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Autore: Soul of the Crow    06/04/2016    0 recensioni
Umani, vampiri, demoni ed angeli: quel mondo devastato avrebbe presto visto combattere queste grandi schiere.
Manca però una figura tra di esse: una che non può prendere alcuna delle due parti, che fa semplicemente il suo dovere in quel mondo fin troppo crudele con tutti. Quel qualcuno ha una sua storia, una che tenta di non far sparire per sempre, ma che saprà tenersi stretta quando ritroverà coloro che ha fallito ad aiutare anni prima?
[Dal capitolo...]
- Anche se è ciò che tu hai deciso, non significa che la cosa mi debba piacere. -
- Non mi importa. Farò di tutto per la mia famiglia. E se Guren, Shinoa o gli altri intendono usarmi, che facciano come vogliono. -
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.
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- ... Questa è la scelta peggiore che potevi fare, ma immagino non potrò fermarti ugualmente. Non è forse così? -
- Sì. Salverò Mika, te lo assicuro. -
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- Mmm... Allora forse c'è ancora qualcosa che posso fare. -
Nel mondo dopo l'Apocalisse si aggiunge un'altra persona: un nuovo alleato per la Shinoa Squad, che necessiterà del loro aiuto per portare a termine le promesse fatte a chi le ha dato uno scopo.
[Pairings: fem!MikaYuu, altre in seguito] [AU per discostamento dagli avvenimenti del manga] [Successivo cambiamento di rating]
Genere: Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Mikaela Hyakuya, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Yūichirō Hyakuya
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Gender Bender
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The first page: the night of the Apocalypse




Buio…



Tenebre…



Oscurità…



In ogni momento, che sia una mattina luminosa oppure la notte più scura, uno spiraglio di buio rimane ovunque… Nell’ombra di un albero su un marciapiede o in un vicolo ben nascosto dai grattacieli più alti ed altro ancora, ma tutti questi piccoli pezzi d’oscurità alla fine sono insulsi, insignificanti…

Perché? Perché rimangono sempre negli stessi posti, ogni singolo giorno che passa… O forse perché hanno il semplice difetto di essere unicamente quello che sono. Nulla di più, nulla di meno.

Quale è un esempio di “buio” che ha significato allora? È qualcosa di più importante, ma facile o difficile da gestire allo stesso tempo: le emozioni delle persone.
Ne esistono di positive, come felicità, gioia, coraggio, spensieratezza, le quali possiedono però un opposto, una corrispondente negativa: tristezza, odio, paura, angoscia… C’è chi le mostra tutte quante alla luce del Sole senza avere timore, ma molte persone non vogliono mostrare alcuna forma d’insicurezza di fronte agli altri, soprattutto di coloro che ti stanno più vicino. Si prova ad essere forti, a non farsi spaventare, a non farsi intimorire, ma è tutto inutile: si può solo dissimulare la propria ansia, la propria infelicità, poiché tutte queste emozioni negative, la “Notte” di ogni persona, l’altra faccia della medaglia, rimane sempre. Resterà celata a tutti, meno che a noi stessi, ma su una cosa si può stare sicuri: tornerà… Quando meno ce lo aspettiamo.
Certo, non si è mai troppo contenti di avere paura o essere arrabbiati per qualcosa, ma tutti questi sentimenti, che siano positivi e negativi, belli o brutti, che vorremmo avere o di cui ci piacerebbe sbarazzarci, sono sicuramente tutti importanti. È una caratteristica che ha sempre distinto le persone, rendendole diverse da oggetti inanimati o animali guidati da semplici istinti di sopravvivenza ed autoconservazione, e che non dovrebbero mai perdere o sacrificare… Per nessun motivo.
Già… Gli “esseri umani” ... “Loro” … Non tutti uguali ma nemmeno troppo diversi: non è raro infatti che, su molti aspetti, si dimostrino deboli, insignificanti, avidi ed assetati di gloria e potere, ma ognuno di loro vive la propria vita, attimo per attimo, senza mai sprecarsi.


Come li invidiava…


Già, quel sentimento dolceamaro che si prova quando si vuole una qualità altrui solo per sé, uniti ad una punta di aspro disprezzo per chi invece possiede già quelle caratteristiche. Riflettendoci un attimo è quasi ironico: lei invidia qualcun altro… “Invidiare” … Non è certamente nulla di bello, ma è sempre un’emozione… Quando lei non dovrebbe già più doverne provare.


Non da quella fatidica notte… Non dall’incontro con quell’essere che ha cancellato ciò che aveva… Non dopo che una seconda entità le ha tolto anche quel poco che le era rimasto…

Proprio vero che nella vita non si può mai essere sicuri di nulla.


Gli umani credono di essere gli unici ad esistere, ad avere una qualche importanza nel loro piccolo mondo, ma è proprio in questo che si sbagliano di grosso: altre creature si annidavano nell’ombra, in attesa del momento buono per emergere e far sentire che c’erano… Da dove provengono? Dalle diverse fedi, che appartengano alla religione o al semplice occulto, che hanno spinto gli umani a credere che in qualcosa che loro non possono vedere o raggiungere, se non quando sarà giunta l’ora del loro giudizio. Sta ad ognuno decidere se avere fiducia che i loro credo si avverino oppure rimangano semplici dicerie senza fondamento.


Se si fermava un attimo a ripensarci, lei non aveva mai creduto tanto all’esistenza di entità ultraterrene (divinità, spiriti o simili per intenderci), almeno finché non vide una di quelle leggende divenire realtà davanti ai suoi occhi. Quella leggenda possedeva diversi colori, che lei non era riuscita a dimenticare… e che tuttora odiava. Quel mito era di colore rosso, come i gigli ragno dello stesso colore che fiorivano nel suo giardino in tarda estate… Bianco argentato, come la Luna che in quel momento illuminava un cielo blu rannuvolato… E nero, come le tenebre generate dai sentimenti più malvagi che possano esistere… Non aveva né un buon profumo né un bell’aspetto, ed aveva potuto confermare che non fosse animato da buoni propositi: quell’essere è stato l’inizio della sua sventura, di un cammino lungo pochissimi anni che l’ha portata dov’è ora, una strada che ha avuto inizio quando una seconda persona l’ha aiutata a non essere spazzata via, ma che in cambio le ha portato via qualcosa di fin troppo importante…
Quella che era la vittima di allora è andata avanti, in attesa del momento adatto per rincontrare chi la aveva rovinata, ma anche aspettando qualcosa che potesse distrarla da quella situazione di tranquillità andatasi a creare… Non che la calma le dispiacesse, ma c’era dell’anomalo in quel momento: quella quiete era qualcosa di stagnante, come l’acqua di un lago rimasta troppo tempo senza pioggia o vento a incresparla un po’. Era qualcosa di forzato… Oppressivo… E lei non ce la faceva più.


Chi è lei?


Lei era qualcuno che sapeva cosa fosse diventata, ma ormai non era più troppo convinta di sapere chi era, che tra l’altro sono due cose diverse; tuttavia, erano accadute così tante cose in troppo poco tempo che nell’immediato non si era proprio capacitata di cosa era successo, ma non è il momento di ripensare al passato che pareva divertirsi a tornare a visitarla ogni anno nella stessa notte in cui avvenne il fatto. Forse cosa le è successo verrà raccontato più in là, anche perché ora non è il momento adatto eppure si tratta di una parte irrinunciabile del poco o nulla che le rimane.
Per il momento, è sufficiente sapere che si trattava di qualcuno che si è ritrovato schiacciato da quella assurda calma, nella quale era sprofondato anche il luogo in cui si trovava: quello spazio immenso, immerso nel buio e normalmente privo di qualsiasi cosa che non fosse acqua limpida e pulita, ospitava ora un’unica figura, longilinea e candida come la neve. Non un’imperfezione su quella pelle bianca, se non un piccolo neo sotto un occhio ancora chiuso; sospesi sulla superficie di quello specchio liquido e trasparente, vi erano ciocche castane che parevano ondeggiare ed allungarsi ad ogni lieve increspatura dell’acqua come tante braccia che si alzano verso il cielo verso un punto indefinito.
Non vi era niente capace di turbare quella persona, quella giovane ragazza. Niente…


Tranne questo.


Da un punto imprecisato si sentirono urla che invocavano un aiuto che non sarebbe mai giunto, mentre i clacson incontrollati degli autoveicoli, schianti e rimbombi insopportabili alle orecchie di lei ruppero il silenzio solenne che aveva avvolto quella stanza nelle sue spire come un serpente velenoso dal morso fatale… Probabilmente l’essere stati morsi da un serpente sarebbe stato qualcosa di più rapido e migliore di quello che stava succedendo di fuori; in ogni caso, lei non ne sarebbe stata condizionata perché ormai perfino il veleno di un cobra non la avrebbe ammazzata.
Ancora intrappolata dagli ultimi residui di tranquillità che aleggiavano in quel luogo, come dimentica del caos che si stava quasi sicuramente scatenando di fuori, la figura aprì con una lentezza impossibile gli occhi, mostrando due zaffiri che ora osservavano pigramente il cielo: si aspettava di vederlo color blu mare e d’argento lunare, ma purtroppo per lei non era così perché era stato macchiato da screziature rosso sangue; un movimento lieve nell’acqua, quanto il vorticare di una piuma che si posava per terra, e numerosi gigli ragno rossi comparvero sopra la sua testa, andando a macchiare quello specchio trasparente illuminato dall’astro notturno ed i capelli di lei.


Era arrivato il momento…


Alzò pacatamente un braccio, con attenzione, quasi con timore che un movimento troppo brusco potesse rovinare ulteriormente la quiete già dissipatasi, e lasciando che uno dei fiori si posasse sulla sua mano, mentre ella stessa si alzava, sempre lentamente, quasi a non voler lasciare il posto dove prima dormiva placidamente. Al contatto dell’aria fredda della notte con la sua pelle nuda e umida, la ragazza rabbrividì leggermente, avvicinando alle proprie labbra il fiore che ora reggeva con entrambe le mani: chiuse gli occhi, sfiorando con tenerezza quei petali sottili che tanto aveva amato e detestato durante la sua breve vita; nel mentre di quel gesto innocente, un velo dell’acqua in cui prima era immersa si sollevò, andando a circondare il corpo di lei in una spirale trasparente. Il tempo di un battito di ciglia e l’acqua non c’era più, sostituita da un telo sottile a coprire le magre forme della ragazza alla Luna che la aveva osservata per tutte quelle lunghe ore. Intanto, una voce si fece largo nel silenzio, o piuttosto nella mente di lei:
- “L’ora è giunta, signorina”. –
Una voce fresca e pulita, come una brezza mattutina, appartenente ad un ragazzo. Nessun intento nascosto o gioia di farsi sentire: c’era solo per informarla.
- Lo so. Ora che ho scontato la mia sospensione è finita, mi devo dare da fare. –
Le sembrò di udire l’altra voce sogghignare prima di risponderle:
- “Esattamente. E… - la frase rimase sospesa a metà, ma la castana non se ne curò troppo perché in quel momento diversi dei fiori poggiatisi sull’acqua si sollevarono e, spinti da una strana corrente ventosa, andarono ad attorniare l’occupante della stanza che, inaspettatamente, si ritrovò con la vita bloccata da due braccia di una sorta di fumo rossastro e petali. Una delle mani però la lasciò subito, solo per prenderle dalle mani il fiore rosso e avvicinandolo nuovamente al viso di lei:
- “Quale notte migliore di questa potevano darti per ricominciare?” – ricominciò la voce maschile.
La ragazza non gli prestò troppa attenzione (perché ascoltarlo se aveva già intuito che volesse dirle?), troppo intenta ad osservare il fiore che le aveva avvicinato: i petali si stava lentamente scolorando, come se quel fumo che ne stesse assorbendo il colore. In pochi attimi, un bianco puro aveva preso posto su quei petali, facendo accigliare gli zaffiri e convincendo la ragazza a volgere lo sguardo al cielo:
- “Mh. Sono passati quattro anni e questi colori ti fanno ancora questo effetto? Intendi farmi annoiare?" - se prima non vi era ombra d’emozione nella voce, ora si notava una nota d’irritazione mista a scherno.
La castana si lasciò scappare una risatina e provò a girarsi leggermente, non sorpresa di trovare una figura della stessa materia di cui erano fatte le braccia.
- Credevo non ti dispiacesse vedermi turbata per qualcosa. Non è una delle cose per cui quelli come te vivono in fondo? - rispose lei sarcastica. In realtà non aveva tanto voglia di quei giochetti (là fuori poteva già essere accaduto qualcosa d’interessante e non voleva perderselo dopo quei lunghi mesi di sospensione), ma era l’unico modo per affrontare quello che da quattro anni era diventato il suo partner.
- “Può anche darsi. E tu farai bene a ricordarti il nostro accordo. Non sono diventato il tuo compagno per niente”. - era incredibile: bastava poco o niente per fargli perdere un po’ le staffe, ma si ripeté che non andava bene: aveva capito che stava pensando. O lei teneva la mente chiusa a chiave con tanto di lucchetto, o lui avrebbe fatto molto peggio.
- Certo che non mi sono dimenticata, ma mi auguro che anche tu sia di parola: nemmeno io ho deciso di diventare tua compagna senza nulla in cambio. – liberato un braccio, provò a dare una gomitata al fumo dietro di lei, il quale si scompose subito e la lasciò libera:
- Ora però dobbiamo andare. Ho idea che stia succedendo qualcosa di grosso là fuori. - s’incamminò quindi verso l’uscita della stanza, ma le braccia di fumo la avvolsero ancora e stavolta non era semplicemente per immobilizzarla: era qualcosa di più languido e possessivo, quasi ansioso…
- “Oppure possiamo restarcene qui ancora un po’. È da quando i tuoi superiori ti hanno sospesa che non sento le urla convulse degli umani… - un sospiro di piacere proruppe dalla voce maschile, mentre fuori i rumori si facevano sempre più forti ed incessanti:
- “è sempre bello vedere quegli insulsi esseri andare incontro ad un tormento. E credo proprio che questa volta ci sarà davvero da divertirsi… Almeno quanto lo è stato l’ultimo lavoro”. –
Lei però emise uno sbuffo scocciato e, con un po’ più di fatica, si liberò nuovamente dalla presa e s’incamminò quanto più velocemente verso una porta che la condusse in un piccolo spogliatoio; una volta lì, con uno schiocco di dita il telo da bagno non c’era più, sostituito dai suoi “abiti da lavoro”: si trattava di un kimono bianco che però le arrivava non alle caviglie ma a metà coscia, tenuto stretto in vita da una fascia rossa che si chiudeva sulla schiena con un grosso fiocco. Inoltre, il kimono le lasciava scoperte le spalle, che però rimanevano celate da una maglia nera. Per terminare con la parte superiore, aveva un girocollo rosso scuro e un nastro dello stesso colore tra i capelli; per la parte inferiore, teneva una semplice gonna di seta nera le arrivava fino alle ginocchia e, per completare il tutto, calze rosse e sandali con tanti lacci bianchi. I gigli ragno non la avevano abbandonata ancora: erano presenti in diversi colori sulle varie parti del vestito, neri sul kimono, rossi sulla gonna e bianchi sulla fascia legata in vita.
Poco dopo la figura di fumo, passando dalla fessura sotto la porta, entrò nella piccola camera:
- “Hai dimenticato qualcosa di là”. – detto ciò, allungò un braccio per posare sul laccio per capelli della ragazza il giglio ragno bianco che le aveva sottratto prima.
- “Ih ih. Fai spesso i capricci perché quei colori non li puoi vedere, ma continui a metterli? O sei strana, o ti comporti proprio come una bambina”. -
Lei non lo calcolò minimamente ed uscì, ritrovandosi in un lungo corridoio, ma per quanto velocemente potesse camminare, il fumo non la lasciava nemmeno un minuto:
- Ufff… Che altro vuoi? Sai bene come funziona con me! O mi aiuti o te ne resti comodamente qua, tanto non credo che per te faccia differenza. – rispose scocciata lei, cercando però di darsi un minimo di tono. Non poteva di certo scoppiare per qualcosa che accadeva ogni singola volta che ricevevano un incarico.
- “Primo: m’importa molto di quello che ti succede, anche perché se muori io mi ritroverò con un pugno di mosche tra le mani. Secondo: sappiamo entrambi che non riusciresti a fare chissà cosa là fuori senza il mio aiuto. Certo, per svolgere il tuo lavoro normalmente potresti, ma non per portare avanti la tua piccola questione personale”. – la castana continuava a ripetersi nuovamente di non dare corda alle sue parole, anche se spesso quello si comportava come i primi giorni in cui si erano conosciuti: irritante come non sapeva più cosa fino al midollo. A volte si chiedeva davvero chi fosse l’adulto tra loro due, ma all’altro non sarebbe comunque importato questo.
Si girò verso il suo interlocutore (perché ormai era chiaro che la voce nella sua testa proveniva da quella massa informe rossa), ma prima che potesse anche solo fiatare, lui le mise un dito davanti alle labbra e le avvicinò un foglio di carta scritto al volto:
- “E terzo, per ordine d’importanza naturalmente: dove credi di poter andare senza nemmeno sapere il dove ed il quando succederà quel che sai?” – rispose lui sarcastico come al solito.
Lei allora sospirò sconfitta e, scacciando la mano di lui che aveva vicino alle labbra, allungò la propria per prendere il foglio, quell’oggetto sottile, delicato e nostalgico: profumava di casa, ma anche del lavoro che ora doveva compiere. Per un motivo che non seppe spiegarsi, s’intristì nel leggere quell’unica frase, ma scosse la testa per scacciare quel pensiero e, girandosi nuovamente, riprese a camminare, sussurrando:
- Come to me, my sword. –
Udita la frase, il fumo si avvicinò nuovamente, stavolta avviluppandosi intorno ad un punto della fascia rossa, scomparendo sotto l’indumento.
Il foglio era già stato lasciato andare, dimenticato da colei che ormai sapeva dove andare: il primo luogo che avrebbe visitato dopo quei lunghi mesi di tedio.  


Orfanotrofio Hyakuya. Ore 24.00. 25-26 Dicembre 2012.




Angolo dell’autrice
Come prima cosa, piacere di conoscervi: sono nuova del fandom, ma non di EFP. Mi chiamo Crow. Lo so che avrei fatto meglio a non scrivere subito quel capitolo visto le grandi modifiche che ho dovuto fare, ma ho in mente questo tentativo da un po’ e intendo provare a portarlo a termine (impegni permettendo ovviamente). Salvo imprevisti, dovrei riuscire a postare almeno una volta ogni 2 settimane (nei casi peggiori s’intende, ma si vedrà).
I personaggi comparsi qui sono due miei OC, ma non preoccupatevi perché compariranno anche i nostri protagonisti di Owari no Seraph. Premetto che ci saranno vari salti temporali sia in avanti che indietro, ma certe cose mi perderei troppo a spiegarle in dettaglio.
Fatte queste premesse, vi saluto.
Alla prossima pagina della storia.
Crow
  
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