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Autore: Rue Meridian    02/04/2009    10 recensioni
“Ho solo questa schifosissima vita, mi è rimasta solo lei: nessuno può chiedermi di lasciarla andare.”
Quarta classificata al contest "dalla musica alla prosa". Lievissimo Spoiler del cap 87.
Genere: Triste, Introspettivo, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Roy Mustang
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Autore: Rue Meridian

Titolo: Do not die
Frase di riferimento:
Da "Sands of time"
"Senti le sabbie del tempo?/ Che corrono lente fino al limite/ Prima impariamo a volare/ poi impariamo a piangere/ infine, la sera, impariamo a morire"

Genere:
Triste, Introspettivo, Guerra

Rating: Giallo

Personaggi: Roy Mustang

Fandom: Full Metal Alchemist

Avvertimenti: Spoiler, One-Shot

Betareader: Shatzy
Introduzione con le note personali:
“Ho solo questa schifosissima vita, mi è rimasta solo lei: nessuno può chiedermi di lasciarla andare.”

[Note personali in fondo al testo.]

Disclaimer: Non posseggo Full Metal Alchemist, né i suoi personaggi, né le opere di Conrad: questa fanfiction non è stata scritta a scopo di lucro.



Do not die



E il tempo, pure, procede -

fintanto che si percepisce davanti una linea d’ombra,

l’ammonimento che la regione della prima gioventù,

anch’essa, dev’essere lasciata dietro”

La linea d'ombra” Joseph Conrad



Era una semplice trottola.

Sarebbe stata quasi bianca, tanto era chiaro il legno in origine, con piccoli motivi ornati in rosso.

Una bella trottola...

Non fosse per quella macchia nera, quell'ombra che l'aveva annerita.

Quel maledetto fuoco l'aveva rovinata, bruciandola e macchiandola.

La riprese nuovamente in mano, le dita a tenerne il manico, la punta di metallo sospesa nel vuoto.

Lentamente, la mise in equilibrio sul pavimento dissestato della stanza: un breve torcersi delle dita, una spinta e via...

La trottola danzò per lui, una macchia nera sul biancore delle macerie, uno strano equilibrio di luce ed ombra, illuminata dal sole cocente che arrivava in quella casa scoperchiata.

Rimase fermo, inginocchiato sui talloni, a guardarla ruotare su sé stessa, ballerina immobile ed in movimento continuo, un ossimoro di legno e metallo.

La trottola rallentò, allargando i cerchi che percorreva, allontanandosi ed inclinandosi pericolosamente, fino a crollare miseramente fra le macerie candide per la malta.

Un lento sospiro per poi rialzarsi a raccoglierla: attraversò la stanza diretto al cumulo di macerie, ma, una volta chinatosi per prenderla, desiderò non averlo mai fatto.

Aveva trovato il padrone della trottola: oltre il cumulo di macerie, semi carbonizzato, avvolto da brandelli di stoffa, un bambino giaceva riverso nella sabbia.

Il soldato indietreggiò fino ad appoggiarsi ad un muro: un conato di vomito lo travolse, mentre gli occhi si riempivano di lacrime.

Strinse i pugni guantati e si passò rabbiosamente una mano sugli occhi: è la guerra...

La guerra... La guerra è fatta così e tu non puoi ribellarti.

E' il tuo dovere.

O loro o te, o loro o i tuoi amici.

E' la guerra...

Finirà.

Lo ripeté, alternandolo con profondi respiri, riprendendo piano il controllo di sé: nascosto all'ombra di quel pezzo di muro, nascosto dai proiettili nemici, dagli sguardi amici, dalla battaglia.

Se battaglia si può chiamare questo massacro...

L'Alchimista di Fuoco era entrato già in azione ed agli altri rimaneva il compito di controllare che non vi fossero superstiti: a volte, contro ogni logica, qualcuno si salvava.

Per molti soldati era diventato un gesto di pietà: i gemiti degli ustionati agonizzanti non chiedevano altro. Una morte rapida, la fine di quel dolore senza pari, un gesto di pietà.

Gli animali si ammazzano per pietà... Ma le persone? Come può un omicidio essere un gesto pietoso?

Uscì sotto il sole cocente e si tirò il cappuccio bianco sul capo: bastava poco per collassare in quel maledetto deserto, eppure in quel gesto sentiva soprattutto la sua volontà di nascondersi.

Continuò il suo giro di perlustrazione: ogni tanto, oltre le macerie, vedeva altri soldati aggirarsi per quelli che un tempo erano stati vicoli pieni di bancarelle, di odori e colori.

Ora erano solo mura striate dal fuoco: guardare il bianco della calce, abbagliante sotto quel sole, faceva male agli occhi; guardare le macchie nere, testimoni del passaggio delle fiamme, faceva male al cuore.

Una voce lo distolse dai suoi pensieri: - Maggiore Mustang!-

Un battito di tacchi, una mano alla fronte: due occhi marroni e pieni di ammirazione e gratitudine.

L'Alchimista rispose al saluto del soldato con un cenno.

- Maggiore, è pericoloso: non dovrebbe stare qui. E' compito di noi soldati ripulire il campo di battaglia!-

Salutò il soldato e si allontanò riprendendo piano la via del campo; le sue labbra erano ancora appena increspate per quelle parole: ogni volta che gli capitava di accorgersi del valore che i suoi commilitoni gli davano, ne rimaneva sorpreso e tormentato.

I suoi superiori lo stimavano: un soldato capace, coraggioso, dotato di senso del dovere...

Ed un Alchimista di stato. Letale, implacabile, una macchina: un cane dell'esercito.

I suoi superiori lo stimavano... ma lo disprezzavano anche. Si può stimare un soldato che non è mai in prima linea, che è sempre protetto da una scorta, che combatte grazie a maledetti trucchi magici?

Si può stimarlo quando si vedono distese di corpi insepolti ogni sera?

Quando fra quei corpi sai certamente che vi è anche un tuo amico?

Quando fra quei corpi potresti esserci tu?

I suoi superiori lo disprezzavano e così avrebbero dovuto fare i suoi commilitoni.

Eppure, ai loro occhi, lui era un miracolo di qualche divinità inesistente, un miracolo dell'uomo per l'uomo, giunto in quel deserto a salvare le loro vite.

Questa consapevolezza lo tormentava: lui non era lì per quello.

Sinceramente, non sapeva quale motivo lo tenesse lì.

Oh, sapeva benissimo cosa lo avesse portato lì all'inizio: tre semplici parole.

Patria, Onore e Gloria.

E' ironico come semplici fiati possano decidere della vita e del sangue di un uomo, come parole impalpabili abbiano un tale peso.

Era arrivato ad Ishbar fresco di Accademia: ancora nelle orecchie gli risuonava l'ultimo discorso degli istruttori prima di mandarli in quello che si sarebbe rivelato un mattatoio.

Voi non indietreggerete, non temerete il nemico, non vi ritirerete: voi combatterete. Combatterete per ripagare il sangue dei vostri padri, dei vostri fratelli maggiori: loro non han concesso al nemico di avanzare e voi non vi dimostrerete inferiori. Combatterete per l'esercito, per i vostri commilitoni, per l'onore e per la gloria di Amestris!

Ricordava ancora come il sangue scorreva veloce, la sensazione di onnipotenza, il sentirsi indispensabile.

Ricordava che, scendendo dalla camionetta che l'aveva portato lì, aveva visto il contrasto della sabbia dorata col cielo troppo azzurro e luminoso, l'orizzonte sfocato e lontano: in quell'istante, aveva irrazionalmente pensato che la guerra potesse anche essere bella.

Non aveva prestato attenzione ai soldati feriti sparsi per il campo, agli occhi spenti che a malapena guardavano i rinforzi appena giunti, sollevandosi penosamente da terra.

Non aveva osservato la sporcizia, non aveva sentito l'odore nauseante del sudore, del sangue e delle latrine sottovento: era il suo momento di gloria e nulla poteva rovinarlo.

La sua prima missione doveva portargli l'onore cercato: l'aveva attesa e desiderata per un intero giorno prima che gliela affidassero.

Accompagnato da un'adeguata scorta, si era avvicinato silenziosamente alla “base nemica”: giunto in posizione, non aveva esitato, senza neanche dare uno sguardo alle sue vittime.

Un'esplosione e, pochi secondi dopo, le fiamme avevano già preso il posto della “base”: solo allora aveva scoperto la verità.

Uomini, donne, vecchi e bambini: le loro urla si erano alzate da quel fuoco che non poteva più spegnersi e lui era indietreggiato.

Un solo passo, quanto basta per evitare le scintille nell'aria, quanto basta per porsi le giuste domande. Quanto basta per non trovare risposte che potessero soddisfarle.

Quanto basta per voler fuggire.


Quel giorno, Roy aveva passato la sua linea d'ombra.


Una linea d'ombra: un confine fra la fanciullezza e l'età adulta.

Un istante per alcuni, anni interi per altri.

Altro tempo che ci scivola fra le mani come sabbia...

Era stato un attimo: gli era parso di superare una linea di confine, nel momento in cui indietreggiava.
Sentiva che con quel passo si allontanava da sé stesso, da quel ragazzo orgoglioso e strafottente. Sentiva che il suo mondo aveva perso la brillantezza ed era divenuto più reale. Era entrato nell'età adulta: aveva solo ventitré anni e non era più un ragazzo.

Nel fondo del cuore, provava la vergogna di aver attraversato quel confine indietreggiando.

Forse, pensava, è proprio questa la maturità: sapere da cosa fuggire.

La guerra era rimasta priva del suo fascino: il deserto era diventato una fornace letale, perdendo il respiro dei grandi spazi, le armi ed i gradi non erano più brillanti, ma opachi ed impolverati.

Il desiderio dell'azione si era spento: dov'era l'onore in quelle stragi? Cosa c'era di onorevole nell'uccidere nemici inermi, nell'usare l'alchimia per rubare vite che non avrebbe mai potuto ridare?

E se non c'è onore, a che vale la gloria?

Aveva provato ad attaccarsi all'idea di combattere per la patria, per proteggere i suoi amici dall'attacco degli ishbaliani.

Aveva un disperato bisogno di una motivazione per quel sole, per il caldo, per le ferite, per il sangue e per il fuoco: cercava solamente di non affondare in quelle sabbie mobili, prive di senso, che si sentiva addosso.

Quella speranza, però, si era rivelata uno di quei miraggi che costellavano il deserto.

Gli capitava spesso ormai di rimanere, dopo la battaglia, a fissare i cadaveri: percorreva i loro lineamenti cercando di capire chi fossero, cosa avessero fatto per meritarsi tanto. Alla fine, si ritrovava a pensare che in fondo non vi erano molte differenze tra quel volto e quello del panettiere del suo quartiere, del ragazzo che vendeva i giornali, del vecchio amico di suo padre...

Uccideva senza sapere il perché: uccideva perché glielo avevano ordinato.

Uccideva e basta.

Non riusciva a smettere: non poteva smettere.

La realtà era che, ormai, combatteva per paura.

Ogni suo gesto era motivato dalla paura: quella dannata morsa allo stomaco che non lo abbandonava mai.

Era un vigliacco...

Oh, se lo era!

Non Armstrong...

Lo aveva odiato: irrazionalmente, senza volerlo veramente, lo aveva odiato.

Perché gli aveva mostrato una via diversa, che lui non aveva il coraggio di percorrere.

Quando era crollato, quando era scoppiato a piangere, quando aveva sfidato gli ordini dei superiori, lui lo aveva invidiato.

Poteva prendere la stessa strada?

Forse sì, d'altronde l'esercito non avrebbe mai alzato un dito contro i suoi “preziosi” Alchimisti di Stato.

Eppure, al tempo stesso, non poteva. Lui non ci riusciva: non riusciva a piangere.

La notte, rimasto solo fra le coperte, avrebbe voluto, avrebbe disperatamente voluto piangere, eppure non ci riusciva.

Qualcuno, dannazione, mi insegni di nuovo a piangere!

Nonostante tutto, nonostante l'orrore che lo divorava, il disprezzo per sé stesso e per quella stramaledetta guerra, era sempre la paura a muoverlo.

L'aveva spento dentro.

La realtà è che io ho solo una fottuta paura di morire... e non riesco a liberarmene...

Ho solo questa schifosissima vita, mi è rimasta solo lei: nessuno può chiedermi di lasciarla andare.

Arrivato al campo, aveva salutato le sentinelle con un cenno, aveva camminato fra le tende diretto verso la sua e, arrivato lì, si era lasciato andare, crollando a sedere all'ingresso di quella.

Esausto della battaglia.

Esausto della guerra.

Come tutti i giorni.

Gesti quotidiani che in quel posto non cambiavano mai, si ripetevano incessantemente, aumentando la sensazione di essere sospesi, fuori dal tempo.

Socchiuse gli occhi, ancora avvolto nella mantella bianca e pesante, le braccia sulle ginocchia.

Era strana la guerra: era strana la vita...

Vi erano giornate in cui non ti fermavi mai, venivi travolto dagli eventi ed arrivavi a sera che non ti reggevi in piedi; ti buttavi fra le coperte e crollavi.

Un altro giorno di cui non avevi più memoria, un altro giorno in cui non avevi vissuto, ma la vita ti aveva condotto dove voleva lei.

Poi c'erano giorni come quello: giorni identici agli altri, eppure diversi. Giorni in cui non smettevi mai di pensare e non pensavi mai al presente: sarebbe stato troppo orrendo, bastava viverlo.

Giorni che sembravano valere più degli altri perché si diventava dannatamente coscienti della propria esistenza.

E di quella degli altri.

Aveva pure tentato di tenere un diario, qualcosa che provasse che la vita stava andando avanti, che non si stava ripetendo sempre lo stesso maledetto giorno di battaglie e stragi.

Non ci era riuscito: scrivere, lasciare nero su bianco le sue azioni, lasciarne una testimonianza era troppo difficile.

Rileggerle poi...

S'infilò le mani in tasca, gli occhi sempre chiusi, mentre i rumori del campo, le voci dei commilitoni venivano sovrastate dal rumore dei suoi pensieri.

La trottola era lì.

La strinse con forza, pungendosi dolorosamente con la punta di metallo, facendo sanguinare il palmo della mano.

- Roy!-

Spalancò gli occhi, per poi richiuderli velocemente, feriti dalla luce del tramonto; sbatté le palpebre un paio di volte per ritrovarsi di fronte il viso sorridente di Maes.

- Se continui a dormire così, niente rancio stasera.-

Una smorfia, i resti di un sorriso:- Tanto ci sei sempre tu che lo prendi per entrambi.-

Protese la mano per prendere la gavetta che l'altro gli offriva.

Mangiò in silenzio, ascoltando i deliri dell'altro riguardo le foto della sua Glacier e le sue ultime lettere: una volta, aveva chiesto a Maes se scrivesse della guerra, dell'inferno che stavano vivendo quando rispondeva alle lettere della ragazza.

Lui lo aveva fissato per un attimo, lo sguardo serio, poi si era stretto le spalle mormorando: - E' una donna... Non è un soldato.-

Lui aveva annuito: aveva capito.

Quella guerra non doveva uscire da lì.

Che senso aveva rendere partecipi padri, madri, fratelli, mogli o fidanzate di quello che stavano vivendo?

Probabilmente non avrebbero capito: come si può capire un nonsenso?

Li avrebbero compatiti, avrebbero sofferto per loro e avrebbero vissuto nell'angoscia, più di quanto già non facessero.

Nessuno può capire un soldato.

Mentre Maes parlava, guardava i soldati nel campo, fissando i loro occhi, cercando qualcosa: molti mangiavano in piccoli gruppi, discutendo, litigando e scherzando, altri erano ancora intenti nei loro doveri e si affannavano nell'accampamento.

Un cecchino era seduto da solo, quasi ai margini del campo, intento a pulire la sua arma; la chioma bionda brillava alle ultime luci del tramonto.

Ti ho trascinato io, qui?

Ogni volta che la vedeva se lo domandava: razionalmente sapeva di non avere responsabilità, eppure, quale altro collegamento poteva avere lei con l'esercito?

Non avrebbe avuto le sue risposte: né da lei, né dalla sua mente.

Così come non avrebbe mai saputo cosa c'era nei suoi occhi: non li voleva più guardare, non dopo avervi letto quell'accusa silenziosa che vi aveva scorto quando l'aveva ritrovata lì.

Perché mi hai portata qui? Che motivo ha tutto questo?

Lei poteva ancora piangere: non lo faceva, ma lui lo sapeva. Nonostante tutto, nonostante fosse la stessa guerra che stessero combattendo, lei non era spenta dentro.

Non ancora... ma per quanto?

Poteva dirlo dagli occhi dei soldati che aveva di fronte, se erano ancora vivi o, come lui, erano morti che camminano. Poteva dirlo dalla paura che vi leggeva: quella paura di morire che era rimasta l'unica spinta ad affrontare quella maledetta quotidianità.

Quanta paura ho dentro di me?

Maes lo salutò e se ne andò importunando gli altri soldati con le foto di Glacier, mentre lui rientrava nella sua tenda e si buttava fra le coperte, la testa ancora piena di pensieri.

Non sono pronto per morire: che senso avrebbe morire adesso?

Probabilmente, era quello il motivo per cui la paura non lo abbandonava: la paura si può affrontare, ogni battaglia può essere combattuta, ma bisogna avere un motivo per vincerla.


Sette anni dopo, la ribellione contro il Fuhrer e gli Homunculi scoppiò: lui era lì a guidarla.

Di nuovo il fuoco, i proiettili, il nemico: di nuovo battaglie.

Eppure, l'Alchimista di Fuoco non aveva paura di morire: guardando gli occhi dei suoi sottoposti, sapeva di aver trovato un motivo per combattere ed un motivo per morire.

Proprio per questo, avrebbe fatto di tutto per sopravvivere.

Proprio perché non aveva paura di morire.

-Tutti noi quattro abbiamo un biglietto di sola andata per il campo di battaglia. Non ci sarà ritorno se noi falliamo. E così stando la situazione, io ho un unico ordine, e voi vi obbedirete. NON MORITE! E' chiaro?-


«The four of us all hold a one-way ticket to the battlefield. There will be no going back if we fail. And as such, I have one order, and you will obey it. "DO NOT DIE!". Is that clear?».Colonel Roy Mustang, the Flame Alchemist ( Chap. 87 An Underground Oath)



Note: Questa fanfiction si ispira al volumetto 15 essenzialmente. E' ambientata nel periodo della guerra fra le nazioni di Ishbar ed Amestris.

Gli eventi e la caratterizzazione sono ripresi dal manga, senza alcun riferimento all'anime.

La frase di riferimento ("Senti le sabbie del tempo?/ Che corrono lente fino al limite/ Prima impariamo a volare/ poi impariamo a piangere/ infine, la sera, impariamo a morire") l'ho interpretata adattandola alla vita del protagonista: la giovinezza piena di speranze, la guerra che lo porterebbe a piangere, se non lo avesse quasi ucciso dentro, il desiderio di morire che viene alla fine trasformato nella consapevolezza dell'importanza della vita e, contemporaneamente, nella disponibilità a sacrificarsi per un mondo migliore e per coloro che ama.



Riprendere in mano questa fanfiction dopo tutti questi mesi, beh... posso dire che mi fa veramente “strano”...

Posso dire che, quando la scrissi, ci misi l'anima e spero che un poco si veda...

Vorrei dire tante cose ma ho un polso dolorante e scrivere è veramente faticoso, perciò solo l'essenziale...


4^ Classificata: Rue Meridian con "Do not die"
Punteggio complessivo di 51,5/60


Giudizio di Kla81
Grammatica: 8
Originalità: 8.5
Pertinenza alla frase data: 9
Giudizio personale: la fic è scritta molto bene, però non me la sono sentita di dare un punteggio più alto in grammatica per una questione di… incomprensione…
A volte ho dovuto rileggere i vari passaggi, perché alcuni periodi sembravano completamente distaccati tra di loro; il legame, se c’era, era talmente sottile da risultare quasi introvabile XD
Inoltre, ho avvertito un antipatico senso di “pieno”, dovuto credo alle ripetizioni…
È interessante leggere le sensazioni di un soldato al fronte, sicuramente non pecchi di inventiva ^^, ma ammetto di non aver trovato, verso la fine, molta pertinenza con la frase di partenza… ho riletto più volte, eppure ogni volta era come voler cercare di accostare a forza due sensazioni diverse…
Somma: 25,5/30

Giudizio di Happy Pumpkin
Grammatica: 7,5-10
    Il voto è tale per la presenza di svariate ripetizioni, come ad esempio nella frase: “Non fosse per quella macchia nera, quell'ombra che l'aveva annerita. Quel maledetto fuoco l'aveva rovinata, bruciandola e macchiandola.”  oppure anche “Questa consapevolezza lo tormentava: lui non era lì per quello. Sinceramente, non sapeva quale motivo lo tenesse lì. Oh, sapeva benissimo cosa lo avesse portato lì: tre semplici parole.”
Per il resto non ho notato altri errori particolarmente rilevanti perché nel complesso il testo è scorrevole, grazie anche ad una punteggiatura corretta.
Originalità: 9-10
    E' stato trattato il tema della guerra, portando in luce i sentimenti di Mustang e il suo percorso nell'esercito, a volte evidenziando un cinismo sofferto che è proprio del personaggio. Sicuramente è un'ottima tematica che offre tanti spunti di riflessione da te ottimamente scelti ed interpretati, non cadendo in banali drammatizzazioni per offrire invece un realismo senza troppi lirismi.
Pertinenza alla frase: 9,5-10
    Apprezzo molto l'interpretazione della frase come simbolo della vita di Roy, in un reale percorso cronologico dalla giovinezza piena di speranze per poi arrivare alle inevitabili sofferenze della guerra, terminando con una nuova consapevolezza della vita e l'aperta disponibilità a sacrificarla per un bene superiore.
Anche se il “corrono lente fino al limite” fino all'ultimo mi ha lasciato incerta sul togliere 0,5 punti perché mi trasmette un senso di saturazione che nell'ultima parte della fiction manca.
Somma: 26/30


Ecco qui il giudizio delle due “sante” che si sono immolate per il contest orfano “Dalla musica alla prosa”: un grazie profondo per aver salvato questo contest, per il giudizio (non credo di aver mai preso tanto in vita mia per l'originalità!).

Purtroppo, proprio a causa del polso che mi affligge da martedì sera, solo oggi riesco a pubblicare!

E, sempre a causa sua, ho fatto solo un'infinitesima modifica al testo... Avrei potuto cambiare altre cose, ma è una fatica scrivere con una sola mano!


Secondo, ma non per importanza:un grazie enorme a Shatzy, che purtroppo non è la mia gemella segreta, né una sorella di sangue, ma che considero alla stessa stregua.

Grazie e non solo per il betaggio... Per l'appoggio, per avermi ascoltato, per aver sostenuto questa fanfiction.


Terzo: dovrei ringraziare i Coldplay, ma purtroppo non li conosco personalmente XD

Perché questa FF è nata anche grazie a “Viva la vida” che considero la sua colonna sonora.


Quarto: grazie a Lely, Valentina, le altre del Royai Forum per aver condiviso la passione per FMA. E grazie ad Alexiel, la mia sorellina minore adottiva... perché c'è sempre.


Altro da dire...? Non saprei ed il polso mi sta facendo impazzire: perciò, l'invito è sempre il solito:

Lasciate una recensione se vi va, se avete tempo e se volete farmi felice.


Rue Meridian

   
 
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