Anime & Manga > Il grande sogno di Maya
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Autore: FiammaBlu    05/04/2016    10 recensioni
Maya ha vinto la sfida con Ayumi Himekawa, aggiudicandosi la Dea Scarlatta e i diritti dell'opera. Ma proprio come accade nel dramma originale, un fuoco arde sotto le ceneri...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Masumi Hayami, Maya Kitajima
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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stage ‹stàaˇ∫› s. m., fr. [dal lat. mediev. stagium, che risale, come il fr. ant. estage «soggiorno» (der. di ester «stare»), al lat. volg. *staticum]. – Periodo, fase d’iniziazione pratica o comunque di addestramento per lo svolgimento di una determinata attività o professione; anche, corso breve e intensivo: uno s. di danza, di fotografia.  La voce è spesso confusa in Italia, sia nell’uso parlato sia in quello scritto (e anche in alcuni dizionarî) con la parola ingl. stage, e viene perciò anche pronunciata all’inglese, ‹stèiǧ›; ma i sign. di questa, alcuni noti e, in parte, usati anche in Italia, sono diversi: «piattaforma, palco, palcoscenico, scena, e sim.», e in senso fig. «stadio, fase, tappa, e sim.».

[Fonte: Treccani online]

 

 

 

Stage #1. Il produttore e l’attrice

 

Tutte le luci erano state spente e Maya Kitajima era rimasta immobile sulla poltrona centrale accanto al corridoio di passaggio. Da lì poteva vedere tutto il palcoscenico e, nonostante il buio, avrebbe potuto muoversi su di esso senza alcuna difficoltà. Lentamente il teatro si era svuotato, ma lei sembrò non accorgersene. La rappresentazione indimenticabile era appena terminata eppure lei ne sentiva ancora gli strascichi. Un formicolio insistente le faceva prudere le mani, fermamente appoggiate ai braccioli morbidi.

- Maya… - il suo nome sussurrato gentilmente la riscosse dall’ipnosi in cui era caduta. Si voltò lentamente con gli occhi spalancati e le labbra socchiuse in una muta espressione di meraviglia.

- Sì, ti è piaciuto, si vede… - aggiunse Rei mettendosi le mani sui fianchi. L’aveva attesa nell’atrio per venti minuti poi, non vedendola arrivare, era tornata indietro. Anche se il tempo passava, Maya e il teatro continuavano a mantenere la stessa connessione intensa.

- Rei… - sussurrò, ancora avvinta dall’interpretazione del personaggio di Cleopatra.

- Andiamo o faremo tardi - l’avvisò l’amica prendendola per un gomito e aiutandola ad alzarsi. Rei sorrise osservando il suo volto: era sempre la stessa storia. Maya si calava completamente nella parte ed era sicura che se le avesse chiesto di recitare quella rappresentazione, lei l’avrebbe fatto senza sbagliare una battuta.

Raggiunsero l’atrio allestito come un tempio egizio, pieno di gente che chiacchierava, e il suo arrivo destò subito interesse. Il suo nome venne pronunciato di bocca in bocca fino a diventare un’onda che tornò indietro e si infranse contro di loro.

- Guardate… è Maya Kitajima… - sussurrò attonita una signora mentre infilava lentamente la mano nella borsetta per estrarne un foglio bianco e una penna.

- Sì… è Maya Kitajima… - confermò una ragazza accanto a lei.

Rei si guardò intorno immaginando già cosa sarebbe accaduto e dandosi della stupida per non averlo prevenuto. Maya era ancora nel mondo dei sogni e provò a scuoterla. La giovane si girò con aria imbambolata, il suo sguardo si fece più chiaro e Rei tirò un sospiro di sollievo.

Un silenzio inquietante calò nell’atrio dorato gremito di gente. Maya realizzò la folla che si apriva davanti a lei e istintivamente si strinse all’amica.

- Signorina Kitajima, un autografo, per favore! - quell’unica frase scatenò l’inferno.

In breve si trovarono circondate da braccia allungate con penne e carta, dietro di loro solo la grande doppia porta che conduceva alla platea.

Maya e Rei fecero qualche passo indietro senza poter arginare la folla eccitata in alcun modo. Spingevano, si accalcavano, gridavano, ma quell’atmosfera piena di attenzioni stava trasformandosi in qualcosa di pericoloso.

- Signori, vi prego… - mormorò Maya intimorita facendo un altro passo indietro.

- Un autografo! Signorina Kitajima, per mia figlia! - gridò qualcuno.

- Qui, signorina Kitajima! Firmi qui! - le voci si sovrapposero una all’altra in una cacofonia di suoni. Maya commise l’errore di prendere la prima penna per cercare di interrompere quel flusso che le costringeva a retrocedere. Quel gesto scatenò ulteriormente la folla e le due amiche vennero spinte ancora indietro.

Le doppie porte si aprirono e Maya ci finì addosso. O almeno questo pensò in un primo momento, finché un paio di mani robuste la sostennero per le spalle. La figura si chinò sopra di lei sovrastandola e le tolse di mano con fermezza la penna e il foglio che aveva preso da una signora.

- La signorina Kitajima non è qui per rilasciare autografi - la voce autoritaria zittì la folla e Maya si girò di scatto.

- Signor Hayami… - mormorò, costretta a sollevare gli occhi per guardarlo. La sua espressione era gelida e nascondeva tutta la stizza per averla trovata a fare qualcosa che violava il suo contratto in un posto dove non avrebbe dovuto essere.

- Guardate… quello è Masumi Hayami della Daito Art Production… - il mormorio riprese sottile e significativo.

Masumi la fissò per un istante cercando di infondere al suo sguardo solo un’attenta e studiata professionalità. Maya esitò un attimo, poi corrugò la fronte, i suoi occhi si indurirono, gli strappò di mano carta e penna sollevando il mento in segno di sfida e si girò verso la folla sotto lo sguardo preoccupato di Rei.

- Il signor Hayami scherza sempre - esordì Maya con un sorriso dolce indossando una delle sue maschere migliori - E ha a cuore tutte le sue attrici, non fatevi spaventare dalla sua aria gelida - aggiunse facendo qualche passo avanti - Venite, se mi fate raggiungere quei divanetti, sarò lieta di firmare tutti gli autografi che vorrete! - disse felice ignorando lui e indicando in avanti.

La folla esultò e si aprì come un ventaglio, concedendole lo spazio necessario per passare. Maya intravide il direttore del teatro che conosceva bene e lui le andò incontro con le mani nervose che rigirava una dentro l’altra.

- Signorina Kitajima, è sicura di voler… - iniziò l’uomo palesemente preoccupato.

- Ma certo, signor Okamoto! - lo rassicurò Maya senza voltarsi con un gran sorriso. Non sarebbe riuscita a tener testa di nuovo al signor Hayami se l’avesse guardato. Sentiva la sua presenza anche a distanza: era immobile, davanti alla porta della platea e la fissava gelidamente.

- Ma… il signor Hayami… gli autografi… lei non può… - balbettò il direttore con il volto terreo, senza sapere come uscire da quella situazione.

- Certo che posso! - replicò Maya felice, nascondendo la folle paura che le dilaniava l’anima. Era un gioco pericoloso quello che intavolava ogni volta con lui e prima o poi ne avrebbe pagato le conseguenze. Ma non sarebbe stato quello, il giorno.

Maya, seguita dalle decine di persone urlanti e festose, si sedette su una poltrona, ignorando lo sguardo smarrito del direttore del teatro. Le dispiaceva metterlo in difficoltà, ma quell’uomo odioso e presuntuoso non avrebbe dovuto strapparle di mano la penna e il foglio!

- Potrebbe gentilmente farmi avere qualcosa su cui scrivere? - gli chiese con aria innocente, aumentando il disagio del poveretto, coinvolto suo malgrado in una guerra vecchia e più grande di lui. Con un sospiro di rassegnazione, il signor Okamoto schioccò le dita e immediatamente uno degli inservienti sparì tornando poco dopo con un vassoio. Il direttore lo porse a Maya, lei lo rigirò appoggiandolo sulle proprie ginocchia e firmò il primo autografo, rendendolo alla signora che squittì via contenta.

Tutti si accalcarono intorno, spingendo malamente il direttore che, offeso e impossibilitato ad arginare la situazione, si sistemò la giacca e si fece da parte. Lanciò un’occhiata all’atrio semi deserto, dato che tutti si erano praticamente raccolti in quell’angolo, e individuò Masumi Hayami. Quando dalla biglietteria gli avevano detto di aver staccato un biglietto a Maya Kitajima sapeva che sarebbe stata una giornata turbolenta.

Masumi osservò la folla con lo stesso sguardo assente e freddo con cui aveva cercato di allontanarla da lei, ma il suo cuore batteva ancora rapido dall’istante in cui Maya si era girata e l’aveva fronteggiato. Aveva volontariamente infranto il contratto: non avrebbe dovuto essere in quel teatro né avrebbe dovuto firmare autografi se la Daito non avesse disposto diversamente. Se lui non avesse disposto diversamente. Ma quella era Maya Kitajima, la Dea Scarlatta, l’attrice più pagata del momento, e non perdeva occasione per ricordargli chi fosse veramente.

- Non la invidio, signor Hayami… - mormorò Rei scoccando un’occhiata all’austero Presidente della Daito Art Production che era riuscito ad ottenere un contratto di esclusiva con la vincitrice dello spettacolo dimostrativo di gennaio, ormai undici mesi prima. Rei ricordava perfettamente la tensione del momento in cui la signora Tsukikage aveva designato la sua erede, sebbene, dopo aver visto la Dea di Maya, non aveva avuto dubbi su chi delle due contendenti avrebbe scelto la sensei.

L’uomo non rispose, continuando a fissare la folla accalcata intorno a Maya. Rei comprendeva bene i motivi che avevano spinto Masumi Hayami a rivolgersi in quel modo alla gente, ma Maya sembrava divertirsi a contraddirlo. Nei mesi che erano seguiti alla rappresentazione di prova, la “Dea Scarlatta” era rimasta nelle mani dell’Associazione Nazionale per lo Spettacolo e del suo Presidente, il signor Yamagishi, non per un mese, come preventivato, ma per tre, visto il successo.

Poi Maya aveva firmato un contratto con la Daito Art scioccando il mondo del teatro. Neanche Rei conosceva la verità su quella scelta discutibile, sebbene fosse sicura di averla intuita, ma da quel momento la vita di Maya era cambiata. In meglio, ovviamente. Masumi Hayami e la Daito Art Production avevano trasformato la “Dea Scarlatta” in un’autentica macchina per produrre soldi e l’attrice che ne interpretava il ruolo principale era stata ricoperta d’oro e onori. Ma chiaramente c’erano anche gli oneri, che Maya puntualmente non rispettava.

La Daito decideva i suoi ingaggi, le pubblicità, i posti pubblici in cui avrebbe potuto farsi riconoscere e quando rilasciare autografi. La sola presenza di Maya Kitajima generava soldi e la Daito e il suo Presidente non erano disposti a cederla gratuitamente. La “Dea Scarlatta” prodotta da Masumi Hayami era rimasta in cartellone per sei mesi, da aprile a ottobre, ma Maya nel frattempo aveva recitato anche in altri spettacoli e partecipato a centinaia di interviste con Sakurakoji e il cast di Kuronuma, che si erano aggiudicati rispettivamente i ruoli di Isshin e di regista alla fine dello spettacolo dimostrativo.

Rei venne riscossa dai suoi ricordi da un movimento dell’uomo accanto a lei. Masumi Hayami raggiunse il terrorizzato direttore del teatro che non poté in alcun modo evitare il confronto.

- Signor Hayami… io non potevo sapere che… - iniziò deferente, cercando di scusarsi per qualcosa che, tra l’altro, non dipendeva da lui.

- Signor Okamoto, sono io che devo scusarmi per il comportamento della nostra attrice - lo stupì a tal punto che l’ometto rimase rigido come un pezzo di legno - Questo non è un teatro Daito e la signorina Kitajima non avrebbe dovuto essere qui a mettere scompiglio alla prima del vostro spettacolo - aggiunse con voce tagliente scoccando un’unica e breve occhiata all’indirizzo di Maya che sorrideva a tutti e aveva calamitato l’attenzione globale. Cosa sarebbe accaduto quando gli attori fossero usciti?

- Ma lei non deve preoccuparsi di questo… - mormorò Okamoto ancora indeciso su come affrontare quell’uomo enigmatico.

- Invece mi preoccupo - insisté Masumi - Porterò via immediatamente la nostra attrice in modo che il vostro cast possa ricevere gli onori che merita senza essere disturbato da un’ingombrante presenza -

- Ma sono certo che la signorina Kitajima non voleva… - il direttore cercò di difendere la giovane attrice che veniva spesso, di nascosto, nel suo teatro a guardare gli spettacoli per ore, a volte restando in piedi dietro le porte della platea. All’inizio ne era rimasto intimidito, ma quando l’aveva conosciuta meglio aveva compreso perché la signora Tsukikage l’avesse scelta come sua erede. Il suo amore per il teatro e la passione che le scorreva nelle vene erano uniche e non le aveva mai viste in nessun altro prima di quel momento.

- Lo so - replicò Masumi spostando lo sguardo un’altra volta su di lei - Ma che l’abbia fatto innocentemente non ne diminuisce la gravità - aggiunse soppesando le parole.

Okamoto osservò lo sguardo tagliente e la direzione che aveva preso. La fama di quell’uomo lo precedeva ovunque andasse. Conosceva tutti in ambito teatrale e tutti conoscevano lui e i suoi modi oscuri e spesso incomprensibili. I battibecchi fra il Presidente della Daito e Maya Kitajima risalivano addirittura a quando la ragazzina, appena dodicenne, entrò in contatto con il mondo del teatro proprio con la Ondine. Quando la giovane vincitrice della sfida della “Dea Scarlatta” aveva stipulato un contratto con la Daito Art, i pettegolezzi si erano susseguiti alla velocità della luce, ma il rapporto fra attrice e produttore non era cambiato rispetto al passato, anzi, si era inasprito.

Maya Kitajima sembrava non tollerare le catene imposte dall’austero Presidente pur avendo firmato lei stessa il contratto di esclusiva e, di contro, lui non ammetteva alcuna concessione. Il direttore rifletté sullo strano legame di quei due, fonte di mille chiacchiere nei foyer, di cui aveva avuto una chiara dimostrazione solo qualche minuto prima.

Masumi Hayami si congedò e fece un passo verso la folla, ma Rei, che aveva seguito lo scambio di battute con il direttore del teatro, si interpose sulla sua traiettoria.

- Lasci fare a me, signor Hayami - gli consigliò fissandolo intensamente. Lui abbassò lo sguardo, distogliendolo dal suo bersaglio, annuì una sola volta e rimase immobile.

Rei rabbrividì per la tensione che emanava da lui. Maya stavolta l’aveva fatta grossa, tanto da spingerlo ad uscire dal suo ufficio in vetta alla torre dorata della Daito per venire a prenderla. Dal momento in cui l’aveva visto alle loro spalle si era domandata come fosse venuto a conoscenza di quella scappatella. In parte si sentiva responsabile ed era certa che quell’uomo di ferro la ritenesse tale, ma Maya era ingestibile quando si parlava di teatro e, se non l’avesse accompagnata, ci sarebbe andata da sola. Annuì a sua volta, gli dette le spalle e raggiunse decisa l’amica che firmava allegramente autografi.

Girò intorno alla poltrona e si chinò verso di lei.

- Maya, hai fatto di testa tua, il tuo scopo è raggiunto, ora andiamo, stanno per uscire gli attori, non vuoi rubar loro la scena, vero? -

Qualsiasi cosa Rei Aoki avesse detto, Masumi vide Maya restare impassibile, sorridere e consegnare un altro autografo. Indossava una maschera, ne era certo, ma d’altronde, chi non lo faceva?

- Maya… - sussurrò di nuovo Rei afferrandole una spalla.

- Sì, Rei, solo l’ultimo - le sorrise Maya come se niente fosse, utilizzando un tono che venne sentito da tutti. Prese carta e penna che qualcuno le stava porgendo e siglò il foglio bianco, in mezzo alle proteste e alle lamentele della gente.

Maya si alzò e si inchinò profondamente davanti a tutti.

- Vi ringrazio per la vostra gentilezza, ma adesso devo andare - disse con un sorriso dolce, trasformandolo immediatamente dopo in un’espressione seria quando puntò gli occhi accesi di rabbia su Masumi Hayami.

Come un sol uomo, la folla si girò in massa, zittendosi e fissando l’uomo con l’elegante cappotto nero che teneva le mani in tasca, apparentemente incurante di tutto e tutti, tranne della sua attrice.

- Quel Masumi Hayami… - borbottò una signora stringendo i pugni - La tiene come una prigioniera in catene! -

- È venuto lui qui! A prelevarla come una carcerata! - sibilò un’altra donna poco più avanti stringendo gli occhi con astio verso quell’uomo freddo e calcolatore.

Maya lasciò che la gente sfogasse il proprio rancore ancora per un po’, poi si lisciò l’abito, indossò il cappotto e si rivolse a Rei.

- Andiamo a casa - le comunicò semplicemente. Rei sbuffò, abbassò le spalle rassegnata e la seguì.

Quando passarono vicino a lui, Maya non lo degnò di uno sguardo e proseguì verso il direttore, seguita da Rei. Masumi si voltò e attese che facesse il suo dovere.

- Mi dispiace di aver creato scompiglio - si scusò arrossendo lievemente e inchinandosi.

- Oh… ma signorina Kitajima non deve neanche dirlo - disse a voce alta - È la benvenuta ogni volta che vorrà tornare… con più discrezione, magari - aggiunse a bassa voce, inclinando la testa verso di lei e strizzandole un occhio. Maya ridacchiò e arrossì ancora di più. Si ricompose e con portamento da principessa attraversò tutto l’atrio diretta verso l’uscita. Rei lanciò un’occhiata a Masumi Hayami che le stava seguendo poco dietro a passo lento. Aveva un’espressione indecifrabile che le metteva ancora più paura. Maya giocava davvero col fuoco e non era sicura che se ne rendesse conto.

Una volta arrivate all’esterno sulla scalinata, Rei comprese perché Hayami se la stesse prendendo comoda: quattro uomini eleganti vestiti di nero li attendevano, le gambe leggermente divaricate, le mani strette l’una nell’altra e appoggiate davanti, come le guardie del corpo dei film.

Maya rallentò il passo fino a fermarsi a metà della scalinata. Rabbia e terrore si mescolarono dentro di lei in un cocktail pericoloso. Uno degli uomini si staccò dalla formazione e aprì la portiera posteriore della berlina nera e lucida parcheggiata di fianco al marciapiede.

- Che significa? - domandò l’attrice senza neanche voltarsi. Rei si trovava fra Maya e il signor Hayami e le sembrava di essere attraversata da scosse gelide. Sospirò e attese che il dramma si consumasse.

- Sali sull’auto, ragazzina - ordinò la voce imperiosa di Masumi raggiungendo Rei sullo scalino. L’aria si saturò di elettricità e Rei si trovò a stringersi nelle spalle per il freddo.

Maya rimase immobile, ma la tensione della schiena rivelava tutta la sua rabbia nascosta.

- Smetta di chiamarmi in quel modo! - urlò senza riguardi, girandosi di scatto e stringendo i pugni.

- Lo farò quando dimostrerai maturità - replicò freddamente Masumi Hayami scendendo ancora qualche gradino e imponendosi con tutta la sua altezza - Sali - ripeté avvicinando una mano alla sua spalla senza toccarla e allungando l’altra ad indicare la portiera aperta.

Maya ribollì ancora qualche istante, poi si girò, discese gli ultimi gradini e infilò in auto senza replicare ulteriormente. Rei espirò il fiato che aveva trattenuto e senza aprir bocca la seguì. Si trovò seduta in mezzo, mentre Hayami chiudeva la portiera. Sollevò gli occhi al soffitto dell’auto e pregò di non trovarsi nel fuoco incrociato.

La macchina partì, seguita da un’altra con i quattro bodyguard. Il silenzio era così opprimente che Rei si trovò a cacciare fuori il fiato per vedere se congelava. Maya guardava fuori dal finestrino e Hayami in avanti, verso la strada. Se possibile, i loro alterchi erano passati da sporadiche apparizioni alla fine degli spettacoli a vere e proprie guerre in cui lei tirava da una parte e lui dall’altra. Rei era giunta alla conclusione che entrambi cercassero appositamente il modo per litigare, strascico e ampliamento del loro precedente rapporto che era diventato ancora più anomalo da quando Maya aveva deciso di firmare il contratto di esclusiva con la Daito Art.

- Hai messo in difficoltà il signor Okamoto - esordì Masumi dopo venti minuti di silenzio tombale. Gli erano occorsi per riflettere sulla situazione e sul modo di redarguirla. Ogni volta diventava più difficile e, rischiando di dirle la cosa sbagliata, sapeva che l’avrebbe allontanata sempre più.

- Se non fosse venuto, non sarebbe accaduto niente - ribatté Maya sempre guardando fuori dal finestrino.

Rei si portò pollice e indice al ponte del naso, reclinando lievemente la testa. La guerra iniziava e lei era proprio in mezzo.

- Se non fossi venuto, il Consiglio di Amministrazione della Daito ti avrebbe commutato una multa salata! Senza contare i guai che avresti fatto passare al direttore Okamoto! - sibilò Masumi voltandosi appena. Rei puntò lo sguardo alla strada, appoggiandosi lentamente allo schienale del sedile posteriore e sperando che non si scatenasse una rissa. Avrebbe potuto scommettere sul signor Hayami, sempre rigido e compunto, ma non su Maya.

- Nessuno le ha chiesto di venire! - urlò Maya, voltandosi di scatto e fissando gli occhi accesi d’ira in quelli azzurri e gelidi del suo datore di lavoro.

Masumi si rese conto che sviava appositamente la responsabilità circa i guai che avrebbe causato al direttore di quel teatro rivale e seppe di aver puntato sulla ferita giusta.

- Sai perfettamente che non ti è concesso andare liberamente nei teatri di altre compagnie né distribuire autografi senza autorizzazione! - insisté Masumi - Ci sono delle regole da rispettare! Regole a cui anche il signor Okamoto sottostà! Permettendoti di andare agli spettacoli, rischia il suo posto di lavoro! - accentuò l’ultima frase con la speranza di inculcare in quella testa cocciuta e ribelle un minimo di buon senso.

Maya lo fissò accaldata, aveva il fiato accelerato, il corpo teso e rigido, le mani strette a pugno: una premeva contro il poggiatesta del sedile anteriore e l’altra affondava accanto a Rei. La tensione crebbe mentre realizzava che, ancora una volta, Masumi Hayami aveva ragione. Era la cosa che più la irritava al mondo.

Si schiacciò contro il sedile morbido di pelle e distolse lo sguardo dai suoi occhi accusatori.

- Almeno hai avuto il buonsenso di scusarti con lui - aggiunse Masumi quando la vide capitolare. Ogni volta che la costringeva a riflettere, si trovava ad un bivio pericoloso: sgridarla come la ragazzina sconsiderata che era, oppure stringerla a sé e mettere fine a quell’angoscia che lo dilaniava da anni. La prima era la strada più semplice e quella che sempre imboccava, ben conscio dei pericoli che avrebbe corso lei se avesse deciso per la seconda. Quando l’aveva abbracciata sull’Astoria, gli esiti erano stati disastrosi.

Maya rimase in silenzio, Rei allungò una mano senza farsene accorgere e strinse quella dell’amica finché la sentì rilassarsi. Il signor Hayami non aggiunse altro, rimase rigido, le mani appoggiate sulle ginocchia, le labbra tese e serrate.

L’auto si fermò dopo mezz’ora di gelo inquietante davanti a casa di Maya. Quando era divenuta l’erede della signora Tsukikage e aveva firmato il contratto con la Daito, le era stato assegnato un bellissimo appartamento dove viveva da sola. Avevano trovato sconveniente che condividesse gli spazi con la vecchia amica e che quella solitudine giovasse al personaggio drammatico di Akoya che avrebbe dovuto impersonare, aumentandone mistero e romanticismo. Maya si era ribellata, presentandosi come una furia nell’ufficio di Hayami, ma ne era uscita sbattendo la porta senza ottenere niente.

Un uomo della scorta aprì la portiera di Maya e l’aiutò a scendere.

- A domani, Rei, grazie - le disse, ignorando completamente il signor Hayami. Lasciò che il collaboratore l’accompagnasse alla porta del palazzo e non si voltò mai indietro nonostante sentisse gli occhi di quell’uomo odioso puntati sulla schiena.

Rei si mosse per uscire a sua volta, ma lui la fermò.

- Mi permetta di riaccompagnarla a casa - si offrì gentilmente, espressione e voce completamente diversi da qualche istante prima. Rei lo fissò sconcertata: riservava quell’atteggiamento sgradevole solo a Maya…

- La ringrazio - rispose annuendo e sedendosi più comodamente nel posto dove era stata l’amica.

L’auto ripartì immergendosi nel traffico cittadino della sera e neanche per un istante Rei pensò di essere al sicuro. Rigirò fra le mani le chiavi di casa, cercando di tenere la mente serena, ma Masumi Hayami le concesse solo dieci di minuti.

- La ringrazio per essere andata con lei - le disse spiazzandola. Era sicura che l’avrebbe redarguita per averla aiutata in quella follia, invece la stava ringraziando.

- Io… ho provato a fermarla, ma… - mormorò dispiaciuta, notando che la sua espressione era apparentemente neutra, sebbene gli occhi azzurri, accesi da un lampo irritato, dicessero ben altro.

- Lo so - la rassicurò lui con un sorriso accennato.

La conversazione si interruppe e calò il silenzio, intervallato solo dai rumori del traffico, ovattati dagli spessi vetri oscurati dell’auto.

- Cosa devo fare, secondo lei? - chiese all’improvviso facendola sussultare.

Rei si girò a guardarlo, ma lui fissava pensieroso oltre il finestrino. Non poteva sapere a cosa si stesse riferendo né se stesse davvero attendendo una risposta da lei. Decise di rimanere in silenzio proprio quando lui si girò e la guardò con espressione interrogativa. Gli rispose con la prima cosa istintiva che le venne in mente.

- La lasci respirare, signor Hayami - suggerì riferendosi naturalmente a Maya. Lui rimase immobile, così lei proseguì, incoraggiata da quello sguardo cristallino. Si preoccupa sempre per lei… l’ha sempre fatto… e ho la sensazione che lo farà per sempre...

- Da quando ha vinto la sfida con Ayumi Himekawa non ha avuto un attimo di respiro - gli fece notare - Oltre alla “Dea Scarlatta” per l’Associazione Nazionale, ha recitato Akoya per la Daito da aprile a ottobre! Ma a voi non è bastato! Le avete fatto interpretare altri sette personaggi cavalcando l’onda del suo genio instancabile e della fama dovuta alla “Dea Scarlatta”! - aggiunse con sentimento, lasciandosi andare a quella confessione spassionata. La Daito aveva spremuto Maya senza alcuna pietà e lei aveva accettato ogni parte con entusiasmo crescente, come fosse una droga di cui non poteva privarsi, continuando, allo stesso tempo, ad essere Akoya, magica e innamorata di Isshin.

Masumi la fissò trattenendo a stento la meraviglia. Era convinto che Maya avesse gradito gli ingaggi che le avevano offerto. Dopo i primi spettacoli della “Dea Scarlatta” con l’Associazione Nazionale, le era sembrata a proprio agio con il personaggio di Akoya. Per quel motivo, quando aveva stipulato il contratto con lui, aveva deciso di proporle altre rappresentazioni da intervallare alle due settimanali della “Dea Scarlatta”.

- Akoya l’ha sfinita, non se n’è accorto? - continuò spietatamente Rei, incapace di credere che un uomo così attento agli affari avesse dimenticato la fragilità umana. Hayami tornò a guardare fuori dal finestrino, facendo mente locale sulle volte in cui l’aveva incontrata, anche dietro le quinte, alle conferenza stampa, alla Daito, nei teatri di prova. Aveva sempre mostrato il solito sorriso aperto e carico di aspettativa per il prossimo personaggio da sviscerare e interpretare e lui aveva potuto guardarla risplendere sul palco senza sosta per tutti quei mesi. Più tempo trascorreva in un teatro, meno possibilità aveva di incontrarla. Restava a distanza, dove poteva apparire come il Presidente della Daito che controllava il suo investimento.

- Basta pubblicità… basta spettacoli e corse da un teatro di prova all’altro, basta conferenze stampa e servizi fotografici - sussurrò Rei sporgendosi verso di lui, sperando che quelle parole facessero breccia nel suo cuore - Ritiri la sua proposta per “Madama Butterfly”! - quasi lo implorò, ma quando lui si voltò lentamente, Rei raggelò e si tirò istintivamente indietro.

- Perché dovrei annullare il più grande impegno della Daito dopo la “Dea Scarlatta”? Ha idea degli investimenti dietro questo progetto? - le spiegò con calma come se avesse di fronte un bambino - Inoltre è stata Maya a chiedere un’altra interpretazione nel semestre di riposo della “Dea Scarlatta”! -

Rei lo guardò corrugando la fronte.

- Davvero mi sta dicendo che un uomo scaltro come lei non si è accorto che l’ha fatto solo ed esclusivamente per dimostrare a se stessa di potercela fare e per preservare il lavoro al cast di attori de “L’isola che non c’è” che lei avrebbe licenziato? - senza accorgersene aveva alzato la voce in un crescendo. Quando terminò, aveva il fiato corto per l’emozione e la tensione di dover fronteggiare quell’uomo distante e calcolatore. Eppure c’era stato un tempo in cui aveva creduto che fosse l’ammiratore delle rose scarlatte.

Masumi dilatò le iridi chiare. Rei Aoki era la persona più vicina a Maya, se gli stava dicendo quelle cose sicuramente lo faceva con cognizione di causa.

- Come poteva sapere del cast di quello spettacolo? - domandò stupito stringendo le dita in pugni serrati. Era un gruppo di attori scelti appositamente per rappresentare “L’isola che non c’è” con un contratto unico. Sapevano che dopo non ci sarebbe stato un altro impiego, ma quando Maya aveva accettato “Madama Butterfly” aveva proposto, apparentemente in modo innocente, di tenere quegli attori. Ora finalmente comprendeva il motivo.

- Uno di essi faceva parte della Unicorno, si ricorda? - spiegò Rei - Avevano scambiato due parole e Maya aveva capito tutto -

- Ma dovrebbe sapere che i contratti sono a chiamata! Tutti gli attori lo sanno! - replicò Masumi evitando di pensare che lei l’aveva raggirato.

- Lo sa - ribatté Rei che stava perdendo la pazienza - L’ha fatto per sé e per dare a loro altri sei mesi di lavoro! -

Masumi Hayami la fissò in silenzio e Rei si accasciò sul sedile. Se non era riuscita a fargli capire che Maya era al limite, non sapeva davvero cos’altro avrebbe potuto aggiungere.

- Signor Hayami… - aggiunse infine riallacciandosi a quell’idea che non l’aveva mai abbandonata - La madre di Maya è morta, i suoi amici sono tutti distanti, la signora Tsukikage e Genzo sono a Nara, perfino il suo ammiratore ha pensato che fosse pronta per camminare da sola e l’ha abbandonata… Maya è sola! - gli disse impedendo al groppo in gola di trasformarsi in lacrime.

Il Presidente della Daito Art Production continuò a guardarla in silenzio. Non fece una piega al suo accenno all’ammiratore, ma Rei sapeva che era un uomo in grado di dissimulare perfettamente i suoi stati d’animo. Quando lo aveva visto allo spettacolo dimostrativo della “Dea Scarlatta” era rimasta stupita dalla sua espressione: sembrava completamente avvinto al dramma, come se ne facesse parte lui stesso. C’era stato un ultimo mazzo di rose, con un biglietto che Maya ancora conservava, quando la signora Tsukikage l’aveva eletta sua erede.

L’auto si fermò e Rei scese davanti a casa sua.

- Arrivederci, signor Hayami, grazie per avermi accompagnata - lo salutò con un inchino. Lui la fissò e la congedò con un breve cenno della testa. La macchina ripartì e lei rimase sul marciapiede ancora qualche istante, ripensando a quella strana conversazione quasi completamente a senso unico. Avrà compreso quanto sia precario lo stato di Maya? I suoi interventi in passato erano sempre volti agli affari, ma con un occhio alle persone coinvolte…

Sospirò e rientrò nel suo appartamento, sperando che Saiaka avesse preparato la cena come promesso.



- Dove vuole andare, signore? - la voce scandita e professionale dell’autista lo riscosse.

- Alla Daito, per favore - ordinò cordialmente mettendosi comodo. Si sfilò il cappotto con una rapida torsione delle braccia e lo abbandonò sull’altro sedile, ora vuoto. Fissò lo spazio che fino a poco prima era stato occupato da Maya e da Rei Aoki, poi tornò a guardare l’asfalto che correva veloce al lato della strada.

I loro alterchi erano cresciuti d’intensità perché Maya era stanca? Era così sicuro che volesse recitare da non porsi il problema della sua resistenza fisica. Aveva sempre dimostrato grande combattività e determinazione ed era certo che, dopo la “Dea Scarlatta”, niente l’avrebbe fermata. Il ruolo di Akoya sembrava fatto per lei. Era questo che la signora Tsukikage aveva visto in lei quando aveva appena dodici anni? La capacità di trasformarsi in qualsiasi cosa volesse? Per Maya, l’importante era capire a fondo il personaggio, sviscerarlo e indossare la sua maschera, vivere su quel palcoscenico migliaia di vite diverse. E ci riusciva con, apparentemente, pochissimo sforzo. Ma non era così a detta della sua amica Rei, che probabilmente la conosceva meglio di chiunque altro.

Quando Maya si era presentata con un avvocato, pronta a discutere i termini del contratto di esclusiva che lui le aveva proposto con la certezza che lei avrebbe rifiutato, aveva pensato che la signora Tsukikage gli stesse tendendo una trappola. Ma Maya lo aveva stupito, ribattendo ad ogni sua battuta ironica con freddezza e distacco. Voleva affidare alla Daito Art l’allestimento e la cura del nuovo spettacolo e lui ancora non era riuscito a comprendere cosa l’avesse spinta a prendere una decisione del genere.

L’aveva rivista qualche giorno dopo, quando era entrata come un ciclone nel suo ufficio, seguita dalla signorina Mizuki che aveva tentato invano di fermarla. Non voleva separarsi da Rei Aoki e quando aveva saputo che per ordine del Presidente della Daito Art le sarebbe spettato un appartamento a Ginza, lei si era precipitata da lui sputando fuoco come un drago. Gliene aveva dette di tutti i colori, lanciandogli critiche velenose e accusandolo di essere un uomo spregevole e senza cuore che agiva alle spalle della gente, pugnalandola. Lui era stato inamovibile: per enfatizzare il ruolo di Akoya, era necessario che lei vivesse da sola, aumentando il fascino misterioso del personaggio. Maya l’aveva fissato con occhi di fuoco, poi era uscita senza dire una parola.

Rei Aoki aveva parlato di solitudine. L’aveva messa lui in quella triste posizione. La solitudine aveva aiutato la concentrazione sulla Dea. Non c’erano più gli amici attori delle sue esperienze precedenti. Non c’erano più la signora Tsukikage e Genzo. Non c’era più Ayumi Himekawa che rappresentava il traguardo da raggiungere. L’aveva superata e erano rimaste solo Akoya e la Dea con il loro infinito amore verso gli uomini e Isshin.

Non c’era più neanche l’ammiratore delle rose scarlatte. Quando la signora aveva scelto la sua erede, aveva incaricato Hijiri di consegnare a Maya un ultimo mazzo accompagnato da un biglietto che aveva avuto difficoltà a scrivere.

Al ricordo parte del suo cuore s’incrinò nuovamente, quando venne assalito dai ricordi e dal dolore per aver preso quella decisione. Era stato necessario lasciarla andare. Ogni rosa avrebbe potuto rivelarsi un pericolo troppo grande per la sua carriera.

Due giorni dopo lo spettacolo dimostrativo, come voluto da suo padre, aveva sposato Shiori Takamiya, cancellando qualsiasi cosa fosse avvenuta sull’Astoria e spezzando il cuore di Maya che gli aveva chiesto di aspettarlo. Quella era stata una decisione sofferta, ma giusta.

Shiori si era ripresa quel tanto che bastava a celebrare la cerimonia: sposandola avrebbe potuto controllare meglio e di persona l’umore di quella donna instabile, impedendole di fare del male a Maya e tenere buoni, allo stesso tempo, suo padre e il nonno di lei.

Così le rose scarlatte erano morte con il suo cuore. Chissà cos’ha pensato Maya del mio voltafaccia… le avevo fatto una promessa...

Spostò lo sguardo distendendo la mano sinistra e fissandolo sull’anello bronzeo che cingeva il suo anulare e che lo legava con un contratto a Shiori Takamiya.

- Catene… - sussurrò ripensando alle parole della gente nell’atrio del teatro. Si tolse la vera nuziale e la rigirò fra pollice e indice. Era un cerchio perfetto che indicava qualcosa che sarebbe durato all’infinito. Non esistevano più rose fisiche da regalarle, ma quelle nel suo cuore non sarebbero mai appassite, questo lo sapeva da tempo.

Si rinfilò l’anello e prese una decisione.


   
 
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