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Autore: xX__Eli_Sev__Xx    02/04/2016    7 recensioni
«Perché non me lo hai detto, Sherlock?» domandò ancora, mollando la presa sul braccio dell’amico e riponendo la lettera nella tasca della giacca. «Perché non sei venuto da me?»
Sherlock chiuse gli occhi. «Non avevo il coraggio e non…» esordì, ma immediatamente esitò. «Se te lo avessi detto… se lo avessi ammesso ad alta voce, sarebbe diventato reale e impossibile da cancellare. Scriverlo era l’unico modo per non…» abbassò lo sguardo e le parole gli morirono in gola, prima di raggiungere le labbra.
John abbassò lo sguardo a sua volta, deglutendo a vuoto. Le sue mani presero a tremare. «Mio Dio, Sherlock, mi… mi dispiace… io non ne avevo idea.» dichiarò. «Non me ne sono accorto.»
«Ti ho detto mille volte che guardi ma non osservi.»
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Try to let you go
 
 
I have tried to let you go and I cannot.
I cannot stop thinking of you.
I cannot stop dreaming about you.

Il circo della notte – Erin Morgenstern
 
 
 
 Scrivere il discorso per il matrimonio di John era la cosa più complicata che Sherlock avesse mai fatto in tutta la sua vita. Trovare le parole adatte tentando di soddisfare le aspettative del suo migliore amico per non fargli fare brutta figura era più complicato di quanto avesse immaginato. L’uomo sapeva bene cosa avrebbe voluto comunicare, il problema era che non sapeva in che modo farlo.
 La guida diceva che l’importante non era la lunghezza quanto che venissero espressi al meglio i sentimenti che si provavano nei confronti del proprio amico. E proprio qui era nato il problema. Come poteva scrivere un discorso sincero e allo stesso tempo soddisfacente su quel fronte? I suoi sentimenti per John erano troppo profondi per essere condivisi pubblicamente, soprattutto al suo matrimonio. Inoltre, considerando che John era sempre stato molto più sveglio rispetto alle persone comuni, era certo che avrebbe capito ciò che lui avrebbe tentato comunicare. Perciò sapeva che non avrebbe dovuto spingersi troppo oltre. Doveva far capire al suo migliore amico che teneva a lui, senza però parlare troppo; se non avesse scelto le parole adatte avrebbe rovinato tutto: la loro amicizia, il matrimonio di John e, cosa peggiore, avrebbe minato la sua felicità.
 Constatato questo, non restava che una cosa da fare: chiamare qualcun in grado di aiutarlo e consigliarlo in quell’impresa apparentemente impossibile.
 Per questo aveva chiamato Lestrade. Perché sapeva che per quanto il suo intelletto fosse inferiore rispetto al proprio, quell’uomo era sempre stato più bravo con le parole, più di quanto lui non sarebbe mai stato anche in un milione di anni.
 Così, quando l’Ispettore era arrivato, insieme ad un elicottero e a sei volanti della polizia, il consulente investigativo, per la prima volta nella sua vita, si era ritrovato a dover chiedere il suo aiuto per una questione che non riguardava il lavoro.
 Il poliziotto aveva accettato volentieri e dopo aver allertato i colleghi che era tutto sotto controllo, si era seduto al tavolo accanto a Sherlock prendendo tra le mani le idee che l’amico aveva appuntato nelle due ore in cui era rimasto chiuso nel suo salotto a riflettere.
 
 Dopo altre due ore passate a sfogliare libri di ogni genere per trovare l’ispirazione, finalmente Sherlock prese a digitare sulla tastiera del su pc e lentamente il discorso prese forma, parola dopo parola.     
 Greg osservò a lungo lo schermo, leggendo le parole che il consulente investigativo stava scrivendo e quando ebbe concluso, sorrise. Qualche modifica qua e là e l’Ispettore poté affermare che il discorso fosse completo e più bello di quanto avesse immaginato. Rappresentava John e la sua amicizia con Sherlock, connotandola come qualcosa di speciale. Descriveva ciò che il loro rapporto era in realtà, senza approfondirlo troppo, quasi volesse rendere partecipi i presenti di ciò che c’era veramente tra loro, senza però violare l’intimità di quell’amicizia.
 Sherlock sospirò e annuì. «Fatto.» concluse. «Grazie dell’aiuto, Lestrade.»
 Greg si mise in piedi e sorrise. «Non ho fatto molto. Sono parole tue.» replicò, poi sospirò e osservò l’amico mettersi in piedi per riordinare i fogli sparsi ovunque sul tavolo del salotto. «Credo che dovresti dirglielo.» aggiunse.
 «Cosa?» domandò con disinvoltura, gettando i fogli scarabocchiati nel camino, dove il fuoco scoppiettò e si ingrandì, lambendo la carta.
 «Quello che provi.» 
 «Di cosa stai parlando?» chiese Sherlock, voltandosi verso di lui e aggrottando le sopracciglia.
 «Andiamo, Sherlock, non fare il finto tonto con me. Sai benissimo di cosa parlo.» replicò Lestrade. «È evidente che provi qualcosa per lui. Solo uno stupido non se ne sarebbe accorto. E in ogni caso, dopo aver letto questo discorso, sarebbe chiaro a chiunque.»
 Per qualche secondo il volto di Sherlock venne attraversato dal panico. Abbassò lo sguardo e si voltò nuovamente, sentendo un disperato bisogno di riordinare gli spartiti che aveva abbandonato qualche ora prima sul leggio.
 «Ehi, non c’è niente di cui vergognarsi.» disse Greg.
 «Tu credi, Gavin?» mormorò.
 L’Ispettore fece spallucce. «Provi qualcosa per lui, è una cosa bella.» fece notare, poi accennò un sorriso. «Da quanto non ti capitava?»
 «Non mi è mai capitato.» lo informò Sherlock. «Non sono incline a provare sentimenti, di qualsiasi natura essi siano. Dovresti saperlo, Lestrade.»
 A Greg sfuggì una risata sarcastica. «Certo, come no.» replicò. «Andiamo, vuoi davvero continuare a fingere di non essere innamorato di lui? Sappiamo entrambi che cosa provi, perché continuare a fingere?» domandò. Poi sospirò. «Per la cronaca, sappi che ho sempre fatto il tifo per voi.»
 «Non c’è mai stato nessun noi.»
 «Io ho avuto tutt’altra impressione.» dichiarò Lestrade e si avvicinò a lui, fermandosi alle sue spalle. «Senti, forse non sono un esperto in queste cose, ma posso assicurarti che osservandovi, vedevo due persone legate da qualcosa che andava ben oltre l’amicizia.»
 «Ti ho sempre detto che questo tipo di cose devi lasciarle a me. Osservare non è il tuo campo, Ispettore.» affermò Sherlock, scuotendo il capo. «In ogni caso parlarne è inutile. John ha Mary e io non potrei esserne più felice.»
 Greg aggrottò le sopracciglia. «Sei felice perché sta sposando un’altra?»
 «Sono felice perché John ha trovato qualcuno che lo ama come merita e che lo renderà felice più di quanto io sarei mai riuscito a fare.» lo corresse. Poi sospirò mestamente. «A me basta averlo vicino.»
 «Ti rendi conto che non potrai mai averlo vicino come vorresti? Che non avrai mai nulla di quello che avrà Mary?» domandò Lestrade. «Come può andar bene così?»
 Sherlock abbassò lo sguardo. «A me sta bene così.»
 «Non è vero.»
 «Lestrade, per favore.» lo implorò voltandosi verso di lui e incrociando il suo sguardo.
 Greg si avvicinò e gli poggiò una mano sulla spalla. «Lo sto dicendo per il tuo bene.» affermò. «Questo matrimonio ti distruggerà. Ti spezzerà il cuore e niente potrà rimetterlo insieme.»
 «Qui non si tratta di me.»
 «Invece sì.» l’Ispettore sospirò, una profonda tristezza negli occhi. «Perché per una volta non ti permetti di essere felice? Perché non puoi comportarti da egoista, andare da lui e dirgli che lo ami?» scosse il capo e aumentò la pressione della mano sulla sua spalla. «Lo perderai, Sherlock. Anche se non vuoi ammetterlo è così. Lo perderai per sempre.»
 Sherlock scosse il capo. «Adesso basta, Lestrade.»
 «E se John non volesse questo?»
 «Ma che stai dicendo?» chiese di rimando, aggrottando le sopracciglia. «Certo che lo vuole. Ha chiesto a Mary di sposarlo, è ovvio che è quello che vuole, altrimenti non le avrebbe fatto la-»
 Lestrade lo interruppe. «So che pensi che io sia uno stupido, Sherlock, ma adesso devi ascoltarmi.» esordì. «L’ultima volta in cui ho visto John, ho avuto l’impressione che non fosse felice. So che ha chiesto a Mary di sposarlo, ma se l’avesse fatto solo perché credeva che non avrebbe più potuto averti? Dopotutto credeva che fossi morto.»
 «È un’assurdità.»
 «No, invece.» replicò Greg. «Ma come puoi essere così cieco da negare quello che c’è fra voi?»
 «Non c’è mai stato niente fra noi!» esclamò il moro. «Siamo amici, nient’altro. E anche se io volessi di più… anche se io provassi qualcosa per lui… non sono quello che John vuole e di cui ha bisogno. Sono pericoloso e non potrei mai renderlo felice, finirei soltanto per farlo soffrire.» sospirò mestamente. «Smettiamola di discutere di qualcosa che non si può cambiare. Sarebbe inutile continuare a farlo, non credi?»
 Greg sospirò e scosse il capo. «Mi dispiace tanto, Sherlock.»
 
 Sherlock rifletté a lungo sulle parole di Lestrade. Lo tormentarono per la seguente settimana, senza dargli tregua, giorno e notte, ogni secondo di ogni singolo giorno. Perché in fondo sapeva che l’Ispettore aveva perfettamente ragione.
 Il matrimonio avrebbe distrutto ogni singola parte di lui, o almeno, ciò che rimaneva, dopo tutto ciò che aveva passato. E aveva già cominciato a farlo, colpendolo al cuore, come se ogni giorno stesse ricevendo una nuova stilettata, sempre più dolorosa e potente man mano che il grande giorno si avvicinava. Era un dolore sempre più profondo e viscerale, terribile e soffocante. Poteva sentire il cuore dolere come se una mano stesse tentando di strapparglielo dal petto. E lui non poteva più sopportare. Non poteva andare avanti così, rimanendo indifferente di fronte alla consapevolezza che l’avrebbe perso per sempre.
 Aveva sbagliato ad aiutarlo ad organizzare il suo matrimonio e ad accettare di fargli da testimone. Aveva sbagliato a pensare che avrebbe potuto sopportare quel dolore. Mycroft aveva sempre avuto ragione… non avrebbe dovuto farsi coinvolgere. E il prezzo da pagare per non avergli dato ascolto, sarebbe stato altissimo se avesse continuato così.
 No. Non poteva proseguire. Doveva trovare il modo di tutelarsi e proteggersi da tutto quel dolore. L’unico modo per non uscirne distrutto, sarebbe stato rinunciare a John. E anche se gli avrebbe procurato un dolore immenso, allontanarlo dalla sua vita, sarebbe stato meno doloroso che guardarlo all’altare con qualcun altro.
 Perciò si mise in piedi, prese il discorso, lo infilò in una busta; indossò la giacca e poi uscì, diretto a casa Watson.
 
 L’insistente bussare alla porta costrinse Sherlock ad aprire gli occhi.
 L’uomo era seduto sulla sua poltrona a riflettere da ore e inizialmente pensò di averlo soltanto immaginato, poi quando lo sentì nuovamente, aggrottò le sopracciglia e rimase in ascolto. Dopo qualche secondo di completo silenzio, si udì una voce aldilà della porta. Sbuffò, pronto a rimproverare la signora Hudson per l’ennesima volta per averlo disturbato, quando la sua voce raggiunse le sue orecchie.
 «Sherlock»
 Una voce ferma e dura.
 «Sherlock, apri.»
 La voce di John.
 Il cuore di Sherlock accelerò e l’uomo dovette esercitare tutto il suo autocontrollo per rimanere calmo. Ovviamente John era lì perché aveva letto la sua lettera e anche se era una reazione che il consulente investigativo aveva preso in considerazione, non si sarebbe mai aspettato che l’amico scegliesse di tornare da lui per parlarne. Credeva che avrebbe scelto di lasciar perdere e allontanarsi da lui, piuttosto che affrontarlo, ma ovviamente non aveva fatto i conti con la risolutezza del soldato.
 «Dobbiamo parlare.» aggiunse il medico, dall’altro lato della porta.
 Sherlock strinse i braccioli della poltrona fino a far sbiancare le nocche. Doveva stare calmo. La porta era chiusa a chiave, John gliele aveva riconsegnate dopo essersi trasferito definitivamente nella sua nuova casa, perciò non sarebbe potuto entrare senza il suo permesso. Non sarebbe successo nulla. L’importante era rimanere calmi e in silenzio, in modo da non tradire la propria presenza.
 «Sherlock» lo chiamò nuovamente il dottore. «So che sei lì.»
 Holmes chiuse gli occhi. Calmati. Calmati, continuò a ripetersi.
 E poi, finalmente, il silenzio avvolse nuovamente la casa, segno che John se n’era andato.
 Sherlock sospirò di sollievo. Non avrebbe retto una conversazione con lui, non dopo ciò che aveva scritto nel discorso. Non avrebbe potuto affrontarlo di persona. Nemmeno in un milione di anni sarebbe stato pronto per una cosa del genere.
 Si portò le mani al volto e una parte di sé si maledisse per aver inviato quella maledetta lettera. Cosa gli era saltato in mente? Se prima la loro amicizia aveva ancora qualche speranza di sopravvivere, adesso era andata in frantumi inesorabilmente.
 La serratura scattò.
 Sherlock aprì gli occhi e sobbalzò, sollevando lo sguardo sulla porta.
 La chiave girò nella toppa.
 Quando la porta si aprì e Watson varcò la soglia, richiudendosela alle spalle, Sherlock scattò in piedi, sentendo il cuore sprofondare nel petto. Non se n’era andato, era solamente andato a prendere le chiavi di scorta dalla signora Hudson. Si maledisse mentalmente per non avergliele requisite e tentò di calmare il respiro, che minacciava di farsi affannoso e rotto e che lo avrebbe sicuramente tradito.
 «Sherlock» disse John, incontrando il suo sguardo.
 Holmes non gli diede la possibilità di proseguire. «Vattene.» disse soltanto e si avviò verso la cucina.
 John gli sbarrò la strada. «Fermati.» disse. «Dobbiamo parlare.»
 «Non c’è niente da dire.» protestò il consulente investigativo, tentando di oltrepassarlo. «Quindi vattene.» ringhiò. Non poteva e non doveva parlare con lui. Non voleva rovinare la vita di John, non a pochi mesi dal matrimonio.
 Questa volta il medico, per fermarlo prima che se ne andasse, lo afferrò per un braccio, trattenendolo con forza. «No, aspetta. Per favore.»
 Sherlock abbassò lo sguardo sulla mano dell’amico. «Lasciami andare.»
 «No.» replicò John, voltandosi verso di lui e senza lasciarlo. «Non posso.»
 Sherlock si dimenò per liberarsi dalla sua presa. «John, lasciami.» ripeté e questa volta suonò come una preghiera. «Ti prego, non…»
 «No, perché non puoi fare questo.» disse, estraendo la lettera dalla tasca della giacca e sollevandola in modo che la vedesse. «Non puoi scrivere tutto questo in una lettera e andartene.»
 «Non me ne sto andando. Sono ancora qui.» replicò, sentendo una scarica elettrica attraversargli il braccio, partendo dal punto in cui la mano si John si era stretta intorno alla sua pelle. «Ho solo rinunciato al mio compito di testimone.»
 «Non è vero. Non è soltanto questo. Questa è una lettera d’addio.» dichiarò. «Tu mi stai dicendo addio. Te ne stai andando ancora.»
 Sherlock scosse il capo e una risatina sarcastica gli salì alle labbra. «E dove potrei andare?» chiese. «Questa è casa mia. Non posso lasciare Londra, non avrei dove andare.»
 Come se nemmeno l’avesse sentito, John riprese. «Perché mi hai scritto queste cose?»
 Sherlock sembrò sorpreso di fronte a quella domanda. «Forse perché sono vere?»
 «No, voglio dire… perché le hai scritte in una lettera e non me le hai fatte sapere di persona?» vedendo che il consulente investigativo non intendeva concedergli una risposta, riprese. «Perché non me lo hai detto, Sherlock?» domandò ancora, mollando la presa sul braccio dell’amico e riponendo la lettera nella tasca della giacca. «Perché non sei venuto da me?»  
 Sherlock chiuse gli occhi. «Non avevo il coraggio e non…» esordì, ma immediatamente esitò. «Se te lo avessi detto… se lo avessi ammesso ad alta voce, sarebbe diventato reale e impossibile da cancellare. Scriverlo era l’unico modo per non…» abbassò lo sguardo e le parole gli morirono in gola, prima di raggiungere le labbra.
 John abbassò lo sguardo a sua volta, deglutendo a vuoto. Le sue mani presero a tremare. «Mio Dio, Sherlock, mi… mi dispiace… io non ne avevo idea.» dichiarò. «Non me ne sono accorto.»
 «Ti ho detto mille volte che guardi ma non osservi.»
 Watson chiuse gli occhi e scosse il capo. «Mi dispiace tanto, Sherlock.»
 «Non devi scusarti di nulla.» replicò Holmes.
 Dopo un momento di silenzio, il dottore riprese. «Quello che hai scritto…» sollevò lo sguardo su volto di Sherlock. «Il discorso e tutto il resto… è bellissimo.»
 Sherlock abbassò lo sguardo, sentendo il sangue affluire alle guance. Lestrade gli aveva detto che il suo discorso era molto bello, ma non credeva che a John sarebbe piaciuto. Aveva creduto che fosse andato lì per chiedergli cosa gli fosse passato per la testa e invece…
 «Ma io non mi merito nulla di tutto questo.» aggiunse John. «Non mi merito né il tuo amore, né la tua amicizia.»
 Il consulente investigativo sollevò il capo di scatto e i suoi occhi si posarono sul viso del medico. «Sai che non è vero.»
 «Invece sì.» insistette John. «Non merito l’amore di una persona che ha fatto di tutto per proteggermi e che ha ricevuto in cambio solo ingratitudine e disprezzo per ciò che aveva fatto. Non merito l’amicizia di qualcuno così coraggioso da rinunciare alla sua vita per me e che come ricompensa ha ottenuto soltanto-»
 «Smettila.» lo interruppe Holmes. «Basta, smettila. Non è vero.»
 «Come puoi dire questo?» chiese, scuotendo il capo. «Non ho fatto altro che ferirti e allontanarti. Ti ho lasciato indietro perché sono stato troppo cieco per accorgermi di ciò che provavi.» affermò. «Non ho mai nemmeno pensato a darti più di quello che avevamo. Avrei potuto, ma non l’ho fatto.»
 «Non ho mai voluto di più.»
 «Ma tu…» John esitò, perplesso.
 «John, so benissimo che non sei gay.» replicò Holmes. «Non ho mai voluto di più perché sapevo che non era quello che avresti voluto tu. Il fatto che fossi qui con me mi bastava. Non aveva senso mettere a repentaglio la nostra amicizia per confessarti quello che provavo.»
 «Per questo hai deciso di dirmelo?» chiese il dottore. «Perché sto per sposare Mary?»
 Sherlock annuì. «So che mi hai promesso che non cambierà nulla e che sarai sempre qui, ma io so che non sarà così.» sospirò e abbassò lo sguardo. «Ho provato a smettere di amarti e a non pensare a te, ma non… non ci sono riuscito. Ti voglio, John, anche se so che non potrò mai averti.» affermò. «Tuttavia, so anche che devo lasciarti andare. Ma prima di farlo dovevo dirti la verità o avrei avuto il rimpianto per tutta la vita… Perdonami se ho scelto di farlo in questo modo.»
 Watson chiuse gli occhi. «Oh, Sherlock… mio Dio… come posso farti questo?»
 «Non stai facendo nulla di sbagliato.» replicò Sherlock, voltandosi verso il camino per evitare il suo sguardo. «Solo… basta parlarne, ok?»
 «Ma come posso sposarmi sapendo quello che provi?» domandò John, ignorando la sua richiesta. «Fai qualcosa. Impediscimi di andare avanti con questo. Fermarmi, Sherlock, ti prego.»
 Sherlock scosse il capo. «Non dire assurdità, John.» replicò. «Ti ho scritto quella lettera perché voglio che tu sappia che tengo a te più che a qualsiasi altra cosa al mondo, non per impedirti di sposarti. Voglio che tu sia felice e per far sì che sia così, ti sto lasciando andare.»
 «Ma io non voglio lasciarti andare. E non voglio che tu lasci andare me.» disse John, risoluto. Avanzò verso l’amico, fermandosi a pochi passi da lui. «Ferirti è l’ultima cosa che voglio. Tengo troppo a te per farti questo.»
 «John…»
 «E non sono pronto. Non voglio rinunciare a te… non posso. Non ci sono riuscito nei due anni che hai passato lontano da Londra e non posso farlo ora.» affermò. «Senza di te non ce la faccio. Sei tutta la mia vita. Non…» esitò. Poi inspirò profondamente e risollevò lo sguardo, incontrando gli occhi del consulente investigativo. «Non posso vivere senza di te.»
 Sherlock sentì il cuore accelerare. «Mary è la tua vita.» lo corresse. «Lei ti darà tutto ciò che io non sono mai riuscito a darti: l’amore che meriti e la famiglia che hai sempre desiderato. E io non desidero altro per te.» concluse con un sorriso. «Non voglio altro che vederti felice e con lei lo sei.»
 John sembrò confuso. «E se non fosse questo l’amore che voglio?»
 Sherlock sembrò sorpreso di fronte a quelle parole.
 «Se avessi cambiato idea?» domandò, muovendo un passo verso di lui.
 «John, ora basta.» lo bloccò con voce ferma. «Non dire sciocchezze.»
 John prese le mani di Sherlock tra le proprie. «Ti stai allontanando da me.»
 «È la cosa più giusta da fare.» replicò il moro, tentando di sottrarsi alla sua presa.
 «Per chi?»
 «Per entrambi.»
 Watson scosse il capo. «Non voglio perderti.»
 «Non c’è altro modo, John.» affermò Sherlock e dopo aver liberato le mani dalla presa del dottore, indietreggi di qualche passo. «Ti prego, ti chiedo di rispettare la mia scelta. È già abbastanza difficile senza che tu-»
 «Ti rendi conto che avremmo potuto avere di più? Che tutto avrebbe potuto essere diverso?» chiese il medico. Deglutì e trasse un respiro profondo, avanzando cautamente. «Potrebbe ancora essere diverso per noi.»
 «Devo ricordarti che non sei gay? E che stai per sposarti?»
 «Ma tu… noi-»
 «Non c’è nessun noi. E non ci sarà mai.» lo interruppe. «Non abbiamo mai avuto speranze. Né prima del mio suicidio, né tantomeno dopo. Il nostro rapporto, per quanto speciale e diverso fosse, si è incrinato da quando sono tornato. E anche prima… non abbiamo mai avuto alcuna possibilità. Non posso e non potrò mai darti quello che vuoi. Non potrò mai renderti felice, per quanto lo desideri. Non sarò mai abbastanza.» concluse, poi scosse il capo. «È inutile continuare a discuterne, perciò vai.»
 Il medico tentò di protestare. «Sherlock…»
 «Vai a casa, John.» insistette Holmes, portandosi le mani al volto. «Ti prego, vai a casa.»
 John esitò, ma alla fine indietreggiò e senza aggiungere altro uscì dall’appartamento, lasciandolo solo.
 
 Non appena John uscì dalla porta, Sherlock sentì le gambe farsi instabili. Poggiò una mano allo stipite della porta della cucina e collassò a terra, sulle ginocchia. Per qualche secondo gli si mozzò il respiro e le mani presero a tremare violentemente. Abbassò il capo, serrando gli occhi e stringendo i denti.
 Che cosa aveva fatto?
 Perché aveva raccontato a John la verità?   
 Sapeva di avere tutto da perdere e nulla da guadagnare e alla fine l’aveva perso davvero. E questa volta per sempre e irrimediabilmente. E ciò che faceva più male era che Sherlock sapeva bene che quella era la cosa giusta da fare… era giusto lasciar andare John, permettendogli di vivere la sua vita ed essere felice.
 Eppure questa consapevolezza non migliorava la situazione, anzi, non faceva che rendere le cose più dolorose e gravose di quanto già non fossero.
 Sherlock ansimò e sentì gli occhi riempirsi di lacrime.
 «John…» gemette. «Mi dispiace… perdonami…»
 E fu in quel momento che sentì il suo cuore spezzarsi definitivamente.
 
 «John, tesoro, stai bene?» chiese Mary, avanzando verso il compagno, che era in piedi di fronte alla finestra, da ore. Gli poggiò una mano sulla spalla e gli accarezzò la schiena. «Che succede?»
 John si voltò verso di lei e accennò un sorriso. «Nulla.» rispose. «Va tutto bene.»     
 «Sicuro?» domandò lei. «È qualche giorno che mi sembri giù di morale.»
 «Sono solo un po’ stanco. Sai, con il matrimonio…» sorrise.
 Mary sorrise a sua volta. «Sei riuscito a convincere Sherlock a tornare a farti da testimone?»
 Watson sospirò. «No.» rispose. «Ha preso la sua decisione e non posso costringerlo.»
 «Forse dovresti chiederlo a Greg.» fece notare la donna. «Lui lo farebbe volentieri.»
 «Sì, forse dovrei. È solo… non voglio più parlarne.» affermò John, sospirando.
 «So che Sherlock ti ha spezzato il cuore.» replicò la donna. «Ma cerca di capirlo. Anche per lui dev’essere stato difficile prendere una decisione del genere.»
 Il medico abbassò lo sguardo e annuì. Forse Mary aveva ragione e probabilmente anche Sherlock l’aveva. Per non cedere ai sentimenti che li legavano, sarebbe stato meglio per entrambi stare il più lontano possibile l’uno dall’altro.
 Sollevò lo sguardo sull’orologio del salotto e sospirò. «Devo andare allo studio, adesso.» le scoccò un bacio veloce su una guancia e dopo aver preso la giacca dalla spalliera del divano, si avviò verso la porta.
 Prima di varcare la soglia, però, si bloccò.
 Ma cosa stava facendo?
 Cosa gli prendeva?
 Cosa prendeva ad entrambi?
 Perché avrebbero dovuto stare lontani? Non c’era nulla a separarli. Se davvero lo avessero voluto, se davvero avessero voluto stare insieme, niente impediva loro di farlo. Dopotutto, John non avrebbe di certo potuto sposare qualcuno che non amava e fingere per il resto della sua vita. Non sarebbe stato giusto nei propri confronti e tantomeno in quelli di Mary.
 Scosse il capo e si voltò.
 Mary lo stava osservando, quasi fosse in attesa, quasi sapesse.
 John sospirò. «Mary, io…»
 Lei sorrise. «Vai da lui.»
 «Cosa?» chiese il dottore, aggrottando le sopracciglia.
 «Credi che non abbia visto la lettera?» domandò la donna. Accennò un sorriso. «Avevo notato come vi guardavate e quella lettera è stata la conferma a tutto. Vi amate, anche se ci avete messo parecchio a capirlo.»
 «Mio Dio, Mary, io-»
 Lei lo interruppe, avanzando e stringendo le mani di lui tra le proprie. «Shh… va bene così.» assicurò, parlando dolcemente. Sorrise e gli accarezzò il viso. «Non voglio che mi sposi perché ti senti costretto. So che ami lui e sono contenta per te. Per voi. Voglio che tu sia felice e so che Sherlock ti renderà felice più di quanto io sarei mai riuscita a fare.» concluse. «E adesso va’ da lui e digli quello che provi.»
 John sentì il cuore sprofondare nel petto. «Mi dispiace.» disse soltanto.
 «Non devi dispiacerti.» fece notare. «Non voglio sposarmi con qualcuno che non mi ama e nemmeno tu dovresti volermi sposare se non sei innamorato di me.» gli rivolse un altro sorriso. «Adesso vai, avanti.»
 «Oh, Mary…» sussurrò l’uomo. Le prese il viso tra le mani e le baciò la fronte. «Grazie.»  
 
 Quando il taxi si fermò di fronte a Baker Street, John pagò velocemente e scese. Aprì la porta con il paio di chiavi che la signora Hudson gli aveva prestato e salì le scale di corsa. La porta dell’appartamento di Sherlock era aperta, perciò entrò senza troppe cerimonie e senza aspettare un invito.
 «Sherlock» lo chiamò, sperando che fosse in casa. Aveva preso il coraggio a quattro mani per andare lì e se non l’avesse trovato, non sapeva se avrebbe ritrovato la forza necessaria per tornare. Era stata una decisione dettata dall’istinto e per quanto il suo cuore gli stesse gridando che era la cosa più giusta da fare, la sua mente continuava a sussurrargli che era una follia.
 Sherlock emerse dalla cucina e quando lo vide, sul suo volto si dipinse un’espressione sorpresa e impaurita allo stesso tempo. Per un momento sembrò esitare e voler tornare ai suoi esperimenti. Poi quando trovò la forza di parlare, lo fece flebilmente.
 «John… tu non…» balbettò. «Non dovresti essere qui.»  
 Watson sospirò di sollievo nel vederlo. «Questo è l’unico posto in cui voglio essere.» replicò, poi avanzò verso di lui e prendendogli il volto tra le mani, lo baciò. E lo fece con dolcezza e con amore, ma anche con foga e desiderio, qualcosa che non era mai riuscito a provare per qualcuno che non fosse Sherlock, anche se, purtroppo, se n’era accorto troppo tardi.
 Dopo un iniziale momento di confusione, il cervello del consulente investigativo si spense per lasciare posto ad un unico pensiero: John. Il suo John, che lo stava baciando e stringendo tra le braccia, come lui desiderava da tanto tempo, come aveva desiderato fin dalla prima volta.
 John mosse le labbra su quelle dell’amico e le accarezzò dolcemente con la lingua, poggiandogli le mani sul petto e spingendolo contro la parete per bloccare il suo corpo, in modo che non potesse sottrarsi a quel bacio. Non gli avrebbe permesso di sottrarsi a quel bacio. Sapeva che Holmes lo desiderava tanto quanto lui e quindi non ci sarebbe stato spazio per esitazioni di nessun genere.
 E poi, finalmente, la risposta arrivò. Sherlock prese a ricambiare, accarezzando le labbra di John con le proprie e poggiandogli le mani sui fianchi per tirarlo verso di sé. Ansimò nella sua bocca e ribaltò le posizioni. John si ritrovò con le spalle al muro e il corpo di Sherlock premuto contro il proprio. Il medico gli circondò il collo con le braccia e lo tirò maggiormente verso di sé, approfondendo il bacio e il contatto tra i loro corpi, che si sfiorarono dolcemente facendoli gemere sommessamente.
 Quando si separarono, si ritrovarono con le fronti a contatto e gli occhi socchiusi, ad assaporare quella vicinanza e il dolce sapore dell’altro, ancora sulle labbra.
 Sherlock accarezzò la schiena di Watson. «Hai appena buttato via la tua vita, John.»
 John scosse il capo e affondò le dita nei capelli del moro, intrecciandole ai suoi ricci corvini. «L’ho appena donata a te.» soffiò sulle sue labbra, baciandolo delicatamente una seconda volta.
 Sherlock si aggrappò alle spalle dell’amico e affondò il viso nella sua spalla, baciandogli la pelle del collo, appena sotto il colletto della camicia e John premette il viso contro la spalla ossuta del consulente investigativo, accarezzandogli la schiena e lasciandosi stringere a sua volta. E rimasero lì, immobili l’uno nelle braccia dell’altro per lungo tempo, beandosi di quella vicinanza e di quel calore, sapendo che quello sarebbe stato soltanto l’inizio di una nuova, meravigliosa avventura.
 
 «Tu sai che non potrai avere nulla di quello che avresti avuto sposando Mary?» chiese Sherlock, accarezzando la gamba di John, seduto accanto a sé sul divano.
 «Sì. E non voglio nulla di ciò che avrei potuto avere con Mary.» affermò il medico. Sollevò una mano e accarezzò il viso di Sherlock, percorrendo il suo zigomo con il pollice e agganciando il suo sguardo. «Voglio che ad amarmi sia tu. Voglio i casi e le avventure, l’adrenalina e il pericolo. Voglio te. Voglio Sherlock Holmes. Il mio Sherlock.» disse con dolcezza. «E voglio amarti, da oggi fino a quando avrò la forza per farlo. Voglio starti accanto ed essere tuo. Completamente e indissolubilmente, per sempre.» si sporse verso di lui e lo baciò dolcemente sulle labbra.
 Sherlock gli circondò la vita con un braccio e lo tirò verso di sé, in modo che i loro corpi fossero a contatto. Ricambiò il bacio con tenerezza, chiudendo gli occhi e abbandonandosi completamente al suo John.
 Quando si separarono, i loro occhi si incontrarono.
 «Ti amo.» sussurrò Sherlock sulle labbra dell’altro, accarezzandogli il viso. «Ti amo, John Watson. Ti ho sempre amato e non smetterò mai di farlo. Non credo di esserne in grado. Ci ho provato, ma non ci sono riuscito. Non credo che smetterò mai di avere bisogno di te. Non posso vivere senza di te. Sei tutto, per me.»
 John sorrise e si mise a cavalcioni su di lui, poggiando i palmi contro quelli di Sherlock, intrecciando le loro dita. «Ti amo anch’io, Sherlock Holmes.» mormorò chinandosi su di lui e baciandolo nuovamente. «E non ti lascerò andare mai più.»
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ok, premettendo che non so da dove questa cosa sia scaturita, ciao a tutti ;) sono felice di essere tornata fra voi, anche se con una storia che non mi convince pienamente. Mi sembra incompleta… Anyway, come avete potuto leggere, comincia in medias res, nel bel mezzo della terza stagione e all’inizio di The Sign of Three. Diciamo che è una sorta di AU che esplora come sarebbero andate le cose se Sherlock avesse deciso di confessare i suoi sentimenti a John. Perché diciamocelo, in quel discorso c’era più di quanto Sherlock stesso non abbia voluto far trasparire.
Inoltre, devo dire, mi merito un applauso, perché per la prima volta in una delle mie storie, Mary non è cattiva. Iufu! Finalmente dopo ogni genere di destino, le tocca quello della brava donna… :)
Bene, non vi trattengo oltre.
Ringrazio tutti coloro che leggeranno e che sceglieranno di recensire, anche se probabilmente questa storia potrebbe subire ulteriori modifiche, considerato che non mi soddisfa completamente.
A presto, Eli♥  
 
   
 
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