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Autore: Nimel17    01/04/2016    2 recensioni
Elise pensa di avere già ottenuto tutto quello che poteva desiderare: è una ballerina famosa e sta partecipando allo spettacolo-evento dell'anno. Non sa, però, di essere destinata a molto di più.
Ma cosa significano allora una casa abbandonata, gli strani sogni, i sussurri e le ombre che la seguono ovunque?
Genere: Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Elise se ne stava in disparte mentre si preparava per il balletto: le avevano dato un tutù bianco, una corona di fiori e foglie sul capo e le avevano proibito di truccarsi gli occhi.
Si guardò allo specchio dell’altro capo della sala, occupante tutta la parete: sembrava giovane, tanto più giovane dei suoi venticinque anni, con i capelli castani raccolti in una treccia disordinata e i grandi occhi scuri, troppo dominanti sul viso minuto. Nessuno sapeva che metteva lenti a contatto colorate, per nascondere l’iride azzurra.
Le sembrò di cogliere all’improvviso un’ombra scivolarle alle spalle, ma quando si voltò non c’era nessuno. Tornò in prima posizione, rabbrividendo: non era la prima volta che le capitava di vedere forme strane fluttuare sui muri o sul pavimento, o di udire risate acute in lontananza. Ogni notte, prima di addormentarsi, proprio quando gli occhi le si stavano chiudendo, credeva di sentire sussurri che dicevano “Una di noi, una di noi….”
Appoggiò la gamba alla sbarra, chinandosi fino a toccare la punta, fino ad avere il familiare bruciore diffondersi lungo i quadricipiti.
“Elise? Sei pronta?”
Frederick era una volta uno dei più bravi ballerini nel mondo della danza, ma la sua carriera era stata stroncata dallo scandalo d’essersi presentato alla prima de “Lo Schiaccianoci” ubriaco fradicio. Fortunatamente, precedenti contatti con le persone giuste gli avevano permesso di restare a teatro per dirigere i balletti e col tempo si era fatto un nuovo nome per i suoi ritocchi originali e stravaganti alle storie rappresentate.
Era stato lui a scoprirla, otto anni prima: Elise faceva danza classica da quando era piccolissima, ma era stata considerata da molti troppo giovane per avere l’esperienza necessaria per interpretare ruoli come Odette o Giselle. Dopo il suo debutto ne “Il lago dei cigni”, tuttavia, i critici avevano unanimemente concordato che, quello che mancava di esperienza, era più che compensato dalla leggerezza dei suoi movimenti, cosa che le aveva guadagnato il soprannome di “Le Fay”.
Elise la fata.
Da allora, Fred era sempre stato suo mentore e capo, ma non avevano mai avuto una relazione. Lei non ne aveva mai avuto una. Non solo perché la danza le occupava gran parte delle giornate, ma anche perché ogni volta che aveva un appuntamento, o rimaneva invano ad aspettare al ristorante, o era costretta ad andarsene per il pessimo comportamento dello spasimante. Fortunata nella carriera, sfortunata all’ennesima potenza in amore.
Mentre si metteva in posizione e si preparava ad uno chassé, rilassando i lineamenti in un sorriso sognante, ripercorse mentalmente la storia del nuovo balletto: quattro atti, ognuno con un proprio racconto. Lei sarebbe entrata nell’ultimo atto come una fanciulla che raccoglieva fiori in un prato e veniva ghermita dalla Morte in una danza fatale.
Il suo compagno in quel pas de deux era completamente nascosto da un mantello nero e logoro, il viso era coperto da una maschera rassomigliante un teschio: Elise doveva ancora conoscerlo, straordinariamente, non aveva nemmeno afferrato il suo nome. Fred aveva insistito affinché provassero separati (fortunatamente il contatto nel loro duetto era minimo) per sottolineare, la sera della prima, l’improvvisazione e la stranezza di ballare con la Morte.
Brisé. Croisé.
La storia era macabra, permeata da un’atmosfera onirica, solo che alla fine non c’era nessuna fanciulla che si svegliava di scatto a causa dell’incubo.
En dedans.
Aveva ancora i brividi, ma finse di attribuirli alla bassa temperatura della sala.
“Basta così, lo spettacolo è domani. Riposatevi e ricordatevi, da dopodomani potrete bere fino a svenire, ma guai se nelle prossime ventiquattr’ore vi concedete anche mezzo sorso di birra, chiaro?”
Il meteo prevedeva neve nei giorni seguenti ed Elise era grata che non nevicasse prima del balletto: molte ballerine ci rimettevano almeno una caviglia slogata.
Non appena a casa, si fece una doccia bollente e s’infilò subito a letto, sotto il piumone, troppo stanca persino per mangiare; i muscoli le dolevano ed era ancora infreddolita sino alle ossa.
Si avvolse come un bozzolo con le coperte, tremante, gli occhi che le bruciavano come se avesse la febbre… ma non poteva permettersi di ammalarsi ora.
“Una di noi…”
“Vieni, bella signorina, balla con noi…”
Quelle voci che lei ignorava, sera dopo sera, la cullavano fino a farla dormire, accompagnate dal solito pensiero.
Non sono pazza.

 

Quella casa l’aveva chiamata da quando si era trasferita in quella in fondo alla collina: ogni giorno vedeva quella in cima, alta e oscura, spesso circondata dalla nebbia. In paese dicevano fosse disabitata e, avventurosa quindicenne, non aveva resistito alla tentazione di esplorarla.
Nonostante all’esterno le pareti sembrassero fragili e scrostate, non appena era entrata, grazie a una finestra rotta, si era accorta che l’interno era ben pulito: le travi e le assi del pavimento erano solide, i quadri appesi ai muri erano macchie di colori vivaci e i lampadari formati da gocce di cristallo riflettevano la poca luce che entrava dagli spiragli.
Quella non era una casa disabitata.
Stava per uscire, ma i vetri che le avevano permesso di entrare erano ora intatti e le porte erano più robuste di quanto apparissero; strane risatine acute la fecero voltare di scatto, ma non vide nessuno. Si allontanò dall’ingresso, cercando un’altra via d’uscita, girando su se stessa come se temesse di essere attaccata alle spalle.
“Non dovresti essere qui.”
Elise sobbalzò a quella voce profonda, ma era sempre sola.
“Vedi.”
Non sapeva perché non riuscisse a urlare: la stanza, deserta fino a pochi istanti prima, era ora piena di creature mostruose, la maggior parte non più alta di mezzo metro, ma così orribili! La loro pelle era verde, bitorzoluta e pelosa, ma la somiglianza comune finiva lì: alcuni avevano orecchie a punta, altri pendule, c’erano visi schiacciati, stretti, tondi e il numero di occhi era estremamente vario. Non ce n’era uno con una figura proporzionata: quasi tutti avevano braccia lunghe fino a strofinare il dorso delle mani (più simili a zampe) sul pavimento. Le loro risate stridule la ferivano come unghie strisciate sulla lavagna, le iridi gialle o rosse erano piene di una gioia malvagia che le faceva accapponare la pelle.
“Graziose bestioline, vero?”
La ragazza si allontanò d’istinto da quella voce: non era giusto che un essere grottesco ne avesse una così bella e suadente.
In verità, il suo interlocutore assomigliava per alcuni tratti a un umano: molto più alto di lei, assai magro - no, magro non era la parola giusta, evocava un corpo scheletrico, invece quello di lui era sottile e filiforme, aggraziato. Gli arti erano della lunghezza giusta, il volto era stretto e gli occhi, per quanto dal taglio leggermente obliquo, erano di un bel verde bosco. Poi, notò il naso appuntito come quello di un rapace, la bocca poco più di una linea sottile dotata di denti da squalo, le dita molto più lunghe del normale e terminanti con artigli affilati, i capelli che scendevano sino alle spalle in ciocche aggrovigliate ma fini, di un grigio sporco, la pelle pallidissima e… ali. Ali come quelle dei draghi o di pipistrelli enormi, solo più delicate, argentee e nere: gli uscivano dalle scapole e toccavano terra, immobili, come se fossero inutili.
“Chi… che cosa siete?”
“Il re di queste creature. Figlio di una principessa Fae e del Re dei Goblin.”
“Non è possibile, voi non esistete…”
“Non mi stai forse parlando, umana? Io sono il custode di questa soglia, con i miei sudditi faccio in modo che nessun uomo entri nel mondo faerico.”
“I-io ci sono entrata!”
“Perché te l’ho permesso, fanciulla, anche se dovrai pagarne il prezzo. Già che sei qui…”
Le tese una di quelle mani spaventose, il palmo rivolto verso l’alto: lei vi appoggiò istintivamente la propria e il successivo battito di ciglia stavano danzando a ritmo di una musica simile al valzer. Non aveva più i suoi jeans e la sua felpa, ma un vestito verde e fluente, i capelli si erano sciolti dalla coda, anche se non avrebbe saputo dire quando. Il suo compagno di ballo era vestito elegantemente degli stessi colori delle sue ali, ma la sua espressione era pensierosa, forse un poco delusa.
“Balli molto bene, umana, ma posso chiedere, se mi è lecito, quante primavere hai toccato?”
“Ho- ho quindici anni.”
“Come temevo. Jeunne encore.”
“Giovane… per cosa?”
“Per diventare una mia suddita, naturalmente, dato che hai oltrepassato soglie a te interdette e proibite, fanciulla. Anche se, vista la tua meravigliosa abilità nelle danze…”
La creatura tacque e non completò la frase, tornando alla sua maschera corrucciata. Sembrava riflettere e lei non aveva il coraggio di rompere quel silenzio.
Santo cielo, com’era fredda la sua pelle….
“Ora sei giovane, troppo giovane, temo. Tuttavia, il decimo Ruiros a partire da oggi, verrò a prenderti, umana danzante.”
“Rui…”

Elise si svegliò di soprassalto, la mano piegata come se fosse posata su un’altra. Si toccò la fronte gelida e cercò di ricordare il sogno, che sfuggiva alla sua mente sempre più in fretta: sapeva di aver ricordato la vecchia casa abbandonata, di aver ballato con qualcuno… si sforzò e si sforzò, ma riuscì solo a evocare un insieme di colori che giravano vorticosamente.
Nero, verde e argento.
Alla fine, rinunciò a ricomporre l’immagine: dopotutto, era solo un sogno.


Le luci non erano molto forti sul palcoscenico. Elise si muoveva aggraziata, con fiori tra i capelli, fiori tra le braccia e petali sul tutù, come Persefone nel mito greco.
Chassé.
Round de jamb en air.
Pas de bourrée.
Sissonne.
Con la coda dell’occhio, vide un’ombra nera avvicinarsi e sfiorarle le spalle; lei scivolò via per allontanarsi, ma sapeva che la Morte l’avrebbe seguita.
Quando la raggiunse, la sollevò in aria ed Elise fece cadere a terra tutti i fiori, come diversivo: quello non era previsto dalla coreografia e la ragazza si chiese confusamente perché l’avesse fatto.
“Non basterà qualche fiorellino a fermarmi, mia cara.”
Fortunatamente venne alzata una seconda volta, perché il corpo non le obbediva più. Riuscì a fare un paio di glissades, prima di accasciarsi a terra: la Morte aveva rubato alla fanciulla le prime forze, lasciandola indebolita. Lei, invece, utilizzò quel momento per scacciare la paura. Perché le aveva rivolto quelle parole? E la sua voce… le era familiare, ma al tempo stesso non apparteneva a nessuno che conoscesse.
Si rialzò in fretta e piroettò su se stessa, velocemente, la sfida titanica di una condannata al suo destino. Non appena sentì due mani posarlesi sui fianchi si fermò e si appoggiò al ballerino, alzando progressivamente la gamba tesa fino a sfiorarsi le orecchie.
“Cosa… cosa hai detto?”
Sentì una risatina alle sue spalle che le fece stringere lo stomaco.
Cos’aveva intenzione di fare?
Brisé.
En dedans.
Épaulement. 
I due si ritrovarono sotto la luce e, per la prima volta, Elise riuscì a scorgere qualcosa del suo viso: brillanti e freddi occhi verdi, qualche ciocca grigia e un accenno di sorriso.
Grigio… verde… nero…
Non si accorse nemmeno di aver ripreso a danzare, tanto la sua mente era piena di pensieri: quello non era il ballo giusto, il sogno dell’altra notte, ora ricordava… l’unica cosa certa erano loro due.
“Dieci anni fa è successo tutto per davvero?”
“Lo sai.”
“Le voci…”
“Erano per prepararti.”
“A cosa?”
Improvvisamente, le luci si spensero e la musica s’interruppe. Il pubblico si alzò in piedi per applaudire, ma Elise non lo sentì mai.
Non si trovava più a teatro, ma nella vecchia casa sulla collina di tanto tempo prima: chiuse gli occhi, intuendo che avrebbe dovuto rivedere anche quegli orribili mostri.
“Te lo avevo detto, che al decimo Ruiros ti avrei portata qui.”
“Ruiros?”
“Il terzo mese dell’anno celtico, il più freddo di tutti.”
Ci fu un istante di silenzio e la ragazza avvertì dei passi leggeri che le giravano attorno.
“Ho fatto bene ad aspettare. Hai superato le mie aspettative.”
“Aspettative?”
“Vedi, Elise, dieci anni fa hai sigillato due possibili destini, entrando qui. Avresti potuto diventare come i miei sudditi, o come me.”
Lei rabbrividì, pensando di diventare una di quelle creature.
“Visto che hai aspettato tanto, deduco che tu abbia scartato la prima ipotesi, Maestà.”
L’essere le sfiorò la guancia con uno dei suoi artigli ed Elise dovette farsi forza per non indietreggiare.
“Sei anche saggia… da tempo il mio regno non aveva una regina come te.”
La sorpresa la indusse ad aprire finalmente gli occhi: dopo essere stati chiusi per qualche minuto, le forme le tremavano davanti, ma lo mise a fuoco anche troppo presto. Lui le stava a malapena a un passo di distanza, il sorriso crudele che risaltava sul viso stretto, i capelli che le solleticavano la fronte e quegli occhi, il cui verde brillante si era oscurato quasi fino a confondersi con la pupilla.
Le ginocchia le tremavano tanto che temette di cadere; anche lui doveva condividere quel timore, perché le premette le mani sulle braccia, reggendola in piedi. La stretta era tuttavia troppo forte e, al suo gemito, l’altro allentò la presa.
“Hai paura.”
“Sì.”
“Perché? Non capita a tutte di diventare regina.”
“Dovrei… dovremmo…”
“Sposarci, naturalmente. Con la cerimonia nuziale, il mio sangue si mescolerà al tuo, impedendo alla vecchiaia e alla malattia di toccarti. Sarai per sempre giovane e bellissima come ora, potrai ballare senza mai sentire fatica o stanchezza, mia regina danzante.”
Lei deglutì. Si sforzò di convincersi che non correva nessun pericolo, che tutto quello non stava succedendo realmente, che non lo stava implorando con lo sguardo di lasciarla libera.
“Non capisco cosa ti rattrista, mia diletta.”
“Non voglio tutto questo!”
Lo disse con tanta forza da farlo indietreggiare, sciogliendola dalla sua stretta. Decisa ad approfittarne, Elise si voltò e corse verso l’uscita, aprendo la porta con il sangue che le pompava vittoriosamente nelle vene. L’apertura, tuttavia, conduceva solo a un altro corridoio.
Sapeva che era inutile percorrerlo, così si lasciò cadere sulle ginocchia, ansante, con il capo chino e gli occhi lucidi. Una leggera carezza sui capelli ormai sciolti le fece alzare gli occhi, sorpresa di non trovarlo in collera; inconsapevolmente, appoggiò il viso su quella mano, che, per quanto mostruosa, stava attenta a non graffiarle la pelle.
“Ora ti senti prigioniera, mia cara, perché sei ancora umana, ma da sempre sei destinata a essere qualcosa d’infinitamente più grande.”
“Come fai a esserne sicuro? Perché non rendermi una dei tuoi sudditi? Come fai a sapere che, da qualche parte, non c’è una donna nata per questo fato?”
“Perché ci sei tu, Elise. Ho sentito subito che eri speciale, quando ti sei trasferita.”
Lei scattò in piedi, pallida quasi quanto lui.
“Cosa vorresti dire? Ci siamo visti per la prima volta quando sono entrata in questa casa maledetta…”
“E che cosa ti chiamava qui?”
La ragazza tacque, passandosi le mani sul viso e mormorando parole senza dare loro voce.
“Ero io, Elise. Io ti chiamavo. Sapevo che eri venuta al mondo per regnare al mio fianco, quando ho sentito i tuoi pensieri, quando ho letto la tua anima, quando ti ho vista danzare. Purtroppo, non avevo tenuto in considerazione la tua età, troppo acerba per accogliere ciò che ti offrivo. Ti ho lasciato alla tua vita e sei sbocciata come un fiore meraviglioso e regale, come mi ero auspicato; ho fatto in modo che anche il mondo potesse vederlo, manovrando le scelte del mio burattino favorito, fino a che tutti non si sono resi conto della tua unicità. I miei consiglieri hanno scritto storie appositamente per te, perché tu le danzassi. Gli umani ti chiamavano la Fata, come se conoscessero il tuo destino. Non capisci? Era tutto scritto.”
Elise non sapeva se piangere per la delusione o ridere per l’amarezza: dopotutto, era stata solo una delle tante raccomandate del mondo del teatro. Lui la cinse da dietro, sfiorandole le tempie con un bacio leggero.
“Non fare così, mia cara. Ti conosco meglio di quanto tu conosca te stessa e, se nemmeno questo può convincerti della sincerità dei miei sentimenti… io ho solo mostrato al mondo quello che già c’era, Elise. Non ho fatto altro.”
Le labbra scivolarono lungo la guancia, fino a fermarsi all’angolo della bocca; erano fredde, ma morbide e non spiacevoli. Istintivamente, gli coprì una mano con la sua, trasmettendogli un po’ di calore.
“Noi ci completiamo, Elise. Lo vedi? Lo senti? Tu dai calore, io freschezza. Tu sei innocente, io un peccatore, tanto davanti alle tue leggi umane quanto davanti a quelle del mio popolo, benché nessuno osi criticare il re. Sei compassionevole dove io non ho pietà, bella dove io sono per te uno scherzo della natura. Il tuo cuore purificherà il mio, quando si sarà reso conto di come ti idolatra.”
Lei si sentiva tremare, toccata nel profondo da quelle parole. Cercò disperatamente un ultimo appiglio.
“Tutti mi cercheranno! Lo spettacolo….”
“È terminato. La grande Le Fay aveva il cuore debole e non l’ha detto a nessuno.”
“Impossibile.”
“Sei familiare con la nozione di changeling?”
Elise non rispose, perché aveva capito, alla fine.
“Non ho davvero scelta, allora.”
Lo disse senza amarezza, senza rancore, con suo stesso sgomento. Forse perché si era resa conto che nemmeno lui l’aveva, che doveva sentirsi incredibilmente solo nell’esercizio di quel cupo ufficio. Per la prima volta, fu lei a prendergli entrambe le mani, abituata finalmente alla loro stranezza. In fondo, il re non era brutto, era fortunata che non fosse come i suoi sudditi.
“Posso sapere il tuo nome?”
“Sai che se te lo dico, ti darò un grande potere su di me, mia diletta?”
“Lo so.”
“D’altra parte, ne hai già tanto, anche se non ne sei ancora consapevole… il mio nome è Morvith.”
I due iniziarono a danzare.




Angolo dell'autrice: Mi scuserete se non spiego le definizioni dei passi di danza, sono molto famosi e comunque facilmente reperibili su Wikipedia. Grazie a chi leggerà la storia e a chi vorrà lasciare qualche recensione :)
  
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