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Autore: nikita82roma    12/04/2016    2 recensioni
"Temperance conosceva bene il suo corpo. Sapeva bene che quelle reazioni che vedeva ormai da qualche giorno erano l’evidenza di qualcosa che le avrebbe cambiato la vita, per sempre. I segnali erano inequivocabili, ma lei voleva le prove, lei era una scienziata, non si sarebbe accontentata della sua voce interiore che le diceva cosa stava accadendo. Doveva sapere. Voleva sapere. Voleva avere la certezza.
Ogni mattina, però, la nausea era più forte e si svegliava sempre più stanca, insonnolita ed ora che lo guardava bene il suo seno sembrava più gonfio, sicuramente era più sensibile, pensò massaggiandoselo."
Cosa accade da quando Bones si ferma a dormire da Booth a quando gli dice che è incinta? Come la prenderà lui? Una storia di tre capitoli, per coprire questa serie di missing moments tra la 6x22 e la 6x23.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Seeley Booth, Temperance Brennan
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Missing Bones'
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Temperance conosceva bene il suo corpo. Sapeva bene che quelle reazioni che vedeva ormai da qualche giorno erano l’evidenza di qualcosa che le avrebbe cambiato la vita, per sempre. I segnali erano inequivocabili, ma lei voleva le prove, lei era una scienziata, non si sarebbe accontentata della sua voce interiore che le diceva cosa stava accadendo. Doveva sapere. Voleva sapere. Voleva avere la certezza.
Ogni mattina, però, la nausea era più forte e si svegliava sempre più stanca, insonnolita ed ora che lo guardava bene il suo seno sembrava più gonfio, sicuramente era più sensibile, pensò massaggiandoselo.

Possibile che era bastata una notte, una sola notte per rimanere incinta? Certo che era possibile, lo sapeva bene. Non si mise a fare calcoli mentali su quante probabilità c’erano in base alla sua ultima ovulazione e se era in periodo fertile oppure no, quella notte a casa di Booth, però doveva essere stata per forza quella notte, l’unica nella quale sopraffatti dalle emozioni si ritrovarono amanti senza pensare alle conseguenze. Non ci aveva più pensato, fino a quando l’evidenza faceva strada nella sua mente, si insinuava il dubbio che era diventato certezza.

Erano sempre stati attenti dopo. Perchè, sì, dopo quella notte, c’era stato un dopo. Anzi diversi dopo. Diversi, piacevolissimi, dopo. Da lei e da lui. In segreto, perchè benchè tutti da tempo fossero convinti che tra loro c’era di più, ora che se ne erano convinti anche loro stessi, l’unica cosa per ora volevano era tenere tutto questo solo per se. 
Senza dire niente a nessuno, senza dare spiegazioni, senza dover sentire i “Ve l’avevo detto” di Sweets che li avrebbe guardati compiaciuto che le sue teorie erano vere e i “Io l’ho sempre saputo” di Angela. 
La Montenegro a dire il vero qualche cosa sapeva, sapeva che alla fine lei aveva ceduto e “aveva dormito con Booth” queste le parole letterali di Temperance alla sua amica ed aveva anche intuito dalla sua espressione che la dormire non era il verbo esatto di quello che era accaduto, che era stato qualcosa di molto più piacevole. Poi però Temperance non aveva più parlato, non aveva più detto nulla e loro, presi dalla morte di Vincent ed Angela soprattutto dalla nascita di suo figlio che si faceva attendere, non aveva più approfondito il discorso con lei.

Bones e Booth però avevano approfondito eccome la loro conoscenza ed era diventato sempre più difficile stare lontani e far finta di nulla davanti agli amici. Erano stati sempre affettuosi l’uno con l’altra, quindi a nessuno sembrava strano se lei si aggrappava al suo braccio o se lui le cingeva la vita, se ridevano e si sorridevano più del normale. Solo Angela coglieva quei segnali in modo diverso e se ne compiaceva, perché vedeva la sua amica finalmente felice.

 

Si erano visti anche la sera prima, da lui e come sempre il loro vedersi finiva nello stesso modo, in camera da letto. Che sarebbero stati molto compatibili dal punto di vista sessuale lei lo aveva sempre sostenuto per via delle loro qualità fisiche e della loro resistenza ed aveva ragione quando pensava che sarebbe stato molto appagante fare l’amore insieme, ma si era ritrovata più di una volta a pensare finito l’amplesso, che lo era molto di più di quanto credesse, perchè sentiva che il suo appagamento non era solo fisico era qualcosa di più, qualcosa di diverso, non era una reazione fisica o chimica, era qualcosa a cui non riusciva a dare un nome o non voleva farlo, perchè lo sapeva che quel nome esisteva ed era quello che più la spaventava: amore.

Si chiedeva, in quei momenti di totale beatitudine fisica, se anche lui provasse la stessa cosa. Lo guardava sdraiato vicino a lei, con gli occhi chiusi e le braccia larghe, il volto disteso e sudato, il torace che si alzava ritmicamente ogni volta che insiprava profondamente, fino a quando respiro e battito non tornavano normali, calmi. Poi si appoggiava con la testa sul suo petto ed aspettava che lui la abbracciasse appena la sentiva su di se e lui lo faceva. Sempre. Booth era totalmente rilassato, lei ci provava, ma no, non lo era. Era felice, era soddisfatta, ma non aveva la mente sgombra, non riusciva a stare senza pensare, a godersi semplicemente il momento. Pensava. Si chiedeva e si tormentava se anche per lui quello voleva dire la stessa cosa che era per lei. 

Si vedevano, facevano sesso, si abbracciavano, baciavano, ridevano, scherzavano. Ma non erano mai riusciti a parlarsi. A dirsi realmente cosa gli stava accadendo, cosa erano l’uno per l’altra. Lei sapeva che non poteva essere solo una storia di sesso, per sfogare i normali impulsi, non dopo tutto questo tempo, non dopo tutto quello che si erano detti prima di cominciare a frequentarsi in quel modo. Perchè prima parlavano molto, a modo loro, con i loro dico e non dico, con le mezze frasi e le allusioni. Ora invece no. Non ne avevano più parlato. Forse Booth lo dava per scontato. Si erano detti di amarsi, in tempi diversi, quando nessuno dei due era pronto in quel momento. Ora che erano tutti e due pronti non lo avevano detto più e Temperance non pensava che, invece, la cosa fosse così scontata.

Così la sera prima, dopo che avevano finito di nuovo la serata facendo sesso, per la prima volta, con una scusa, decise di tornare a casa. Lui sembrò confuso e non credere molto a quella storia che doveva assolutamente finire un articolo per un’importante rivista scientifica, però preferì mettere da parte il suo dispiacere e fare finta di nulla.

Le avrebbe voluto dire che l’accompagnava, ma poi Booth sapeva esattamente come avrebbe voluto far finire la cosa: se lei aveva da scrivere, sarebbe rimasto lui lì, da lei anche a guardarla scrivere tutta la notta. Ma sapeva bene che se era vero che doveva farlo, averlo lì in casa non l’avrebbe aiutata a concentrarsi, perchè aveva scoperto che esistevano vari modi per distogliere la rigida ed inflessibile antropologa dal suo lavoro, e a lui piaceva metterli in pratica tutti. A malincuore, quindi, l’accompagnò solo fino alla porta di casa, baciandola più volte fino a quando lei non la chiuse definitivamente, lasciandolo solo con il suo sapore sulle labbra. Guardò l’orologio, l’avrebbe rivista la mattina dopo, in fondo non era molto tempo, ma ormai si era abituato a dormire quasi tutte le notti con lei che stare senza gli sembrava di non riposare bene, ma si ributtò a letto ispirando forte il suo profumo che era ancora sul cuscino. Era innamorato. Profondamente innamorato di quell’imprevedibile donna che era Temperance Brennan, la sua Bones e doveva dirglielo chiaramente, perchè a lui questa relazione così, non bastava più.

 

Così era tornata a casa sola quella sera. Si era sdraiata nel suo letto, piena dei suoi pensieri a cui se ne stava aggiungendo uno in più. Uno enorme. Prese dalla borsa il test di gravidanza che aveva comprato quel pomeriggio ed era stata con la paura per tutto il giorno che Booth lo scoprisse per sbaglio. Era consigliato farlo di mattina. Lo voleva fare subito a quel punto ma avrebbe aspettato, qualche ora in più non avrebbe cambiato le cose, in fondo.
Dormì poco. Pensò a come lo avrebbe detto a Booth, a cosa sarebbe stato di loro a come avrebbe reagito. In realtà non sapeva ancora nemmeno come avrebbe reagito lei. Ma reagire a cosa poi? Lei lo sapeva, Temperance lo sapeva, glielo diceva tutto di se e quelle due lineette sarebbero servite solo alla Dottoressa Brennan che voleva le prove per ogni cosa. E lei, Temperance, gliele avrebbe sbattute in faccia e le avrebbe detto che aveva ragione lei. Non tutto si può spiegare razionalmente, Booth lo diceva sempre.

Poi un pensiero la invase: e se non era vero? Se tutto questo era solo una sua proiezione mentale? Se si stava auto convincendo di essere incinta, esattamente come si era convinta tempo prima di essere un’altra persona? 
No. Aveva bisogno delle prove, della certezza. Doveva e voleva averle. Perchè non tutto si può spiegare razionalmente, ma se una persona è incinta oppure no sì. Lo dice la scienza in modi molto semplici. Basta controllare i valori del Beta-HCG, non è una cosa complicata.
Dormì, alla fine, almeno un po’. 

 

La mattina dopo si ritrovò quindi in bagno con la nausea e stanca più de dovuto, anche per la notte quasi insonne. Aveva lo stick tra le mani ed una paura folle di fare quel test. Non sapeva in quel momento di cosa avrebbe avuto paura? Di un risultato negativo o positivo? Aveva paura di vedere la sua vita sconvolta da lì a poco oppure che tutto rimanesse come era? Non si sapeva dare una risposta, ma prese coraggio e fece il test.
Lo appoggiò sul comodino imponendosi di aspettare quei cinque minuti senza guardare ogni pochi secondi se qualcosa appariva. Era una scienziata, si ripeteva, se dicono cinque minuti, doveva aspettare cinque minuti. Era quello il tempo tecnico per avere un responso.
Erano i cinque minuti più lunghi della sua vita, almeno da quando era rimasta sepolta in auto sotto terra con Hodgins. Controllava l'orologio compulsivamente e il tempo sembrava essersi cristallizzato. "Il tempo scorre sempre alla stessa velocità, sei tu a percepirlo diversamente" si ripeteva facendo uno sforzo massimo di razionalità. 

Ora quei cinque minuti erano passati. Afferrò lo stick, chiuse gli occhi, fece un respiro profondo e poi li riaprì. Quelle due lineette erano lì a confermare quello che lei in fondo sapeva. Ora anche la sua parte razionale aveva le prove. Certo un test di gravidanza non era attendibile al 100% e lei voleva quella percentuale di sicurezza. Avrebbe fatto le analisi, quella mattina stessa, in una clinica che conosceva bene dove le avrebbero dato il responso subito, nella massima discrezione.
Lasciò il test sul letto, si vestì velocemente ed uscì. Poco più di un'ora dopo aveva in mano quel foglio che non ammetteva repliche: positivo.

Aveva tutte le prove che servivano alla sua parte di scienziata che in quel momento stava diventando sempre più piccola dentro di lei. Salutò il medico del laboratorio che gentilmente le aveva dato il responso così celermente che congedandola le fece gli auguri. Rimase spiazzata e ringraziò balbettando.

Si sedette in macchina, posò la cartellina con i risultati sul lato passeggero e appoggiando le mani sul volante si lasciò andare, per la prima volta, ad una vera e sincera commozione.
Appoggiò la testa sulle mani e lasciò che le lacrime uscissero senza trattenersi oltremodo. Rideva e piangeva nello stesso momento, sopraffatta da emozioni che si susseguivano dentro di lei senza possibilità di arginarle in nessun modo. E in realtà non voleva fermarle, voleva lasciarsi invadere da quelle sensazioni mai provate ed ebbe la certezza che le sue barriere si erano sgretolate.
Si ricompose, si asciugò le lacrime e si guardò allo specchietto. I segni sul viso del suo pianto erano evidenti, non poteva presentarsi in laboratorio così. Fece un giro un po’ più lungo con la macchina. Andò a prendere un caffè. “Decaffeinato” si ricordò di dire all’ultimo alla ragazza che prese il suo ordine. Non le piaceva stare da sola in un cafè, ma ora ne aveva bisogno. Doveva riprendersi. Si portò entrambe le mani sul ventre, sorrise, e si appoggiò allo schienale della poltroncina. Aveva bisogno di qualche momento solo per lei, anzi solo per loro.

   
 
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