faccio parte della redazione del “Weekly
Sport”-.
-Wow, amico, devi
assolutamente venire ad intervistarmi!-, la interruppe Lightning,
dandole una
gomitata tra le costole. -Il campionato di seconda fascia è
terribilmente…-.
-Noioso-, tagliò
corto lei. -Da quando lavoro per il giornale non ho mai messo piede in
un
vostro campo; mi hanno immediatamente inviata negli stadi di Prima
Divisione.
Un motivo ci dovrà pure essere, no?-.
Il viso già arrossato
della ragazza si fece quasi paonazzo quando, spostando lo sguardo su
Brick, lo
vide intento ad ammirarla con uno strano sorriso stampato sulla faccia.
E Jo si
sentì presa dall’ansia ancora di più.
“Ma perché fa
così?”, si chiese preoccupata. “Mi
sembra di essere tornata ai tempi del
reality…”.
-Ehi, Sir
Piscione, tu cosa stai facendo?-.
Quella domanda,
sgarbata e infantile allo stesso tempo, le era scivolata via dalle
labbra come
se niente fosse, naturale e innocua. Peccato, però, che gli
occhi di tutti vennero
puntati su di lei, imbarazzandola ulteriormente.
Il soldato non
rispose subito: era rimasto sorpreso dall’intervento di Jo.
Soprattutto dal suo
modo di fare. Poi le sorrise come mai aveva fatto prima e rispose:
-Sono ancora
in Accademia. E sto per partire-.
La bionda sentì
una corda del cuore lacerarsi. Provò un forte dolore al
petto e fu costretta a
passarsi una mano intorno al collo.
-Partire? E per
dove?-, domandò Zoey spalancando gli occhi.
-Andrò in
missione. Probabilmente rimarrò fuori dal Canada per buoni
sei mesi-.
Il silenzio calò
gelido sulla tavolata. Nessuno aveva il coraggio di guardarsi negli
occhi,
nessuno aveva il coraggio di incontrare lo sguardo di Brick. E Jo si
sentì
sprofondare, mentre il cuore le prendeva fuoco.
-Perché?-, chiese
dopo un paio di minuti.
-Uhm?-.
-Perché devi
andartene?-.
-Ve l’ho detto,
sarò in missione-.
-Ma perché?-.
-Perché la guerra
è guerra. E le alleanze tra Paesi non possono essere messe
in discussione-.
-Quindi è giusto
mandare a morire migliaia di giovani per cause ingiuste?-, si
infiammò Jo.
-Nessuno ha detto
questo-.
-Allora perché
parti?-.
-Perché è il mio
lavoro-.
La bionda non
trovò le parole giuste per replicare a
quell’ultima risposta. Sentendosi
accaldata, si alzò da tavola e si diresse in bagno tra gli
sguardi sorpresi dei
presenti.
Aprì la porta
della toilette e si specchiò: il riflesso le apparve
stravolto, preoccupato. E
si accorse di avere gli occhi lucidi, arrossati, pronti a versare
lacrime per
qualcosa che ancora non riusciva a comprendere del tutto.
“Ma che cosa sto
facendo?”, si chiese. “Perché mi sento
tanto a terra?”.
“Si chiama
affetto, Jo. Si chiama
amore”.
“No, non
è
possibile. Non ho mai provato niente del genere”.
“O forse non
ti ricordi di averlo
provato”.
“Cosa
vuol
dire?”.
“Che non
vuoi vedere il soldato
andarsene”.
“Erano
quindici
anni che non avevo sue notizie; lo avevo perfino dimenticato. Che me ne
importa
di lui?”.
“Il tuo
cuore dice altro. Sai che è
così. Non commettere due volte lo stesso errore”.
Una nuova
consapevolezza si fece strada nella sua testa. Si bagnò il
viso per scacciare
via i pensieri e tornò in sala con l’animo gonfio
di sentimenti contrastanti ed
apparentemente mai provati prima.
Sedette al
tavolo, riprendendo il suo posto, e Zoey le chiese se andasse tutto
bene.
-Non
preoccuparti, meglio di così non potrebbe andare-.
Per tutto il
tempo evitò accuratamente lo sguardo di Brick, che invece
non poté fare a meno
di lanciarle occhiate per l’intera serata. Quando finalmente
vennero serviti i
primi piatti, la discussione ricadde inevitabilmente sul futuro del
soldato.
-Via per sei
mesi… Sono davvero tanti-, notò con rammarico
Cameron.
-Passeranno in
fretta, ne sono sicuro. A porsi il problema sono quei militari che
lasciano a
casa parenti molto cari-.
-E questo non
è
il tuo caso?-, domandò Ann Maria con la solita aria
pettegola, mentre Jo
tendeva l’orecchio per sentire la risposta.
-No, in effetti.
Oltre ai miei genitori non ho nessun altro al mondo-.
-Ma che dici,
amico? Possibile che tu non abbia nemmeno una ragazza?-, chiese
Lightning,
masticando la sua bistecca al sangue con la bocca aperta.
-Già. Ho
preferito non mettere su famiglia: la situazione sarebbe stata troppo
complicata-.
-Questo significa
che vivi…-, iniziò Dawn, guardando orripilata il
palestrato e il suo pasto.
-Solo per il
dovere. Esatto-, sentenziò Brick con un ultimo sorriso,
oscurato subito dopo da
chissà quali pensieri.
Jo, che stava
tagliando la propria carne nel piatto, si costrinse a mandare
già qualche
boccone pur non avendo appetito: la conversazione non aveva fatto altro
che
provocarle uno strano dolore all’altezza dello stomaco.
-Quando
partirai?-, domandò ancora Mike all’amico.
-Lunedì
mattina
alle sei in punto-.
Fu la goccia che
fece traboccare il vaso. Jo posò le posate, che risuonarono
nella ceramica del
piatto riccamente decorato, si alzò di scatto e disse,
prendendo la borsa che
aveva poggiato ai suoi piedi: -Scusate, ragazzi. Mi sono ricordata di
avere una
riunione con il Caporedattore-.
-Cosa?
Ma… Jo,
non puoi andartene così! Finisci almeno di mangiare!-, la
pregò Zoey.
-Non ho fame. Mi
dispiace, sono di fretta-.
Si
catapultò
fuori dalla sala sentendo gli occhi pruderle, bruciati da lacrime che
voleva
nascondere a tutti i costi; raggiunse la reception e chiese che fosse
chiamato
un taxi, poi uscì all’aria aperta.
Il leggero vento
della sera le soffiò sul viso, mitigando il dolore che la
faceva star male;
passò una mano tra i capelli, ravvivandoli, e
pensò intensamente alle ultime
parole di Brick.
“Non se
ne può
andare”, rifletté senza darsi pace, “non
può farsi comandare così. Non deve partire. Dice di
avere solo i
suoi genitori: e allora? Crede che non soffrirebbero, sapendolo
così lontano e
per tanto tempo? Vivere di dovere, poi… Saranno passati
anche quindici anni, ma
è rimasto il solito!”.
-Jo?-.
La ragazza si
voltò lentamente. Sapeva bene di chi fosse quella voce e
temeva che sarebbe
scoppiata in un pianto disperato al solo vedere il viso del suo
interlocutore.
-Che vuoi,
Capitan Piscina? Tornatene dentro o ti si fredderà la cena-.
-Ho mangiato
anche troppo, per i miei gusti. Mi chiedevo che cosa avessi-, disse
Brick,
sorvolando sull’iniziale appellativo usato dalla bionda. Si
avvicinò pian piano
e rimase fermo a pochi passi di distanza, in attesa di una spiegazione.
-Niente di
niente. Sto solo aspettando il taxi: mi ero completamente scordata
dell’appuntamento
in ufficio-.
-E ti aspetti che
io creda a quanto dici?-.
-Perché
dovrei
mentire? Che interesse avrei?-.
-Ah, questo non
lo so. Ma sono sicuro che la tua sia una bugia bella e buona-.
-Come fai a
esserne tanto certo?-.
Il soldato si
prese qualche secondo per rispondere: -Sai, in Accademia mi hanno
insegnato a
valutare i comportamenti e le emozioni che provano le persone
sottoposte ad
interrogatorio. Dalla tua reazione si capisce bene che qualcosa non
quadra.
Sbaglio, forse?-.
“Ci hai
preso in
pieno, stupido”, pensò Jo, stizzita ed ammirata
allo stesso tempo.
-Anche se fosse?
A te cosa importa?-.
-Mi preoccupa
vederti fuggire in questo modo, senza neanche salutare. Ma il bello
è che, dopo
tutto questo tempo, sei rimasta esattamente uguale a come ti ricordavo-.
Un momento di
imbarazzo li fece allontanare.
-Vale la stessa
cosa per te-, replicò la ragazza, abbassando lo sguardo.
-No, ti sbagli.
Forse esternamente avrai questa impressione, ma se avessi
l’opportunità di
conoscermi meglio ti accorgeresti che non è così-.
-Hai detto bene: se avessi-.
Brick si
bloccò
per un attimo e soppesò le parole appena udite, chiedendo un
secondo dopo: -Che
cosa stai cercando di dirmi?-.
-Nulla di
importante-.
-Stai mentendo di
nuovo-.
-Oh, e va bene!-,
esclamò spazientita Jo. -Saresti in grado di spiegarmi come
pensi che io possa
conoscerti se partirai tra due giorni appena?-.
-È
questo il
problema, allora-, disse compiaciuto il ragazzo.
-Che? Ehi, hai
sicuramente capito male…-.
-Vai pure
avanti-, la esortò Brick.
-Tu…
Stai per andartene-,
riprese a stento la bionda. -Rimarrai lontano per sei mesi, in missione e… Non hai
paura che possa
succederti qualcosa?-.
-No, affatto-.
-Ma come puoi
essere così tranquillo?-.
-Perché
so che,
qualsiasi cosa accada, avrò compiuto il mio dovere-.
-Quale dovere?
Quale? Andare di spontanea volontà a farti uccidere?-.
-È una
questione
d’onore, Jo. Sai che fine fanno i disertori?-.
-Non ti sto
chiedendo di disertare, ma di rifiutare l’incarico-.
-Per quale motivo
dovrei farlo?-.
-Perché
sono
preoccupata per te!-.
Il vento
portò
via la motivazione che tanto stava agitando Jo. Brick la
guardò e le sorrise.
-Forse non sei
poi tanto uguale a come ricordavo-.
-Questo
è tutto
quello che hai da dire?-, domandò quasi in lacrime la
ragazza.
-Potrei dirti
molto altro…-.
-Allora fallo! Stai
dimostrando di essere solo un egoista! Non ti importa se le persone che
ti
conoscono e ti vogliono bene soffrano? Non ti importa se si
piangerà per te?-.
-Tu lo faresti?-.
-Come?-.
-Piangeresti…
Per
me?-.
Stavolta fu Jo a
rimanere paralizzata. Sentiva che qualcosa stava cambiando, nel loro
rapporto
appena riaperto. E desiderava ardentemente che si arrivasse ad una
svolta.
-Sì-,
sussurrò
debolmente. -E ho paura che lo farò anche quando
sarò certa della tua
partenza-.
Brick le si
avvicinò e allargò le braccia: aveva ancora paura
che la ragazza potesse
respingerlo con una mossa di karate o simili. Perciò
aspettò pazientemente che
fosse lei a compiere la prima mossa.
Dal canto suo, Jo
non resistette a quel gesto: calde lacrime iniziarono a scorrerle lungo
le
guance e lei nascose il volto appoggiandosi delicatamente contro il
petto e la
spalla del soldato, che la strinse dolcemente a sé,
accarezzandole la schiena.
-Perché,
Jo?
Perché piangi, adesso?-.
-Perché
ti odio
quando te ne vai-.
Brick sorrise
ascoltandola parlare. Sorrise e fu felice di non essere stato visto
dalla
ragazza, che senza staccarsi disse: -Promettimi che non partirai-.
-Non posso. Sai
che non mi è permesso-.
-Allora giura che
tornerai presto da me-.
-Hai la mia parola-.
Jo lo
fissò negli
occhi e sentì una scarica elettrica attraversarla dalla
punta dei capelli alle
dita dei piedi, certa che anche il soldato avesse provato la stessa
sensazione.
-Sono stata cieca
per così tanto tempo… E ora sarò
costretta a vederti mentre vai via-.
-No; ma ci dovrai
essere quando verrò a bussare alla tua porta. Per quindici
anni ho aspettato
questo momento; ci sono stati periodi in cui ho temuto di averti persa
per
sempre, perché sapevo che tu non avevi nemmeno intenzione di
incontrarmi. Ma
quando Zoey mi ha chiamato per questa cena, dicendomi che ci saremmo
stati
tutti, ho subito pensato a te e all’irripetibile
opportunità di parlarti-.
-Soldato, ora sei
tu a dovermi dire esattamente quello che vuoi-.
Brick prese il
respiro e rispose: -Non ho voluto una famiglia perché non
avrei mai potuto con
una donna diversa da te-.
Jo, imbarazzata,
ma entusiasta, ammirò il proprio riflesso nei profondi occhi
neri del soldato e
si convinse della veridicità delle sue parole.
-Guarda dove ti
ha portato la tua assurda fedeltà-, lo punzecchiò
lei.
-Mi ha condotto
esattamente dove desideravo andare-, replicò Brick.
Le
accarezzò una
guancia e rimosse le lacrime che le rigavano ancora il viso, poi
accorciò ancor
di più la distanza che separava le loro bocche e
posò le labbra su quelle della
bionda, che si abbandonò finalmente a quel sentimento che
aveva represso per
quindici lunghi anni, cercando perfino di rimuoverlo dalla propria
testa.
-Starai con me,
Jo? Staremo insieme quando tornerò?-.
-Per sempre-,
rispose
la ragazza, stringendosi ancora al soldato.
L’aria
fresca li
abbracciò, catturando il fermo immagine di quel loro
momento. Niente faceva più
paura: avrebbero affrontato ogni cosa stando fianco a fianco, lottando
come
sapevano fare, accettando la nuova sfida che la vita aveva riservato
loro.