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Autore: Darkrystal Sky    06/04/2016    0 recensioni
MULTI-CROSSOVER FIC Conoscete tutti la storia di Edward e Alphonse Elric, ma quanto cambierebbe questa se le persone che hanno incontrato durante il loro viaggio non fossero le stesse? Se il Viaggio tra Dimensioni parallele fosse di dominio pubblico e il Multiverso fosse al centro di una faida millenaria?
La storia di Fullmetal Alchemist come non l'avete mai vista.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Envy, Roy Mustang
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Revolution - Advanced Version
noun  rev·o·lu·tion  \ˌre-və-ˈlü-shən\
a. the usually violent attempt by many people to end a rule and start a new one
b. a sudden, extreme, or complete change.
c. the action of moving around something in a path that is similar to a circle

Capitolo 1 - Il Portavoce di Dio

When we've been there ten thousand years
bright shining as the sun.
We've no less days to sing God's praise
than when we've first begun.

John Newton - ‘Amazing Grace’
Villaggio di Reesembool, area sud-est di Amestris, Shambala. Anno 1910.
Il rumore prodotto dal gessetto sul pavimento era l’unico suono che rompeva il silenzio carico di tensione in cui era avvolta la stanza. Gli unici testimoni di ciò che stava per accadere erano alcune armature da collezione e numerosi libri aperti sparsi per terra. Due bambini stavano finendo di disegnare sul pavimento un enorme cerchio attraversato da linee geometriche e curiosi simboli, al centro del quale vi era un contenitore con al suo interno quella che sembrava sabbia. Uno scienziato probabilmente vi avrebbe riconosciuto una gran quantità e varietà di elementi chimici in polvere.
“Perfetto, è finito” disse il bambino più grande, posando il gessetto a terra. Aveva i capelli biondi e gli occhi color oro, e non dimostrava più di una decina d’anni. Lanciò un’occhiata all’altro bambino, il cui sguardo esprimeva nervosismo. Questo aveva i capelli castani e gli occhi dello stesso colore dell’altro bambino, doveva avere al massimo un paio d’anni meno del primo. I due si assomigliavano abbastanza da poter essere fratelli. “Non preoccuparti, andrà tutto bene” lo rassicurò il più grande con un sorriso.
 L’altro annuì e accennò un sorriso a sua volta.
Fuori iniziò a piovere.
Incuranti degli scrosci, i due poggiarono entrambe le mani sul cerchio. Le linee di gesso si illuminarono di una calda luce e sprigionarono un'energia potentissima, che si propagò in tutta la stanza: la trasmutazione alchemica aveva avuto inizio. Presto tutti quegli elementi chimici si sarebbero ricombinati in un’altra forma completamente diversa, e il loro desiderio sarebbe stato esaudito. Il bambino più grande sorrise tra sé: stava andando tutto come previsto.
Improvvisamente l’energia sprigionata dal cerchio alchemico aumentò d’intensità e la sua luce calda cambiò colore, tingendo la stanza di freddi riflessi viola. L’aria intorno ai due si saturò di elettricità statica e alcuni oggetti nella stanza cominciarono a cadere a terra e a frantumarsi. Il bambino biondo si guardò intorno, disorientato, ma un grido terrorizzato lo fece voltare verso il bambino più piccolo.
L’energia alchemica lo stava attaccando: quelli che sembravano tentacoli neri lo aveva circondato e gli si erano avvinghiati al braccio destro. Il bambino più grande fece per alzarsi e correre da lui, ma qualcosa lo trattenne per la gamba. Si voltò per tentare di liberarsi e si rese conto che a trattenerlo era la stessa entità oscura che aveva attaccato il fratello. Si voltò di nuovo verso l’altro bambino, tentando disperatamente di avvicinarsi, mentre questo veniva trascinato verso il vortice oscuro che si stava formando in mezzo alla stanza, in corrispondenza del contenitore degli elementi. L’energia lo stava letteralmente divorando, e ormai l’intera parte inferiore del corpo era scomparsa. Allungò disperatamente la mano verso il fratello maggiore, gli occhi pieni di terrore. Questo tentò di raggiungere la mano tesa, incurante del fatto che anche la sua gamba si stava velocemente scomponendo, ma quando credette di averla afferrata si ritrovò a stringere il nulla. Suo fratello era stato completamente risucchiato.
La luce diventò sempre più forte, e il bambino urlò con tutto il fiato che aveva.
Improvvisamente la luce diminuì d’intensità e si spense. Nella stanza satura di fumo rimasero le armature rovesciate, i libri strappati e parzialmente inceneriti, i frammenti di vetro delle lampade e... gli abiti del bambino più piccolo, che era scomparso nel vortice di luce.
“Non doveva andare così, maledizione!” gridò il bambino biondo, stringendosi la gamba sinistra: era amputata appena sopra il ginocchio e perdeva molto sangue.
Nel contenitore al centro della stanza, al posto degli elementi chimici, qualcosa si agitò debolmente ed emise un rantolo soffocato. Il bambino si voltò in quella direzione.
“...Mamma?” chiamò, incerto.
Ma l’essere che emerse dalle volute di fumo non poteva nemmeno definirsi umano. Lo fissava con un unico occhio, rosso come il sangue che continuava a sgorgare dalla sua ferita.
Anche l’ultima speranza del bambino s’infranse, e lui proruppe in un grido disperato.
-
Città di Istvàn, Frontiera meridionale di Amestris, Shambala. Anno 1914.
Gli abitanti di Istvàn erano abituati agli stranieri: pellegrini e viaggiatori passavano attraverso la modesta città per attraversare il confine tra lo Stato di Amestris e il deserto, oltre il quale si trovava l’Impero di Xing. Erano abituati a veder camminare per le strade della città le persone più strane, e ormai non si stupivano più di nulla. Il ragazzo che aveva appena fatto il suo ingresso in città, però, non passava certo inosservato, non tanto per il suo aspetto, quanto per il suo compagno di viaggio. Lui, infatti, dimostrava circa 15 anni, era piuttosto basso e indossava un lungo cappotto rosso con cappuccio. Sulla schiena aveva un curioso simbolo, una specie di croce con un serpente che vi si avviluppava intorno e sormontata da una corona alata. Sotto il cappotto era vestito di nero, ma portava un paio di guanti bianchi. I lunghi capelli biondi erano legati in una treccia, e i suoi occhi color oro erano stanchi.
“Stai bene, fratellone?” gli chiese il suo compagno di viaggio.
Si trattava di una persona infagottata in un’armatura di metallo alta almeno un paio di metri e con un elmo dotato di corno appuntito e lungo cimiero bianco, e a ogni passo produceva un rumore di ferraglia. A differenza del suo aspetto, che gli aveva guadagnato tutte quelle occhiate sorprese da parte dei cittadini di Istvàn, aveva una voce decisamente acuta, come quella di un ragazzino.
“Se non bevo subito qualcosa, svengo” replicò l’altro ragazzo, boccheggiando. Alzò la testa, riconoscendo in lontananza il rumore di acqua scrosciante, e alla fine della strada che stava percorrendo scorse una meravigliosa fontana di pietra. “Acqua!” esclamò.
Corse verso la fontana, già pregustando il sapore dell’acqua fresca, ma quando fu abbastanza vicino si rese conto che il liquido che ne sgorgava non era limpido, ma rossastro, ed emanava un pungente profumo di aromi. Troppo sorpreso per poter fare qualunque cosa, il ragazzo stava ancora fissando il contenuto della fontana con aria basita quando qualcuno gli strinse la spalla sinistra con la mano.
“Guarda che ai bambini è proibito bere dalla fontana!” esclamò l’uomo dalla pelle olivastra a cui apparteneva la mano.
Lo sguardo confuso del ragazzo fu abbastanza eloquente.
Poco dopo i tre erano al chiosco di bevande di proprietà dell’uomo, a pochi metri dalla fontana, il quale appoggiò un bicchiere pieno di succo di frutta davanti al ragazzo.
“Mi spiace di averti scambiato per un bambino” disse, rivolto al ragazzo. “Alcuni di loro si sfidano a bere dalla fontana, ma quando succede, visto che il mio chiosco è proprio qui davanti, i genitori vengono a lamentarsi da me.” Alzò lo sguardo sull’armatura. “A proposito, lei chi è, suo padre?”
“A dire la verità sono suo fratello minore” rispose l’armatura.
“Tu saresti il minore?” fece l’uomo, sgranando gli occhi. “Caspita, ma non siete un po’ piccoli per viaggiare da soli?”
“CHI SAREBBE IL FAGIOLINO MINUSCOLO INVISIBILE ALL’OCCHIO UMANO?!” gridò il ragazzo biondo, adirato. Si sarebbe lanciato verso il proprietario del chiosco se il fratello non l’avesse bloccato da dietro.
“Deve scusarlo…” fece la persona in armatura, imbarazzata. “Piuttosto, Istvàn dev’essere una città molto ricca per permettersi delle fontane simili” aggiunse, guardandosi intorno. Così facendo, si accorse che la maggior parte degli abitanti della città aveva la pelle scura come l’uomo che stava loro davanti, diversamente dalla popolazione di Amestris che i due erano abituati a vedere, che invece avevano la pelle bianca.
“È tutto merito di padre Alexander Anderson” spiegò il proprietario del chiosco. “Padre Anderson riesce a fare un sacco di miracoli, e se non fosse per lui questa città sarebbe stata dimenticata da tutti.”
Il ragazzo biondo mugugnò qualcosa d’incomprensibile e tornò a sedersi, afferrò il suo bicchiere di succo di frutta e prese una lunga sorsata.
“Sinceramente i miracoli sono l’ultima cosa che m’interessa” dichiarò, rimettendo il bicchiere vuoto sul tavolo. “Qui stiamo solo perdendo tempo. Che dici, Al, andiamo?”
Il ragazzino in armatura annuì. Quando si alzò, però, urtò con l’elmo la mensola su cui si trovava una radio che aveva appena cominciato a trasmettere un sermone di padre Anderson. L’apparecchio cadde a terra e si ruppe in mille pezzi.
“Guarda cosa ha combinato!” esclamò il proprietario, arrabbiato. “Ecco cosa succede ad andare in giro vestiti in quella maniera!”
“Mi dispiace molto” si scusò il ragazzino. “Gliela riparo subito.”
“La... ripari?” ripeté l’uomo, confuso.
Dopo aver estratto un gessetto da uno dei borsellini legati all’armatura, il ragazzo disegnò sulla pavimentazione di pietra della piazza, intorno alla radio distrutta, un cerchio perfetto e alcune linee e triangoli all’interno di esso, dopodiché posò le mani sul bordo. Con un bagliore bluastro e uno sbuffo di fumo, la radio tornò perfettamente funzionante.
“Anche tu puoi fare i miracoli?!” esclamò il gestore del chiosco, stupito.
“Siamo soltanto alchimisti, signore” lo corresse quello con un sorriso, restituendogli la radio che aveva ripreso a trasmettere il sermone di Anderson.
“Alchimisti, eh? Avrei detto che eravate artisti di strada o qualcosa di simile!” L’uomo rise, osservando la radio da vicino: sembrava come nuova. “E cosa ci fanno degli alchimisti come voi in questa città di frontiera?”
Al, il ragazzino in armatura, non disse nulla, limitandosi a girare la testa verso il compagno di viaggio, che alzò le spalle.
“Diciamo che stiamo cercando qualcosa” disse questo.
“Wow, che armatura enorme!” esclamò una voce alle spalle dei due ragazzi: dietro di loro stava arrivando una giovane donna vestita in abiti clericali, che guardava Al con ammirazione e stupore. A differenza degli abitanti di Istvàn, aveva la pelle candida e gli occhi blu come il cielo dopo il tramonto: dal velo scuro che le copriva la testa spuntavano alcune ciocche di capelli rosso fuoco.
“Eh…” fece Al, imbarazzato, senza sapere come rispondere.
“Oh, Esther!” la salutò il proprietario del chiosco, prendendo da sotto il bancone un sacchetto di carta e allungandolo alla giovane suora. “Ecco qui, dovrebbe esserci tutto. Sono riuscito a farti un prezzo speciale!”
“Che lei sia benedetto,” rispose lei con un sorriso caldo, tendendo all’uomo alcune banconote. Poi si voltò verso i due ragazzi. “Scusate, non volevo mettervi in imbarazzo. Siete i benvenuti nella santa città di Istvàn!”
“Ah, grazie…”
“Cosa vi porta da noi? Siete pellegrini? Avete avuto problemi ad arrivare da Amestris?”
“Dicono di essere alchimisti…” le cominciò a spiegare l’uomo, ripetendo le parole del ragazzo, ma qualcosa aveva attirato l’attenzione di quest’ultimo.
“Che genere di problemi avremmo dovuto avere arrivando da Amestris?” le domandò.
L’espressione della suora si rabbuiò.
“Quei maledetti soldati sono appostati alla stazione e controllano chiunque arrivi: non capisco chi o cosa stiano cercando, ma sicuramente la popolazione non è contenta”. I due ragazzi si guardarono per una frazione di secondo, prima che Esther tornasse a sorridere. “Ma non dovete preoccuparvi: Padre Anderson ci ha protetto fino ad oggi, sono sicura che non succederà nulla di brutto agli abitanti di questa città finché lui continuerà a guidarci secondo la parola di Dio!”
“Questo padre Anderson sembra essere un pezzo grosso…” commentò a bassa voce il ragazzo. Né la suora né l’uomo del chiosco sembrarono sentirlo o capire le sue parole.
“Oh, non ci posso credere, che maleducata che sono!” esclamò la donna tutto d’un tratto. “Mi chiamo Esther Blanchett, sono una suora novizia!”
“Ah, io sono Edward” rispose sorridendo il ragazzo. Successivamente indicò l’armatura gigante al suo fianco. “Questo è mio fratello minore, Alphonse”.
“Sei davvero tu il più grande?” fece Esther sorpresa. Edward le scoccò un’occhiataccia. La giovane suora ridacchiò. “Sembrate dei bravi ragazzi, che ne dite di venire con me alla chiesa? Abbiamo delle camere e una mensa per pellegrini e viaggiatori”.
“In realtà…” cominciò Alphonse, ma fu interrotto dal fratello.
“In effetti m’interesserebbe molto parlare con questo Anderson! È possibile incontrarlo?”
Esther sorrise, raggiante.
“Ti interessa la nostra Chiesa, allora! Certo! Posso portarvi da lui anche subito!”
“Li lascio nelle tue mani, allora” l’uomo annuì vigorosamente, salutando i tre ragazzi mentre si allontanavano. “È bello vedere Esther così vivace” aggiunse tra sé e sé. “Non si direbbe che siano passati solo pochi mesi dalla sua crisi depressiva...”
Mentre camminavano per le strade di Istvàn, Esther cominciò a raccontare ai due ragazzi di padre Anderson.
“È arrivato a Istvàn quasi un anno fa, prima gestiva un orfanotrofio ad Aerugo, dove si occupava dei bambini che hanno perso i genitori durante le ultime guerre. È una persona davvero gentile: mi ha aiutato molto dopo che il mio ragazzo, Dietrich, è morto in un incidente sul lavoro due anni fa.” Edward le lanciò un’occhiata compassionevole, ma la ragazza aveva uno sguardo determinato e fisso davanti a se. “È per questo che ho preso i voti: padre Anderson mi ha promesso che, se servirò Dio con passione e costanza, lui potrà restituirmi Dietrich.”
Edward alzò un sopracciglio, lanciando ad Esther un’occhiata scettica.
“Restituirti… Intendi riportarlo in vita?”
Esther annuì con vigore.
“Dio può tutto, non è così? Anche voi crederete quando vedrete i miracoli che Egli consente al padre di operare”.
-
“Ed è nelle parole del miscredente che giace l’inganno: ‘Cosa devo fare per ottenere la vita eterna?’ ha chiesto, pensando che la vita eterna possa essere ottenuta solo attraverso la cessione di un bene materiale. E qui io vi dico: solo attraverso la grazia di Dio voi sarete salvati, non attraverso voi stessi. L’immortalità è un dono di Dio, non qualcosa da comprare. Questa è la parola di Dio, andate in pace.”
Premendo un bottone sulla propria scrivania, padre Anderson spense il microfono che trasmetteva la sua voce alle radio di tutta la città.
“Un magnifico sermone, padre!” esclamò con entusiasmo una donna vestita da prete con gli occhi verdi e corti capelli color biondo paglia, che si trovava in piedi dietro di lui. Al collo portava una croce d'argento. Accanto a lei, una suora con i capelli neri coperti dal velo e un paio di grandi occhiali rotondi, talmente grandi e spessi da nasconderle la faccia, annuì in silenzio.
Si sentirono due colpi alla porta, che si aprì lasciando entrare Esther.
“Buona sera, padre Anderson!”
“Oh, Esther.” L’uomo sorrise dolcemente, alzandosi in piedi.
La giovane suora si avvicinò.
“In città sono arrivati due alchimisti, li possiamo ospitare negli alloggi del convento?”
L’uomo annuì.
“Le porte della nostra chiesa sono aperte a tutti”.
Esther sorrise, raggiante.
“Ah, e hanno chiesto di incontrarla: si trovano qui fuori in questo momento”.
“Padre Anderson è molto stanco” intervenne la donna vestita da prete, posandole una mano sulla spalla. “Possono tornare domani, dopo la dimostrazione pubblica”.
“No, sorella Heinkel” la interruppe Anderson. “Falli pure entrare, è sempre piacevole incontrare nuove anime.”
Esther annuì vigorosamente.
“Edward, Alphonse, entrate pure!” chiamò.
La porta si aprì nuovamente e i due apparvero.
“Con permesso…” disse Alphonse, imbarazzato, chinando la testa per attraversare la porta bassa.
“Un armatura?!” Sorella Heinkel fece un passo indietro, mentre Anderson si limitò ad alzare un sopracciglio.
Edward entrò dopo il fratello, tenendo le mani in tasca e la schiena dritta, e studiò il tanto menzionato padre Anderson: l’uomo dimostrava un po’ più di sessant’anni, aveva corti capelli grigi spettinati, gli occhi color azzurro ghiaccio e un paio di occhiali tondi. Era molto alto e indossava un modesto abito clericale di colore grigio. Una lunga cicatrice rossastra gli solcava la guancia sinistra, semi nascosta da una barba corta e rada. Al collo gli pendeva una pesante croce di metallo e alla mano sinistra portava un anello d’argento con una brillante gemma di colore rosso. Sembrava una persona severa, ma saggia.
“Benvenuti a Istvàn, figlioli” disse. “Che Dio vi accompagni nel vostro viaggio.”
“Grazie…” cominciò Alphonse, ma fu immediatamente interrotto da Edward.
“Puoi davvero compiere dei miracoli?” gli domandò questo a bruciapelo.
Anderson fece un lungo sospiro.
“La vera fede non richiede prove, ma se ho capito bene siete alchimisti, scienziati, giusto?”
“Già, ho la testa dura, faccio fatica a credere a quello che non posso vedere con questi occhi” ribatté Edward con un mezzo sorriso di sfida.
Anderson annuì.
“Venite domani a mezzogiorno alla piazza di fronte alla chiesa: vi mostrerò di cosa è capace Dio attraverso di me”.
“Per aver appena detto che la fede non ha bisogno di prove, sembra che queste dimostrazioni siano all'ordine del giorno” fece Edward con un sorrisetto. “In città non si parla d’altro”.
Anderson sorrise.
“I miracoli che Dio ci offre fungono da supporto alla nostra fede: ci donano fiducia e speranza, ed è tutto quello di cui Istvàn aveva bisogno per rifiorire”.
Edward annuì.
“Non è che le capita anche di riportare in vita i morti, eh?” aggiunse con pesante sarcasmo.
“Edward!” intervenne Esther, arrossendo imbarazzata. “Chiedo perdono, padre. Gli ho parlato di Dietrich e…”
“Non preoccuparti, figliola” la rassicurò Anderson, poi si voltò di nuovo verso Edward. “La Grazia di Dio mi consente talvolta di restituire ai loro cari persone il cui momento di ricongiungersi a Dio è stato malauguratamente anticipato. Il signor Tlipoca e il professor Barrett sono tra questi…”
L’espressione di Edward si fece totalmente sorpresa.
“No, aspetta, hai già resuscitato qualcuno?”
“Dio ha compiuto l’atto, io sono solo il suo portavoce” lo corresse Anderson. “Ma sì, il miracolo è già avvenuto”.
Edward boccheggiò per qualche secondo, prima di ricomporsi.
“E queste persone dove sono? Posso parlare con loro?”
“Sono partiti in pellegrinaggio qualche giorno dopo essere stati richiamati su questa terra” raccontò l’uomo. “Sebbene per volere di Dio, l’anima è pur sempre stata strappata dal regno dei cieli e ha subito un profondo trauma. La preghiera cura le ferite dello spirito, ma perché essa sia sincera bisogna allontanarsi dalle tentazioni terrene, e dunque dalle persone che si amano, almeno finché le ferite dell’anima non si saranno risanate. Solo Dio sa quanto tempo è necessario a ogni persona per guarire.”
Edward storse la bocca.
“Chissà perché, me lo immaginavo...” mormorò tra i denti.
“Adesso basta” intervenne sorella Heinkel. “State vessando padre Anderson con i vostri discorsi: cosa siete venuti a fare a Istvàn?”
Edward si grattò la nuca, sospirando.
“Semplice curiosità. Insomma, non capita tutti i giorni che qualcuno riporti in vita i morti, no?”
“La voce si è sparsa?” chiese la donna.
“Solo nelle città qui intorno, ma ancora qualche miracolo e lo sapranno anche a Central City.”
“A proposito, abbiamo sentito che avete dei problemi con l’esercito” intervenne Al.
Sorella Heinkel incrociò le braccia, sbuffando.
“A quegli stupidi militari non va a genio che questa città rimanga indipendente da Amestris, siamo troppo vicini ad Aerugo perché ci lascino in pace”.
Anderson si grattò la barba, annuendo gravemente.
“Non vi hanno fatto problemi quando siete arrivati in città, vero?”
“Ah, no, siamo arrivati a piedi da Est”.
“A piedi?!” esclamò Esther. “Dovete essere esausti! Lasciate che vi accompagni al vostro alloggio!” La ragazza si frappose tra loro e il sacerdote, spingendoli verso la porta.
“Ah, non è una cattiva idea in effetti. È troppo tempo che non dormo in un letto…” ridacchiò Edward, nervoso.
“Per qualunque cosa di cui abbiate bisogno, non esitate a chiedere” li salutò Anderson.
 I tre augurarono buona serata e si allontanarono lungo i corridoi dell’edificio annesso alla chiesa.
“Scusate per prima” disse Esther quando si furono allontanati abbastanza. “Sorella Heinkel non si fida molto degli sconosciuti, vi avrebbe continuato a interrogare fino a domani mattina, non voglio che la vostra prima impressione della nostra Chiesa sia così satura di diffidenza… e sto parlando troppo, vi prego, fermatemi se vi sto stancando”.
Edward rise.
“Tranquilla, anzi, devo ringraziarti: nemmeno io sapevo come tirarmi fuori da quella situazione”.
La stanza dove Esther li portò era sobria ma pulita, con due letti, due sedie, un tavolino su cui era appoggiata una bibbia e una finestra che dava sul cimitero annesso alla chiesa. Quando Esther lasciò i ragazzi da soli, Edward si lasciò cadere di faccia sul materasso, senza preoccuparsi di togliersi vestiti o scarpe.
“Che cosa ne pensi?” gli chiese Al, guardando fuori dalla finestra. Riusciva a vedere Esther, che si era portata di fronte ad una delle tombe, probabilmente quella del suo ex-fidanzato.
“O padre Anderson è il più grande artista della truffa che esista, oppure qualcuno più in alto di lui lo sta ingannando.” Ed si girò, rivolgendo uno sguardo pensieroso al soffitto. “Qualsiasi cosa si faccia, un morto non può ritornare in vita…”
-
Anderson si era appena ritirato nella sua stanza, sobria e spartana come tutti gli alloggi dell’edificio, dopo aver celebrato la messa serale. Stava per farsi mandare la cena dalle cucine, quando un rapido movimento gli annunciò di non essere solo. La porta-finestra del balcone era aperta e una leggera brezza muoveva le tende candide, tra le quali stava una figura apparentemente umana. Nel vederla, Anderson s’inginocchiò.
“Emissario del Signore” Anderson sorrise, congiungendo le mani in preghiera. “Cosa comanda Dio Onnipotente?”
Sulle labbra rosse dell’Emissario si dipinse un sorriso dolce.
-
“L’anima è immortale e attraverso la preghiera l’immortalità viene trasmessa alla carne.” Edward lesse un frammento dal libro sacro, prima di lasciarlo cadere sul tavolino con una smorfia. “Quante baggianate!”
“Non possiamo farci niente se le persone di questa città vogliono crederci, però” cercò di dire Al, che stava ancora guardando fuori dalla finestra. Sebbene fosse quasi ora di cena, Esther era ancora di fronte alla tomba, quando padre Anderson le corse in contro per dirle qualcosa che Al non riuscì a sentire a causa della distanza. La ragazza si portò le mani al viso e probabilmente scoppiò a piangere, perché il prete l’abbracciò e la strinse al petto, prima di accompagnarla di nuovo verso la chiesa. “Quell’uomo, padre Anderson, non mi sembra una cattiva persona” concluse il ragazzino in armatura.
“Non lo so… Vedremo domani di che cos’è capace.” Il fratello si tolse le scarpe, le gettò in malo modo sotto il letto.
“Fratellone, non vuoi andare in mensa a mangiare qualcosa?”
 “Stasera non ho fame” rispose il ragazzo, e si avvolse nelle coperte ruvide. “Buonanotte, Al.”
“Buonanotte” sospirò Al, e si sedette a terra.
La notte calò silenziosa sulla città di Istvàn.
 
  
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