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Autore: Happy_Pumpkin    02/04/2009    3 recensioni
Cosa accadrebbe se Pain e Konan non venissero lasciati dal maestro che li ha aiutati?
L'arrivo a Konoha durante la guerra, le scelte dei personaggi coinvolti e le loro relazioni; l'evolversi di una vicenda diversa da quella che oggi conosciamo.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jiraya, Konan, Orochimaru, Pain
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Pioggia1

PIOGGIA


I
Sulla guerra, la morte e la fuga...



Oggi


Pain correva fissando la strada davanti a sé mentre le gocce d'acqua per colpa della velocità non facevano in tempo a posarsi sulla sua pelle, venendo così spinte via dalla forza dell'aria.
Aveva un unico pensiero fisso in mente, il resto ormai non contava; c'erano più soltanto lui e la pioggia, come sempre d'altra parte: ogni volta che accadeva qualcosa di brutto la chiamava.


Anni prima...

Yahiko aveva la faccia inconsapevolmente imbronciata e guardava Jiraiya con la speciale attenzione che si riservava a quelle persone da cui si spera di carpire i segreti della vita.
Tenendo gli occhi spalancati per non perdersi nemmeno un movimento delle mani fissava il suo maestro eseguire un jutsu; stavano tutti e due con le gambe incrociate, seduti sul terreno brullo della piccola distesa di terra davanti alla casetta nella quale da un po' di tempo convivevano insieme.
Il giovane allievo ammirava Jiraiya, perché sapeva tantissime cose sui ninja e poi perché aveva aiutato tutti loro: lui, Nagato e Konan, tre orfani senza possibilità di sopravvivere.
Ogni tanto la sera, quando gli altri dormivano nei rispettivi futon, Yahiko tirava fuori le proprie mani dalla coltre di coperte per fissarle con intensità; quelle mani un tempo tenute strette dai propri genitori, un tempo coccolate, baciate, ora diventate nient'altro che un mezzo per cercare di proteggere quel poco rimastogli.
Una stella in confronto alla galassia che aveva prima ma pur sempre una stella che, in un modo o nell'altro, lo avrebbe guidato.
Quel giorno Jiraiya evocò un vortice che, partendo dal terreno, scompigliò allegramente i capelli a Yahiko il quale sollevò lo sguardo al cielo spalancando la bocca per poi scoppiare a ridere, andando incontro al vento che trascinava con sé le foglie secche degli alberi facendole roteare.
Sorridendo a sua volta, appoggiandosi con le mani sull'erba, Jiraiya guardò il suo allievo correre verso l'enorme prato ingiallito, inseguendo e venendo inseguito dalle foglie, mentre Konan in lontananza si limitava ad ammirare lo spettacolo per poi venire improvvisamente trascinata dall'amico, così che i lunghi capelli neri furono scossi dalla forza dell'aria.
Si divertivano con quella spontaneità che da adulti inevitabilmente si perdeva; era un percorso come tanti altri quello della crescita che però, più di ogni altra cosa, Jiraiya rimpiangeva perché troppe volte le guerre, le morti, la paura lo acceleravano facendo perdere tutto il fascino dello scoprire, giorno per giorno, di essere maturati.
Quei bambini infatti si erano svegliati in un colpo solo già uomini.
“Maestro... se ne andrà anche lei?”
Jiraiya si voltò guardando sorpreso Nagato, un ragazzino pallido, più timido ed insicuro rispetto a Yahiko, ma dai modi sempre gentili.
Il ninja della foglia scoppiò a ridere:
“Avanti, adesso non pensare a queste cose! Ti preoccupi troppo!”
“Mi risponda.” insistette quasi come se fosse una supplica.
Jiraiya sospirò: “Un giorno dovrò pur fare ritorno a casa.”
Nagato non disse nulla, limitandosi silenzioso a sederglisi accanto accovacciato, nascondendo il mento tra le gambe accoccolate contro il petto.
“Capisco.” rispose infine.
Tra i due cadde il silenzio così si limitarono per qualche istante a restare immobili, accompagnati dal frusciare del vento e dall'eco delle risate di Yahiko che correva spensierato.
“Non sei solo, Nagato.”
Furono le sue parole ad averlo fatto andare avanti in quei mesi, spingendolo a scappare di fronte agli orrori della guerra e dei massacri che, con spietata indifferenza, gli avevano reso difficile addormentarsi la sera.
Guardava i suoi amici scherzare pensando però, 
una volta che Jiraiya li avesse lasciati, a cosa ne sarebbe stato di loro e del fragile equilibrio che faticosamente avevano cercato di ricomporre; in fondo erano solo dei bambini, gettati brutalmente in un mondo che li aveva già privati di quel poco che avevano.
Nagato sospirò, gli occhi tristi coperti dai capelli neri, finché con una risata Jiraiya non gli spettinò la testa commentando allegro:
“Credo che dovremmo tornare a casa. Quest'oggi abbiamo fatto anche troppo!”
Il ragazzino accennò ad un sorriso debole per poi alzarsi lentamente in piedi, osservando, con la schiena un po' incurvata, Jiraiya sbracciarsi per chiamare Yahiko che corse loro incontro, mentre Konan camminava pensosa con un fiore in mano, sfiorandone i petali di un bel bianco candido.
Tutti insieme camminarono per la strada sterrata, spintonandosi a vicenda oppure ridendo, anche se Nagato dentro di sé si sentiva male chiedendosi come facesse Yahiko, nonostante sapesse che ben presto sarebbero stati abbandonati ancora, a ridere e trovare comunque il modo di essere felice.
Perché lui non era in grado di fare lo stesso?

La sera i quattro erano riuniti attorno al basso tavolino quadrato e Jiraiya, con le gambe incrociate, si toglieva poco finemente i residui di riso rimasti incastrati tra i denti, contraendo la bocca in un ghigno che faceva ogni volta scoppiare a ridere Yahiko.
Konan invece era elegantemente seduta con la schiena appoggiata al muro, il fiore da lei raccolto custodito in una tazza, ma che malgrado le sue attenzioni già perdeva i primi petali, nel frattempo Nagato raccoglieva pacato le ciotole, tirandosi su di tanto in tanto le larghe maniche che gli coprivano le mani magre; a volte inspirava profondamente come per cercare di catturare quell'odore di cibo e di famiglia prima che, aprendo la porta, scomparisse per sempre.
Improvissamente Yahiko, intento ad affilare un kunai rimediato per strada in uno dei tanti conflitti presso il villaggio, alzò la testa guardandosi un istante attorno per poi notare:
“Non abbiamo preso l'acqua... maestro, che facciamo? Io la recupererei ora.”
Jiriaya si passò la lingua tra i denti per poi scrutare fuori dalla piccola finestra:
“Mmm... si sta facendo buio. È meglio che vada domani mattina, uscire adesso è troppo pericoloso.”
Ma Yahiko si era già alzato in piedi: “Non preoccuparti! Andremo io e Nagato insieme alla fonte! Vedrai, faremo in un attimo...”
Aprì la porta e trascinò per un lembo della maglia anche Nagato che, suo malgrado, accantonò le scodelle così da seguire l'amico fuori casa mentre Jiraiya, sospirando, non aveva fatto in tempo a seguirli che già erano scomparsi.
I due corsero insieme lungo la strada sterrata facendo ciondolare le braccia con in mano i secchi in legno per contenere l'acqua, affianco a loro immensi prati si estendevano a perdita d'occhio venendo a malapena illuminati dai raggi lunari.
Finché, dopo qualche metro di corsa, non arrivarono presso la fontana dalla quale sgorgava un fiotto d'acqua proveniente da una spaccatura in pendenza del terreno, così da bagnare parte del suolo roccioso.
Yahiko fischiettando prese il suo secchio portandolo sotto il getto, scrutato dagli occhi attenti di Nagato che inquieto si guardava attorno, comportamento che però venne notato dall'amico il quale per contro improvvisamente scoppiò a ridere replicando:
“Avanti, non c'è nessuno qui.”
Ma Nagato si rabbuiò chinando la testa, così che il lisci capelli scuri andarono a coprirgli parte del volto mentre le sue labbra si mossero appena per osservare:
“Come fai a dirlo? Come fai a credere che a causa della guerra stasera non moriremo?”
Quel sussurro carico di dolore si perse attraverso il paesaggio notturno ma fu così forte nella sua debolezza da colpire in pieno Yahiko che appoggiò a terra il suo recipiente ormai pieno per poi rispondere, sedendosi su una pietra con le mani incrociate:
“Non lo dico. Lo spero semplicemente, purtroppo non posso fare molto altro.”
Nagato sollevò lo sguardo fissando un po' stupito il compagno di avventure, accennando ad un debole sorriso, infine si scostò un ciuffo di capelli da davanti gli occhi dicendo:
“Hai ragione, scusami.”
Senza aggiungere altro si mise all'opera in modo da riempire il proprio secchio, così che lo scrosciare dell'acqua sul solido legno venne accompagnato dai fruscii degli alberi.
Improvvisamente Yahiko, anziché rispondere, si alzò in piedi di scatto e afferrò il manico del catino esclamando allegro:
“Avanti, sbrigati a riempire quel coso! Facciamo a chi arriva prima ma è vietato perdere acqua oppure... penitenza!”
Senza aspettare oltre il ragazzino prese a correre ridendo e quando Nagato borbottò qualcosa, affannandosi a riempire fino all'orlo il secchio, per tutta risposta ricevette una bella linguaccia.
Dopo qualche secondo, non trattenendo un sorriso, il ragazzo dai capelli neri corse a passo un po' incerto cercando di non far rovesciare il contenuto del suo prezioso trasporto, finché non intravide lungo la strada l'ombra di Yahiko.
Lo chiamò ma si stupì notando che l'amico aveva iniziato ad indietreggiare dopo aver lasciato cadere il secchio, la cui acqua si sparse rovinosamente sul terreno, per poi voltarsi così che Nagato se lo vide venire incontro gridando:
“Corri! Due ninja...”
Non disse nient'altro affiancandosi al compagno, lo prese per il polso trascinandolo con sé nella loro fuga disperata in direzione opposta rispetto alla casa dove li attendevano Jiraiya e Konan.
Nagato si voltò un istante, giusto in tempo per vedere due uomini inseguirli senza esitazione, allora guardò l'amico il quale si limitò a dire:
“Siamo sprovvisti di armi, dovremo provare a difenderci con qualche sasso se...”
Se venivano raggiunti?
Nagato non disse nulla, limitandosi ad annuire: si sentiva stranamente fiducioso solo perché avvertiva sulla propria pelle la presa salda di Yahiko, consapevole quindi che non sarebbe mai stato abbandonato avendo il proprio migliore amico al suo fianco.
Avrebbe accettato anche la morte in quel caso, la quale non gli faceva più così paura come ai primi tempi visto che era diventata una sorta di silenziosa presenza che, di tanto in tanto, si limitava a fare la sua comparsa.
Improvvisamente però, dopo qualche passo, Yahiko venne colpito da uno shuriken lanciato da uno degli inseguitori; l'arma lo ferì al braccio costringendolo a portarsi una mano al punto ferito per cercare malamente di tamponare l'uscita del sangue.
“Maledizione!” esclamò stringendo i denti.
Nagato sbarrò gli occhi impallidendo ma, avvertendo il sibilo provocato dallo spostamento d'aria, riuscì a sentire arrivare la successiva arma così da schivarla spingendo di lato anche Yahiko.
I due ninja si arrestarono trovandosi di fronte a quei ragazzini all'apparenza indifesi e, senza alcun rimorso, estrassero i kunai mentre uno di loro esclamò:
“Finitela di fuggire! Siete solo degli sporchi nemici, meritate di marcire come tutti gli altri.”
Nagato non ebbe il lusso di pensare, si limitò semplicemente ad agire per proteggere sé stesso e soprattutto il suo migliore amico da quell'insana cattiveria, da quella smania di far soffrire gli altri solo perché si trattava di una possibilità così a portata di mano.
Si parò davanti a Yahiko gridando quasi con disperata rabbia:
“Morite!”
Lo disse in un modo talmente intenso e carico d'odio che la sua voce riecheggiò per la valle, disperdendosi nel cielo scuro che quella notte li scrutava.
Per qualche istante nessuno si mosse finché i due ninja, sbarrando gli occhi terrorizzati, non si portarono una mano alla gola; cercarono di respirare ma fu tutto inutile perché pochi secondi dopo entrambi gli uomini, morti, caddero a terra in un tonfo cupo.
Con il cuore che pulsava a mille, la respirazione accelerata e il corpo sudato i due ragazzini guardarono spaventati quei corpi privi di vita, come temendo che all'improvviso potessero rialzarsi e colpirli.
Yahiko si voltò a fissare Nagato che ancora non si era mosso, per poi accennare faticando a far uscire la voce:
“Li... hai uccisi.”
Nagato si girò di scatto verso di lui e avvicinò istintivamente le dita agli occhi così da sfiorare le ciglia scure, mentre un labbro gli tremava a causa dell'insieme di sentimenti che si rimestavano nello stomaco.
Aveva appena tolto la vita a qualcuno: era stato come strapparsi via un pezzo di sé per poi lanciarlo in un baratro la cui fine era sconosciuta; si sentiva ancora sconvolto, vittima di un jutsu troppo potente per potersene liberare.
Deglutì e si portò lentamente le mani lungo i fianchi, infine osservò appoggiandosi alla nuda razionalità: “O noi, o loro.”
Yahiko fissò quegli occhi con intensità e fu quella sera, in quel preciso momento, che si accorse del potere insito in cornee così diverse dal normale, dipinte da tanti cerchi concentrici che sembravano voler essere nient'altro che un inspiegabile gioco di prestigio chiamato morte.
“Cos'è successo?”
I due si voltarono all'improvviso e videro davanti a loro la figura di Jiraiya, accompagnato da Konan che silenziosa guardò immediatamente Nagato il quale fissava senza parlare il suo maestro.
Yahiko avanzò di qualche passo spiegando, con un vano tentativo di non far tremare la voce:
“Ci hanno attaccati e noi abbiamo agito di conseguenza.”
Jiraiya però sembrò non ascoltare le sue parole e, dopo aver tastato il collo di entrambi i ninja stesi a terra, si avvicinò a Nagato scrutandolo un istante per poi notare preoccupato:
“Hai usato il rinnegan.”
Il ragazzino sbatté appena le palpebre rispondendo infine: “Sì ma io non volevo... - si arrestò ripensandoci – no, io in realtà volevo davvero ucciderli. Se uomini del genere non esistessero e morissero tutti il mondo sarebbe migliore.”
Un pesante silenzio seguì quell'affermazione così dura.
Il maestro si limitò a sospirare, raccogliendo i secchi ormai vuoti, in seguito avanzò verso la via del ritorno commentando:
“Andiamo a casa. Credo che dovrò riguardare molti miei progetti e curare quella brutta ferita al braccio di Yahiko.”
In fretta Nagato si passò un dito sugli occhi come per scongiurare la presenza di un'eventuale lacrima che, per l'emozione, minasse quella freddezza apatica che era riuscito a mostrare, infine seguì il maestro con al suo fianco Yahiko da un lato e Konan dall'altro.
Quest'ultima disse semplicemente, scuotendo appena la testa:
“Siete stati due stupidi.”
Nessuno dei due stupidi in questione ebbe nulla da obiettare a quella veritiera affermazione così, silenziosi, giunsero di fronte a casa dove Jiraiya si era arrestato, precludendo l'accesso alla porta chiusa.
Il ninja della foglia li guardò con le braccia incrociate e una leggera smorfia sulla bocca, poco dopo roteò gli occhi commentando stanco:
“Non dovete più fare una cosa simile.”
Il mondo era pericoloso e si sarebbe divorato senza troppi problemi quei tre ragazzini inesperti, anche se probabilmente il vero pericolo era la sconcertante abilità posseduta da Nagato: un'arma a doppio taglio che doveva venire maneggiata con cura.
Ma chi, si era chiesto Jiraiya, avrebbe potuto insegnarlo a quel ragazzo?
Si grattò il mento socchiudendo un istante le palpebre per poi inspirare profondamente e annunciare:
“Avrei una proposta da farvi.”
I tre si scambiarono un'occhiata perplessa finché Yahiko non chiese spalancando gli occhi:
“Quale?”
Quella sera vedere sul ciglio di una strada due ninja all'apparenza forti uccisi da un bambino inesperto aveva portato l'eremita dei rospi a prendere una decisione drastica.
Jiraiya si tirò su il lembo dei pantaloni sedendosi sul gradino di casa per poi proporre, scrutando attentamente le espressioni di ognuno:
“Verreste con me a Konoha?”
Contro ogni sua previsione quella semplice domanda avrebbe cambiato per sempre la vita a Jiraiya il quale, seppur indirettamente, si sarebbe preso cura di quei ragazzini orfani cogliendo allo stesso tempo l'occasione di tener d'occhio il rinnegan, controllando che con l'età Nagato non perdesse il controllo di quel micidiale strumento di morte i cui effetti però, per quanto sicuramente potenti, erano ancora sconosciuti.
Portare dei marmocchi al villaggio avrebbe sicuramente significato ulteriori guai, per non parlare delle proteste velenose di Orochimaru che gli avrebbero fatto rimpiangere a vita la sua scelta; non importava, in fondo il suo compagno di squadra volente o nolente si sarebbe dovuto ben presto abituare alla presenza dei tre ragazzini.
Alla fine vedere le espressioni stupite e al limite della felicità dei suoi allievi tolse all'abitante di Konoha ogni
sorta di dubbio, portandolo a convincersi di star facendo la scelta giusta: d'altronde se un ninja non serviva a proteggere gli altri avrebbe smesso di essere uomo, riducendosi al mero ruolo di macchina da guerra.
Fu così che quella notte Jiraiya aveva salvato qualcuno.



Sproloqui di una zucca

Eccomi ritornare, dopo un po' di muta assenza su questo fandom, con una nuova fiction.
Questa volta non yaoi come le precedenti, bensì molto a più ampio respiro nonché ricca di tanti personaggi da trattare.
Ebbene sì, i veri protagonisti saranno proprio Nagato, Yahiko e Konan che interagiranno con le vicende degli altri, tutti a
modo loro importanti.
Ho sistemato la cronologia degli eventi per adattarla alla storia, dunque potrebbero esserci eventuali incongruenze, quali ad esempio l'età di Minato e Kushina che li ho resi grossomodo contemporanei dei tre ninja della pioggia.
Preparatevi a tanti bei capitoli, il racconto si prospetta essere più lungo di quelli che ho scritto fino ad adesso... per quanto riguarda Naruto, Sasuke e compagnia bella non riuscirete a vederli per un bel po' ^^


   
 
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